Dicembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile DENTRO I LOCULI FABBRICA DEI CINESI
Da lì non si esce. Mai. Nemmeno la luce del sole si vede. Mai. Le vetrate sono ricoperte da strati di cellophane nero. Dall’esterno non si deve vedere niente. Anche le finestre sono sempre chiuse, d’estate come d’inverno. Bisogna fare il minimo rumore. Nell’aria sale e scende la fuliggine provocata dal cotone che incessantemente passa sotto i macchinari. Sembra neve. Se ne trova a batuffoli sulle cucitrici, per terra, sugli abiti. Ma anche nei capelli degli operai, sulla loro pelle. La respirano 24 ore.
Nelle fabbriche della cinatown più grande d’Europa, i cinesi ci vivono.
Sono luoghi inaccessibili per gli altri. Monitorati dall’esterno da telecamere a circuito chiuso. Se bussate non risponde nessuno. Eppure si sente il lavorio frenetico delle persone.
Se bussate con più insistenza i macchinari rallentano o, comunque, diminuisce il rumore. Dalle spalle vedete spuntare un gruppo di due o tre cinesi. Non riuscite a capire da dove. Non fanno niente, vi osservano.
E continuano ad osservarvi finchè non andate via. In alcuni casi vi seguono e vi scortano per un po’ di strada finchè non siete lontani abbastanza.
INFERNO E CONTANTI
Partecipiamo a un blitz notturno del comando provinciale della Guardia di Finanza di Prato. Su 6500 imprese tessili, 3500 sono cinesi.
La notte come il giorno non fa differenza. Qui si lavora sempre, non esistono turni, festività , giorni di riposo, malattie.
Almeno non per i nuovi schiavi cinesi che ci lavorano. I boss, invece, fanno la spola con la madre Cina.
In occasione del carnevale stanno via anche un mese intero. Loro arrivano con le Porsche in fabbrica, si portano appresso valigette piene di contanti. Poi vanno via. Sono da poco passate le due di notte quando le volanti della Guardia di Finanza bloccano due fabbriche. Si trovano alla periferia della città . Ci sono tanti banchi di lavoro uno attaccato all’altro, montagne di tessuti e fusi.
Quando entriamo sono tutti di spalle. Sono tutti a lavoro. Lungo uno dei perimetri del capannone ci sono pareti di cartongesso con una porta di legno al centro. Li chiamano “loculi”.
Perchè più che assomigliare a una stanza da letto ricordano le nicchie nei cimiteri: piccole, strette, basse, senza luce o punto d’aria. Alcune non hanno nemmeno il solaio. Oppure è fatto di cartone e pezze. Quelli più fatiscenti li tengono nascosti.
Ogni capannone nasconde un’intercapedine che, in genere, porta al piano superiore. Nel nostro caso una finta libreria nascondeva l’accesso alle scale. Quello che si vede è qualcosa di bestiale. Esseri umani ammassati l’uno accanto all’altro in stanze di cartone e pavimenti di amianto. In un armadio a tre ante poggiato su una parete di un corridoio si sentono dei rantoli. Lo apriamo pensando ci siano topi; c’è un ragazzo a dormire. E’ così rattrappito per il poco spazio e stordito per la poca aria da non riuscire ad alzarsi.
Molti di loro si appoggiano sui letti vestiti. Devono essere operativi sempre. Pronti a cambiare turno. Non ci sono servizi igienici per tutti. C’è un solo bagno per piano. Mediamente devono servire una trentina di persone
Accanto a ogni materasso (spesso senza rete, appoggiato a terra) ci sono bacinelle per urinare e fare i bisogni. Mangiano in un angolo ricavato sempre in fabbrica dove l’assenza di finestre contribuisce a rendere tutto grasso e nero. Le pareti sono unte e attorno ai sacchi di alimentari (soprattutto riso e uova) c’è una colla nera. Ci spiegano che serve per catturare gli scarafaggi. Le porte non ci sono. Le sostituiscono veli, lenzuola, paraventi.
A terra, tra una stanza e l’altra, ci sono tavole di truciolato alte più o meno mezzo metro. Servono per non far passare i topi dove ci sono i bambini. Già , i bambini. Fanno la stessa vita dei genitori. Qualcuno più fortunato va a scuola. Gli altri lavorano in fabbrica. Proprio accanto ai macchinari tenta di appisolarsi una bambina dal viso dolcissimo. E’ seduta in mezzo al letto, non ha sonno. Con il trambusto delle macchine in azione è difficile anche sentire il vicino parlare. Chiediamo alla mamma quanti anni ha. Non capisce l’italiano.
I BAMBINI NASCOSTI
La bimba invece sì. Alza le manine e forma il numero 8. Ha otto anni. Nei due capannoni che perlustriamo ne sbucano tantissimi. Tutti molto piccoli. Una di loro parla italiano. La luce della telecamera la sveglia. Ci dice che la mattina va a scuola. Il resto della giornata lo passa in fabbrica con i parenti. Prato, l’Italia… per lei sono quella stanza di cartone e la strada che fa per andare a scuola.
I cinesi a Prato come a Firenze o Livorno sono indicati come i nuovi padroni. Ma di quelli che arrivano in Ferrari o pagano i conti degli hotel superlusso con mazzette di banconote o comprano interi palazzi in centro a suon di sacchi zeppi di euro, questa gente non sa nulla.
Sanno che producono una cosa che chiamano “pronto moda”. Non c’entra niente con il pret à porter dei grandi marchi di abbigliamento. Ma forse nemmeno sanno di essere i nuovi schiavi del terzo millennio. Non sanno nemmeno di produrre un volume d’affari stimato in 400 milioni di euro all’anno che vanno in Cina con il money trasfer e di cui non vedono nemmeno le briciole.
Su un tavolo notiamo una specie di libro contabile. I finanzieri ci dicono che sono le commesse e le scadenze per le consegne. E’ scritto in cinese. Ma le cifre si capiscono. Nel periodo in cui andiamo noi è in lavorazione un vestito per l’estate prossima.
Ha una scritta sul petto bella grande: “Smile to life around you and carry on” (sorridete alla vita intorno a voi e andate avanti).
Stona maledettamente come quel “Il lavoro rende liberi” all’entrata dei campi di concentramento nazisti. All’operaio vanno 40 centesimi di euro a capo finito.
Nessuno sorride, nessuno chiama questa “vita”. E c’è chi per quei 40 centesimi ci lascia la pelle.
Questo in Italia, non in Cina.
Antonio Crispino
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Dicembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile “SE NON VOGLIAMO CHE TRIONFI IL MODELLO CINESE L’EUROPA DOVRA’ RESTARE UNITA”
Non usa mezzi termini il deputato europeo dei Verdi, il tedesco Daniel Marc Cohn-Bendit,
nell’opporsi all’idea del leader del M5S Beppe Grillo di indire un referendum che possa mettere in discussione la presenza dell’Italia nella moneta unica.
“Uscire dall’Euro? Ma che, è matto?”. Tuona Cohn-Bendit durante una conferenza stampa a Milano per presentare una serie di iniziative italiane dell’Europa in green party: un nuovo simbolo per l’Italia e l’idea di avviare sul web le primarie, per scegliere il nome del prossimo segretario europeo del movimento.
Secondo Cohn-Bendit non si può mettere in discussione l’unità europea.
“Anche se a livello sociale e nelle politiche ambientali — ha aggiunto l’europarlamentare — è stato fatto poco, in futuro ci si dovrà confrontare con nazioni come la Cina. L’Italia, la Germania o la Francia (che tra trent’anni nemmeno saranno più nel G8) da sole non avranno mai la forza per contrattare con queste superpotenze; per cui se non vogliamo che trionfi un modello cinese, che in questi giorni, con la tragedia di Prato, ha dimostrato tutta la sua improponibilità , dobbiamo restare nell’alveo di un’Europa unita, per aver la forza di combattere”.
All’incontro con Daniel Cohn-Bendit era presente anche Giorgio Ambrosoli, leader del Patto civico in Regione Lombardia, anch’egli europeista convinto.
“Lo dobbiamo ai nostri giovani — ha detto l’eruoparlamentare — perchè solo nell’ambito di un’Europa unita sarà possibile per loro trovare una qualche speranza nel futuro”
Fabio Abati
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile NO DEL GIP ALL’ARCHIVIAZIONE DELLE ACCUSE DELLA SEGRETARIA DI FINI: “APPROFONDIRE I GIRI DI DENARO PER MILIONI DELLA FONDAZIONE”
Decine e decine di milioni di euro di Alleanza nazionale, il giudice «obbliga» al magistrato romano di indagare.
Niente archiviazione dunque sulla gestione del patrimonio dell’ex partito di centrodestra. Anzi.
Il gip Anna Maria Fattori in sette pagine scrive nero su bianco, il 21 novembre scorso, che il pubblico ministero deve effettuare ulteriori indagini sulla destinazione delle risorse del Partito confluito nel Pdl.
Si tratta sia di denaro «liquido», 50 milioni, sia di immobili di pari valore. Quindi, 100 milioni di euro.
Per questa gestione è finito sotto inchiesta Franco Mugnai, che recentemente ha diffidato Francesco Storace dall’usare il simbolo di An.
Oltre a lui erano stati denunciati da Rita Marino anche Maurizio Leo, Francesco Biava, Roberto Petri e Pierfrancesco Gamba, quali componenti del Comitato dei Garanti, e Antonio Giordano, vicepresidente del Comitato di Gestione nominato dallo stesso Comitato dei Garanti il 28 ottobre 2010.
L’accusa di Marino: non aver conservato il patrimonio del disciolto partito An ma averlo depauperato.
Dopo una serie di indagini, però, la procura di Roma ha chiesto l’archiviazione del procedimento penale e quindi della posizione di Mugnai.
Uno stop è invece arrivato dieci giorni fa dal gip, che ha sciolto la riserva disponendo al sostituto procuratore numerose indagini.
«Appare evidente che la richiesta di archiviazione non possa essere accolta dovendo essere svolte ulteriori indagini per il completo accertamento dei fatti – scrive il gip – anche ulteriori e diversi da quelli iscritti e segnatamente in ordine alla causale dei pagamenti effettuati attraverso strumenti bancari dai comitati del disciolto partito Alleanza nazionale nel periodo successivo al suo scioglimento. I destinatari di detti pagamenti (sui cui conti bancari di cui abbiano comunque la disponibilità anche per interposta persona o ente, anche esteri, dovranno effettuarsi ulteriori attività di indagine a riscontro del percepito). Alla disponibilità di conti esteri del disciolto paritito An anche per interposta persona; sui soggetti delegati a operare su detti conti; sulla conformità delle operazioni ai deliberati assembleari; sull’individuzione di fonti di prova documentali e dichiarative sui rapporti tra gli indagati e i soggetti destinatari dei pagamenti o comunque beneficiari di atti dispositivi del patrimonio mobiliare o immobiliare del disciolto partito di An».
Insomma, il giudice per le indagini preliminari romano ha ordinato dieci giorni fa di compiere ulteriori indagini a 360 gradi. Anche sulla base di quanto avevano nei mesi scorsi evidenziato le indagini della Guardia di Finanza.
Le Fiamme Gialle, infatti, avevano consegnato al pm informative nelle quali si faceva presente la necessità di portare avanti altri accertamenti bancari.
Il 30 luglio 2012 gli investigatori hanno riferito al pm la necessità di compiere indagini su istituti bancari dislocati su tutto il territorio nazionale. Non solo.
La Finanza ha inoltre depositato un’altra informativa, era il 28 febbraio 2013, nella quale evidenziava «numerosi bonifici non solo a favore della omonima Fondazione, ma anche a favore del partito politico “Il Popolo della Libertà ” per l’importo di 8.537.187,10 euro, a favore di privati o imprese dei quali gli istituti bancari non avevano indicato il nominativo per importo complessivo di oltre 9 milioni di euro, nonchè di emissione di assegni circolari per un importo di 3.897.128,90 euro, di ricevuti bonifici dalla Camera dei ceputati per rimborsi elettorali pari a 16.364.736,69 euro e dal partito politico Popolo della Libertà (quattro bonifici di cui due con causale “bonifico dall’estero”) per un importo pari a 28.568.247,89 euro»
Il gip ha dunque chiesto una serie di indagini mirate a svelare la verità sul patrimonio di Alleanza nazionale, soprattutto attraverso esami bancari in Italia e all’estero e ha in sostanza smontato quanto sostenuto dal magistrato romano.
Secondo il pubblico ministero, infatti, «sulla base delle indagini esperite allo stato non sono emersi elementi per ritenere sussistenti singole ipotesi di appropriazioni indebite di somme di denaro da parte dei membri del Comitato dei Garanti, la sui condotta rappresenta allo stato mero illecito di natura civile per non essersi limitati a una mera attività di conservazione finalizzata alla liquidazione del disciolto partito».
Neanche un po’ secondo il giudice per le indagini preliminari.
Tanto che nell’ordinanza del 21 novrembre scorso scrive: «Siffatto argomentare non può essere condiviso anche in quanto fondato su risultati di indagini incomplete e che, di contro, come segnalato dalla polizia giudiziaria» che lo scorso febbraio richiedeva ulteriori approfondimenti investigativi. Che non sarebbero stati effettuati, tanto da portare il gip a sciogliere la riserva dopo due settimane dall’udienza e disporre alla procura accertamenti più approfonditi.
A supporto di questa richiesta, anche il fatto che il giudice prende in esame anche la relazione degli ispettori nominati dal presidente del Tribunale di Roma del gennaio del 2012, nella quale «evidenziano come i Comitati transitori non solo non avevano proceduto alla liquidazione del patrimonio del partito di Allenanza nazionale ma ne avevano depauperato il patrimonio per un importo di 26 milioni di euro».
Nelle sette pagine, il gip va anche oltre, sottolineando come «giova evidenziare come in detto provvedimento non solo si rileva come le attività del Comitato di Gestione e quello dei Garanti siano state oggettivamente non liquidatorie, ma come il trasferimento dalla Fondazione dei contributi elettorali oltre che determinare la perdita di garanzia prevista dal comma 6 dell’articolo 1 della legge 157/’99 per i debiti assunti dal partito in campagna elettorale potrebbe ledere le legittime aspettative dei soggetti nei cui confronti venga accertata la legittimità di quelle somme».
La procura di Roma, adesso, ha a disposizione, per compiere le indagini richieste dal giudice, sei mesi di tempo prima di depositare le sue ulteriori conclusioni di indagine.
Augusto Parboni
(da “il Tempo”)
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Dicembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile LAUREE TAROCCO, DIECI ITALIANI SOTTO INCHIESTA: “HANNO CONSEGUITO LA LAUREA IN SCIENZE SOCIALI SENZA MAI ESSERE VENUTI UN SOLO GIORNO IN ATENEO”
“Sono una decina gli studenti italiani indagati a Tirana per aver conseguito una laurea senza aver mai
seguito le lezioni nelle università private albanesi”.
Lo dice a Radio 24 Samjr Tahiri, ministro dell’Interno albanese. “Non vogliamo il turismo delle lauree comprate: questi studenti fantasma sono indagati per corruzione, abuso d’ufficio e altri reati”.
E Renzo Bossi, figlio di Umberto, detto ‘il Trota’, “è uno dei casi”, ha aggiunto.
Il suo nome, peraltro, era spuntato per la stessa vicenda per l’inchiesta sull’utilizzo dei fondi pubblici per la Lega che ha coinvolto i vecchi vertici del Carroccio.
A Tirana il governo ha avviato un’operazione di verifica di qualità sul business degli atenei privati aperti.
Sul punto il ministro dichiara: “Affidiamo a una società internazionale di valutazione di verificare gli standard di qualità degli atenei. Gli studenti fantasma sono un danno per tutti. Sono una decina gli studenti italiani su cui stiamo indagando, hanno preso la laurea in scienze sociali senza essere venuti neanche un giorno”.
E’ possibile arrivare alla revoca del diploma di laurea? “Quella sarà una decisione amministrativa, noi stiamo indagando anche su quanti vanno all’estero per individuare le persone che vogliono questa laurea e pagano”.
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Dicembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile IL GURU DEFINITO “QUESTO INDIVIDUO” NELLE CONVERSAZIONI
Gli piacciono i condottieri. Li adora. Soprattutto Gengis Khan e Napoleone. Solo che quelli stavano in prima linea. Mentre lui, Gianroberto Casaleggio, preferisce l’ombra.
La seconda fila. La dissolvenza. «Ci sono». «Sparisco». «Riappaio».
Convinto che la distanza accresca il carisma. Dunque il potere. La forza.
Ma quanta ne ha davvero, di forza, il Guru del Movimento 5 Stelle?
Esisterebbe senza l’energia contagiosa, superficiale e sgangheratamente rivoluzionaria di Beppe Grillo?
E quanti sono i parlamentari che hanno smesso di guardarlo come se fosse in grado di distribuire miracoli? Sarebbe bello chiederglielo, anche adesso, qui, a Genova, mentre con un plotone di guardie del corpo che spingono come dannati e guardano in cagnesco chiunque osi avvicinarsi al suo divino capello spiovente, attraversa piazza della Vittoria come se fosse un’ispezione militare, sussurrando frasi di saluto agli attivisti che provano inutilmente ad avvicinarsi.
E sarebbe bello domandargli che cosa pensi della mail inviata da un «suo» deputato ai colleghi la settimana scorsa
Una lettera nata dopo uno scontro verbale con il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio proprio sul ruolo del Guru nel Movimento. Che cosa dice la mail?
Testualmente. «Ora mi è definitivamente chiaro che c’è nel nostro gruppo qualcuno che è convinto di avere un rapporto, un legame e forse anche un debito di riconoscenza, nei confronti del signor Gianroberto Casaleggio. E sta cercando di legittimare questo individuo come una sorta di leader, un saggio, quasi un padre». Con disprezzo. «Questo individuo». Lo stesso a cui Grillo porge il microfono alle cinque del pomeriggio e che nei trenta secondi dedicati alla folla (mica può perdere tempo, lui) cita Marco Aurelio «Chi non è utile per l’alveare non lo è neanche per l’ape» e invoca «potere per il popolo».
Un dio minore, un genio del male o il Creatore di ogni cosa
Ai piedi del palco c’è il senatore Orellana, un altro che, in compagnia di venti colleghi di Palazzo Madama, ha smesso di guardare Casaleggio con complicità .
E che valuta il suo fulmineo intervento con stupore, come se quell’indecifrabile cinquantanovenne lombardo avesse azionato una minuscola leva nell’universo e in quel luogo preciso, per pochi istanti, avesse costretto la natura e il tempo a procedere a rovescio.
Siamo una democrazia orizzontale o verticale? Comandi tu o noi tutti? Orellana il dubbio ce l’ha. E del resto conosce bene la mail del collega della Camera.
Anche la parte in cui dice: «Sono mesi che viene infilato nei discorsi il nome di Gianroberto Casaleggio e della sua azienda. Io nella mia vita non ho mai avuto rapporti con imprenditori, potenti, lobby o massoni, e non ho mai avuto bisogno di avere rapporti o di legarmi in alcun modo con il signor Casaleggio». Massoni. Lobby. Potenti. E Casaleggio. Nella stessa durissima frase.
Qual è stata la reazione del gruppo? La solita. Fastidio e indifferenza.
Come avrebbe detto John Fante: «era un problema degno della massima attenzione. Lo risolsero spegnendo la luce e andandosene a letto».
Favoloso. A che ora è la fine del mondo?
Andrea Malaguti
(da “La Stampa“)
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Dicembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile DISCUSSIONE SUL PORCELLUM: PROBABILE SLITTI A GENNAIO/FEBBRAIO
Alla Consulta cresce il tam tam del possibile rinvio sul Porcellum. 
Un gesto di savoir faire istituzionale per dire alla politica “fate presto a cambiare la legge elettorale, senno decidiamo noi”.
A 24 ore dall’udienza pubblica più attesa della stagione, si possono già mettere alcuni punti fermi.
A partire dai possibili schieramenti tra gli alti giudici — tre in sostanza —, al di là del rinvio che farebbe slittare la questione tra gennaio e febbraio 2014.
Un gruppo ritiene inammissibile la richiesta della Cassazione, perchè aggirerebbe il divieto di ricorsi alla Consulta presentati da un singolo cittadino.
Nel nostro caso l’avvocato Aldo Bozzi, che con altri 25 cittadini si è rivolto al tribunale di Milano per contestare premio di maggioranza abnorme e negazione delle preferenze.
Un altro gruppo di giudici ritiene che la questione sia ammissibile, ma di difficile soluzione, perchè se si tocca la legge, in tutto o in parte, poi bisogna riscriverla, perchè altrimenti il Paese resta senza una legge fondamentale.
Un terzo gruppo è convinto che Bozzi e la Cassazione — il relatore della prima sezione civile Antonio Lamorgese — abbiano ragione, che i due quesiti debbano essere entrambi accolti, e che, per il principio della “illegittimità consequenziale”, la bocciatura trascinerebbe il Porcellum verso una tombale incostituzionalità , facendo rivivere il Mattarellum per evitare il vuoto legislativo.
È la “riviviscenza”, principio che alcuni negano e che altri giudicano possibile alla luce della sentenza sul referendum scritta da Sabino Cassese nel 2013
Ma partiamo dalle ultime novità pratiche.
Domani — l’udienza è alle 9 e 30 — non ci sarà nessuno, tantomeno l’Avvocatura dello Stato per conto del governo, a difendere il Porcellum.
È un primo dato molto indicativo. Ci sarà , invece, l’avvocato Bozzi, che parlerà dopo il relatore Giuseppe Tesauro, il noto ex presidente dell’Antitrust.
A seguire, ecco altre 16 cause, tutti conflitti tra Stato e Regioni.
Un calendario così nutrito porterà a “sforare” nel pomeriggio (gli avvocati sono già stati avvisati) e comporterà il rinvio della camera di consiglio al giorno dopo, mercoledì. Il Porcellum è la prima questione, ma potrebbe anche diventare l’ultima per la sua rilevanza ed essere rinviata di una settimana solo per mancanza di tempo.
Se si discute, e c’è il rinvio, ovviamente il caso per il momento si chiude. Qualora prevalga la tesi che i tempi troppo lunghi della politica esigono un passo della Corte, si parte dall’ammissibilità .
Dove la tesi prevalente è che la questione sia ammissibile, anche perchè se non lo fosse vorrebbe dire che la legge elettorale non è “sindacabile”, è “immune” da qualsiasi intervento sulla sua costituzionalità e che la Consulta ha le mani legate proprio su una legge che può violare la Costituzione e danneggiare i cittadini
Alla Corte sottolineano che, qualora si decida sull’ammissibilità , si andrà avanti anche sul merito. Qui il vero problema è cosa resta della legge, e se ne resta una, dopo le cesoie della Corte.
Per questo si rafforza la tesi della riviviscenza che, come scriveva Cassese un anno fa, “non opera in via generale e automatica e può essere ammessa solo in ipotesi tipiche e molto limitate, e comunque diverse da quella dell’abrogazione referendaria.
Ne è un esempio l’ipotesi di annullamento di una norma espressamente abrogatrice da parte del giudice costituzionale”.
Sembra proprio la fotografia del Porcellum azzerato e che va rivivere il Mattarellum.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile UN ITALIANO SU DIECI ABITA IN ZONE PERICOLOSE DOVE SI CONTINUA A COSTRUIRE
Non chiamatela emergenza. à‰ la condizione abituale per 6 milioni di italiani che vivono in zone ad alto rischio idrogeologico.
Altri 22 milioni convivono con un rischio medio.
Sì, anche noi che scriviamo, voi che ci state leggendo potremmo trovarci in una zona a rischio.
E non facciamo gli scongiuri, sono cinquant’anni che andiamo avanti così e si è dimostrato che la scaramanzia non serve.
Servirebbero bonifiche, opere di contenimento. E non altro cemento o dighe e porticcioli alle foci dei fiumi, che invece piacciono ai nostri politici e amministratori.
Basterebbe che si leggessero i dati dell’Associazione Nazionale Bonifiche o di Legamente, del Wwf e del Consiglio Nazionale dei geologi: 82% dei Comuni sono a rischio idrogeologico.
Così come 1,26 milioni di edifici, tra cui 6.000 scuole e 531 ospedali.
Bonificare costa meno che curare
E seppellire 9.000 morti Negli ultimi 40 anni le catastrofi più gravi sono avvenute nel 1966 tra Firenze e Pisa, nel 1970 a Genova, nel 1982 ad Ancona.
Poi Val di Fiemme, Valtellina, Piemonte, Versilia, Sarno, Soverato, Nocera Inferiore, Messina fino alla Sardegna. Ecco i nomi rimasti nella nostra memoria.
Ma dal 1950 al 2012 in Italia ci sono state 1.061 grandi frane, 672 inondazioni. Il bilancio: 9.000 vittime, 700.000 sfollati e senza tetto.
Si potevano evitare, molti, se non tutti. Certo, bisogna investire, ma si sarebbe comunque speso molto meno di quanto è costato poi gestire l’emergenza: il danno delle calamità dal 1945 a oggi è stato di 240 miliardi, cioè 3,5 miliardi l’anno.
Ma le bonifiche non si inaugurano con tagli di nastro, non portano voti. E soldi. Come le speculazioni edilizie e il cemento.
Così, dal 1990 al 2005, il consumo del suolo è stato di 244.000 ettari all’anno (circa due volte la superficie del Comune di Roma), 668 ettari al giorno (circa 936 campi da calcio)
Così preferiamo investire decine di miliardi nella Tav, nel Terzo Valico, nell’autostrada Mestre-Orte, invece di puntare sugli interventi di messa in sicurezza proposti nel 2103 dall’Associazione Bonifiche: 3.342 per 7,4 miliardi.
Mentre a Genova si stentano a trovare i 200 milioni che metterebbero al sicuro una città che vive con l’incubo della pioggia
Volete sapere com’è la terra su cui poggiate i vostri piedi?
Ecco: sono a rischio il 100 % dei comuni di Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d’Aosta, della provincia di Trento. Il 99% in Marche e Liguria, il 98% in Lazio e Toscana, il 96% in Abruzzo, il 95% in Emilia-Romagna. Poi il 92% in Campania e Friuli Venezia Giulia, mentre in Piemonte siamo all’87%, in Sardegna all’81%. Quindi Puglia 78, Sicilia 71, Lombardia 60 e Veneto 59.
2. Ballare e costruire sul baratro
C’è un Paese dove da anni chi ha perso la casa in un terremoto è costretto a vivere in un container. Non è emergenza, è vita quotidiana. I soldi per le ricostruzioni non arrivano oppure finiscono nel grande portafoglio della corruzione, delle opere inutili
La nenia ripetuta allo sfinimento è che le calamità naturali non sono prevedibili.
Ma c’è chi rende edificabili i terreni in quelle zone. Che dire dell’Aquila, del quartiere moderno di Pettino, cresciuto nel Dopoguerra. Quando una mappa sismica del 1941 indicava già l’esistenza di una faglia.
Risultato: migliaia di case venute giù come fossero Lego, e centinaia di vite spazzate via
L’Italia, secondo il National Earthquake Information Center ha una pericolosità sismica che, nell’ambito del Mediterraneo, può essere considerata medio alta con terremoti di magnitudo superiore a 2,5 che oscillano tra i 1700 e i 2500 ogni anno.
Tra i più violenti, nel corso dell’ultimo secolo, la Calabria del 1905 (557 vittime), Calabro Messinese tre anni più tardi (80 mila), Avezzano 1915 (33 mila), Irpinia nel 1930 e nel 1980, Friuli nel 1976, L’Aquila nel 2007 ed Emilia nel 2012.
Ma per capire come in altri Paesi siano attrezzati ad affrontare queste emergenze, basta paragonare il terremoto dell’Aquila e quello in California del 1989: danni di 10 miliardi in entrambi i casi.
Ma parliamo di due eventi sismici molto diversi: 30 volte superiore quello degli Stati Uniti. L’Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) spiega che non è paragonabile la situazione perchè “il patrimonio edilizio è molto fragile e la differenza è anche data dalla densità abitativa”. Già , ma in California, come in Giappone, se proprio si deve costruire sulle faglie, si adottano criteri anti-sismici severissimi
Solo la Sardegna e la Puglia vengono descritte zone asismiche: non esistono faglie importanti e non sono mai stati registrati eventi sismici percepiti. à‰ invece nella zona del Tirreno Meridionale, compresa tra la Campania e la Sicilia, che sono stati registrati gli eventi maggiori. Su scala regionale, l’Ingv ha stabilito che le zone a rischio restano quelle della Calabria, dell’Abruzzo, la Sicilia meridionale e il Friuli Venezia Giulia.
“Purtroppo”, spiegano dall’Ingv, “noi possiamo solo fare riferimenti al dato storico. Il terremoto non è prevedibile. Sappiamo quali sono le zone a rischio e quelle dove invece esistono rischi minori, ma parliamo di quello che è registrato, non del prevedibile”.
La prevenzione? Non è mai stata fatta. Probabilmente perchè il rischio in questo caso è stato sempre sottovalutato. Perchè ci si affida al destino. Negli ultimi anni le costruzioni avrebbero dovuto reggere, secondo i criteri indicati dalle leggi. Disattese.
L’esempio peggiore arriva dall’Emilia: il terremoto ha spazzato via con la stessa forza sia edifici storici che palazzi di costruzione recente. “Il cemento armato costa, come il rispetto delle regole. Ma nessuno si è premurato di controllare: il bollo c’era, il cemento armato chissà . Costruzioni che avrebbero dovuto reggere sono crollate in pochi secondi”.
Uccidendo decine di persone. §
Emiliano Liuzzi e Ferruccio Sansa.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile NIENTE TAGLIO DEL 20% AI NUMERO DEI DIRETTORI GENERALI
Ricordate quei giorni? L’Italia sembrava percorsa dalla frenesia di mettersi in regola, con sè stessa
prima ancora che con l’Europa o i mercati finanziari. Andavano ridotti i privilegi dei mandarini di governo.
Tagliati gli sprechi utili solo a gonfiare la pressione fiscale. Sotto il capitolo “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica”, appellandosi alla «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni», il governo di Mario Monti agì: via dai ministeri i dirigenti di troppo.
Oggi quella vicenda è diventata una dimostrazione del potere della burocrazia di Palazzo Chigi di svuotare qualunque riforma.
Quasi senza lasciare impronte. Ma allora, all’inizio, si fece sul serio.
Il decreto legge 95 del 15 giugno 2012 dispose una «riduzione delle dotazioni organiche dirigenziali» del 20% entro quattro mesi e mezzo. In sostanza, a partire dalla Presidenza del Consiglio, Monti tagliava un direttore generale di ministero su cinque.
In caso di soprannumero rispetto a quella soglia ridotta, non ci sarebbero stati margini per i dirigenti che avevano maturato i requisiti di pensione secondo le norme pre-Fornero.
Era pur sempre uno sconto rispetto ai cittadini normali che devono aspettare più a lungo, o agli esodati rimasti senza reddito.
Ma chi dei direttori generali aveva raggiunto quota 95, sommando età e anni di contributi, doveva andarsene.
Sarebbero stati dichiarati in esubero e messi fuori. Almeno in teoria.
Monti varò anche un decreto della presidenza del Consiglio dei ministri che specificava (e anticipava) quelle decisioni per Palazzo Chigi. Antonio Catricalà , allora sottosegretario del premier e capofila della sua amministrazione, lo elogiò: «Monti ha voluto dare l’esempio, facendo vedere che Palazzo Chigi è il primo a intervenire sui suoi organici. Credo che questo esempio vada seguito».
Avanti veloce di un anno e mezzo e cosa resta di quella frenesia?
Beh, c’è stato un intoppo. Informatico, a prima vista.
Perchè per decidere se un organico è in soprannumero bisogna prima sapere com’è composto. E per scoprirlo vanno pubblicati dall’amministrazione coinvolta i “ruoli dirigenziali”, un elenco di coloro che ne fanno parte e da quando.
Peccato che sul sito del governo quell’aggiornamento sui dirigenti di prima fascia di Palazzo Chigi sia fermo al primo giugno 2012. Cioè a due settimane prima che il decreto di Monti lanciasse i tagli in caso di soprannumero (peraltro, per tutto il resto dei dati il sito è aggiornatissimo).
Anche così però un’occhiata più attenta ai ruoli di Palazzo Chigi rivela due punti essenziali.
Il primo è che i direttori generali sono in soprannumero rispetto alle norme di Monti. Il secondo è che non sono stati dichiarati esuberi e pensionamenti, per il semplice fatto che i “ruoli” non sono stati aggiornati per il pubblico.
In sostanza Palazzo Chigi, da cui doveva partire l’“esempio” della spending review, non l’ha eseguita.
Possibile? Sì se si guardano bene i numeri.
Una riduzione del 20% dei dirigenti, per Palazzo Chigi significa scendere a 78 direttori generali (paga media secondo le stime diRepubblica: 188 mila euro lordi l’anno).
E in teoria siamo nei limiti, perchè ai “ruoli” aggiornati a un anno e mezzo fa ne risultano 75, dei quali sei fuori ruolo ma a pieno stipendio.
Alcuni fanno appena qualche ora di insegnamento alla Scuola nazionale dell’Amministrazione, eppure restano in funzione. Peccato però che nel frattempo altri 10(presto 11) dirigenti siano entrati in prima fascia di stipendio, cioè da direttori generali, come effetto automatico di promozioni passate.
Se questi ultimi direttori generali risultassero nei ruoli, Palazzo Chigi sarebbe in soprannumero e dovrebbe dichiarare 8 esuberi didirigenti a fine anno. Ma non lo fa.
Alberto Stancanelli, il direttore generale al Personale, spiega che i dati non sono stati aggiornati perchè sono intervenute nuove norme, ma presto lo saranno.
Non è chiaro se Stancanelli parli del decreto legge sugli statali precari diagosto o di una “direttiva interpretativa” di Patroni Griffi che, senza chiare basi legali, ha cercato di esentare Palazzo Chigi dai pensionamenti in caso di soprannumero.
Allora Patroni era ministro della Funzione Pubblica, oggi è sottosegretario alla presidenza di Palazzo Chigi. Cioè capo degli stessi burocrati che tutelò con quella “interpretazione”.
Non si può chiedere al tacchino di festeggiare il Natale.
Ma se c’era urgenza nei tagli, è stata dimenticata. E se Palazzo Chigi doveva dare l’esempio, ha fallito.
Carlo Cottarelli, che con la sua nuova spending reviewè l’ultima speranza degli italiani di pagare meno tasse, può prendere nota.
Federico Fubini
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Dicembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile IL PARTITO DI ALFANO VALE IL 5%, CINQUESTELLE AL 21,4%
A distanza di otto mesi dalle elezioni che hanno portato alla nascita del governo delle larghe intese, il quadro politico è completamente cambiato, ma resta invariato l’orientamento degli elettori.
E’ quanto emerge dal sondaggio Demos pubblicato oggi da Repubblica, che mostra, ancora, un equilibrio sul piano elettorale tra tre grandi minoranze.
Il centro-sinistra (Pd e Sel) infatti si attesta al 33,1 % delle preferenze di voto, mentre il centro-destra (FI+Ncd+Lega+Fratelli d’Italia) al 32,2%.
Terza forza politica resta il Movimento 5 Stelle con il 21,4%.
A emergere è il guadagno in termini elettorali derivato dalla scissione del Pdl.
Se, per le stime Demos, a inizio ottobre il Popolo delle Libertà godeva del 20% delle preferenze, a fine novembre la somma dei voti della rinata Forza Italia (20,8%) e del nuovo partito guidato da Angelino Alfano (5,3%) registra un incremento di quasi sei punti percentuali (26,1).
Insomma, la separazione tra Alfano e Silvio Berlusconi sembra aver fatto bene al centro-destra, almeno per quanto riguarda gli orientamenti di voto.
Ma ad allontanare l’elettorato dei due partiti è il giudizio sul governo delle larghe intese ora che si sono ristrette.
Fra gli elettori di Ncd, scrive Ilvo Diamanti su Repubblica si osserva la quota più ampia di giudizi positivi (dopo i Centristi): 70%. Oltre il doppio di quel che emerge fra gli elettori di FI: 33%.
Il dato più basso, ad eccezione del M5S (23%).
I due partiti post-Pdl, così, ripropongono un’anomalia normale nella politica italiana.
Recitano, cioè, il doppio ruolo: di governo e di opposizione.
Come hanno fatto la Lega e lo stesso Berlusconi, per decenni. Senza bisogno di dividersi.
Il rapporto con il governo spiega, in parte, anche la tenuta di FI. Che oggi beneficia della rendita di opposizione a Letta
Tornando alle preferenze, a registrare un incremento è il M5S che guadagna, rispetto ad ottobre, uno 0,5%, fermandosi al 21,4% dei consensi.
Perdono voti i partiti di centro, dopo la divisione tra i vari leader: Casini, Monti, Mauro.
Da una possibile coalizione tra Scelta Civica (3,2%) e Udc (2,1%) si registra un calo di due punti rispetto alle rilevazioni di ottobre (7,4%).
(da “La Repubblica”)
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