Novembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile NELL’AUTUNNO 2011 IL PREMIER ITALIANO AVEVA AVVIATO TRATTATIVE SEGRETE PER FAR USCIRE L’ITALIA DALLA MONETA EUROPEA..MA L’11 NOVEMBRE RASSEGNO’ LE DIMISSIONI APRENDO LA STRADA A MONTI
Clamoroso: Silvio Berlusconi aveva avviato le trattative in sede europea per uscire dalla moneta unica. A rivelarlo è Hans-Werner Sinn, presidente dell’istituto di ricerca congiunturale tedesco, Ifo-Institut, durante il convegno economico “Fuehrungstreffen Wirtschaft 2013” organizzato a Berlino dal quotidiano “Sueddeutsche Zeitung”. Quella di Sinn è una voce autorevole, tanto che potremmo paragonare l’istituto da lui presieduto all’italiano Istat .
“Sappiamo – ha detto Sinn – che, nell’autunno 2011, l’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha avviato trattative per far uscire l’Italia dall’Euro”.
Intervenendo in un dibattito dedicato alla crisi europea e agli effetti sui paesi meridionali dell’eurozona, Sinn ha aggiunto di “non sapere per quanto ancora l’Italia ce la farà a restare nell’Unione Europea: l’industria nel nord del paese sta morendo, i fallimenti delle imprese sono ormai alle stelle e la produzione industriale è in continuo calo”.
La possibilità di un’uscita, forzata o voluta, “è sempre concreta per Francia, Grecia e Italia”, ha detto ancora il presidente di Ifo-Institut, sottolineando che, in ogni caso, il salvataggio di due paesi come la Francia e l’Italia, con un ammontare di crediti in percentuale del pil pari a quelli concessi alla Grecia, “ci costerebbe qualcosa come 4.500 miliardi di euro”.
Ma tornando a quell’autunno di due anni fa, se il tentativo di Berlusconi di uscire dall’Euro c’è stato veramente, di certo non gli portò fortuna.
È proprio in quel frangente che per l’ultimo governo guidato del Cavaliere tutto cominciò a precipitare.
Lo spread iniziò a salire, già dall’estate, arrivando a toccare vette allarmanti e l’economia del Paese andava verso il collasso.
L’esecutivo era sempre più logoro, tanto che l’11 novembre del 2011 il Cavaliere rassegnò le dimissioni. Fu quella l’anticamera della nascita del governo tecnico presieduto dall’ex commissario europeo Mario Monti.
C’è chi poi, in questi passaggi concitati, ha visto un complotto ai danni dell’allora premier.
Non una persona qualunque, dato che stiamo parlando di Lorenzo Bini Smaghi, ex membro della Bce, la Banca centrale europea.
In un suo recente libro intitolato “Morire di austerità ” (editrice Il Mulino), l’economista spiega come “la minaccia di uscita dall’Euro non sembra una strategia negoziale vantaggiosa (…). Non è un caso che le dimissioni (…) di Berlusconi siano avvenute dopo che l’ipotesi di uscita dall’Euro era stata ventilata in colloqui privati con i governi di altri paesi”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile MANCANO 400 MILIONI, LA CANCELLAZIONE DELLA SECONDA RATA RIMANDATA A MARTEDàŒ… IL PREMIER VUOLE FARE CASSA VENDENDO AZIONI DI AZIENDE CONTROLLATE DALLO STATO
Se serviva una plastica dimostrazione di che gabbia siano i vincoli di bilancio europei (con relativi moniti
bruxellesi) e di quanta poca autonomia politica godano i governi — quello italiano su tutti — ebbene il Consiglio dei ministri di ieri ha colmato la lacuna: l’abolizione della seconda rata dell’Imu rinviata perchè non si trovano 400 milioni; partecipazioni pubbliche in aziende che generano reddito per lo Stato messe in vendita; la rivalutazione delle quote di controllo di Bankitalia — che sarebbe un enorme favore alle banche che le hanno in pancia — bloccata in attesa del via libera della Bce.
Il piano di privatizzazioni, in particolare, secondo Enrico Letta consentirà a Saccomanni “di andare a battagliare a Bruxelles con più forza” per avere maggiore flessibilità nei conti per l’anno prossimo : c’è il problema che questa svendita, al momento, può servire al massimo per recuperare gli otto miliardi che la Commissione europea considera mancanti nel bilancio 2014.
Ecco un breve racconto per punti.
IMU E BANKITALIA.
Entrambi i decreti all’ordine del giorno ieri sono slittati a martedì. La rivalutazione delle quote della Banca centrale (da 156 mila a sette miliardi circa) ha bisogno del via libera di Mario Draghi: il governo la vuole per incassare subito dalle banche circa 1,5 miliardi da tassazione della plusvalenze, gli istituti di credito ci guadagnano un immediato miglioramento a poco prezzo della loro patrimonializzazione e, in prospettiva, si ripagheranno la spesa grazie all’aumento dei dividendi annuali (oggi, col criterio di un millesimo delle quote, sono 45 milioni ogni dodici mesi, poi verranno moltiplicati).
Quanto all’Imu, invece, il problema sono le coperture: abolire la seconda rata costa circa 2,4 miliardi , cinquecento milioni in più se si fa il calcolo sulle aliquote 2013 come chiedono i comuni.
Il Tesoro, però, finora ha trovato coperture solo per due miliardi: alla fine i sindaci non avranno niente, ma l’idea di Saccomanni di far pagare la tassa su terreni e fabbricati agricoli (400 milioni) non è passata.
La ministro Nunzia De Girolamo, e con lei i colleghi usciti dal Pdl, sarebbero diventati un bersaglio troppo facile per i falchi di Forza Italia: durante il weekend, insomma, bisogna trovare i soldi che mancano.
PRIVATIZZAZIONI.
Per Letta cedere partecipazioni in aziende pubbliche per 10-12 miliardi (ma agli attuali valori di Borsa pare difficile raggiungere quella cifra) servirà a far scendere il debito “per la prima volta dopo cinque anni”.
Ammesso che sia vero — e l’esperienza della grande svendita dei primi anni Novanta non testimonia in tal senso — si tratterebbe di una goccia nel mare a fronte della perdita di peso del governo, della rinuncia a dividendi annuali a volte cospicui e della delicatezza dei settori coinvolti.
Questo senza contare che lo shopping lo faranno probabilmente grandi gruppi stranieri con relativa esportazione degli utili e probabile perdita delle attività di sviluppo e ricerca (e forse di posti di lavoro).
Come che sia, le società coinvolte sono otto.
Di Eni verrà messo in vendita il 3 per cento — per un incasso di due miliardi, secondo Saccomanni – ma restando sopra il trenta dopo la prossima operazione di buyback (vale a dire il riacquisto di azioni proprie che dovrebbe portare la quota statale dal 30,1 per cento oltre il 33).
Così, però, si perderanno anche i dividendi di quelle azioni: il 4, 34 per cento in mano direttamente al Tesoro nel 2012 ha pagato 170 milioni, calcolando anche la quota di Cassa depositi e prestiti l’assegno è stato invece di 1,2 miliardi.
Le altre aziende messe nella lista dei saldi sono Fincantieri (recentemente rilanciata e tornata in utile), StmMicroelectronics, Cdp Reti (cioè Snam Rete Gas e la fibra ottica delle principali città italiane), Cdp Tag (il gasdotto dalla Russia), Grandi Stazioni (che fa gola a Benetton, Caltagirone e Pirelli, già soci di Fs nella società ), l’Ente nazionale di assistenza al volo, e infine Sace (che assicura le aziende italiane nei loro investimenti all’estero), l’unica di cui sarà ceduto il pacchetto di controllo.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile DAI TABULATI RISULTA CHE ERA NELL’AUTOGRILL DOVE AVEVA NEGATO DI AVER FATTO ACQUISTI… LA CIFRA RIMBORSATA ILLECITAMENTE E’ DI CIRCA 25.000 EURO
Due interrogatori frettolosi, il primo nella speranza di dribblare l’avviso di garanzia, il secondo per contestare le spese oggetto d’inchiesta, sono serviti solo a consacrare che Roberto Cota ha mentito.
Lo inchiodano le sue dichiarazioni ai pubblici ministeri e il confronto con i tabulati telefonici disposti dalla Guardia di Finanza.
“Quei soldi non li ho spesi io aveva detto il governatore ai magistrati confutando diverse voci non è possibile perchè non mi trovavo lì quel giorno”.
Con i soldi pubblici il presidente della regione Piemonte Roberto Cota ha acquistato anche panini e videogiochi.
Questa l’accusa della Procura di Torino al governatore leghista, tra i 43 indagati nel caso “Rimborsopoli“, insieme a consiglieri regionali accusati a vario titolo di peculato, truffa e rimborso illecito ai partiti.
Per i pm Cota avrebbe chiesto la restituzione illecita di 25mila euro: ad incastrarlo, nonostante abbia tentato fino alla fine di defilarsi dalle contestazioni, sono stati gli stessi tabulati del suo telefono cellulare, attraverso i quali la Guardia di finanza ha potuto accertare come avesse anche mentito durante l’interrogatorio.
Cota ha replicato inviando una lettera aperta ai piemontesi, nella quale tenta di difendersi dalle accuse. Ma il governatore sembra voler giocare d’anticipo, prima che diventano pubblici i verbali dei due interrogatori.
Quelli che mostrano non soltanto, come abbia speso «in modo illegittimo denaro pubblico per acquisti personali, ma che ha anche mentito davanti ai magistrati sperando di non essere scoperto».
Come hanno ricostruito i magistrati, il governatore ha dichiarato il falso quando questi gli chiedevano conto di scontrini battuti in autogrill.
Cota, senza mostrare troppi dubbi, rispondeva: «Non posso essere stato io, non mi trovavo in quel posto quel giorno”.
Soltanto bugie per i pm, che hanno smascherato le dichiarazioni di Cota attraverso l’uso dei tabulati telefonici, che dimostrano ben altro rispetto a quanto dichiarato dal governatore. Per la Procura Cota ha mentito, dato che il suo telefono suonava proprio all’interno di quell’area di servizio nel giorno in cui qualcuno comprava determinati prodotti alimentari.
Negli atti dell’inchiesta torinese – che ha coinvolto 43 politici regionali, travolgendo tutta la Lega e quasi tutto il Pdl, risparmiando i politici del Pd a eccezione di Mercedes Bresso – c’è un cd dedicato solo alle telefonate dei consiglieri: chiamate, numeri e tempi, ma anche precise localizzazioni sulla base delle celle agganciate dai cellulari dei politici.».
Roberto Cota è tra questi.
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Novembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile PER ADESSO EVADE DA PALAZZO GRAZIOLI E PASSA L’INTERA GIORNATA NELLA SEDE DI FORZA ITALIA… I FALCHI: “SE FINISCE DENTRO, IL COLLE PER PAURA DEL BOOM ELETTORALE LO SALVA”
“È pazzesco”. Silvio Berlusconi scorre il corposo faldone delle motivazioni e serra i denti in un ghigno di
rabbia.
Batte il pugno sulla scrivania mentre tenta di leggere qualche brano del nuovo mattone contro di lui.
Il Condannato è disperato e rassegnato. Ripete: “È pazzesco”.
Aggiunge, intontito: “Mi convinco sempre di più che finirò in galera, solo così si fermeranno”.
Le motivazioni della sentenza Ruby investono come un ciclone Palazzo Grazioli, a meno di una settimana dal voto sulla decadenza di B. al Senato.
Nella Capitale il tempo è pazzo, anzi pazzesco. Alterna grandine e sole nel giro di cinque minuti.
Inseguito dall’incubo di nuove inchieste, da Milano (Ruby ter per corruzione di testimoni) e da Napoli (il filone Lavitola sugli appalti a Panama), atterrito dalla prospettiva di perdere seggio e libertà il prossimo 27 novembre, il Cavaliere alle quattro e mezzo del pomeriggio esce da Palazzo Grazioli e va alla sede di Forza Italia, in piazza san Lorenzo in Lucina.
Per il secondo giorno consecutivo. Mai accaduto sinora. Casa sua è sempre stata la vera base del partito carismatico.
È come se B. volesse evadere (questo il verbo giusto) dall’abitazione che condivide con la fidanzata Francesco Pascale.
Nella nuova sede, con lui, ci sono Denis Verdini, Raffaele Fitto, Saverio Romano.
Si fa vivo anche Marcello Dell’Utri. Una riunione fiume sull’organizzazione dei club Forza Silvio in tutta italia.
Esce la data dell’otto dicembre, l’Immacolata: una grande manifestazione di questi club a Milano, nell’illusione di oscurare le primarie del Pd, che decreteranno il trionfo di Matteo Renzi.
Il conto alla rovescia procede spietamente (ieri il Pd ha sentenziato: “Si vota il 27 e basta”) e il Condannato si dedica ai club, anzi cloeb, nella sua pronuncia.
Dettaglio che agli occhi sgranati dei suoi fedelissimi fanno pensare: “Che cos’ha in testa il presidente?”. Forse niente. È solo la speranza nelle sue presunte virtù taumaturgiche.
I “fuochi d’artificio”, altra espressione circolata ieri nel cerchio magico di B., verranno solo dopo il 27.
Uno strano, pazzesco pomeriggio. Tra la furia e la rimozione. Gli avvocati parlamentari, Longo e Ghedini, stendono la solita nota: “Sentenza surreale”. Ma di surreale c’è solo la lucida disperazione del Condannato che rimane in silenzio, ipnotizzato dall’eloquio dellutriano che gli illustra la strategia su come ringiovanire la rinata Forza Italia.
Daniela Santanchè parla di “femminicidio giudiziario”: “Donne magistrato che bollano a vita giovani donne come prostitute per avere chiesto o accettato regali da un uomo. Questa sentenza, oltre che falsa, è odiosa perchè usa la fragilità di donna e le uccide socialmente con l’unico intento di colpire per di più ingiustamente un uomo”. Gianfranco Rotondi, ex ministro del Pdl rimasto berlusconiano, allude al peggio: “Le motivazioni preparano la mossa finale”.
Il Cavaliere in galera. A bassa voce, lo ripetono tutti i falchi rimastigli vicini e che gridano al fango e alla volgarità : “Finirà in carcere”.
Il che, cinicamente, può essere anche un’opportunità elettorale: “Berlusconi martire in prigione ci farà volare”.
Tutto questo però partorisce un paradosso incredibile, a detta di due lealisti: “Napolitano non consentirà mai che il presidente finisca in carcere, proprio perchè teme un boom elettorale”.
Scenari da un bunker che vive la vigilia del “patibolo” di mercoledì prossimo senza dare l’impressione di combattere.
I falchi non si capacitano del silenzio berlusconiano.
Per un motivo: “Gianni Letta gli sta vendendo ancora la teoria alfaniana del rinvio del voto. È merce avariata, ma lui ci crede”. O fa finta di crederci.
Ieri, almeno fino a sera, Alfano non ha detto una parola sulle motivazioni.
Da qui al 27 non sono ancora in programma incursioni televisive. Porta a Porta per esempio, lunedì, che è il primo giorno utile a questo punto, ha previsto già una puntata dedicata al Pd.
Restano le tv di casa, ma non c’è nulla di certo. Unici punti fissi sono: il no alla legge di stabilità (sotto forma di astensione, forse, che al Senato vale come un voto contrario), il discorso da pronunciare in aule (e le fatidiche carte americane che lo scagionerebbero sulla frode fiscale Mediaset), il sit-in che stanno organizzando i fedelissimi per il 27 attorno a Palazzo Madama.
Manca il guizzo del Condannato, la pennellata che dà colore alla lotta e alla resistenza. Quella non c’è, per il momento.
C’è l’immagine triste del Satiro del Bunga Bunga che non convoca più le riunioni a Palazzo Grazioli e rimane fuori casa per tutto il giorno, come un qualunque marito insofferente.
Ieri, nel giorno in cui si sono conosciute le motivazioni della sua condanna per prostituzione minorile, il Cavaliere si è concesso una cena, sempre a san Lorenzo in Lucina, coi giovani del movimento azzurro guidato da Annagrazia Calabria.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile IL CONS. REG. MASTRULLO ORGANIZZAVA BUS GRATUITI DI SIMPATIZZANTI PER ANDARE AL CONGRESSO DEL PDL: MA NON PARTECIPAVA NESSUNO E I MANCATI VIAGGI PER 13.300 EURO LI ADDEBITAVA ALLA REGIONE
Certo, ci sono tutti i classici del genere. Le false residenze per farsi rimborsare più chilometri, cene a base di tartufo, parenti assunti, cravatte di lusso, creme antirughe, mazze da golf, prosciutto, anelli, fiori, profumi, solarium e centri benessere.
Truffe e peculato.
Ma c’è anche un modo speciale di intendere la normale attività politica ai tempi della crisi.
«La mia attività politica si svolgeva per il tramite di vari gruppi di giovani volontari, compresi amici e parenti, che in modo saltuario ma puntuale consentivano la mia presenza sul territorio, finalizzata alle celebrazioni di convegni e di manifestazioni partitiche. Il ricorso alla collaborazione del volontariato non deve essere considerato in modo negativo, ove si pensi che il Pdl ha struttura organizzativa e politica radicalmente diversa da quella dei partiti tradizionalmente esistenti. Non ho mai cercato di dissimularlo con assunzioni mediante contratti di vario genere o altre forme che potessero minare la mia lealtà istituzionale e configurare un arricchimento personale».
Gruppi di volontariato, dunque. Anche se non proprio disinteressati.
«L’azione di sostegno alla mia attività politica operata da questi piccoli gruppi, veniva gratificata una tantum con incontri al bar, al ristorante, non esclusa casa mia: con qualche omaggio di natura diversa, che poteva andare da un profumo a un modesto capo di abbigliamento, sino a un biglietto di una partita di calcio. L’articolazione dei vari gruppi di collaboratori volontari può spiegare la contemporaneità di molte spese…».
Angiolino Mastrullo è uno dei 43 consiglieri della Regione Piemonte che ha ricevuto l’avviso di conclusione indagini. Sta per essere rinviato a giudizio.
Ha 64 anni, giornalista e imprenditore, arriva dal Psi, è stato uno dei fondatori di Forza Italia in Piemonte.
Gli contestano spese per 39 mila euro per ristoranti, bar e generi alimentari. Altri 8 mila 700 euro per acquisti vari: televisori, cuffie, gioielli, articoli per animali, occhiali, valigie in pelle, biglietti per le partite.
Ma anche un rimborso spese davvero particolare, unico nel suo genere.
E cioè 13 mila 300 euro per una trasferta a Roma, in occasione del congresso nazionale del Pdl del 30 giugno 2011.
Lui ai magistrati lo ha spiegato così: «Nell’occasione è stato messo a disposizione un pullman per il trasporto di persone e simpatizzanti, ma non si sono presentati e il viaggio è saltato. La messa a disposizione del pullman, contrattata più volte con il medesimo proprietario, si è rivelata più volte un vero flop, perchè le persone invitate dai consiglieri regionali, pur avendo aderito all’iniziativa, non si sono presentate alla partenza!» .
Poi specifica: «Nel caso della manifestazione del 1° luglio 2011, fallito per l’assenza dei simpatizzanti invitati, il proprietario pretese il rispetto del rapporto contrattuale minacciando il ricorso all’autorità giudiziaria per avere il pagamento, anche delle precedenti occasioni. Ovvero: messa a disposizione del pullman e mancata partenza. Nasce da questo poco lodevole comportamento degli assenti, la spesa di 13 mila 300 euro da me proposta al gruppo del Pdl per scongiurare il pericolo di un contenzioso che avrebbe aggravato la spesa».
In estrema sintesi: il viaggio fallimentare dei simpatizzanti-volontari del Pdl, che dovevano a andare a sentire Berlusconi, è stato pagato con soldi pubblici, per evitare controversie legali con l’autista del pullman stesso, inferocito dal mancato introito.
Un piccolo spaccato di vita politica.
Il presidente del Consiglio regionale Valerio Cattaneo, anche lui del Pdl, indagato a sua volta per acquisti di cravatte e gioielli, 9000 mila euro di alberghi e 1800 euro per biglietti di auguri natalizi del Popolo della Libertà , preferisce non commentare: «Devo studiare le carte».
Non commenta il consigliere del Pdl Anna Rosa Costa, sotto accusa per 19 mila euro di ristoranti e 9 mila euro in spese varie, fra cui pneumatici, profumi e gioielli.
Non commenta nessuno. Sono giorni così, di silenzi, rabbia e incontri con gli avvocati.
Mastrullo è uno dei pochi che non si tira indietro: «Sto molto male per quello che è successo – dice – sono entrato in Regione nel 2010. Ho chiesto quali erano le regole per i rimborsi. Mi sono attenuto fedelmente a quanto mi è stato detto. Appena ho capito quello che stava succedendo, ho rinunciato ai soldi ancora a mia disposizione. Mi fa male chiudere in questa maniera una carriera politica di quarant’anni. Ci sarà tempo per spiegare, ma non doveva andare così».
Niccolò Zancan
(da “La Stampa“)
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Novembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile RIMBORSI REGIONE PIEMONTE: LE INDAGINI DELLA G.D.F. SVELANO LA VERA NATURA DI MOLTE SPESE SPACCIATE PER ATTIVITA’ POLITICA….A CINQUE CONSIGLIERI CONTESTATA ANCHE LA TRUFFA
A cinque consiglieri è contestata la truffa, tre devono rispondere di finanziamento illecito ai partiti per
aver usato i soldi del gruppo per pagare spese elettorali, per tutti gli altri l’accusa è di peculato.
Il giorno dopo la chiusura delle indagini della procura su Rimborsopoli, si cerca di capire chi è accusato di cosa, chi ha preso di più.
Chi è stato il più spudorato nell’intascarsi i soldi pubblici che dovrebbero servire – sulla carta – a garantire il funzionamento del gruppo consiliare.
Le trasferte
Per andare in Consiglio regionale e a tutti gli impegni istituzionali, ad esempio, c’è il rimborso chilometrico per chi risiede fuori Torino.
Antonello Angeleri, Gianfranco Novero e Daniele Cantore però, avevano dichiarato false residenze. Truffa.
Stessa accusa per Maurizio Lupi, per il compenso alla figlia Sara, che risultava collaboratrice del gruppo, in realtà – secondo i pm – studiava all’estero.
Ed erano false le fatture che Roberto Boniperti si era fatto rimborsare. Ad Andrea Stara e Monica Cerutti, oltre che a Merceds Bresso, è contestato il finanziamento illecito ai partiti. Devono rispondere anche di peculato, a differenza dell’ex zarina.
E qui si chiude il capitolo centro-sinistra, se si escludono i 3 consiglieri Idv.
I testimoni
Non che anche all’opposizione non ci siano state spese sospette o quanto meno bizzarre da giustificare.
Ma tra l’indignazione e la condanna c’è di mezzo la legge, e la legge esige prove concrete che reggano al processo.
Gli investigatori hanno ascoltato decine di testimoni, dai ristoratori ai titolari dei negozi dove sono stati effettuati gli acquisti, per capire chi ha pagato cosa e per quale motivo.
E hanno fatto un lavoro certosino sui tabulati telefonici per verificare se chi diceva di essere a una cena «politica» si trovasse davvero lì.
Sorpresa: in alcuni casi la ricevuta era da una parte e il consigliere da tutt’altra.
Altro caso: la cena ci fu veramente, peccato che quello che spacciavano come incontro di natura politica fosse una cena di compleanno in famiglia.
E che a rivelare la verità sia stato l’appunto sull’agenda del consigliere trovata durante le perquisizioni.
Difficile poi sostenere come esigenza legata al rapporto con l’elettorato le cene al mare in ferie o quelle in vacanza sulla neve.
Arduo immaginare l’esigenza istituzionale di una cena interamente a base di tartufi.
Ma c’è anche questo negli atti dei pm.
Le verifiche incrociate hanno salvato invece i consiglieri del Pd coinvolti. Al di là delle spese minime, non prese in considerazione, su quelle sospette gli inquirenti sono riusciti ad avere riscontri che possono far ricondurre gli esborsi nell’ambito delle attività istituzionali.
Paola Italiano
(da “La Stampa”)
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Novembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile LE STANZE DELL’EX TESORIERE SONO STATE OCCUPATE DAI FORZAITALIOTI E LE TRUPPE ALFANIANE NON POSSONO ENTRARE
Il nuovo soggetto politico si organizza e muove i primi passi dopo il divorzio dagli ex colleghi Pdl passati a Forza Italia, ma intanto i deputati di Nuovo centrodestra si ritrovano in Parlamento senza una collocazione in Aula, una struttura del gruppo e nemmeno un ufficio.
Giovedì mattina la sorpresa per Maurizio Bernardo, ex tesoriere del gruppo Pdl a Montecitorio.
Al suo arrivo nelle stanze occupate in questo primo scorcio di legislatura, si è visto negare l’accesso: a Bernardo è stata mostrata una lettera firmata dal presidente dei deputati di Forza Italia Renato Brunetta che spiega che quegli uffici sono ormai destinati soltanto ai forzisti.
Grande l’amarezza tra i deputati della nuova formazione politica.
«Forza Italia si conferma partito della rabbia», scuote la testa un deputato, che però aggiunge di aver ricevuto la solidarietà per quanto sta accadendo al gruppo anche da alcuni colleghi rimasti nel partito di Berlusconi.
Ad ogni modo, la condizione di «apolidi» dovrebbe durare ancora per poco: la prossima settimana ai deputati di Nuovo centrodestra (che sono 29, circa un terzo del vecchio Pdl) dovrebbero essere assegnati i nuovi uffici e anche una collocazione in Aula, nel secondo settore, con Forza Italia alla loro destra e i Cinque Stelle alla loro sinistra.
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile UN BUCO DI BILANCIO DI 9 MILIONI DI EURO: SE FOSSE UN’AZIENDA PRIVATA AVREBBE GIA’ DOVUTO PORTARE I LIBRI IN TRIBUNALE E DICHIARARE FALLIMENTO… MA PRIVATIZZARE NON SERVE, OCCORRE PAREGGIARE IL BILANCIO
Oggi è il quarto giorno che Genova è bloccata nel suo servizio di trasporto pubblico, essenziale per
garantire la mobilità dei cittadini.
Da quattro giorni va in scena una vergognosa commedia delle parti che penalizza solo i ceti meno abbienti, i lavoratori che non possono raggiungere uffici e aziende, gli studenti che non riescono ad andare a scuola, gli anziani che devono sbrigare qualche pratica.
In teoria ci si può muovere con la propria auto, purchè non si incappi in qualche blocco stradale dei dipendenti Amt che peraltro hanno dato il meglio di sè quando hanno invaso l’aula del Consiglio comunale, impedendo di fatto il suo svolgimento e insultando sindaco e assessori qualora non venisse ritirata una delibera che prevede la possibilità dell’ingresso di privati nell’azienda.
Il sindaco Doria ha prima permesso che i contestatori arrivassero nell’aula del Consiglio, confidando di poter gestire la situazione, salvo poi chiedere (senza ottenerlo) l’impiego della forza pubblica per liberarla.
Il senso del rispetto delle istituzioni per qualcuno è ormai un optional cosi come quello della legge.
Le forze di polizia sono gestite dai loro vertici come uno studio fotografico: fare foto ma non intervenire.
Ovvero se viene violata la legge fare finta di nulla, fotografare e, tra qualche settimana, denunciare.
Il prefetto fa il compitino, precetta e ricorda che chi viola la precettazione rischia una multa fino a 500 euro al giorno, ma non rammenta come anni fa finì una vicenda analoga: centinaia di autisti denunciati, nessuna condanna penale, riduzione al minimo dell’ammenda, concorso nel pagamento dei sindacati, collette varie: in pratica chi viola la legge non rischia nulla.
Cortei non autorizzati, blocchi stradali, interruzione di pubblico servizio, “dissuasione” nei confronti di una associazione dei consumatori che aveva noleggiato un autobus per portare al lavoro qualche abitante della Valbisagno, violenza privata per aver fatto irruzione nell’aula del Consiglio comunale e impedito lo svolgimento dello stesso, picchettaggio alle autorimesse.
Tutto lecito per chi dovrebbe far rispettare la legge.
Il sindaco Doria è una persona per bene alla guida di una coalizione sgangherata e alla fine rimedia una brutta figura: prima vuole aprire ai privati, poi torna sui suoi passi e chiede gli stessi sacrifici che i lavoratori avevano accettato l’anno scorso in cambio di un altro anno di attesa senza dover portare i libri in tribunale per dichiarare il fallimento di Amt.
Ma i sindacati devono fare i duri e puri (visto che hanno perso centinaia di iscritti) e lo sciopero va avanti: i soldi devono metterceli altri.
Peccato che, a causa dei tagli statali, il Comune non possa buttare a mare più di 30 milioni l’anno per Amt, resta un buco di 9 milioni, ridotti fose a 4 da nuovi calcoli odierni.
Doria sbaglia ad auspicare una parziale entrata di privati, ma eredita colpe non sue.
Dallo sfascio creato dalla giunta Pericu, scendendo per scelte che hanno sempre penalizzato il servizio pubblico a vantaggio del traffico privato, dall’aver assorbito debiti della società di manutenzione, il declino viene da lontano.
Perchè i vertici Amt non dicono quanti dirigenti ci sono in rapporto agli impiegati?
Le clientele pagano elettoralmente, ma chi paga di tasca sono poi gli utenti.
E che dire di quei dipendenti Amt “passati” al Comune per fare gli ausiliari del traffico e improvvisamente malati al 70% di fronte alla prospettiva “poco dignitosa” di staccare multe?
La soluzione non sta nel privatizzare, è già stata tentata la strada con i francesi di Transdev che dopo qualche anno se la sono data a gambe.
Chi è mai il folle che investe quattrini in una azienda che non solo non produce utili, ma deficit certificati e sicuri?
O che se entrasse ridurrebbe le corse a un paio di linee redditizie e tutti gli altri andrebbero a piedi?
Chissà come mai nessuno propone la cancellazione del biglietto integrato bus + treno che permette di utilizzare il biglietto Amt anche sui treni locali nel tratto cittadino, un lusso che costa ad Amt 7,5 milioni l’anno da versare alle Ferrovie dello Stato.
Il debito di 4 o 9 milioni che sia sarebbe quasi azzerato con buona pace di tutti.
Obiezione: ma da Voltri a Genova uno col treno ci mette molto meno che con il bus: a parte che nessuno vieta di prendere il treno e pagarselo, basterebbe che si facessero le corsie preferenziali ( e che venissero fatte rispettare) e i bus raddoppierebbero la velocità di percorso.
Un po’ di coraggio Doria, vieta la circolazione delle auto in determinate zone nevralgiche del centro città e vedrai che aumenteranno anche gli utenti del servizio pubblico: funziona così in tante capitali europee e non è mai morto nessuno per eccesso di passeggio, molti invece certamente per inquinamento.
Magari ci sarebbero anche meno auto in giro e meno multe da comminare, così i dipendenti Amt “prestati” al Comune come ausiliari del traffico ritornerebbero a fare gli autisti.
E siamo certi che riacquisterebbero subito un’ottima salute.
Ultima osservazione: i dipendenti Amt e i politici, messi insieme, rappresentano al massimo l’1% dei cittadini genovesi.
Il restante 99% si è rotto le palle di pagarsi un taxi o di perdere una giornata di lavoro per la loro arroganza e/o insipienza.
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Novembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile DOPO L’ASSALTO DEGLI AUTISTI AMT: “L’ODIO DELLA GENTE MI FA STARE MALE”
Mancavano due giorni alle primarie. In quell’inizio di febbraio del 2012 sulla città tirava un vento gelido, che qui chiamano tramontana nera
Marco Doria, docente di economia, ultimo erede di famiglia che più nobile non si può, era uscito di corsa dalla lezione.
Aveva raggiunto i volontari che facevano campagna per lui in un mercato rionale. «Si avvicina un signore dall’aria per bene. Prende il volantino con sopra la mia faccia. La guarda con attenzione. Io aspetto con fiducia la sua reazione, mi preparo a sorridere. “Uno dei soliti politici di merda”, dice il signore. Accartoccia, getta per terra, e si allontana».
Il futuro sindaco di Genova raccolse quel volantino. È ancora in un cassetto della sua scrivania. «La scritta sotto alla faccia era uno slogan sulla mia provenienza dalla società civile. In quel momento realizzai che io, un non professionista della politica, sarei ben presto stato assimilato a una categoria alla quale ancora sento di non appartenere».
Sono giorni difficili, per Genova e per il suo sindaco, che martedì pomeriggio è stato strattonato e insultato durante il consiglio comunale, costretto a uscire scortato dalla «sua» aula.
Lo sciopero selvaggio dei dipendenti dell’Azienda municipale dei trasporti ferma la città . La loro protesta contro l’ipotesi della privatizzazione fa emergere le contraddizioni di una giunta nata dalla vittoria di un fronte molto, forse troppo eterogeneo, dove speranze e convinzioni personali spesso devono cedere il passo alla brutale realtà .
Alla fine il sindaco ha deciso che i privati entreranno nel trasporto locale, ma ha rinviato la scelta a dopo il 2014.
Marco Doria ha sempre confidato su un tratto austero che gli deriva dai cromosomi, creandosi fama di anti-personaggio, nostalgico del vecchio Pci, costretto solo dagli incarichi istituzionali a comprare il primo telefonino della sua vita, alla tenera età di 56 anni. Non è bastato.
«Da quel lontano giorno delle primarie ho capito che a molta gente non interessa conoscere la persona, a valutarla da quel che fa. Il sindaco, per loro, diventa soltanto il catalizzatore della rabbia, il rappresentante più visibile di una categoria di nemici».
Se l’aspettava così dura?
«Ci sono cose che non avevo previsto. L’aggravarsi della crisi ha complicato tutto. Quando sono stato eletto, l’allora premier Mario Monti parlava di luce in fondo al tunnel. Forse si riferiva a un treno in arrivo. C’è in giro una disperazione cupa, aggressiva».
La crisi non è anche un alibi che maschera difficoltà politiche?
«Le condizioni della finanza locale sono critiche. Non abbiamo soldi. Questo balletto sull’Imu è indecente. Ancora non sappiamo su quante risorse possiamo contare per il 2013. E siamo alla fine di novembre».
La sorpresa più grande?
«Non potevo immaginare quanto la figura del sindaco sia un catalizzatore di aspettative. O meglio, non conoscevo l’intensità di tale sentimento, che oscilla facilmente dall’amore all’odio. È una altalena che mette a dura prova».
Il partito dei sindaci non se la passa bene.
«Paghiamo tutti uno scarto brusco tra la corsa al potere e la sua gestione. Non cerco alibi, ma insomma, di questi tempi la realtà è davvero brutale».
Non è che avete creato qualche illusione di troppo?
«In campagna elettorale si suscitano aspettative, questo è un dato di fatto. Ma io sono stato molto prudente, il più possibile realistico».
Qualche suo collega è spesso accusato di populismo.
«Lo detesto, il populismo. Penso che in un momento storico come questo sia pericoloso. Comunque tra noi sindaci esistono molte differenze».
La più evidente?
«Io e Giuliano Pisapia abbiamo vinto da indipendenti le primarie del centrosinistra, come Fassino, all’interno del Pd. Federico Pizzarotti, Leoluca Orlando e Luigi De Magistris hanno seguito un altro percorso, spesso in opposizione al candidato del centrosinistra. In fondo condividevamo solo una certa spinta al cambiamento».
Mai stato tentato dalla lista dei sindaci?
«Non ci ho mai creduto. Non mi interessa. Un progetto estraneo alla mia cultura».
Come giudica il recente assedio al consiglio comunale?
«Hanno attaccato una istituzione democratica. Pura prevaricazione. Una prepotenza inammissibile. Il mio è un giudizio politico».
Dica la verità : quanto le fa orrore l’idea di privatizzare un’azienda pubblica?
«Non ho un approccio ideologico di demonizzazione del privato. Siamo reduci da anni dove tutto il pubblico sembrava inefficiente, da ridurre ai minimi termini. Adesso c’è una inversione di tendenza. Io cerco di superare questa contrapposizione astratta. Decido un caso alla volta».
Rimandare la decisione sui trasporti al 2014 non è darla vinta a chi ha fatto la voce grossa?
«Non esiste un veto a priori. Non deciderò mai in base all’ideologia e alle prepotenze altrui».
Si chiede mai chi glielo ha fatto fare?
«Ogni tanto. La mia vita personale è decisamente peggiorata. Volevo essere utile, per spirito di servizio. Non avevo messo nel conto questa amarezza, questa rabbia che non fa distinzioni, che non tiene conto dei comportamenti delle persone. Ma io ci credo ancora. Sono obbligato a crederci, per il ruolo che rivesto».
Marco Imarisio
(da “il Corriere della Sera“)
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