Ottobre 31st, 2013 Riccardo Fucile
PER IL LEADER UDC SBAGLIATO IL RICORSO ALLO SCRUTINIO PALESE
Senatore Casini, lei voterà per la decadenza di Berlusconi?
«Il problema non è il mio voto. È che questa vicenda è stata costellata da troppi errori: da ultimo, quello gravissimo della votazione palese».
Visto che è palese, ci dica come vota.
«Se ci tiene a saperlo, la mia scelta per la decadenza di Berlusconi è maturata da tempo».
A quali errori si riferisce allora?
«Il primo l’ha commesso la Giunta quando ha disatteso il consiglio, giunto da autorevoli costituzionalisti di sinistra, di togliere ogni dubbio sulla retroattività della legge Severino, ricorrendo alla Consulta. Un errore in particolare per chi in questi anni ha avversato Berlusconi. Prima di votare la decadenza di un avversario politico, ci vuole un’attenzione supplementare. Se si è garantisti, a maggior ragione bisogna esserlo con un avversario politico. Ma l’errore del voto palese è ancora più grave».
Perchè? Ogni senatore si assume una responsabilità .
«È vero, ci sono valutazioni che possono spingere a una pubblicizzazione del voto. Ma c’è prima di tutto il principio sancito nel regolamento e nella prassi: quando si deve decidere in ordine alle persone, a garanzia di uno Stato di diritto c’è la protezione di uno scrutinio segreto. Ci sono stati mutamenti a questa prassi, ma in casi diversi, ad esempio di dimissioni volontarie. La prassi del voto segreto risponde a una concezione garantista a tutela del singolo e della libertà di coscienza dei parlamentari».
Ma in passato consentì manovre come quelle che nel ’93 salvarono Craxi e indebolirono il governo Ciampi.
«È proprio il ragionamento che respingo. Il legislatore che per paura di manovre stabilisce di cambiare la prassi ha già perso la sua partita. È come se noi pensassimo di non tenere le elezioni perchè il risultato può essere dannoso. Hitler andò al potere con il voto popolare, ma noi dobbiamo difendere i principi e i diritti anche se ne sortiscono effetti negativi».
Ma il voto palese è anche un modo per trarre d’impiccio i senatori, non crede?
«Certo. Per noi è meglio, così tutti vedono come ci esprimiamo. Ma è più importante la manifestazione di un interesse politico, o il rispetto e la tutela del singolo? Io credo sia più importante il rispetto e la tutela del singolo, anche se si chiama Silvio Berlusconi; anzi, a maggior ragione se si chiama Silvio Berlusconi. Dato che a lui sono state imputate troppe leggi ad personam, il modo peggiore di chiudere l’era Berlusconi è dare l’impressione di applicare il regolamento contra personam».
Delle leggi ad personam lei è stato a lungo complice.
«Guardi, ho un illustre avvocato che mi scagiona: Berlusconi stesso mi ha imputato centinaia di volte di non avergli consentito di fare la riforma della giustizia. E, non per essere malizioso, ma temo che la riforma ci avrebbe portato qualche altra legge ad personam».
Linda Lanzillotta, sua collega di Scelta civica, è stata decisiva nella scelta del voto palese.
«Conosco il suo rigore, e sono convinto che questa decisione non sia figlia di ordini di partito ma di una scelta individuale. Resta comunque un errore: è difficile teorizzare che stiamo parlando astrattamente dell’applicazione di una legge. Qui il problema ha un nome e un cognome, e non è quello della Severino».
Ma cos’è successo tra lei e Monti?
«Non rispondo a polemiche. Preferisco ricordarmi il presidente Monti a Palazzo Chigi piuttosto che l’uomo di partito di questi mesi. Abbiamo due modi diversi di stare in questa maggioranza, che già subisce il bombardamento sul quartier generale di Renzi e quello ancora più forte del Pdl. Noi dobbiamo aiutare Letta, non complicargli ancora di più la vita».
Follini ha detto che lei alle scorse elezioni non doveva allearsi con Monti, ma con Bersani.
«È giusto che un politico si rassegni ad ascoltare sempre i maestri del giorno dopo. Sarò Pierfurby, ma la mia disinvoltura non arriva al punto di schierarmi con Vendola. Sono curioso di vedere se lo farà Renzi».
Cosa pensa di lui?
«Oggi come venditore è ancora più bravo di Berlusconi. Temo però che sia meglio come venditore che come uomo di governo. È stato presidente della Provincia di Firenze e vuole abolire le Province, propone spese prive di una copertura seria…».
Ci sarà la scissione nel Pdl?
«Non c’è nulla di più odioso che interferire nei partiti altrui. Ma la scelta di Alfano è la questione delle questioni. La storia di questi anni dimostra che prima o poi viene per tutti il bivio tra perdere la propria dignità restando con Berlusconi o salvarla andandosene. Ora tocca ad Alfano».
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Ottobre 31st, 2013 Riccardo Fucile
ERANO STATI PRESI IN CONSEGNA DAI MILITARI A BORDO, APERTE DUE INCHIESTE
Il loro futuro, gelosamente custodito in buste e marsupi stretti al corpo, glielo hanno portato via sulla nave che li ha salvati. Dollari e qualche gioiello di famiglia, quel poco su cui contavano per costruirsi una nuova vita in Europa.
E invece, dalla corvetta Chimera della Marina militare italiana, sono scesi a mani vuote o quasi, i sacchetti con il loro piccolo “tesoro” tagliati di netto e svuotati, altri spariti del tutto.
Chi, nella notte tra il 25 e il 26 ottobre, ha messo le mani sulle buste in cui erano stati custoditi gli averi dei 95 profughi soccorsi nel Canale di Sicilia, si è impadronito di contanti e gioielli per più di 100 mila euro.
Almeno così sostengono i migranti, quasi tutti siriani, che – appena sbarcati a Porto Empedocle – hanno chiesto di essere subito portati in questura.
Una trentina le denunce per furto sottoscritte dai profughi che hanno dato vita a due inchieste, una della Procura di Agrigento, l’altra della Procura militare.
Derubati da chi li ha soccorsi, da chi – come hanno dimostrato nelle tante operazioni di questi giorni – con abnegazione e coraggio si tuffa in mare per salvare donne e bambini?
Sembra incredibile ma così sostengono i migranti nei verbali sottoscritti negli uffici della squadra mobile.
Denunce piene di particolari che hanno indotto la magistratura ad ordinare una perquisizione a bordo della corvetta che, però, nel frattempo, aveva lasciato Porto Empedocle per riprendere i suoi compiti di pattugliamento nel Canale di Sicilia nell’ambito dell’operazione “Mare nostrum”. Quando, il giorno successivo, gli investigatori sono saliti a bordo della nave, tornata alla base militare di Augusta, dei soldi e dei gioielli spariti non è stata trovata alcuna traccia.
Ma l’ipotesi di reato resta in piedi e le denunce dei migranti sono ora al vaglio dei pm di Agrigento diretti dal procuratore Renato Di Natale e del procuratore militare di Napoli Lucio Molinari.
«Quando ci hanno preso a bordo – ha raccontato uno dei profughi – i militari, dopo averci soccorso e riscaldato, ci hanno perquisito e passato al metal detector. Ci chiedevano di consegnare loro quello che avevamo indosso, ce l’avrebbero restituito appena sbarcati. Per ognuno di noi c’era un sacchetto con un numero. Ma quando ci hanno fatti scendere dalla nave, il mio sacchetto come molti altri era tagliato ed erano stati portati via quasi tutti i dollari e qualche piccolo oggetto in oro».
Dai 3000 ai 5000 dollari a testa, più collane, bracciali, anelli. Tanto i profughi siriani, quasi sempre appartenenti a classi sociali medio-alte, hanno dichiarato di aver avuto portato via.
L’operazione di soccorso al centro delle indagini è quella avvenutala sera del 25 ottobre trenta miglia a sud ovest di Lampedusa.
E’ una di quelle serate di emergenza continua. Il barcone dei siriani è alla deriva, a bordo si sbracciano per chiedere aiuto, sono tutti senza salvagente.
Sono in 95, 48 uomini, 22 donne, 25 bambini. Il mare è calmo, tutti vengono presi a bordo della corvetta Chimera, riscaldati e rifocillati.
Poi ad ognuno di loro vengono chiesti i dati per l’identificazione e la consegna di soldi e oggetti personali.
La nave si dirige verso Porto Empedocle dove nella tarda mattinata di sabato sbarca i migranti. Quasi tutti gli uomini, prima di scendere, reclamano i loro averi.
Alcuni dicono di aver avuto indietro i sacchetti tagliati e svuotati, altri di non aver avuto indietro nulla. Non c’è tempo per protestare.
I profughi vengono condotti nella tensostruttura mentre la corvetta riprende il mare.
Il giorno dopo la perquisizione disposta dalla magistratura dà esito negativo ma dal 25 ottobre per la Chimera quello è stato l’ultimo soccorso nel Canale di Sicilia.
Francesco Viviano e Alessandra Ziniti
(da “la Repubblica“)
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Ottobre 31st, 2013 Riccardo Fucile
NON VOTANO ANCORA GLI ELETTORI DEL PDL… E C’E’ CHI GONGOLA: “NON STA ANDANDO COME CREDEVANO”
Se non è proprio definibile euforia, perchè la partita delle primarie si sa come finirà , la sensazione che pervade i maggiorenti pro-Cuperlo è quella di chi vede la luce di un pareggio strappato alla prima in classifica.
Sì perchè a detta di entrambe le tifoserie, pure quella renziana lo ammette, la partita dei congressi provinciali che si celebra in questi giorni «finirà fifty fifty», cioè cinquanta a cinquanta.
Tutti convengono, fatte sempre le doverose premesse: che molti segretari di federazione sono sostenuti da «larghe intese» locali, dove il renziano magari è votato dai cuperliani o viceversa; che i casi in cui si andrà al ballottaggio sono tanti e ancora il pallottoliere è incompleto.
Per ora i dati sbandierati dal comitato di Cuperlo riportano i risultati di 76 congressi su 100, con 48 candidati vincenti che fanno capo a Cuperlo e 28 a Renzi, calcolati anche quando le coalizioni sono bipartisan quindi unitarie.
E un sorriso compiaciuto sboccia sul volto di Pierluigi Bersani alla buvette della Camera, «non sta andando come credevano loro, su questi qui finirà pari, forse qualcosina in più per i nostri…», dice.
Lo sa pure lui che «molte sono coalizioni unitarie che rispondono a dinamiche territoriali. Ma anche il voto tra gli iscritti non andrà male…», è la sua previsione.
I cuperliani, se pur elettrizzati, si fanno però poche illusioni sull’esito della guerra di trincea. «Siamo avanti di poco noi nelle province è vero, dunque l’argine tiene, ma perderemo tra gli iscritti e saremo travolti l’8 dicembre», ragiona uno dei più disincantati big insieme ai suoi sodali.
I quali non concordano, ma sanno la potenza di fuoco che stanno mettendo gli uomini di Renzi in questa partita, concentrando gli sforzi specie sul voto tra gli iscritti che si celebrerà tra il 7 e il 17 novembre
L’altra sera all’assemblea dei 160 parlamentari che lo sostengono, il rottamatore in due precisi passaggi ha fatto capire che le liste collegate alla sua candidatura, quelle votate l’8 dicembre che esprimeranno gli organi dirigenti, saranno stilate solo dopo il 17 novembre: quando tutti i deputati, doc e new entry, avranno dimostrato quanti voti degli iscritti riescono a drenare casa per casa col loro impegno.
Dall’altra parte, quella dello sfidante, c’è una rete capillare che vede all’opera non solo i dalemian-bersaniani uniti nella lotta, ma anche bindiani di peso e quei lettiani che hanno scelto di sostenere Cuperlo, come sta facendo in Emilia la parlamentare Paola De Micheli.
Un altro lettiano come Francesco Boccia si vanta di aver vinto con il suo candidato renziano 8 comuni su 10 di Barletta, perchè sa che sul terreno pugliese sono schierati con Cuperlo il segretario regionale Blasi, Mario Loizzo, storico segretario della Cgil pugliese e deputati con un loro seguito come Dario Ginefra o Michele Bordo.
In Sardegna, dove si voterà più avanti, sono anche gli uomini di Franco Marini a dare le carte, come Salvatore Ladu nel nuorese, ma anche il sottosegretario alla sanità Paolo Fadda e uno dei capi della campagna di Cuperlo, Tore Corona.
Vicinissimo a Nico Stumpo, l’ex responsabile organizzazione e ora crocevia delle notizie che arrivano dai territori.
Compresa la sua Calabria, dove può contare sull’aiuto di Gigi Meduri, bindiano e parlamentare per diverse legislature, o di Mario Oliverio, presidente della provincia di Cosenza. In Toscana ci sono l’ex segretario regionale, Andrea Manciulli, l’attuale, Ivan Ferrucci e il presidente della regione, Enrico Rossi, sul sito «ilsignorrossi.it» dove troneggia «Perchè Renzi non m’ha convinto».
In Veneto giocano Zanonato e Zoggia nell’area di Venezia, la bindiana Miotto in quel di Padova; in Sicilia uomini come Cracolici, Capodicasa, Crisafulli; in Molise e Campania i segretari regionali dalemiani Leva e Amendola, a Napoli l’ex bassoliniano Andrea Cozzolino.
Carlo Bertini
(da “La Stampa”)
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Ottobre 31st, 2013 Riccardo Fucile
L’EX PARLAMENTARE SCARICA LA RESPONSABILITA’ SU UN SUO COLLABORATORE E CANCELLA IL POST: “SE DITE CHE E’ LA KYENGE VI QUERELO”… CHE SIA UNA MUCCA DELLE QUOTE LATTE?
Una fotografia di una politica di colore con il muso di una scimmia al posto del volto, pubblicata sulla pagina di Facebook e subito tolta. S
opra l’immagine, la scritta “Indovina chi è???”.
Autore della provocazione sulla pagina del suo social network, è l’ex deputato e segretario regionale della Lega Nord in Emilia Fabio Rainieri, a lungo inquisito per le quote latte e salvato dalla prescrizione.
Il diretto interessato però nega che si tratti di un attacco rivolto a qualcuno in particolare, e soprattutto al ministro all’Integrazione Cecile Kyenge: “Non è scritto da nessuna parte, non c’è riferimento a lei. Se lo dite vi querelo” dichiara con forza Rainieri.
Nella foto comparsa sulla sua pagina personale di Facebook, che dopo qualche ora è stata rimossa, si può vedere il ritratto di una politica vestita in abiti eleganti blu seduta tra i banchi del Governo.
Al posto della sua testa però c’è quella di un animale. Un fotomontaggio che riporta alla memoria le offese lanciate la scorsa estate da Roberto Calderoli, che era arrivato addirittura a paragonare la Kyenge a un orango.
In questo caso però Rainieri nega qualsiasi accusa e si giustifica anche per la frase comparsa sopra il fotomontaggio, che secondo la sua versione non si riferisce a nessuno.
“Non è assolutamente vero che c’è quella foto — ribadisce Rainieri — quella persona non è assolutamente la Kyenge, non c’è scritto da nessuna parte, e se scrivete che è lei, vi querelo”.
Secondo Rainieri il post non è l’ennesimo attacco nei confronti del ministro all’Integrazione e per questo si difende ancora: “Non c’è nessun riferimento alla Kyenge, se volete metterlo fatelo, ma non c’entra niente con quel post”.
L’immagine ora non è più visibile sulla pagina Facebook dell’ex deputato, che evidentemente ha deciso di rimuoverla dopo averla pubblicata.
Quando gli si fa notare però che il post è stato visibile a tutti, anche se solo per poche ore, Rainieri ammette: “Non l’ho scritto io, ma chi gestisce la mia pagina Facebook”. Anche sulle ragioni che lo hanno spinto a far cancellare il post, il segretario della Lega nega che ci sia un collegamento con il ministro di origine congolese: “L’ho fatto togliere perchè non mi piacciono queste cose, vanno bene le vignette, ma cose di questo genere no”.
Il fatto che Calderoli sia stato inquisito avrà fatto cambiare idea a qualcuno?
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 31st, 2013 Riccardo Fucile
SILVIO A PRANZO CON FITTO PENSA DI ANTICIPARE IL CONSIGLIO NAZIONALE E FARE LA CONTA
Occhiali sulla testa, sigaretta mai spenta, Denis Verdini, l’uomo delle conte (spesso sbagliate) controlla il totale: “Abbiamo il 75 per cento, ma possiamo arrivare all’ottanta al consiglio nazionale. Il partito è con Berlusconi. Punto”.
È questo il verdetto che porta al pranzo di guerra a palazzo Grazioli.
Il Cavaliere all’alba ha alzato la cornetta per convocare i duri: “Voglio Sandro, Denis e Raffaele. Oggi si decide di accelerale. Voglio capire bene i numeri”.
L’idea è di anticipare, subito, la conta interna. Di non concedere tempo ad Alfano e alle colombe. Convocando il consiglio nazionale prima del voto sulla decadenza. E in quella sede chiamare il partito all’ordalia finale, in nome del ritorno a Forza Italia: “O con me o contro di me”.
Ci sono già un paio di dare sul calendario, il 9 o il 16 di novembre. Di sabato comunque, per render più agevole l’arrivo a Roma degli ottocento membri.
L’ex premier, però, prima di dare il via libera alle lettere di convocazione, chiede una mappa precisa delle forze in campo. I numeri, assicura Denis, ci sono.
La cartina è sul tavolo di Verdini, in San Lorenzo in Lucina. Su ogni regione vengono segnati i numeri. È un via vai per tutta la mattinata.
Arrivano i capibastone, territorio dopo territorio, con i fogli delle firme al documento che sancisce il ritorno a Forza Italia e la sospensione delle cariche.
Verdini segna, regione dopo regione. Come un conduttore tv che mette le bandierine la sera delle elezioni.
È l’ora della conta. Schifani a palazzo Madama ha invece il foglio dei senatori, per dare ad Alfano la cifra da portare al pranzo con Enrico Letta e Dario Franceschini.
Il menù, ufficialmente è la legge di stabilità . Ma il piatto più importante è, come a palazzo Grazioli, la scissione.
Tormentato, preoccupato, Alfano ha paura davvero.
Il pallottoliere sulla carta dice 28, ma Berlusconi ancora non ha iniziato a telefonare ai senatori in nome del “con me o contro di me”.
E a quel punto può succedere di tutto: “Chi vota contro Berlusconi?” è l’interrogativo che rimbalza tra i ministri. Quagliariello e Lorenzin ripetono alle truppe: “Prima il paese”.
Ma tra i senatori in cerca di conferme il ragionamento del tengo famiglia suona così: “Con Berlusconi la rielezione è certa. Alfano non ha voti. E non abbiamo garanzie che la legislatura duri”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 31st, 2013 Riccardo Fucile
L’AZIONISTA FRANCO-OLANDESE AZZERA IL VALORE DELLE SUE AZIONI IN BILANCIO E TOGLIE GARANZIE ALLE BANCHE ITALIANE CHE HANNO UN CREDITO DI 1,2 MILIARDI
Nuovi guai in vista per le banche italiane che grazie ai cugini francesi si ritrovano fortemente esposte verso una società che vale ufficialmente zero, Alitalia. §
Proprio mentre a Roma le Poste vanno verso la modifica di statuto necessaria ad entrare nel trasporto passeggeri con la ricapitalizzazione della compagnia, a Parigi Air France-Klm azzera il valore della sua quota nella società italiana, alla quale Intesa e Unicredit, sono pronte a garantire l’aumento di capitale e linee di credito supplementari per altri 200 milioni di euro.
Non solo: il vettore franco olandese, secondo quarto riportato dal quotidiano economico La Tribune, non è intenzionato a partecipare alla ricapitalizzazione.
Il dossier, insomma, diventa sempre più doloroso per i due istituti di credito, che, fra l’altro, sono esposti per almeno 280 milioni e non vogliono certo assistere al fallimento dell’avventura dei “patrioti”con tanto di perdita acclarata nei propri bilanci.
Purtroppo però la questione Alitalia e il peso dei suoi debiti sulle banche nazionali non rappresentano un caso isolato nello scenario nazionale.
Basti pensare che se, con un esercizio contabile, ai debiti della società presieduta da Roberto Colaninno si aggiungono anche quelli di Telco, la scatola che controlla Telecom, e parte di quelli della nascitura compagnia assicurativa delle Coop UnipolSai si arriva già alla considerevole cifra 3,7 miliardi di esposizione per il sistema creditizio del Paese.
La somma, pari a quanto i Comuni italiani incasseranno complessivamente per il prossimo anno dalla Tasi, la nuova tassa per i servizi indivisibili ai cittadini che sostituisce l’Imu, è naturalmente soltanto un piccolo indizio del delicato momento che stanno vivendo le banche italiane.
Anche perchè comprende solo gli 1,2 miliardi di Alitalia finanziati principalmente dalle banche italiane (Unicredit, Mps, Popolare di Sondrio e Intesa), gli 1,5 miliardi di esposizione di Mediobanca verso Unipol e FonSai e 1 miliardo concessi da un pool di banche con capofila Unicredit a Telco, la holding di controllo di Telecom.
Tuttavia si tratta pur sempre di una cifra importante.
Soprattutto perchè queste tre storie rappresentano dei dossier delicati: se per Alitalia, infatti, non si trova la quadra fra i soci sul piano industriale con i debiti bancari fortemente a rischio, per Telecom non si riesce ad abbattere il debito con la gestione operativa rendendo necessarie dismissioni importanti o una ricapitalizzazione, mentre per Unipol-FonSai il management, con il sostegno delle banche socie, sponsorizza una maxifusione che renderà più solido il bilancio e assicurerà il pagamento dei debiti nonostante un quadro giudiziario e contabile ancora da esplorare come testimoniano i documenti recentemente pubblicati dal fattoquotidiano.it.
Ma come mai le banche italiane, dopo aver prestato denaro a volontà a queste tre società , non solo minacciano di chiudere i rubinetti, ma addirittura cedono, senza preavviso, le quote azionarie come nel caso della holding di controllo di Telecom Italia venduta agli spagnoli di Telefonica?
E’ forse perchè non credono nei piani industriali delle imprese finanziate o dei quelle partecipate?
In realtà le pressioni creditizie sui gruppi industriali sono solo in parte correlate al business aziendale.
Sulle scelte ha un peso notevole anche la necessità degli istituti di credito, nessuno escluso, di ridurre l’ammontare complessivo dei finanziamenti concessi.
Detta in termini bancari, gli impieghi sono di gran lunga superiori alla raccolta.
Di conseguenza l’ordine di scuderia è di ridurre la taglia dei bilanci.
In che modo? Tagliando i finanziamenti a imprese e clientela, vendendo gli asset non strategicamente funzionali alla attività bancaria (come nei casi della cessione di quote di Telco e Rcs), mettendo in sicurezza i grossi debiti esistenti spingendo per maxifusioni che creino nuove realtà aziendali con un business più solido e quindi capace di ripagare il debito contratto, sostenendo per le imprese la creazione di fonti di finanziamento alternativo al canale creditizio tradizionale come con i Minibond promossi dal governo di Mario Monti.
Il problema più grosso è che tutta questa complessa operazione di ristrutturazione dei bilanci bancari è destinata ad avvenire in tempi brevi perchè bisogna far quadrare i conti per la fine dell’anno come richiesto dalle nuove regole di Basilea III e dalla stessa Bankitalia, che ha domandato alle banche di iscrivere nei propri conti gli immobili al valore di mercato creando serie tensioni di bilancio sulla revisione delle cifre utilizzate fino ad oggi.
Non a caso proprio ora il ministero del Tesoro ha pensato bene di dare il via alla revisione al rialzo del valore del capitale di Bankitalia detenuto dagli istituti di credito nazionali, con vantaggio soprattutto di Intesa e Unicredit.
E questo mentre il governo di Enrico Letta aveva già dimostrato una particolare attenzione allo studio di nuove forme di sostegno al sistema creditizio.
In questo scenario, per far fronte alla rapidità di azione delle banche su dossier caldi come Alitalia e Telecom, l’esecutivo non ha trovato niente di meglio che far scendere in capo la Cassa Depositi e Prestiti, che gestisce i risparmi degli italiani, e le Poste, che effettuano la raccolta capillare sul territorio.
Una mossa tampone per evitare il peggio senza aprire però il capitolo nei nuovi finanziamenti necessari alle aziende a proiettare il Paese nell’era della banda larga e a sviluppare un sistema di trasporto, compagnia e scali, che farebbe tanto bene al turismo in Italia.
Il risultato di questa operazione è che le banche potranno ridurre il proprio debito e i risparmi degli italiani saranno utilizzati solo per rimettere in ordine le cose.
Almeno per ora. E forse in futuro anche per gli investimenti.
Sempre che Bruxelles, come nel caso Alitalia, non abbia niente da ridire.
Costanza Iotti
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Ottobre 31st, 2013 Riccardo Fucile
ROTTERDAM, UNA GROSSA AGENZIA DI VIAGGI OLANDESE USATA DALLA COMMISSIONE EUROPEA METTE IN GUARDIA I CLIENTI
Il governo Letta e il presidente Roberto Colaninno possono sgolarsi a rassicurare, a spiegare che l’arrivo delle Poste nel capitale è una brillante mossa tattica per piegare Air France.
Ma chi deve comprare i biglietti aerei di Alitalia proprio non si fida.
Una email riassume la situazione molto meglio di qualunque cifra di bilancio o rapporto degli analisti.
L’agenzia di viaggi olandese VCK è un colosso di Amsterdam alla quale si appoggia perfino la Commissione europea per molti viaggi.
Chi chiede a VCK di volare da Roma a Bruxelles riceve via email questa avvertenza: “È possibile prenotare, ma visto che Alitalia ha problemi economici siamo costretti ad avvertire i nostri passeggeri che se la compagnia aerea Alitalia dovesse andare in bancarotta, VCK non rimborserà nulla della somma versata per la prenotazione”.
Il temerario viaggiatore può chiedere comunque un volo con la sigla AZ, cioè operato dall’Alitalia, e VCK lo prenota. Ma c’è un pizzico di brivido.
Se ha letto le cronache finanziarie, il passeggero sa che la situazione è grave ma che la bancarotta della ex compagnia di bandiera non è questione di giorni (o almeno lo spera).
Ma un potenziale cliente, magari non italiano, che si è perso i contorcimenti finanziari che hanno assicurato una provvisoria sopravvivenza all’azienda, può spaventarsi e cambiare vettore.
La situazione di Alitalia comunque appare sempre più precaria, i timori dell’agenzia VCK sono fondati nella cronaca. Oggi si riunisce il consiglio di amministrazione presieduto da Roberto Colaninno in un’atmosfera sempre più cupa, viste le notizie che arrivano da Parigi.
I soci hanno tempo fino al 16 novembre per decidere se aderire all’aumento di capitale da 300 milioni di euro necessario per evitare la bancarotta.
Ma l’azionista più importante, cioè Air France che ha il 25 per cento, ancora non ha comunicato la sua scelta.
Secondo le indiscrezioni che circolano sulla stampa finanziaria — da Mf Milano Finanza all’informato La Tribune — il gruppo francese guidato da Alexandre de Juniac ha ormai le idee chiare: per ora non si muoverà , i soldi da Parigi arriveranno soltanto quando sarà sicura di poter comandare con il minimo esborso possibile, magari dopo una ristrutturazione del debito verso le banche (Intesa e Unicredit già si sono esposte con una ulteriore linea di credito da 200 milioni abbinata all’aumento di capitale).
De Juniac spera in un bis del 2008, quando i “salvatori” di Alitalia ricevettero una compagnia libera da indebitamento e pendenze, solo così il manager può giustificare ad azionisti e sindacati che spende soldi all’estero mentre chiede sacrifici in patria.
“I progetti di Air France-Klm sono ancora una volta in contrasto con gli interessi del governo e dell’ambiente economico italiano, dove alcuni grandi gruppi chiedono uno sviluppo dei voli a lungo raggio, al contrario del gruppo franco-olandese che preferisce lo status quo”, scrive La Tribune.
Nell’incertezza, all’estero, preferiscono comprare i biglietti di compagnie più tranquille.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 31st, 2013 Riccardo Fucile
CENTRO STORICO BLINDATO A ROMA PER LA MANIFESTAZIONE DEL “DIRITTO ALL’ABITARE”… LANCIO DI OGGETTI VERSO LA CAMERA
Nuova violenta protesta dei movimenti per la casa dopo il corteo dello scorso 19 ottobre nella Capitale. Centinaia di manifestanti per il diritto all’abitare si sono riuniti in mattinata davanti a Montecitorio.
I manifestanti si sono poi spostati verso Palazzo Chigi e la Galleria Sordi, bloccando il traffico automobilistico e i mezzi pubblici nella centrale via del Corso, dove intorno a mezzogiorno si è verificato un lancio di oggetti: uova, ortaggi, monetine e bottiglie contro gli agenti schierati in tenuta anti sommossa.
Poco dopo si sono verificati scontri, tafferugli in via del Tritone. I manifestanti, fermi al centro della strada, hanno utilizzato le aste delle bandiere per colpire le forze dell’ordine schierati a protezione del ministero degli Affari regionali.
Imponente il dispiegamento di forze dell’ordine.
BLINDATI E STRISCIONI
Blindati anche in via del Tritone, sulla corsia preferenziale, a presidio dell’accesso agli uffici del governo in via della Stamperia.
L’assedio dei Movimenti per il diritto all’abitare a Montecitorio coincide con la Conferenza Unificata straordinaria con l’Anci, convocata dal governo con l’obiettivo di definire un decreto sulle politiche abitative a livello nazionale.
In piazza, tra la folla di italiani e immigrati, striscioni, bandiere e rullo di tamburi.«VOGLIAMO BLOCCO SFRATTI»
Tra i tanti spiccano un cartellone con la scritta «Casa» in maiuscolo e tante piccole abitazioni disegnate intorno, vessilli di Asia e Usb, e un grande striscione rosso che recita «La casa si prende».
E Paolo di Vetta, rappresentante dei Movimenti per il diritto all’abitare, in presidio tra Montecitorio e il Corso, avverte: «Se dalla Conferenza Stato-Regioni-Comuni non verrà fuori una soluzione adeguata per fermare il blocco degli sfratti e gli sgomberi, la nostra protesta non si fermerà . Oggi per Roma non sarà una giornata tranquilla».
TURISTI CURIOSI
Turisti curiosi, subito allontanati dalla polizia, si sono affacciati da dietro i blindati che sbarravano la strada per guardare i manifestanti che continuavano ad urlare contro il governo e chiedendo «casa per tutti».
La zona viene sorvolata dagli elicotteri delle forze dell’ordine.
I manifestanti hanno tentato più volte di forzare il blocco, la tensione resta alta: «Se questi qui non si spostano tra cinque minuti noi scateniamo la guerra», grida al megafono un manifestante rivolto al cordone di polizia e carabinieri.
Caos in tutto il centro per il blocco del traffico sull’asse piazza Venezia- largo Chigi- Barberini.
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 31st, 2013 Riccardo Fucile
IL GIORNO DEI FALCHI: “BERLUSCONI DEVE FARE IL CAPO DELL’OPPOSIZIONE, SE LO ARRESTANO DIVENTEREBBE COME LA THYMOSCHENKO”… MA I SENATORI PRONTI A PASSARE COM ALFANO SONO SALITI A 31
«Presidente, se non rompe con il governo noi andiamo avanti per conto nostro e votiamo contro la Legge di Stabilità ». Nel Pdl è il giorno dei falchi.
Silvio Berlusconi li ascolta, ormai la pensa come loro. Ma intanto il partito va in frantumi.
Il Cavaliere annulla il pranzo con i ministri e Alfano, «tanto ormai non ho più nulla da dirgli». Vede Bondi e Verdini. Poi in serata un lungo faccia a faccia con il capo dei “lealisti”, Raffaele Fitto. Loro pressano, lo incalzano sulla crisi di governo. Intanto nella lotta interna Alfano perde terreno.
Con lo strascico di drammi umani e politici, per il vicepremier e i suoi, che ancora non riescono a rassegnarsi all’idea di rompere con il leader.
Berlusconi ad Alfano ha chiesto fedeltà assoluta, gli ha domandato l’impegno a lasciare il governo quando aprirà la crisi.
Il vicepremier però ha risposto picche: «Non posso presidente, far cadere il governo sarebbe la soluzione peggiore per il Paese e per lei, io resto solo se ho garanzie sull’esecutivo e sul partito, con le primarie e l’emarginazione degli estremisti».
Suo malgrado Angelino va dunque avanti.
Da lì la decisione di Berlusconi, ad alto valore simbolico, di annullare il pranzo di ieri. Quindi la palla è tornata nel campo dei falchi. «I ministri già non rispondono più alle sue indicazioni – lo pressavano ieri – in questa condizione è un leader dimezzato, di fatto incatenato e fuori dai giochi. Meglio strappare».
Berlusconi d’istinto la crisi di governo la vuole, e subito. E i falchi lo rassicurano pure sui pericoli di fare cilecca: ridotti al minimo.
«Dopo la decadenza se Berlusconi resta in maggioranza qualche procura chiederà il suo arresto – racconta uno dei pasdaran che ieri si è intrattenuto a Palazzo Grazioli – se invece fa cadere il governo cambia tutto».
E se Alfano si sgancia e l’esecutivo regge? La risposta dei duri e puri non ammette dubbi: «Se va a fare il capo dell’opposizione può riprendere a farsi sentire, può sparare a pallettoni e portare a Roma centomila persone a difenderlo. Mandarlo in prigione sarebbe più difficile, quale magistrato può arrestare il leader dell’opposizione che rappresenta 10 milioni di italiani? Diventerebbe come la Thymoschenko».
Questi i ragionamenti che si fanno al cospetto del capo.
E i falchi per spingerlo a passare subito il guado ora minacciano di mollarlo.
«Se non si muove subito – è il ragionamento che secondo alcuni “lealisti” Fitto avrebbe svolto a Palazzo Grazioli – noi ci muoviamo per conto nostro, non votiamo la Legge di Stabilità e usciamo di fatto dalla maggioranza».
Berlusconi martedì ha comunque provato a riprendersi Alfano offrendogli la vicepresidenza di Forza Italia ma senza dare garanzie sulle deleghe.
Per il Cavaliere il ritorno del figliol prodigo significherebbe indebolire i governisti e probabilmente togliere i numeri per tenere in piedi Letta.
Ma Alfano ha detto di no, non molla gli altri ministri e il resto degli “innovatori” che guardano a lui.
Un ministro che concorda ogni passo con lui spiega: «Non vorremmo mai strappare, ma è chiaro che se ci ritrovassimo a dover scegliere tra governo ed elezioni non avremmo dubbi, sceglieremmo il governo».
Come dimostrava ieri Quagliariello – ministro e colomba – che pur condannando il voto palese ammoniva: «Non bisogna perdere lucidità , la decadenza dipende da una sentenza ingiusta, non dalla Severino»
E ancora, se cade il governo «si creerebbe una maggioranza a noi ostile che farebbe una legge elettorale contro il Pdl e finiremmo per andare al voto senza leader».
Dunque gli “innovatori” vanno avanti.
Formigoni ieri giurava che i governisti pronti a votare la fiducia al Senato dai 23 del 2 ottobre orasono diventati 31.
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica“)
argomento: Alfano, Berlusconi | Commenta »