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VERONA, CROLLA IL MITO LEGHISTA: SI DIMETTE ANCHE IL VICESINDACO DI TOSI, INDAGATO PER CORRUZIONE

Novembre 15th, 2013 Riccardo Fucile

VITO GIACINO AVEVA LE DELEGHE ALL’URBANISTICA, ALL’EDILIZIA PRIVATA E POPOLARE: E’ NEL MIRINO DELLA PROCURA CON L’IPOTESI DI ESSERE L’IDEATORE DI UNA RETE CORRUTTIVA

“Caro Flavio, con grande sofferenza ritengo di rassegnarti le mie dimissioni irrevocabili”, firmato Vito Giacino, vicesindaco di Verona con deleghe all’Urbanistica, all’edilizia privata e all’edilizia popolare.
Le indagini della procura scaligera che nelle scorse settimane hanno portato all’arresto di nove persone fanno saltare la prima testa all’interno dell’amministrazione comunale.
E questa volta non si tratta di un uomo qualunque, ma del vice di Flavio Tosi.
Vito Giacino, classe ’72, avvocato, è stato travolto dalle indagini avviate dalla Procura di Verona sulla scorta di una lettera anonima che lo indicava come ideatore e manovratore di una rete corruttiva che avrebbe avuto come perno il settore urbanistica da lui guidato.
Così il 14 novembre Giacino ha scritto di persona al sindaco (che ha recentemente rinunciato alla scalata interna alla Lega in vista del prossimo congresso), comunicandogli la scelta di tirarsi indietro, per salvaguardare l’Ente e l’autorevolezza del ruolo del primo cittadino: “In questi giorni difficili ho avuto la forza di andare avanti grazie al totale sostegno della mia famiglia, di tantissimi amici e fra tutti il tuo, ma ho continuato ad interrogarmi se le indagini non potessero danneggiare l’ente e l’autorevolezza del tuo ruolo”.
Da qui la decisione di rimettere le deleghe nelle mani di Tosi che le ha accettate e, dal canto suo, commenta: “Anche Giacino, come il sottoscritto, non vuole che l’amministrazione comunale abbia ricadute d’immagine negative”.
Tosi poi spiega che già  l’indomani della pubblicazione della lettera del Corvo il vicesindaco aveva mostrato dubbi sulla volontà  di proseguire nel suo incarico: “io stesso — continua Tosi — l’avevo incoraggiato a proseguire serenamente nel suo incarico, sia per l’amicizia personale che mi lega a Vito Giacino, sia per il fatto che il vicesindaco è stata la persona in assoluto più votata alle elezioni amministrative negli ultimi vent’anni, da quando è in vigore la legge sull’elezione diretta del sindaco”.
Nei giorni scorsi le Fiamme gialle sono però arrivate a perquisire gli uffici del vicesindaco, è stato allora che lo stesso ha concordato con Tosi le dimissioni, avvenute come pattuito, dopo aver portato a termine una delibera importante per l’amministrazione comunale.
Poi Tosi ha concluso spiegando che nei prossimi giorni penserà  alla redistribuzione delle deleghe.
Più caustico il commento sul blog Verona Pulita, animato dall’avvocato Michele Croce, ex fedele del sindaco e da mesi impegnato nella lotta contro il sistema Tosi: “La missiva del vicesindaco rappresenta un autentico terremoto politico, un qualcosa da cui siamo certi non potranno che derivare le inevitabili scelte di responsabilità  che tutta l’amministrazione è chiamata ad assumersi. È in ogni caso certo che a Verona tira un’aria nuova. E’ il vento del cambiamento”.

Alessandro Madron
(da “il Fatto Quotidiano”)

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SCISSIONE ANCHE IN SCELTA CIVICA: I POPOLARI ABBANDONANO L’ASSEMBLEA DEL PARTITO

Novembre 15th, 2013 Riccardo Fucile

L’ALA CHE FA CAPO A MAURO E OLIVERO VERSO UN GRUPPO AUTONOMO

Neanche il tempo di cominciare e le premesse della vigilia sono state subito rispettate. Doveva essere la resa dei conti e lo è stata.
L’assemblea di Scelta civica, con cui s’immaginava fosse ratificato l’abbandono dell’ala popolare del partito, si è immediatamente arenata sul regolamento.
Così, all’approvazione di un documento promosso dalla componente ‘montiana’, la frangia che fa capo al ministro della Difesa, Mario Mauro, e al senatore Andrea Olivero, ex coordinatore del partito, ha lasciato la sala.
Con loro anche il capogruppo alla Camera, Lorenzo Dellai.
Immediata la risposta del presidente di Scelta civica, Alberto Bombassei, succeduto a Mario Monti alla guida del partito: “È arrivato il momento di sciogliere il patto elettorale con l’Udc – ha tuonato – è del tutto evidente che abbiamo un’idea di Paese del tutto diversa da quella che i popolari stanno proponendo”.
Vicinissima, dunque, la scissione.
È da tempo, dal giorno in cui il fondatore ha lasciato la guida della ‘sua’ creatura politica, che l’Udc e, di riflesso, i popolari chiedono un cambio di passo per evitare la lenta deriva in cui sta sprofondando il partito negli ultimi mesi.
Sulle divisioni interne ha sicuramente inciso il pessimo risultato elettorale ottenuto alle politiche di febbraio.
Per questo, l’assemblea di oggi, era stata presa a pretesto per presentare un documento programmatico.   Un progetto politico, a detta dei promotori, “stabile e maturo, a larga partecipazione popolare, non elitario perchè “la politica non è tecnicismo, non è mera amministrazione”.
Tra i punti principali della proposta di riforma del regolamento si chiedeva, inoltre, un maggior radicamento nelle realtà  locali, da sempre anello mancante nell’organizzazione del partito.
Il documento, esplicitamente ispirato ai valori del Partito popolare europeo, chiedeva anche d’indirizzare l’attività  del partito verso alcune priorità : semplificazione amministrativa, centralità  del lavoro e dell’impresa, riformismo sociale, in un quadro di “vigile fedeltà ” nei confronti del governo Letta.
Modifiche al regolamento rispedite, però, al mittente. Così, al momento di votare un testo che non recepiva le proposte ‘popolari’, una trentina di partecipanti hanno abbandonato, tra le urla e le proteste, i lavori e il nuovo regolamento è stato approvato con solo i 42 voti dei presenti.
Dura la reazione del presidente Bombassei: “Oltre ai giochi dei partiti concorrenti – ha affermato nel corso del suo intervento, pronunciato subito dopo il caos – siamo stati insidiati dalle manovre di un partito che avrebbe dovuto essere un nostro alleato e che invece non ha perso occasione per attaccare noi, il nostro movimento e la figura del nostro leader”.
L’ala ‘montiana’ di Scelta civica lamenta che, da mesi, quasi ogni giorno proviene da parte dell’Udc l’invito a superare il vecchio contenitore, a mettere da parte Mario Monti, per tornare verso i partiti tradizionali.
“Attacchi e minacce – ha proseguito Bombassei –   sono venute da chi, senza il nostro aiuto, non sarebbe nemmeno entrato in parlamento”. Chiaro riferimento proprio all’Udc.
Ma, per Bombassei, la cosa ancora più grave e che ci sia stato “Chi, all’interno del partito, ha fatto da sponda a questi attacchi. Chi ha avuto da Scelta civica onori e visibilità  e che tuttavia non ha perso occasione per disegnare progetti che puntavano e che puntano alla demolizione della nostra casa”. Un attacco diretto a quelli che, oggi, avrebbero voluto procedere in direzione del cambiamento.
Deluse quindi le speranze di Dellai che invece, a poche ore dall’incontro, auspicava che potesse trovarsi un punto di mediazione.
“Non ci sentiamo traditori – aveva detto – ma come coloro che sono preoccupati dal rischio del fallimento del progetto”.   Mentre Olivero, pur ammettendo la presenza di divergenze, considerava la rottura tuttaltro che scontata.
Sull’ipotesi di un nuovo soggetto è intervenuto in assemblea anche lo stesso Monti: “Dobbiamo ascoltare la categoria dei superatori di Scelta civica – ha sottolineato il fondatore del partito – ma non dobbiamo sentire come una diminutio la volontà  che il nostro progetto debba essere realizzato prima ancora che superato”.
Anche se, poi, rivolgendosi proprio alla componente popolare, cerca di svelenire il clima: “Tengo molto all’unità . Ma dobbiamo sforzarci perchè ciò non comporti l’incapacità  di far sentire la propria voce specie sulle riforme e non porti alla distruzione dell’impostazione del partito”. Concludendo: “Ringrazio quelli che non sono qui e che sono andati via. A loro però dico che consideriamo l’unità  un valore importante”.
Ma la scissione sembra ormai senza ritorno.
A parlare in rappresentanza dei popolari è il deputato Gianluigi Gigli: “La componente liberale di Scelta civica – dice –   si dimostra molto illiberale e preferisce fare il circolo della canasta piuttosto che un partito di popolo. La modifica del regolamento senza preavviso e per dare deleghe non previste serviva solo a raggiungere il numero sufficiente per eleggere un nuovo presidente. Alla fine hanno votato solo in 42. Una fine squallida”.
Gli fa eco lo stesso Olivero: “Crediamo che il percorso dell’Udc sia stato utile, ma deve volgere al termine. Mi rivolgo anche ai loro aderenti per creare un nuovo soggetto politico che ambisca a costruire un grande partito popolare”.
Il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, però, non ci sta a vedere il suo partito coinvolto in questa guerra intestina: “Le affermazioni di Bombassei che dichiara rotta l’alleanza con noi – si legge in una nota – suscitano una certa tenerezza. Qui l’unica cosa che si è rotta è Scelta civica”.
Ancora presto comunque per sapere se, d’ora in poi, le due anime del partito si comporteranno da ‘separate in casa’, con gruppi parlamentari distinti sia alla Camera che al Senato. Solo il voto di domani sul documento finale farà  chiarezza, ratificando la rottura oppure mostrando una, oggi più improbabile, riappacificazione. Tutto lascia, infatti, intravedere all’orizzonte più nubi che sereno.

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IL PREGIUDICATO: “ORA ABBIAMO LE MANI LIBERE” : E SI CHIUDE NEL BUNKER CON IL CONDANNATO FITTO E IL PLURINQUISITO VERDINI

Novembre 15th, 2013 Riccardo Fucile

SCHIFANI SI DIMETTE DA PRESIDENTE DEI SENATORI E VA CON ALFANO

Lo strappo è consumato. ”Mi trovo qui per compiere una scelta che non avrei mai pensato di compiere. Non aderire a Forza Italia“. Sono le parole con cui Angelino Alfano, nel corso della riunione dei governativi del Pdl, annuncia la nascita di gruppi autonomi che si chiameranno “Nuovo centrodestra”.
L’ex delfino di Berlusconi ha tenuto a largo Chigi una riunione ristretta con i suoi fedelissimi per poi incontrare gli altri parlamentari all’albergo Santa Chiara: i governativi si preparano a disertare la riunione del Consiglio nazionale che sancirà  il ritorno a Forza Italia.
Primo scossone all’interno del partito, le dimissioni del capogruppo al Senato Renato Schifani: “Dopo aver preso atto della costituzione del nuovo gruppo al Senato, nato da una costola del Pdl, ritengo doveroso rassegnare le mie dimissioni da presidente del gruppo del Popolo della Libertà  a Palazzo Madama”.
Segue il passo indietro del suo vice, Giuseppe Esposito.
Dura la reazione di Raffaele Fitto: “Da Alfano è venuto un atto gravissimo contro la sua stessa storia e contro Silvio Berlusconi, i nostri programmi e i nostri elettori. Il vero popolo di centrodestra giudicherà ”.
Intanto la Magistratura giudicherà  lui, dopo la condanna per tangenti in primo grado“Questa mia scelta — ha spiegato il vicepremier — nasce dal fatto che queste settimane mi hanno dato la riprova di quanto abbiano prevalso le forze più estreme all’interno del nostro movimento politico”.
E ancora: “Saremo attaccati, ma non avremo paura, combatteremo per affermare le nostre idee. Questa sera abbiamo un grande alleato: la nostra buona coscienza, la buona coscienza di chi le ha provate tutte prima di arrivare a questa decisione”.
A confermare la scelta degli “innovatori” ci pensa un’altra “colomba”, Roberto Formigoni: “Ovviamente non parteciperemo al Consiglio nazionale domani. Non c’è scissione perchè il partito non c’è più, siamo 37 al Senato e 23 alla Camera”.
L’ultimo spiraglio di un accordo in extremis era sfumato poche ore prima.

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FUGGI FUGGI DAL PDL, ALFANO ANNUNCIA LA SCISSIONE: “NON ADERIAMO A FORZA ITALIA, NASCE “NUOVO CENTRODESTRA”

Novembre 15th, 2013 Riccardo Fucile

ALFANO: “HANNO PREVALSO GLI ESTREMISTI”… FORMIGONI: “CON NOI 37 AL SENATO E 23 ALLA CAMERA”

Alla fine arriva lo strappo. “Non aderiamo a Forza Italia. Sono pronti nuovi gruppi che si chiameranno ‘Nuovo Centrodestra’”, annuncia Angelino Alfano, al termine di una giornata trascorsa tra incontri e conteggi.
“Mi trovo qui per compiere una scelta che non avrei mai pensato di compiere. Non aderire a Forza Italia”, ha detto il ministro dell’Interno Alfano, nel corso della riunione dei governativi del Pdl, durante la quale ha ribadito l’amicizia per il Cavaliere: “Sento fortissimo il bisogno di ribadire che in questi 20 anni non abbiamo sbagliato speranze, ideali e persona. Siamo amici del presidente Berlusconi a cui ribadiamo amicizia e sostegno. Lo sosterremo all’interno del governo a iniziare da una giustizia più giusta e dall’abbassamento delle tasse”.
I tentativi di mediazione falliscono. E in serata, al termine di una giornata densa di incognite e di aspettative, i ‘falchi’ convincono Silvio Berlusconi: niente accordi con le ‘colombe’, si concretizza il redde rationem.
La tensione resta alta. Dopo aver visto il vicepremier Angelino Alfano e i ministri del Pdl, Berlusconi cena a Palazzo Gazioli con il capo dei lealisti, Raffaele Fitto.
Dal canto loro i filo-governativi studiano le contromosse: riuniti a Palazzo Santa Chiara alla presenza del ministro dell’Interno e degli altri ministri, discutono sulla rottura definitiva con Berlusconi, che passerà  per l’annuncio di gruppi autonomi a Camera e Senato e la contestuale diserzione del Consiglio nazionale.

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CAOS PDL, LIBERI TUTTI, IL CAVALIERE: “CHI NON CREDE IN FORZA ITALIA E’ LIBERO DI ANDARSENE”

Novembre 15th, 2013 Riccardo Fucile

ALLA VIGILIA DEL CONSIGLIO NAZIONALE ULTIMO INCONTRO CON ALFANO E LUPI…ALLE 16.3O LE COLOMBE SI RIUNIRANNO PER DECIDERE SE PRENDERE IL VOLO

“E’ indispensabile restare uniti e lavorare insieme, non comprendo le divisioni, chi non si riconosce nei nostri valori e chi non crede in Forza Italia è libero di andarsene. Domani sarà  l’occasione per confrontarci e discutere. Come si fa in ogni famiglia. Ognuno porterà  le sue idee. Ognuno è chiamato a dare il proprio contributo al disegno comune. Con civiltà , senza pregiudizi, senza retro pensieri. Domani sarà  il momento del confronto davanti ai nostri elettori, perchè a loro, ricordiamolo sempre, dobbiamo la nostra lealtà  e a loro dobbiamo garantire il nostro impegno. E dopo aver parlato e ascoltato decideremo insieme il nostro futuro”.
E’ un Silvio Berlusconi perentorio ma che a tratti sembra aprire al confronto quello che, in vista del consiglio nazionale di domani, dirama una nota articolata sul futuro del partito.
Il messaggio indirizzato soprattutto ai governativi viene divulgato mentre a palazzo Grazioli il Cavaliere riceve per l’ennesima volta Angelino Alfano e Maurizio Lupi.
Un incontro che si svolge alla vigilia di appuntamento clou: quello, cioè, che potrebbe sancire lo scontro frontale tra falchi e colombe e portare dritti alla rottura.
A seguire, in una girandola di fitti colloqui e riunioni a oltranza, tutti i parlamentari filogovernativi si riuniranno alle 16.30 per discutere dell’incontro con il Cavaliere.
A oggi quel che è certo è che la trattativa tra lealisti e alfaniani è ancora in alto mare.
I pontieri si danno da fare per tentare l’ultima mediazione con il Cavaliere che vorrebbe evitare il redde rationem.
Sul tavolo, infatti, c’è l’ipotesi di una ‘nota-appello’ del leader azzurro per richiamare tutti al senso di responsabilità  e ritrovare l’unità  necessaria per scongiurare il peggio. Se ci dividiamo non andiamo da nessuna parte, ma se le cose restano così, vediamo domani chi vuole davvero rompere, sarebbe stato il ragionamento fatti con i suoi dall’ex presidente del Consiglio.
Due le condizioni che Alfano ha posto, martedì sera, al Cavaliere per partecipare a un consiglio nazionale che, se si svolgerà ) porterà  dritti alla nascita della nuova Forza Italia.
Primo: che nella nuova Fi vi fosse una struttura democratica. Gli ‘innovatori’, cioè, avrebbero riconosciuto la leadership di Berlusconi ma tutti gli incarichi di partito, le candidature e le cariche monocratiche avrebbero dovuto essere stabilite con lo strumento delle primarie.
Secondo: la permanenza nel governo di ‘larghe intese’ fino al 2015 secondo gli impegni assunti col voto di fiducia di maggio e quello del 2 ottobre.
Se ci fosse stata entro le 12 di oggi una risposta chiara, definitiva e ampia in questo senso, i governativi avrebbero accettato di entrare nel partito nuovo.
“Ma non c’è stata stanotte e non c’è stata stamani – ha detto il senatore Pdl Roberto Formigoni -. Noi ci stiamo per riunire e prenderemo le nostre determinazioni”.
E se sarà  scissione, per Formigoni a provocarla sono i falchi di Raffaele Fitto e Denis Verdini, perchè “la loro rigidità  ha impedito la ricomposizione e l’unità  del partito”.

(da “La Repubblica“)

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SULLA SCISSIONE PESA LA GRANA DEI DEBITI: PASSIVO DI QUASI 4 MILIONI

Novembre 15th, 2013 Riccardo Fucile

RESTA ANCHE IL PROBLEMA DEI DIPENDENTI… CONVERREBBE CERTAMENTE FARSI UN NUOVO PARTITO CHE EREDITARE UNA SITUAZIONE FINANZIARIA DISASTROSA

A meno di 24 ore dal congresso che sancirà  la (ri)nascita di Forza Italia resta aperto, tra i tanti, un interrogativo: che ne sarà  del Pdl.?
Se da una parte Berlusconi e i suoi vorrebbero metterlo per sempre in soffitta (quella sigla – ha detto tante volte il Cav – non mi piace, suona male) dall’altra gli alfaniani più intransigenti vorrebbero rompere con Silvio e tenerlo in vita: “Distanze enormi – dice Nunzia De Girolamo in una intervista al Corriere – ma Silvio vuole unità “.
Quel che sarà  lo si vedrà  domani, intanto sulla scelta incombe una scure non da poco: la situazione finanziaria di un partito nato appena 6 anni fa (era il 18 novembre del 2007). “Se qualcuno pensa di scalarlo fa mal di conto – spiega a il Giornale Maurizio Bianconi, deputato tesoriere del Pdl – gli conviene farsene uno nuovo”.
A un Pdl deberlusconizzato – come spiga il quotidiano del Cav – rimarrebbero un sacco di grane.
I debiti in primis: perchè, seppur il partito debba incassare 18 milioni di euro rimborsi elettorali, deve far fronte ai debiti correnti.
E questi sono da pagare subito e sono tanti: 9,4 milioni di euro.
A questo vanno aggiunti i fornitori (altri 8 milioni circa).
Al netto di una chiusura dell’ultimo bilancio in perdita di 3,7 milioni di euro.
I problemi per chi decidesse di tenere in vita il Popolo della libertà  non finirebbero però qui.
La grana maggiore riguarderebbe infatti il personale: che fine faranno – si chiede il Giornale – i 180 dipendenti del Pdl? Se il Pdl si trasforma in Forza ItItalia i problemi passerebbero in mano a Berlusconi, diversamente sarebbero i nuovi reggenti ad accollarsi il tutto. Con una grande, enorme incognita: chi farebbe fronte alle spese? E senza il Cav che garantisce con quali soldi?
E dunque almeno nella partita finanziaria tra Pdl che è stato e Forza Italia che sarà  sembra proprio non esserci partita.

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ORA FORZA ITALIA HA L’ALLENATORE: ADRIANO GALLIANI

Novembre 15th, 2013 Riccardo Fucile

DOPO LE TENSIONI CON BARBARA, IL DIRIGENTE È PRONTO A PASSARE DAL MILAN AL PARTITO

Un erede? No. Un delfino? Neanche. Nè falchetto nè colomba.
A Forza Italia ci vuole un allenatore, anzi un uomo che di allenatori ne ha cambiati una decina: Adriano Galliani, l’amico di sempre, esordio da antennista e consacrazione al Milan.
Silvio Berlusconi ha offerto a Galliani un ruolo di coordinatore in Forza Italia, non un burocrate politico, ma un amministratore delegato di partito.
Un’uniforme su misura per il soldato Adriano che, incuriosito e interessato, risponde presente: ci pensa, ci riflette, vuole accettare.
B. sceglie un’unica soluzione per un doppio problema: accontenta la figlia Barbara, che non vuole condividere il potere; evita la liquidazione da 30 milioni di euro per i 27 anni a Milanello, che Galliani pretende senza sconti di cortesia.
Quando il Cavaliere ha convocato l’eterno (e fidato) collaboratore per trattare l’addio ai rossoneri, villa San Martino di Arcore, c’era Fedele Confalonieri, presenza non casuale.
Non erano insieme per nostalgia dei tempi andati.
Confalonieri doveva proporre a Galliani uno scivolo con dignità , appena subita la scomunica a mezzo stampa di Barbara.
Tra Mondadori e Fininvest, un posticino c’era. Ma l’ex juventino Adriano non vuole passare da figlia in figlia e rimpiangere la pensione al servizio di Marina Berlusconi.
Il Cavaliere l’ha rivisto nei giorni scorsi, e ancora, inflessibile, Galliani non decideva. Il tempo per negoziare non è infinito, entro aprile il vicepresidente vicario dovrebbe lasciare il Milan e la consunzione negli stadi, accanto a Barbara (ricordate Barcellona ?), diventa umiliante.
Così il Cavaliere, che non sapeva a chi affidare i trent’anni con Adriano, rispolvera un metodo già  utilizzato e già  miracoloso: lo scarico in politica.
La candidatura europea, però, non è sufficiente. Galliani vuole un grosso stipendio e una grossa visibilità . E mercoledì, informato Adriano, Berlusconi ne ha parlato con il milanista Angelino Alfano, che a primo ascolto sembrava incredulo.
La domanda: che ne dici se Galliani ci dà  una mano in Forza Italia?
L’ha ripetuto ai ministri, ai duri e puri, ospiti di palazzo Grazioli compresi.
Nessuna obiezione. Perchè il dirigente sportivo con la cravatta gialla è popolare, telegenico, esperto e, soprattutto, non è Daniela Santanchè o Denis Verdini (reazione di Alfano).
Ci voleva l’ex ragioniere di Monza per sedare, un attimo, almeno un attimo, la guerriglia tra falchetti e colombe.
Di conversioni (e convulsioni in tribuna) Adriano Galliani ne ha avute parecchie: in gioventù non era milanista e s’è candidato con la Democrazia cristiana.
Non ha credenze. Non ha ideologie. Non ha paranoie (anche se è scaramantico ).
La sua religione è Berlusconi: “Sarà  sempre il mio presidente”, disse con espressione rassegnata dopo il vertice di Arcore. Galliani è il numero due che fa la fortuna (e il lavoro sporco) dei numeri uno.
Quando i riflettori di Marsiglia si spensero e poi si riaccesero, Adriano in impermeabile fece ritirare il Milan: Coppa dei Campioni, i rossoneri perdevano 1-0, poi 3-0 a tavolino e squadra squalificata.
La furbata fu un fallimento. Ma Galliani è quel tipo di berlusconiano che segue gli ordini del Capo senza luce, a occhi chiusi.

Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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ILVA, LA TELEFONATA CHOC DI VENDOLA: RISATE AL TELEFONO PER LE DOMANDE SUI TUMORI

Novembre 15th, 2013 Riccardo Fucile

INTERCETTATO NEL 2010 MENTRE PARLA AL TELEFONO CON ARCHINA’, IL PR DELLA FAMIGLIA RIVA… “DICA CHE NON MI SONO DEFILATO”…E DA’ DELLA “FACCIA DA PROVOCATORE” A CHI CHIEDEVA SPIEGAZIONI SUI MORTI

E’ il 19 novembre 2009. La conferenza stampa di presentazione del “Rapporto ambiente e sicurezza” dell’Ilva è appena terminata.
Luigi Abbate, giornalista dell’emittente tarantina Blustar Tv, si avvicina a Emilio Riva, 87enne ex patron dell’acciaio e gli chiede: “La realtà  non è così rosea visti i tanti morti per tumore…”.
Riva non è abituato a domande scomode. Abbozza una risposta bofonchiando: “Ve li siete inventati” e si salva grazie all’intervento del suo addetto alle relazioni istituzionali Girolamo Archinà , che strappa letteralmente il microfono dalle mani del giornalista.
Il video finisce su Youtube e comincia a fare il giro d’Italia.
Diversi mesi più tardi, nel luglio del 2010, appena tornato da un viaggio in Cina anche Nichi Vendola lo vede.
A mostrarglielo sono stati “degli amici di Roma”, in quei giorni interessati al caso Ilva perchè in quei giorni l’azienda era tornata sulle pagine dei giornali a causa della diffusione dei dati dell’Arpa sui livelli allarmanti di benzo(a)pirene a Taranto.
Il video della conferenza stampa sarà  al centro di una telefonata tra il governatore della Puglia e Archinà , considerato dai pm la “longa manus” dei Riva.
Nell’intercettazione, il governatore di Puglia ride di gusto dicendo ad Archinà  di aver apprezzato “lo scatto felino”.
Confessa di essersi divertito insieme al suo capo di gabinetto.
Definisce una “scena fantastica” l’immagine di Archinà  che impedisce al giornalista di intervistare Emilio Riva.
Il leader di Sel, ridendo, rivolge anche i suoi “complimenti” ad Archinà . Non solo. Riferendosi al giornalista lo definisce una “faccia di provocatore”.
Vendola, che afferma di aver fatto davvero le battaglie a difesa della vita e della salute, suggerisce di “stringere i denti” di fronte a questi improvvisatori “senza arte nè parte”.
E aggiunge: “Dite a Riva che il presidente non si è defilato”.
Oggi Nichi Vendola è tra i 53 indagati dell’inchiesta “Ambiente svenduto”.
Per la procura di Taranto, che ha coordinato l’attività  investigativa della Guardia di finanza, il leader di Sinistra ecologia e libertà  ha fatto pressioni sul direttore generale dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato, perchè ammorbidisse il suo atteggiamento nei confronti dell’Ilva. Concussione.
Girolamo Archinà , invece, è finito in carcere il 27 novembre 2012. Associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.
Sono le ipotesi di reato da cui dovrà  difendersi l’ex pr dell’Ilva insieme a Emilio, Fabio e Nicola Riva, all’ex direttore della fabbrica Luigi Capogrosso. Ma non è tutto.
Archinà , infatti, è accusato anche di corruzione in atti giudiziari per aver versato una tangente di diecimila euro a Lorenzo Liberti, ex consulente della procura, incaricato di svolgere una perizia sulle emissioni nocive dello stabilimento siderurgico.
Nel corso dell’inchiesta è anche emerso come molti cronisti locali (e alcune testate) fossero di fatto a libro paga di Archinà .
Soldi per nascondere lo scandalo inquinamento e, soprattutto, per non fare domande.
Per tutta la giornata di giovedì 14 novembre i cronisti de Il Fatto Quotidiano hanno provato a contattare telefonicamente Vendola e i suoi collaboratori. Il cellulare del governatore ha sempre suonato a vuoto.
E nonostante l’invio di sms, il leader di Sel non ha mai risposto nè richiamato.

Francesco Casula e Lorenzo Galeazzi
(da “il Fatto Quotidiano“)

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BERLUSCONI: “SE AVESSI IL PASSAPORTO ME NE ANDREI AD ANTIGUA”

Novembre 15th, 2013 Riccardo Fucile

IL CAVALIERE COSTRETTO A FARE IL MEDIATORE TRA PRANZI, CENE E NOTTI CON I “RIVALI”

“Avessi il passaporto me ne andrei ad Antigua», ma non è per sfuggire alla condanna giudiziaria che ieri Berlusconi diceva di voler cambiare aria, bensì per evitare la tortura politica di queste ultime ore, la vera pena aggiuntiva alla quale si è sottoposto per sua responsabilità , per quell’errore del 2 ottobre, che per i lealisti risiede nell’«improvvida retromarcia sulla fiducia al Senato» e per gli innovatori sta nel «maldestro tentativo di buttar giù il governo».
Comunque la si interpreti, è quella la colpa del Cavaliere, che con la sua mossa ha provocato il successivo pandemonio nel partito, senza poi essere in grado di gestirlo.
Pur di riprendersi ciò che era suo, sta già  scontando un anticipo dei servizi sociali, tra le cene con i falchetti della Santanchè, i pranzi con Fitto, le nottate con Alfano, e quella montagna di comunicati degli uni contro gli altri che sta soffocando nella culla Forza Italia prima del battesimo.
Perchè l’attesa del Consiglio nazionale non è certo di letizia, ma sa di truculento tramestio, a un passo da una scissione che appare sempre più vicina eppure non ancora certa, siccome «il capo sono io» ripeteva per darsi vigore ieri sera Berlusconi, intenzionato ad evitare – non si sa come – quella rottura che lo presenterebbe indebolito al drammatico appuntamento con la decadenza.
Ed è vero che «il divorzio non conviene a nessuno», su questo aveva convenuto con Alfano l’altra notte, ma l’intesa verbale raggiunta con il vicepremier era fragile ben prima che venisse presentata a Fitto e a quell’area del partito già  pronta a contrastare il patto con la forza dei numeri e di un altro documento, in cui non si concedeva nulla agli innovatori: nè la riconvocazione dell’Ufficio di presidenza del Pdl, nè i due coordinatori «a garanzia» delle due correnti, nè tantomeno la prosecuzione dell’appoggio al governo che gli alfaniani definivano «di legislatura» e non «di scopo».
Angelino lo sapeva, e infatti si era congedato da Berlusconi con lo stato d’animo di chi aveva già  vissuto questa scena e ne conosceva il finale: «Non glielo consentiranno. I falchi non glielo consentiranno, presidente».
Eppure per tutta la giornata si è protratto il rito della trattativa, e nessun luogo è stato risparmiato alla bisogna, nemmeno il Quirinale, se è vero che nel Salone delle feste – in attesa dell’ingresso del Papa e del capo dello Stato – i dirigenti del Pdl si scambiavano di posto per parlarsi, prima di appartarsi con il cellulare stampato all’orecchio e poi riprendere a discutere animatamente.
Finchè lo staff del cerimoniale non è intervenuto per invitare gli ospiti indisciplinati a rimettersi ognuno al proprio posto.
Forse lì è stato partorito il documento dei mediatori che ha fatto il giro delle sette chiese del Pdl, portato in processione da Gasparri e da Romani, corretto e cancellato non si sa quante volte, fino allo sfinimento.
Il fatto è che, mentre si tentava la mediazione, Berlusconi provava l’atto di forza con gli innovatori, un po’ per verificare se i numeri di Alfano fossero veri, un po’ (anzi soprattutto) per azzerarli.
Così si metteva all’opera con i senatori renitenti, usando al telefono quella voce e quei ragionamenti che per due decenni gli hanno consentito di ottenere (quasi) tutto, ammaliando e promettendo un futuro roseo, un avanzamento di carriera.
L’impresa però si è rivelata più difficile di quanto immaginasse, perchè – giurando che lo facevano «per il suo bene, presidente» – gli hanno risposto che «no, per noi il governo deve andare avanti».
I numeri a Palazzo Madama garantiscono la sopravvivenza delle larghe intese, i numeri a Forza Italia sanciscono invece la prevalenza dei lealisti, e Fitto ha buon gioco a rivendicarlo, per ribadire che «una maggioranza non può assoggettarsi ai voleri di una minoranza», e a mettere di fatto Berlusconi dinnanzi a una scelta: o noi o loro.
Ecco, è proprio la posizione assunta infine dal Cavaliere, quella di arbitro cioè tra due contendenti, a lasciare ancora aperto uno spiraglio, a tenere tutti con il fiato sospeso, a far ipotizzare un colpo di scena prima della fine.
Se non arriverà  entro mezzogiorno di oggi, sarà  impossibile disinnescare il timer della rottura, e il Cavaliere – ormai circondato dalla sua stessa maggioranza – dovrà  decidere l’entità  dello strappo: una separazione giudiziale, con tanto di guerra dichiarata ai «traditori», o una separazione consensuale con «quegli amici» che saranno compagni di strada del futuro centrodestra.
In fondo questo voleva dire Alfano quando – parlando del battesimo di Forza Italia – ha spiegato che «o sarà  la festa di tutti o eviteremo di rovinare la festa al nostro presidente».
In verità  la festa è già  finita.
E se sarà  scissione avranno perso tutti.

(da “il Corriere della Sera“)

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