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IL PENTITO: “CRAXI E ANDREOTTI HANNO FATTO UCCIDERE DALLA CHIESA”

Novembre 8th, 2013 Riccardo Fucile

TRATTATIVA STATO-MAFIA, LA LETTERA DEL COLLE ARRIVA IN TRIBUNALE: IL PRESIDENTE TESTIMONIERà€

C’è voluta un’intera settimana, ma alla fine la lettera di Giorgio Napolitano è arrivata alla Corte d’Assise di Palermo, anche se il contenuto è ancora top secret: spedita giovedì scorso tramite raccomandata postale dal Quirinale, la missiva era stata annunciata quello stesso giorno alle agenzie di stampa dallo staff del Colle per informare che il capo dello Stato è pronto a testimoniare nel processo sulla trattativa Stato-mafia, sia pure entro i limiti della sua “reale conoscenza” sulle paure del suo ex consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, che temeva di essere stato usato come “utile scriba”, alludendo a “indicibili accordi” tra l’89 e il ’93.
Ieri mattina nel bunker dell’Ucciardone l’attesa è andata delusa: a sorpresa, il presidente Alfredo Montalto ha informato che nessuna missiva presidenziale era ancora pervenuta alla sua cancelleria, mentre il Quirinale confermava la spedizione “per raccomandata”.
Il “giallo” si è risolto qualche ora dopo: Montalto ha reso noto che la lettera era appena stata recapitata, riservandosi di darne lettura solo dopo che avrà  valutato se il testo è pertinente ai fatti processuali.
Quindi ha deposto il collaboratore Francesco Onorato per ricostruire l’omicidio di Salvo Lima, momento iniziale — secondo l’accusa — della trattativa.
Il pentito, ex killer del gruppo di fuoco di Totò Riina (“era come far parte della Nazionale di calcio”, ha detto), per la prima volta in un’aula di giustizia ha parlato di Cosa nostra come di una sorta di agenzia della violenza spinta a commettere omicidi da esponenti delle istituzioni.
“Ma di quale trattativa parliamo? — si è chiesto Onorato — Io ho visto la convivenza tra politica, Stato e mafia. Riina ha ragione quando dice che lo Stato lo ha lasciato solo. Prima lo Stato, Craxi e Andreotti gli hanno fatto uccidere il generale Dalla Chiesa e, per quello che ne so, anche Mattarella. E poi quando l’opinione pubblica è scesa in piazza, i politici si sono andati a nascondere. Ecco perchè è arrabbiato con lo Stato, “Riina è l’unico che sta pagando il conto, mentre lo Stato non sta pagando niente”.
Onorato ha poi aggiunto di avere finanziato Claudio Martelli con 200 milioni di vecchie lire (“lo abbiamo fatto diventare ministro noi, perchè si diceva che piano piano avrebbe fatto uscire i mafiosi dal carcere”) e ha rivelato che Cosa nostra sapeva che il questore Arnaldo La Barbera “era nei servizi segreti”: “Era vicino a Nino Madonia, quando La Barbera uccise un rapinatore e ne ferì un altro, Madonia non volle che fosse toccato. Non capisco allora perchè nell’agosto del ’92 mi ordinarono di fare gli appostamenti per ucciderlo”.
Era il periodo in cui Cosa nostra aveva stilato la black list di morte con i nomi di numerosi politici: “Martelli, Craxi e Salvo Lima era il primo della lista. Nella lista c’erano pure Serafino Ferruzzi e Raul Gardini — ha detto — Ho eseguito anche dei pedinamenti per seguire Vizzini, anche Mannino doveva essere ucciso”.
“Alcuni politici — ha aggiunto — vennero contattati da Cosa nostra: tra loro anche Salvo Lima. E a Riina questo non piacque”.
Tra i bersagli anche Andreotti e il figlio: “Se ne dovevano interessare i boss Graviano a Roma, ma ci furono problemi perchè gli fu rinforzata la scorta”.
Nel pomeriggio ha deposto il pentito Giovambattista Ferrante che ha parlato di “uomini non di Cosa nostra”, un imprenditore e un commercialista, arrivati a casa sua tra il ’90 e il ’91 “per incontrare uomini d’onore”, tra cui Riina.

Lo Bianco e Rizza

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GUERRA DEI DOSSIER TRA ALFANO E BERLUSCONI: “CI SONO VOCI DI UNA ESCALATION GIURDIZIARIA”

Novembre 8th, 2013 Riccardo Fucile

SI TEME SI SCATENI UNA BATTAGLIA A FORZA DI COLPI BASSI

«Ucci ucci, sento odor di dossierucci…» È il tweet che spara a freddo il deputato berlusconiano Luca D’Alessandro. Non uno qualunque.
Braccio destro e fedelissimo di Denis Verdini, l’uomo forte della macchina operativa del Cavaliere, ma soprattutto acerrimo avversario del ministro dell’Interno ed ex segretario Pdl Angelino Alfano.
Sono trascorse da poco le 15 e D’Alessandro dà  voce a un allarme che nelle ultime 24 ore è rimbalzato nei capannelli in Transatlantico e nel tam tam tra falchi e lealisti. Il timore di cui si fa un gran parlare è che da oggi a sabato prossimo, quando si riunirà  il Consiglio nazionale imposto da Berlusconi col sostegno di Verdini e Fitto, possano venir fuori veleni e dossier da apparati dello Stato che maneggiano informazioni sensibili.
Magari così pesanti da sfociare in inchieste giudiziarie, magari per tornare a colpire chi in questa guerra senza quartiere si è schierato dalla parte del leader, magari chi ha già  qualche problema con la giustizia.
Ma sono paure che, come vedremo, in realtà  in queste ore sono piuttosto trasversali e lambiscono anche i loro avversari – i ministri e i parlamentari governativi – sebbene di altra natura, per motivi differenti. È tutto un mondo che piomba nel caos e viene travolto da incubi, fumi persecutori, tanfo da scheletri nell’armadio e sospetti.
Qui si va oltre la sindrome da arresto imminente che pure sembra si sia impossessata del Cavaliere in odor di decadenza con perdita dell’immunità .
Qui l’accusa reciproca, e sottobanco, è di far ricorso ad armi «non convenzionali ».
A uscire allo scoperto sono i deputati lealisti.
Alludono a novità  in arrivo sul piano giudiziario. Mariastella Gelmini lo racconta senza giri di parole in tv, a Sky: «Mi auguro veramente di sbagliare, ma bastava essere oggi in Transatlantico per sentire chiacchiere e voci. Saranno fesserie, ma siccome in passato le coincidenze non sono state fortuite vedremo nei prossimi giorni ».
Coincidenze? Chiacchiere? Voci?
«Solo un caso, per carità , ma due giorni fa, in Sardegna, sono finiti in carcere esclusivamente due consiglieri regionali del Pdl per l’inchiesta sui rimborsi, in Campania è toccata la stessa sorte ad un altro nostro consigliere. Girano strane voci di un’escalation giudiziaria da qui al Consiglio nazionale del partito che appare troppo puntuale per rappresentare un caso fortuito».
Trascorre qualche ora e la sua collega, di partito e di corrente, Mara Carfagna, segue in scia: «Teniamo alta l’attenzione contro ogni intollerabile invasione di campo di certa magistratura. Nessuno si sogni di destabilizzare il Consiglio nazionale».
Detto questo, la paura fa novanta anche tra i cosiddetti alfaniani, con l’aria che tira.
Ma lì, racconta nei corridoi laterali di Montecitorio un deputato che vanta lunga militanza nelle truppe berlusconiane, si tratta di altro genere di timori: «Non dobbiamo aver commesso per forza dei reati, il presidente possiede mezzi di comunicazione in grado di mettere in difficoltà  chiunque, se volesse».
Insomma l’aria è questa qui. Del resto, il 30 settembre quando aveva già  iniziato a smarcarsi dal Cavaliere, era stato lo stesso Angelino Alfano a reagire a un pesante attacco del Giornale additando con chiare lettere – e per la prima volta – la sigla evocativa della macchina del fango.
«Con noi il metodo Boffo non funzionerà » scriveva il ministro degli Interni per replicare all’editoriale con cui il direttore Alessandro Sallusti paragonava lui e i ministri a Fini.
«È bene dire subito al direttore che noi non abbiamo paura. Se pensa di intimidire noi e il libero confronto dentro il nostro movimento politico, si sbaglia di grosso. Se intende impaurirci con il paragone con Fini, sappia che non avrà  case a Montecarlo su cui costruire campagne. Se il metodo Boffo ha forse funzionato con qualcuno, non funzionerà  con noi».
Da lì a breve, il giorno della fiducia, il 2 ottobre, il quotidiano della famiglia Berlusconi sganciava la bomba con un lapidario «Alfano ha deciso di tradire», così, a tutta pagina.
Ora, tra Angelino e il Cavaliere i rapporti si sono incrinati, certo, ma sono stati stretti, da simbiosi, per anni, non a caso ancora ieri sera l’ennesima cena Grazioli dopo quella di lunedì ad Arcore.
Ma raccontano che tra i due a questo punto, oltre a una buona dose di diffidenza, circoli anche qualcosa di simile al reciproco timore.
Il ministro degli Interni è uscito quasi indenne dal caso Shalabayeva, ma passando attraverso il sacrificio di dirigenti a lui subordinati che, non è un mistero, la complessa struttura del Viminale ha vissuto con una certa sofferenza.
Ansie, apprensioni e spettri che da una parte all’altra della nascitura Forza Italia non fanno dormire sonni tranquilli, in vista del 16 novembre.
E ancor meno dopo la resa dei conti.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)

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GRAN CONSIGLIO SENZA QUID: BERLUSCONI NON HA I NUMERI

Novembre 8th, 2013 Riccardo Fucile

SERVONO I DUE TERZI DELL’ASSEMBLEA PER DISARCIONARE ALFANO E L’EX PREMIER NON LI HA… L’ULTIMA OFFERTA: “TU ENTRI IN FORZA ITALIA E IO SALVO IL GOVERNO”

La decisione finale riguarda solo loro due. Le truppe, su entrambi i fronti, vengono dopo. Berlusconi e Alfano. “Silvio” e “Angelino”. Il Condannato e il Senza Quid.
Ieri sera, l’ennesimo faccia a faccia.
Su un punto falchi e colombe di altissimo rango sono concordi: “Il nodo lo deve sciogliere Berlusconi. Rifiuta l’idea che Angelino vada via, lo ripete in continuazione”.
Di qui “le oscillazioni ad horas”, come le chiama Fabrizio Cicchitto, che tra le colombe è considerato il più falco, cioè il più propenso alla separazione.
A sua volta, Alfano, è pronto a mollare B. al suo destino da opposizione. Ormai risponde più al Quirinale che a Palazzo Grazioli e il suo piano è chiaro in caso di rottura o scissione: tenersi il Pdl, allestire una pattuglia di 40 senatori per tenere in vita il governo Letta e fare un partito coi soldi ciellini garantiti da Roberto Formigoni e Maurizio Lupi.
Il gioco è chiaro. Gli innovatori o governisti o colombe, pur divisi tra chi vuole andare al consiglio nazionale del 16 novembre (Lupi e De Girolamo) e chi no (Cicchitto), puntano a una formazione moderata in continuità  col Pdl.
E se i numeri lo consentiranno, Berlusconi potrebbe ritrovarsi senza i due terzi necessari per ratificare il passaggio a Forza Italia come deciso nell’ultimo ufficio di presidenza.
Le colombe vanterebbero 300 firme su 800. Ieri, al Senato, il ministro Quagliariello ha fatto un punto regione per regione con gli altri alfaniani.
Gli innovatori lamentano “telefonate molto pesanti” dei falchi in queste ore di caos.
In cui si inserisce anche una notizia non secondaria per gli equilibri del Pdl: l’arresto di un consigliere regionale campano, Angelo Polverino, vicinissimo a Nicola Cosentino e Nitto Palma.
Negli atti si parla di alcuni big del centrodestra. Forse per questo Mara Carfagna ieri ha fatto questo tweet: “Teniamo alta l’attenzione contro ogni intollerabile invasione di campo di certa magistratura. Nessuno si sogni di destabilizzare il Cn”.
Idem la Gelmini: “C’è una strana escalation giudiziaria”.
Ci sono toghe in combutta con gli alfaniani, questo il sospetto? Che c’entra Polverino con il consiglio nazionale? Sempre che, come suggerisce una colomba di governo, il retropensiero non sia un altro: “Berlusconi ha anticipato il consiglio nazionale perchè teme l’arresto dopo la decadenza”.
In merito il voto al Senato sarà  il 27 novembre, al massimo il 2 dicembre, per un eventuale slittamento della legge di stabilità .
In ogni caso, l’8 dicembre, il Cavaliere, in base ai suoi timori, avrebbe corso il rischio di non esserci per un’ordinanza di custodia cautelare relativa a qualche rivelazione nuova del faccendiere Lavitola.
Suggestioni, forse. Ma in questi giorni nel Pdl veleni e dietrologie vanno di pari passo con la conta in atto.
Il terrore per la cronaca giudiziaria lambisce sempre i travagli del centrodestra.
Tra i veleni in circolazione, per esempio, sono già  più di una decina i falchi che giurano di aver visto corposi dossier sulla consorte avvocato di Alfano.
Presunte consulenze ad ampissimo raggio. La partita di queste ore è soprattutto uno scontro di potere e rendite personali.
Lo stesso Alfano, racconta un ex ministro, avrebbe percepito fino a qualche mese fa un lautissimo stipendio per il Mattinale di Palazzo Grazioli.
Lui, “Angelino”, un tempo lavorava da lì da segretario del Cavaliere. Questa è la cornice dello scontro da qui alla prossima, fatidica settimana.
Non c’è solo il parricidio lamentato da Berlusconi. Tutto si fonde.
Ieri sera, la solita ossessiva domanda del Condannato: “Angelino, voglio sapere che farete quando sarà  votata la decadenza”. La trattativa potrebbe proseguire a oltranza oppure interrompersi da un momento all’altro.
I lealisti temono le inchieste giudiziarie. I governisti sono divisi sulla tattica. Andare o non andare, questo il dilemma per sabato 16 novembre.
Quello che è certo è che Berlusconi vuole evitare la scissione. L’ultima offerta ad Alfano potrebbe essere questa: “Noi manteniamo l’unità  nel passaggio a Forza Italia, io non faccio cadere il governo”.
L’obiettivo è anche quello di evitare una cruenta votazione, tra due documenti, nel consiglio nazionale. La risposta di Angelino è stata: “Presidente io non voglio garanzie per me, ma per tutti quelli che si sono schierati con me”.
Falchi e colombe possono tornare a convivere?

Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano”)

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TERREMOTO AQUILA, DENUNCIA DELLA UE: “IRREGOLARITA’ E FRODI PER 306 MILIONI”

Novembre 8th, 2013 Riccardo Fucile

NELLA RELAZIONE SI PARLA DI OPERE SEGNALATE PER GODERE DEI FONDI EUROPEI CHE, A SEGUITO DELLE PERPLESSITA’ AVANZATE DALLA UE, SONO STATE SOSTITUITE CON ALTRE

Gli uffici della Commissione Ue avevano scovato irregolarità  in una serie di opere pubbliche nell’ambito della ricostruzione dell’Aquila e degli altri centri colpiti dal terremoto del 2009. Opere dal valore di ben 306 milioni di euro.
Che l’Italia, nonostante la segnalazione dell’Ue, “avrebbe pagato regolarmente”, secondo quanto denuncia Roberto Galtieri, consulente dell’eurodeputato danese Soren Sondergaard.
E’ questo il dato più scottante che emergerebbe dalla relazione della Commissione europea. Una relazione ancora secretata, ma che dovrebbe essere finalmente resa pubblica nelle prossime ore.
A rendere noto l’ammontare delle spese su cui Bruxelles aveva scoperto irregolarità  e presunte frodi è stato questo pomeriggio il vice direttore della Direzione generale Regio dell’esecutivo Ue, Normund Poppens, nel corso di un’audizione al Parlamento europeo.
Stando a quanto dichiarato da Poppens, nei mesi successivi ai primi interventi di emergenza in Abruzzo, l’Italia aveva presentato all’Ue i capitoli di spesa da coprire con fondi di Bruxelles, quelli provenienti dal Fondo europeo di solidarietà .
Tra questi, per l’appunto, quelli relativi a una serie di opere costate 306 milioni. Ma la Commissione si rende conto che qualcosa non quadra e scopre diverse irregolarità  nella realizzazione delle opere.
A quel punto, sarebbe dovuto intervenire l’Olaf, l’ufficio anti frodi dell’Ue.
Ma non appena il governo italiano viene informato della possibile indagine di Bruxelles, cambia le carte in tavola e decide di destinare i fondi europei verso altre spese “pulite”.
Evitando in questo modo l’intervento dei controllori dell’Olaf e un probabile stop ai pagamenti (o un eventuale recupero delle somme già  erogate).
Che cosa ne è stato, allora, dei progetti dove l’Ue ha scovato presunte irregolarità ? O meglio, come sono stati pagati questi progetti?
Secondo alcune fonti di Bruxelles, sembra che i progetti siano stati pagati regolarmente e a farsene carico sarebbe stato il governo italiano.
A Palazzo Chigi sedeva ancora Silvio Berlusconi, mentre la Protezione civile era saldamente in mano a Guido Bertolaso. In sostanza, nonostante la denuncia di Bruxelles, l’Italia è andata dritta per la sua strada. La campagna (soprattutto mediatica) per la ricostruzione dell’Abruzzo non poteva essere fermata.
Il risultato è che, oggi, ci sono diverse inchieste della magistratura che stanno mettendo a nudo le diverse falle della gestione della ricostruzione.
Sono quelle, per esempio, che sono state riportate nel dossier redatto dall’europarlamentare danese Soren Sondergaard.
Un dossier che è stato reso noto la scorsa settimana in una conferenza stampa all’Aquila e che contesta soprattutto tre aspetti: la maggiorazione delle spese (ogni nuova casa è costata il 158 per cento in più del valore di mercato, come accertato dalla Corte dei Conti europea), infiltrazioni della criminalità  organizzata negli appalti (in particolare nei subappalti), sistemi elettrici e isolatori sismici difettosi.
L’elenco delle presunte irregolarità  messe nere su bianco sul dossier di Sondergaard è lungo.
L’Ue ha impegnato in tutto 493 milioni. Di questi 350 per il progetto CASE.
Su queste somme, la Commissione Ue ha assicurato che al momento non ci sono notizie di irregolarità  o, peggio, di infiltrazioni mafiose.
In due casi, comunque, l’Olaf starebbe indagando. Come a dire, anche se le spese “sporche” sono state a carico dell’Italia, non è detto che nei prossimi mesi l’Ue non scopra frodi anche su quei capitoli di spesa che finora ha considerato “puliti”. In questo caso, scatterebbe la richiesta all’Italia di restituire le somme.
Per i 306 milioni “macchiati” da presunte frodi, invece, l’Ue non può far nulla.
Solo la magistratura italiana può intervenire, come del resto sta già  facendo.

(da “L’Huffington Post“)

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TERRA DEI FUOCHI, BONIFICA DI STATO

Novembre 8th, 2013 Riccardo Fucile

LA PATAGONIA NAPOLETANO-CASERTANA FRUTTO DELL’ASSENZA DELLO STATO

Adesso abbiamo anche la Patagonia italiana.
C’è la Tierra del Fuego argentina, quella cilena e, finalmente, quella napoletano-casertana.
Ora che tutti sanno ufficialmente che esiste (prima, da una ventina d’anni, lo sapevano solo carabinieri, polizia e magistratura che arrestavano e processavano i fuochisti; e istituzioni varie dello Stato che facevano finta di non saperlo) qualche furbetto più furbetto degli altri ci costruirà  sopra una brillante carriera politica promettendo pronte ed efficaci soluzioni.
Nel tentativo di evitare prese per i fondelli in aggiunta a inquinamento delle falde acquifere, dell’atmosfera e della vegetazione; nonchè di ritornare a una produzione di mozzarelle di bufala che non facciano venire il cancro (mi piace da morire ma preferirei sopravvivere per continuare a mangiarla), propongo alcune riflessioni talmente banali da vergognarsene, ma evidentemente poco frequentate.
Io vivo in un piccolo paese vicino Torino. In un angolo della verandina di servizio ho 4 recipienti: organico, carta, metallo e vetro; e un grande sacco per la plastica.
Nei giorni previsti (con puntualità ) ritirano tutto e lo portano in una pubblica discarica dove viene trattato secondo le regole.
Pago una schioppettata di Tarsu (adesso non so più come si chiama) ma intorno è tutto verde e pulito.
Domanda n. 1: perchè questa organizzazione non viene imposta per legge e chi non la rispetta (a cominciare dal cittadino, passando per il sindaco e finendo al ministro per l’Ambiente) va in prigione?
Chi non ha soldi lo spiega al Comune, si fanno accertamenti e delle due l’una: non li ha davvero e allora è esentato dalla Tarsu; li ha, e allora lo si mette in prigione per frode fiscale e gli si sequestra quello che ha per tasse (tra cui Tarsu) non pagate.
Possibile variante: il cittadino ha soldi ma non tanti: la Tarsu viene ridotta.
Dal nord al sud la gestione della spazzatura va peggiorando. È un fatto, non un’opinione razzista. Vero che le responsabilità  sono diffuse, dal vertice istituzionale alla base.
Ma è anche vero che, se nessuno raccoglie la spazzatura, i cittadini non sanno dove metterla.
Dove i rifiuti si accumulano nelle strade ha perfino poco senso la raccolta differenziata: che i mucchi siano di plastica, di vetro, di organico, se nessuno li raccoglie, si indifferenziano da soli, con il vento e la pioggia.
Domanda n. 2: dove i cittadini dovrebbero portare la loro spazzatura?
Alla fine, portandola dove ce n’è altra e perfino incendiandola, si caricano di un servizio pubblico.
L’inquinamento derivante dall’abbandono dei rifiuti nelle strade cittadine non credo sia molto minore di quello che deriva da una discarica artigianale.
Se lo Stato non raccoglie ed elimina i rifiuti è del tutto ovvio che qualcun altro lo farà . Tra la spazzatura si vive male.
E, alla fine, mafia, ‘ndrangheta, camorra e altre efficienti organizzazioni criminali non fanno altro che gestire un servizio essenziale che lo Stato non può, non vuole, non è capace di gestire.
Ovvio che lo facciano all’insegna del massimo profitto e quindi del minimo costo e della minima efficienza: sono criminali, mica benefattori.
Ma nel mio paese e in tantissimi altri questo tipo di imprenditori in questo tipo di settore, guarda caso, non c’è. Perchè non c’è questo mercato.
Volete la prova provata di questo?
Adesso lo Stato sa (meglio: non può dire di non saperlo) che c’è la Terra dei fuochi.
Cosa gli impedisce di circondarla con carabinieri ed esercito, raccogliere tutti i rifiuti, portarli in luoghi appositi, trattarli come si deve? Niente.
Solo che non può: non ha i soldi.
Non è capace di farlo: le questioni di cui governo e parlamento si occupano quotidianamente sono la decadenza di B, i sequestri di persona organizzati dall’ambasciatore Kazako con la complicità  del ministero degli Interni, le dimissioni — sì/no — del ministro della Giustizia che si preoccupa di far scarcerare i suoi amici, la rifondazione di partiti vecchi, la fondazione di partiti nuovi, la riforma della Costituzione e insomma tutto quanto al Paese non serve affatto o magari lo danneggia.
Non vuole farlo perchè una quota significativa dei politici che dovrebbero occuparsene è a libro paga di quelli che, se lo facesse, perderebbero il business; soldi e voti spariti. Il “non è capace” e il “non vuole” potrebbero essere superati.
Vedete, la Terra dei fuochi è un colossale corpo di reato.
Si può, anzi si deve, sequestrare.
Le Procure e i Gip competenti potrebbero farlo. Poi si nomina un custode il quale, a sua volta, nomina un amministratore che fa tutte quelle cose che dovrebbe fare lo Stato. I magistrati ordinano alla forza pubblica di sorvegliare il comprensorio e di non permettere ad alcuno di accedervi, l’amministratore gestisce i rifiuti e consegna al custode le fatture delle aziende — italiane ed estere — che li smaltiscono.
Il custode le consegna ai magistrati che dispongono il pagamento con i soldi allocati nel bilancio della giustizia al capitolo spese giudiziarie.
Il ministro la smette di occuparsi dei suoi amici in prigione e cerca di trovare le risorse necessarie.
Se non le trova, le aziende fanno causa allo Stato, pignorano il Colosseo e se lo vendono. Noi restiamo senza Colosseo (si fa per dire, sempre là  resta, solo che è mantenuto e gestito come si deve) e senza rifiuti. E ovviamente ci guadagniamo.
La cosa bella di questo sistema è che potrebbe essere replicato.
Per esempio con Ilva, con il litorale inquinato, con le case abusive, con tutto quello che vi viene in mente. Magari, a forza di fare la figura degli imbecilli, anche i nostri padri della Patria si danno una mossa.

Bruno Tinti
(da “il Fatto Quotidiano”)

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