Dicembre 10th, 2013 Riccardo Fucile ATTACCA IL GOVERNO E RICEVE UNA DELEGAZIONE DI AUTOTRASPORTATORI
Il Cavaliere, che questa mattina aveva ricevuto la richiesta per un incontro da parte dei sindacati
dei trasportatori, non perde l’occasione per inserirsi nella protesta e sferrare un attacco all’esecutivo guidato da Enrico Letta.
“A fronte della protesta sottovalutata dal governo, — analizza Berslusconi — che ha visto aderire al blocco dei tir anche altre categorie” e davanti a una “mobilitazione che sta arrecando gravi disagi in alcune grandi città , nei porti e presso gli snodi autostradali, il governo deve convocare immediatamente le associazioni di categoria”.
Perchè, continua, “la prevista convocazione del 17 dicembre da parte del sottosegretario delegato, cioè addirittura fra una settimana — osserva Berlusconi in una nota — consente alla protesta di proseguire fino a quel giorno, arrecando danni alla nostra economia in un momento già tanto difficile”.
C’è un piccolo dettaglio che sfugge al Cavaliere: le maggiori associazioni di categoria dell’autotrasporto avevano già chiuso un patto con l’esecutivo dopo lunga trattativa, ottenendo quanto concordato.
Qui si tratta di di sigle minori non troppo rappresentative.
Ma il problema è un ‘altro: nomn si tratta solo dei lavoratori dell’autotrasporto ma di una tensione alimentata ad arte da frange estremiste, anche collegate agli ultras di squadre locali, come ormai è noto.
Restano infine i cittadini normali che fanno massa e presenza, ognuno con validi problemi personali o locali all’origine della protesta.
Il tentativo di mettere il cappello sulla protesta poi potrebbe anche rivelarsi un boomerang: per un cittadino in piazza ce ne sono 10.000 incazzati per i danni che ricevono dai blocchi stradali e ferroviari.
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Dicembre 10th, 2013 Riccardo Fucile A TORINO UN FERMATO, IN PUGLIA BLOCCATE STAZIONI E SGOMBERATE AZIENDE, A PERUGIA OCCUPATA LA SEDE DEL PD….ALFANO: NON CONSENTIRENO CITTA’ A FUOCO”
Non accenna a fermarsi la protesta dei Forconi.
Anche oggi è stata una lunga giornata di blocchi e manifestazioni in tutta Italia, al termine della quale è intervenuto in maniera decisa il ministro degli Interni Angelino Alfano: “Non consentiremo che le città vengano messe a fuoco”, ha detto al Tg3 dopo il vertice che si è tenuto al Viminale con le forze dell’ordine, dopo gli scontri di ieri e le tensioni di ieri.
Intanto domani alle 17, Silvio Berlusconi incontrerà una delegazione degli autotrasportatori che aveva chiesto un colloquio.
Il leader di Forza Italia chiede che il governo “incontri immediatamente le associazioni di categoria” (come se esistessero…n.d.r.)
Alfano, al termine del vertice che si è tenuto a Roma,dopo gli scontri avvenuti in alcune città , si è soffermato anche sull’episodio che a Torino ha visto i poliziotti togliersi i caschi.
“Un funzionario di polizia — ha spiegato il ministro — vedendo che clima defibrillava ha detto ai suoi uomini che potevano abbassare armature e loro lo hanno fatto e si sono accorti di avere davanti un pezzo del corteo e si sono relazionati con loro. E’ sempre accaduto”.
Il ministro degli Interni annuncia che, dopo la richiesta di alcuni gruppi parlamentari, andrà in Parlamento a riferire sugli scontri in varie città italiane.
Il leader del Nuovo centrodestra ha condannato le minacce ricevute da alcuni commercianti per far chiudere le attività , bollandole come “inaccettabili”.
Torino epicentro della mobilitazione
Anche oggi è Torino l’epicentro della mobilitazione che durerà fino a venerdì. Una persona è stata fermata durante un corteo che ha bloccato il traffico nel centro del capoluogo piemontese, interrotto per tutta la mattinata a causa di vari presidi e cortei. Quattrocento persone, nel primo pomeriggio, si sono radunate di fronte alla sede della giunta della Regione Piemonte, dove ieri si sono registrati gli scontri più gravi.
Poi due nuovi cortei, a cui hanno aderito anche alcuni ultras, si sono mossi da piazza Castello, uno ha puntato verso la stazione di Porta Nuova, dove ha trovato gli ingressi chiusi.
Qui una persona è stata fermata dalle forze dell’ordine, con l’accusa di aver lanciato una bomba carta nei vicino alla stazione.
L’uomo, di nazionalità straniera di cui non sono state rese note le generalità , è stato accompagnato in questura per accertamenti.
Ma al bilancio, provvisorio, della seconda giornata di protesta vanno aggiunte anche quattro denunce per interruzione di pubblico servizio e altre quattro per violenza privata, a renderlo noto la questura di Torino, che ha identificato decine di manifestanti.
Salgono così a dodici le persone denunciate nei due giorni di protesta.
Ma in serata la città continua a essere disseminata di blocchi, dal centro alle zone periferiche.
A fine di una lunga giornata attraversata da tensioni continue, i giovani del Partito democratico chiedono al partito di intervenire contro le infiltrazioni neo fasciste nella protesta.
Disagi in tutta Italia
A Milano occupato fino a sera piazzale Loreto, trattori davanti al Pirellone. Disagi su alcune strade per il volantinaggio, tensione manifestanti-automobilisti.
Code e rallentamenti nel bergamasco, anche in centro città a causa di alcune auto fatte andare a velocità ridotta. Rallentamenti anche allo svincolo di Mantova Nord sull’Autobrennero.
In Veneto i presidi hanno provocato disagi specie al traffico sulle autostrade. Il casello di Soave sulla A4 è stato chiuso in entrambi i sensi, forti rallentamenti vi sono stati al casello di Montecchio Maggiore, sempre in A4, e a Treviso sulla A27.
In Friuli Venezia Giulia un migliaio di persone ha bloccato per un paio d’ore la circolazione stradale a Monfalcone (Gorizia). Gran parte dei manifestanti era costituita da operai delle ditte in subappalto di Fincantieri.
In Liguria poche decine di manifestanti hanno bloccato la ferrovia, in due riprese, occupando i binari della stazione di Oneglia/Imperia.
La linea internazionale Genova-Ventimiglia è stata interrotta.
A Savona i binari sono stati occupati e subito sgomberati dall’intervento delle forze dell’ordine.
A Genova sono previsti filtri per l’accesso alle stazioni.
In Emilia Romagna, volantinaggio e rallentamenti al casello autostradale Modena nord e a Parma in uscita dall’A1, presidio di una quindicina di forconi in Piazza Maggiore a Bologna.
In Toscana una decina in tutto le persone che hanno distribuito volantini alla Fortezza da Basso di Firenze, senza intralci al traffico.
Pochi disagi anche a Viareggio, dove ieri il traffico in entrata era bloccato a intermittenza.
Una manifestante è stata investita a Piombino (Livorno) da un furgone: per lei prognosi di sette giorni, denuncia per lesioni e ritiro della patente per il conducente del mezzo.
Nelle Marche secondo giorno di presidio davanti al Teatro delle Muse ad Ancona di un gruppetto di aderenti al movimento dei Forconi, che espongono cartelli e striscioni contro ‘Statò e ‘tassè.
Mentre in Umbria una trentina di manifestanti hanno occupato il salone della sede del Pd nel centro di Perugia.
“La rovina dell’Italia siete voi”, hanno urlato. La protesta si è estesa anche nel Lazio, a Roma blindati Montecitorio, palazzo Chigi, Palazzo Madama e Quirinale, in vista delle proteste di domani nella Capitale.
Prosegue a piazzale Ostiense un presidio dei manifestanti che stanno decidendo anche “azioni eclatanti” non violente.
Continua la protesta a Frosinone, con una ventina di autotrasportatori fermi al casello dell’A1. Non si segnalano comunque problemi alla circolazione.
Volantinaggio a Napoli, in piazza Carlo III: forze dell’ordine hanno evitato il blocco stradale, i manifestanti hanno invitato gli agenti a solidarizzare con loro. Chiuso lo svincolo di Battipaglia (Salerno) dell’A3 per una manifestazione di studenti, disoccupati e autotrasportatori.
Alta tensione in Puglia dove si sono verificate irruzioni di manifestanti in centri commerciali del barese, bloccate per alcune ore a Barletta la zona industriale e la litoranea di Levante.
I commercianti sono stati costretti a chiudere i negozi, così come ad Andria, dove si sarebbero mescolati ultrà della locale squadra di calcio: indagano le forze dell’ordine. Bloccata per un’ora e mezza la stazione ferroviaria di Cerignola (Foggia).
In Calabria presidio davanti al casello autostradale dell’A3 di Cosenza per distribuire volantini.
Manifestazioni anche nella culla del movimento dei Forconi, la Sicilia.
A Catania presidio in piazza Università . A Palermo è attivo il presidio di via Ernesto Basile e i Forconi hanno chiesto l’autorizzazione per una manifestazione giovedì prossimo davanti la sede di riscossione Sicilia a Palermo.
A Giardini Naxos (Me) un uomo, in coda in un distributore di benzina per lo sciopero dei Forconi, ha colpito con una chiave da meccanico, al culmine di una lite un altro automobilista. E’ stato arrestato.
Mentre in Sardegna non si sono verificati nè blocchi nè presidi, ma una protesta pacifica davanti alla sede dell’Agenzia delle Entrate a Cagliari. Gli anti-Equitalia si sono messi in fila per chiedere atti e documenti agli sportelli.
“Azione eclatante se ci sarà la fiducia al governo”
Ma la protesta non sembra stemperarsi, Danilo Calvani, uno dei leader del movimento, annuncia: “Se domani sarà votata la fiducia al governo e i politici non resteranno a casa, ci organizzeremo in questi giorni per indire la prossima settimana una manifestazione a Roma che porti milioni di persone. Sarà un assedio pacifico — continua — e concorderemo il percorso con le forze dell’ ordine, ma siamo disposti a restare fin quando i politici non andranno via”.
E intanto Forza Nuova lancia l’appello per organizzare nuovi presidi e manifestazioni in tutta Italia il 14 dicembre.
Un’iniziativa, si legge in una nota dell’organizzazione di estrema destra, per “rilanciare” il movimento dei Forconi.
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Dicembre 10th, 2013 Riccardo Fucile MARONI COME SCHETTINO: HA LASCIATO LA NAVE CHE STAVA AFFONDANDO A SALVINI ED E’ PRONTO A CALARSI NELLA SCIALUPPA DI PASSAGGIO DI ALFANO
Anche la Lega nel fine settimana ha avuto le sue primarie per scegliere il segretario. 
Ma i numeri sono più da condominio che da partito: hanno votato poco più di 10 mila persone. All’un per cento delle elezioni alla Camera, giusto per fare una proporzione, equivalgono 450 mila voti.
In pratica il Carroccio è già morto e sepolto. A Salvini è stato affidato il compito di schiantarlo definitivamente.
Già alle prossime europee potrebbe scomparire da Bruxelles.
Ridotto al 4% alle scorse politiche, dopo le inchieste sulle spese allegre della famiglia Bossi e dell’ex tesoriere Francesco Belsito, sotto la guida annoiata e stanca di Maroni il Carroccio ha perso ulteriormente fascino agli occhi ormai disincantati di quanti avevano creduto in un soggetto politico capace di porre nell’agenda dei Palazzi romani la questione settentrionale.
Abbandonato dal tessuto imprenditoriale e professionale della fascia Padana, la Lega conserva solo un gruppo di fedelissimi della prima ora, quelli che amano Pontida e la propria identità territoriale, proprio quel “gruppo” che invece Maroni ha snobbato.
Poi ci sono i voti dell’apparato del partito. Amici e parenti, nulla di più.
La missione iniziale si è persa e la fiducia da parte dei cittadini del Nord è andata persa.
Che potevano pure accettare e digerire il dito medio di Bossi o le sparate di Calderoli sugli Imam, ma a fronte di un tornaconto.
Che fosse il federalismo o più tasse da conservare sul territorio, chi votava la Lega vedeva in quel partito un’opportunità per le loro aziende, per lo più piccole e piccolissime.
Le prime sezioni del Carroccio aperte tra Veneto e Lombardia erano ospitate in capannoni e aziende da imprenditori che volevano ribellarsi allo “Stato centralista” che si “mangia il nostro lavoro”.
Qualcuno aggiungeva “per regalarlo ai terroni”. Solo qualcuno, non tutti.
Ma la speranza è stata tradita. E molti oggi sorridono sull’occasione persa e sfottono i leghisti: “Roma veduta fede perduta”, dicono del Carroccio di Maroni e di quanti partiti verso la Capitale per far valere le ragioni del Nord si sono dimenticati scopi e obiettivi della loro permanenza nel Palazzo.
Un abisso rispetto al “Roma ladrona” degli esordi di Bossi.
Nel fallimento generalizzato, dunque, a Salvini è affidato il compito disperato di raggiungere un 4%. L’alternativa, realistica, è appunto schiantarsi. Ma lui ci prova, bisogna dargliene atto.
E così non passa giorno che il neosegretario della Lega non spari contro l’euro, gli immigrati; non invochi più tasse e maggiore difesa del lavoro e via dicendo.
Come spiegò Giovanni Sartori i partiti che sanno di non vincere possono promettere anche la luna, tanto non si troveranno mai nella condizione di dover rispettare le promesse fatte.
Salvini lo sa bene. Ma magari qualche boccalone lo trovano ancora.
In tutto questo Maroni appare come Schettino. Ha lasciato la nave che stava affondando a Salvini e lui ha già abbordato una scialuppa di passaggio, quella di Alfano.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 10th, 2013 Riccardo Fucile SONO MOLTI GLI ESTERNI NELLE REGIONI ROSSE: L’ANALISI DELL’ISTITUTO CATTANEO
«Portate dieci persone a votare». L’appello Matteo Renzi l’aveva lanciato in tv, quando si temeva un flop dell’affluenza e il calo della partecipazione al voto dei circoli di novembre non incoraggiava.
Curiosa coincidenza: rispetto ai 297 mila tesserati che hanno partecipato alla fase del congresso riservata agli iscritti, ai gazebo sono stati 2,9 milioni a mettersi in fila e votare per la segreteria del Pd.
Dieci volte tanto, appunto: dieci partecipanti alle primarie per ogni iscritto.
Ma al di là della coincidenza, questo dato ha un significato: uno scarto così marcato indica «l’esistenza, intorno al partito, di un’area di elettorato di opinione in grado di mobilitarsi autonomamente, per adesione alle procedure partecipative delle primarie o per la simpatia e l’apprezzamento per un candidato», indica l’analisi di Piergiorgio Corbetta e Rinaldo Vignati dell’Istituto Cattaneo.
È il bacino di quel partito che è stato definito «aperto», «liquido», «leggero».
Elettori più autonomi e meno fedeli alla linea: «Non interessati alla militanza tradizionale, nè inquadrati nelle strutture di partito. E al partito non danno una delega in bianco, come una volta», spiega Vignati.
Viene meno la capacità di controllo: «Non seguono certo le indicazioni del segretario. Ma milioni di elettori alle primarie sono certo una risorsa».
E questa è la sfida del Pd: se si svuota l’arsenale dei militanti, bisogna pensare a riempire in altro modo il granaio dei voti. E fondamentale sarà mobilitare questo «di più» che sta intorno al partito.
Se il rapporto di 10 a 1 è già significativo, risulta ancora più elevato nelle regioni del Nord e in quelle cosiddette rosse: in Lombardia i partecipanti alle primarie sono stati 18 volte gli iscritti al voto nei circoli; in Piemonte 17.
In Emilia-Romagna 15 e in Toscana 13. Al Sud, al contrario, questo voto di opinione è risultato molto più ridotto (4 in Sicilia, 5 in Campania)
Ed è soprattutto nelle regioni rosse che elettori e militanti sono meno allineati.
Si pensi al successo di Renzi in Emilia-Romagna (71%) dove al voto dei circoli aveva vinto Cuperlo, oltre il 50% a Bologna.
In Italia tra gli iscritti Renzi ha preso il 45,3%, nelle primarie aperte il 67,8%: uno scarto di 22,5 punti percentuali.
La differenza raggiunge quota 30 punti percentuali nella fascia rossa di Umbria, Emilia-Romagna e Toscana.
È soprattutto qui che gli iscritti sono sempre meno rappresentativi della più ampia fascia di elettori e simpatizzanti
Qui dove il partito, storicamente, ha radici solide. «Pensiamo alla funzione svolta in queste regioni dal Pci negli anni 60 e 70 per i ceti popolari, nei quartieri urbani di edilizia popolare, nelle città industriali; agli immigrati che venivano dal Sud e che trovavano nel partito, dalle tombole per i bambini al liscio domenicale, un potente fattore di integrazione sociale», si legge nell’analisi del Cattaneo.
E si pensi, anche, ai successi elettorali che ne son seguiti. Un successo troppo grande: gli eredi del Pci, fino al Pd, ne sono rimasti vittime.
«Il partito si è chiuso in sè stesso, ha alimentato una struttura pesante, è diventato autoreferenziale».
Si è chiuso: proprio dove case del popolo e sezioni sono tuttora aperte e ancora in gran numero.
Ma i tempi cambiano e anche il militante invecchia: «Il partito non ha saputo intercettare i nuovi ceti».
E nelle regioni rosse più che chi rivendicava la tradizione delle sezioni, ha vinto chi ha portato al voto il «di più».
Renato Benedetto
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 10th, 2013 Riccardo Fucile DIPENDENTI PREOCCUPATI: “SE TAGLIA E FONDI ALLA POLITICA…”
I funzionari e i dipendenti sono nelle stanze – spesso ciascuno di loro ne occupa una,
singolarmente – e tutti aspettano di capire cosa accadrà , adesso che Renzi parla da segretario e che da segretario, perciò, davvero potrebbe procedere come promesso: raschiare via le parti dell’enorme apparato che a lui paiono secche, polverose, vecchie, inutili.
Alla luce giallastra dei neon, dietro porte socchiuse, i volti di molti assumono tratti distratti e collerici, sembrano creature manzoniane: rassegnate, ma furbe
Frammenti di frasi. «È determinato e deciso, capace di tutto». «Voglio vedere come lo gestisce un partito senza di noi». «Il guaio è che mi sa che lui pensa a un partito che non è un partito»
La stanza di Antonio Misiani, il tesoriere del Pd in carica ancora per pochi giorni, è davanti a quella che, tra qualche ora, sarà occupata dal sindaco di Firenze.
«Lì, finora, si sono sistemati tutti i segretari. Ma Renzi, magari, ha altri progetti».
Ecco, appunto.
«Leggo sui giornali, sì. Ma io sono l’uomo dei numeri, e di quelli posso parlare».
Parliamone.
«Al 31 ottobre, lavorano nel Pd, per lo più con contratti a tempo indeterminato, 183 dipendenti e 18 giornalisti. Ma poichè 38 di questi sono in aspettativa e altri 12 distaccati, in carico al partito ne restano 151».
Un costo comunque elevato da sopportare.
«Con la legislazione vigente, il partito, nel 2014, dovrebbe andare in pareggio. Abbiamo tagliato e risparmiato tanto, in questi anni. Purtroppo…».
Purtroppo?
«L’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti apre uno scenario diverso. Senza quei soldi cambia tutto: e il problema, automaticamente, finirà sul tavolo del nuovo segretario».
Il corridoio è lungo. Accanto a ogni porta, una targhetta plastificata.
Ecco la stanza di un colonnello (ex?) Beppe Fioroni; ecco quella di Paolo Gentiloni (senza ex, è renziano della prim’ora); ecco le segreterie, e poi, ancora: il dipartimento Logistica, il dipartimento Cultura, la segreteria Forum Welfare.
Questa dei Forum fu una trovata di Pier Luigi Bersani. Ne creò 17, e spesso con sotto-strutture. Esempio: Politiche ambientali con presidente Laura Puppato; coordinatore: Sergio Gentili; Green economy e Qualità italiana: coordinatore Ermete Realacci; Politiche per la famiglia: coordinatore Tiziano Treu. Ci fu il caso di Livia Turco che, non potendo essere rieletta in Parlamento, ottenne la presidenza del Forum Immigrazione.
Quasi che la Balena Bianca (cit. Giampaolo Pansa) e la formidabile macchina burocratica del Pci, con la fusione tra Margherita e Ds, abbiano subito una mostruosa mutazione genetica, fino a diventare un gigantesco animale mai visto
Da un angolo sbuca Rita Borione, vice responsabile del dipartimento Cultura. «So che il il nuovo segretario vuole snellire, alleggerire la struttura del partito… E lo capisco, certo: qui, con il trascorrere degli anni, e il susseguirsi dei segretari, l’apparato è diventato pachidermico… Detto questo…».
Detto ciò?
«Ci sono dipendenti con straordinarie competenze e poi… Beh, poi non tutti sono assunti a tempo indeterminato».
Lei?
«No, io ho un contratto di collaborazione».
Posso chiederle pagato quanto?
«Ho un semplice rimborso spese».
Quello della Geloni non era esattamente un rimborso spese ma un contratto a termine piuttosto importante (scatenò ire e invidie varie): però, adesso, è scaduto.
«Aspetto, come tantissimi altri, di parlare con Matteo. Punto, nient’altro».
Renzi è convinto che il partito sia imbolsito e gonfio di sprechi.
«Mah. Non mi sembra che qui si sprechi tanto»
Lui dice di sì.
«E io ti dico che You-Dem costa circa un quarto di quanto costava quattro anni fa. Ma gratis è chiaro che non puoi farla una televisione…».
(Poi arriva un uomo della sicurezza. Il leggendario servizio d’ordine del Pci è ora composto da giovanotti stanchi e annoiati. Uno fuma, uno sospira: «Sei giornalista? Daje, famme vedè er tesserino…» ).
Fabrizio Roncone
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 10th, 2013 Riccardo Fucile “NEL PD LA CULTURA E’ CONSIDERATA UN HANDICAP, AVER LETTO QUALCHE LIBRO PER CUPERLO SI E’ RIVELATO UN DIFETTO IMPERDONABILE”
Intervistato da Alfonso Signorini (il che è già un segno) sul testo di Bandiera Rossa, Matteo Renzi ha detto di sapere «solo l’inizio»: «Comincia così, Bandiera rossa la trionferà …». Era invece la fine.
Domenica scorsa, il Corriere Fiorentino ha chiesto agli elettori delle primarie di cantarla: con tutta la buona volontà , non la sapeva o non la ricordava quasi nessuno.
Una bandiera rossa del vecchio Pci si è vista sotto il palco dell’ultimo comizio di Renzi, a Empoli.
L’ha portata il compagno Rolando Terreni di Sovigliana, 78 anni, in memoria del padre partigiano: «Matteo mi garba e io lo voto, ma prima deve baciare la bandiera!».
Lui si è un po’ infastidito, non quando ha visto il drappo rosso ma quando ha visto la fotografia on line.
Ieri mattina, tra i pensionati della Spi-Cgil in fila al mercato di San Lorenzo per fare colazione con un panino al lampredotto, infuriava una gara di motteggi che avrebbe fatto impallidire il battutista Civati.
Si faceva notare che «il bambino ha mangiato i comunisti» e che «il Pd ora cambierà nome. Siccome Forza Italia è già preso, si chiamerà Forza Eataly».
La scomparsa dei «comunisti» è la notizia del giorno, non solo nella rossa Toscana.
La sconfitta di Cuperlo, ultimo capo della Fgci e intellettuale del dalemismo, segna la fine dell’egemonia rossa su un partito che aveva visto Veltroni travolgere la Bindi ed Enrico Letta, quindi Bersani battere senza troppi problemi prima Franceschini e poi lo stesso Renzi.
E sembra dissolversi una volta per tutte il mito del comunismo italiano, per cui un’ideologia criminale o comunque sbagliata da Cuba alla Siberia diventava per l’èlite culturale della penisola giusta o comunque nobile.
«Sì, vedo che molti giornali e siti internet titolano sulla fine del Pci. Ma è una notizia vecchia» sorride Emanuele Macaluso, uno degli ultimi grandi vecchi del partito.
«Il Pci non esiste più dal 1991, quando fu travolto dalle macerie del Muro crollato due anni prima. Ma, a mio giudizio, il Pci era morto già nell’estate del 1984, insieme con Enrico Berlinguer, sul palco del comizio in piazza delle Erbe a Padova. Domenica semmai è morto il Pd, almeno così come era nato. Io mi sono sempre rifiutato di chiamarlo partito. Era un aggregato di diessini che si erano illusi di poter governare il Paese aggregando un pezzo di Dc. Non poteva che finire miseramente».
Lo stesso Renzi rifiuta di usare le categorie del passato.
Nega di essere mai stato democristiano, di appartenere allo stesso ceppo di Enrico Letta e Franceschini.
Rivendica di essersi affacciato alla politica nel 1995, quando fondò il comitato per l’Ulivo di Rignano, il suo paese.
Ha avuto amici comunisti, nella stanza da segretario in largo del Nazareno a Roma porterà la foto di Emanuele Auzzi detto Meme, segretario dei Ds fiorentini: «Gli ho voluto bene. Era un uomo splendido, all’antica, di cui ho un bel ricordo».
Ma del «manipolo di pazzi», come nella notte della vittoria ha definito la sua squadra, solo due vengono dai Ds: Dario Nardella, il più strutturato politicamente, e Francesco Bonifazi, che Renzi considera «uomo da spogliatoio», il più adatto a stemperare le tensioni create da un temperamento nervoso come il suo.
Gli altri sono quasi tutti di formazione cattolica, o semplicemente devoti a lui.
Ma l’obiettivo del sindaco è dar vita a «un partito che non sia ex di nulla». La stessa formula usata da Veltroni al Lingotto; il quale però, per quanto negasse di essere mai stato «comunista in senso sovietico», agli occhi dell’Italia moderata era un ex pure lui. Poi è toccato a Pierluigi Bersani evocare il Pci emiliano, il riformismo pragmatico, la «ditta» affidata a vecchi compagni come Errani e Migliavacca, che hanno giocato in difesa una disastrosa campagna elettorale conclusa nel teatro del cabaret «de sinistra» romano, mentre Berlusconi andava nella tana di Santoro e Grillo si prendeva piazza San Giovanni. Sono state proprio le sconfitte, culminate con il voto che ha affossato prima Marini e poi Prodi, a travolgere «la vecchia classe dirigente», come l’ha liquidata Renzi domenica sera.
Nè si intravede un futuro a sinistra del Pd: dopo l’eclissi di Rifondazione comunista, anche Vendola appare avviato al declino; sponde per una scissione non ce ne sono.
«Sono storie finite o mai incominciate – dice Macaluso –. Ricordo un editoriale di Eugenio Scalfari: siccome i Ds erano al capolinea e la Margherita pure, non restava altro che la fusione. Ma la somma di due fallimenti non fanno un successo. Il nuovo partito è nato senza fondamenta politiche e culturali, come coacervo di gruppetti che ora si sono divisi. Toscani ed emiliani sono andati un po’ di qua e un po’ di là . Con Renzi ci sono uomini che hanno avuto un ruolo nel Pci: Fassino, Veltroni, gli stessi Chiamparino e De Luca. E il sindaco di Firenze ha potuto “scalare” il partito proprio per l’inconsistenza degli avversari. Un partito degno di questo nome non è “scalabile”».
Il grande sconfitto, D’Alema, ha evocato Craxi, senza nominarlo, con toni vagamente iettatori: «Abbiamo radici profonde. Uomini con più attributi di Renzi hanno provato a tagliarle, e hanno fatto una brutta fine. Farà una brutta fine pure lui».
Ieri Pasquale Laurito, giornalista dalemiano e quindi esemplare di una specie più introvabile del liocorno, si è abbandonato sulla sua Velina Rossa a un’invettiva tipo catilinaria: «Caimano rosso, taverniere fiorentino, nuovo Benito…».
I vecchi comunisti hanno per Renzi una diffidenza quasi antropologica, tanto da essere indotti in errori di valutazione, sostiene Macaluso: «Parlare del nuovo segretario come di un altro Berlusconi è una sciocchezza. Renzi non ha interessi privati, è una persona rispettabile. Ma appartiene a un’era politica del tutto nuova, in cui il livello culturale è drasticamente crollato. La sinistra storica era fatta di personaggi complessi. Togliatti era un intellettuale di livello europeo, un uomo che teneva testa a Stalin; ora i politici di sinistra si giudicano da come affrontano i grillini nei talk show e anche dall’aspetto fisico. Riccardo Lombardi era capace di parlare due ore. Pippo Civati spara battute a raffica da pochi secondi l’una, ed è pure caruccio. La cultura è considerata un handicap: aver letto qualche libro per Cuperlo si è rivelato un difetto imperdonabile. Mi fa tenerezza Mario Tronti, che Bersani ha portato in Parlamento: si aggira spaesato come in una landa deserta. Ogni tanto lo trovo in qualche convegno, dove può finalmente sfogarsi: prende la parola, cita Gramsci, ne disserta…
Aldo Cazzullo
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 10th, 2013 Riccardo Fucile PRONTI GLI SPOT PER FARE CONCORRENZA A GRILLO E TROVARE ELETTORI…. NONOSTANTE ABBIA FIRMATO IL “FISCAL COMPACT”
Silvio Berlusconi è uno straordinario venditore, si sa, e a breve tornerà al lavoro: gli tocca
vendere se stesso e il suo partito per le elezioni europee di primavera senza però essere in lista.
L’avventura, in realtà , è iniziata domenica a Roma con il primo happening pubblico della rinata Forza Italia e la fondazione dei club Forza Silvio, ma il processo aveva già preso avvio qualche mese fa, quando il Cavaliere ha individuato uno spazio semivergine nel mercato elettorale che ha deciso di cavalcare senza tentennamenti.
A giudicare infatti dai bozzetti ordinati ai designer e dalle mosse del suo staff, Berlusconi si appresta a una campagna elettorale radicalmente anti-Europea o, più precisamente, antitedesca: il suo obiettivo dovrebbe essere solo marginalmente la moneta unica — tema che secondo il Cavaliere è troppo divisivo e spaventa molti elettori — mentre nel mirino finiranno la Germania e la burocrazia di Bruxelles a lei sottomessa.
Il fatto che sia stato lui — e con la nobile motivazione di salvarsi la poltrona — ad aver firmato il Fiscal Compact, cioè la costituzione in legge della visione tedesca dell’Unione, gli è completamente indifferente, come pure la resipiscenza di Matteo Renzi, che pare aver scoperto l’insensatezza del parametro del 3 per cento del deficit e annuncia una sua battaglia in Europa per modificarlo.
Troppo poco e troppo poco chiaro in una guerra per slogan.
Che il Cavaliere abbia scelto la sua direzione è abbastanza chiaro scorrendo i bozzetti di manifesti, locandine e scenografie consegnati nelle scorse settimane a palazzo Grazioli: il tema della cosiddetta “Euro-Germania” è assolutamente preponderante, il messaggio sotteso è all’ingrosso “se l’Europa è questa, meglio starne fuori”.
I sondaggi effettuati dalla fida Alessandra Ghisleri di Euromedia confermano il Cavaliere nella sua intuizione: quello spazio di mercato elettorale è praticamente libero e in crescita nella popolazione, soprattutto tra quanti votano o votavano centrodestra.
L’obiettivo finale è un risultato più vicino al 30 che al 25 per cento dei voti, un massiccio ritorno al centro della scena politica.
I concorrenti — coloro che faranno la stessa operazione di marketing elettorale — non lo preoccupano più di tanto: troppo piccoli quelli alla sua destra, mentre il Movimento 5 Stelle sembra ancora timido sui temi europei e — pur avendo iniziato a parlarne prima — continua a puntare sulla confusa proposta del referendum sull’euro (peraltro incostituzionale).
Comunque, anche se la moneta unica non sarà il centro della sua campagna elettorale, Berlusconi e il suo staff stanno lavorando anche su questo e per farsi un’idea del tipo di comunicazione possibile stanno anche consultando degli esperti: uno di questi è Claudio Borghi Aquilini, docente di Economia degli intermediari finanziari alla Cattolica di Milano e editorialista del Giornale.
Si tratta di un nome interessante per comprendere uno strano cortocircuito che sta avvenendo in Italia: Borghi Aquilini è infatti membro dell’associazione “a/simmetrie” — tra i fondatori c’è anche la firma del Fatto Alberto Bagnai — che proprio sabato ha organizzato un convegno sulla moneta unica a Roma (“L’euro contro l’Europa?”) in collaborazione con la Fondazione Nuova Italia di Gianni Alemanno.
Questo a testimonianza — ma si potrebbe citare il “No Euro Day” della Lega — che la galassia dei partiti della destra italiana si sta dirigendo con forza sul tema fondamentale dei prossimi mesi attirando così anche studiosi e intellettuali collocati a sinistra che non trovano interlocutori in quell’area: sabato a Roma ad esempio, oltre allo stesso Bagnai, hanno parlato al convegno il filosofo marxista Diego Fusaro e l’economista Jacques Sapir, già vicino al Front de Gauche francese.
Sull’altro lato della medaglia, per così dire, è sintomatico che la mozione anti-euro al recente congresso di Rifondazione comunista non abbia raccolto nemmeno il 19 per cento dei voti.
Tornando a Berlusconi, la sua strategia elettorale avrà ovviamente effetto sulla collocazione di Forza Italia nell’Europarlamento: gli azzurri difficilmente potranno stare dentro il Ppe, dove peraltro la potente Fondazione Adenauer della Cdu tedesca ha già cominciato una sua campagna “anti-Silvio”.
Il gruppo dei conservatori europei — tutti euroscettici — aspetta nuovi arrivi a braccia aperte.
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 10th, 2013 Riccardo Fucile “SE LA SITUAZIONE NON CAMBIA C’E’ IL RISCHIO DISOBBEDIENZA CIVILE TRA LE FORZE DELL’ORDINE”
«Anch’io ho tolto il casco. Molto volentieri. I motivi della protesta li viviamo anche sulla nostra pelle. E se la situazione non cambia, la disobbedienza civile rischia di dilagare anche fra le forze dell’ordine».
Francesco, ma è un nome di fantasia, ha 38 anni, è un agente scelto del reparto mobile della Polizia ed è tra quegli esponenti delle forze dell’ordine che ieri, tra gli applausi della gente, a piazza Castello, a Torino, si sono tolti il casco antisommossa che indossano durante le manifestazioni.
È vero che è lo avete fatto solo perchè era finito il turno, come ha sostenuto la questura? Oppure c’era anche qualche motivazione in più?
«No, il turno non era ancora finito. Anche se gli scontri che c’erano stati in mattinata erano terminati ed era cessata la condizione di pericolo».
Ma è sbagliato leggerlo come un gesto simbolico, di solidarietà con i manifestanti e di condivisione dei motivi della protesta?
«No, non è sbagliato. Io personalmente, e anche altri colleghi con cui ho parlato in piazza, lo abbiamo vissuto con questo spirito. Anche se è un gesto che qualche volta si usa fare per stemperare il clima. In questo caso, quando è arrivato un ordine in questo senso, lo abbiamo fatto davvero con piacere».
Perchè?
«I motivi che hanno spinto molta gente ieri a scendere in piazza li condividiamo. Le tasse troppo alte, gli stipendi bloccati, il disagio economico a cui dobbiamo sottoporre le nostre famiglie li viviamo sulla nostra pelle. E anche noi non ce la facciamo più».
Cosa è accaduto dopo che avete tolto i caschi?
«La gente applaudiva. Ci dicevano bravi. Ho visto un collega sfilarsi il casco e andare a stringere la mano a un manifestante. È stato un momento bello».
Pensa che questo gesto simbolico possa dilagare?
«Il rischio è alto. Noi agenti di polizia guadagniamo 1.300 euro al mese, viviamo una situazione di estrema difficoltà , quando facciamo ordine pubblico stiamo tutto il giorno in strada. Ci tagliano gli straordinari. La verità è che anche noi non ne possiamo più. E se la situazione non cambia, e anche piuttosto in fretta, molti vorranno legittimamente unirsi alla protesta con gesti di disobbedienza civile. Si può dar loro torto?».
I manifestanti sono stati accusati di aver strumentalizzato il disagio economico.
«Al di là degli estremisti di alcuni centri sociali e di manifestanti di estrema destra che hanno scatenato qualche problema, io in piazza ho visto solo persone esasperate, persone che vivono un disagio economico grande, persone stanche. Certo, quando sono arrivate sotto il Palazzo della Regione, dove certi personaggi hanno preso un sacco di soldi di rimborsi elettorali, la disperazione si è mescolata anche alla rabbia. Ma la gente non sa più come mandare avanti le famiglie. E noi li capiamo».
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 10th, 2013 Riccardo Fucile A PESARO LA DONNA AFFRONTA IL SUO EX E I DUE SICARI IN TRIBUNALE, APPLAUSI PER LEI ALL’USCITA: “LA PIU’ FORTE SONO IO”
«Niente». È niente quell’uomo che è a tre metri da lei, stesso banco, a sinistra. 
L’uomo che ha mandato due sicari a bruciarle la faccia con l’acido.
Lucia Annibali guarda avanti, guarda la faccia del giudice.
Non vale la pena guardare l’uomo che le diceva “hai il viso più bello del mondo” e poi l’ha fatta sfigurare. Meglio guardare avanti.
Dietro ci sono i due albanesi che nella sera del 16 aprile l’aspettavano a casa sua con l’acido solforico.
«Cosa stai provando?», le chiede sottovoce l’avvocato difensore, Francesco Coli. «Niente», risponde lei. «Tengo duro. La più forte sono io».
Poi si gira un attimo, per guardare il volto di Rubin Talaban, arrivato da Shkoder in Albania, l’uomo che per lei era solo un passamontagna nero.
Era l’ultima cosa che aveva visto, quella sera. Poi ci furono soltanto la mano che lanciava l’acido, l’urlo di dolore, il buio che le copriva gli occhi.
«Volevo vedere – dice Lucia – che faccia avessero, quei due. Non li avevo mai visti prima. Quello con il passamontagna è stato il mio incubo».
In ospedale, le prime notti, quando sentiva dei passi e gli occhi ancora erano spenti, credeva che l’uomo che l’aveva rovinata venisse a finire il suo lavoro.
Per un attimo ha cercato anche lo sguardo del suo ex fidanzato, stretto fra due guardie di custodia.
«Volevo fargli vedere cosa mi ha fatto. Un attimo solo mi è bastato.
Prima di arrivare in udienza ero agitata, sentivo dentro apprensione e anche paura. Poi in aula mi sono rilassata. Ho guardato quei tre e mi sono detta: Lucia, hai superato la prova. Quando ho guardato il mio ex ho capito una cosa importante: non mi fa più paura».
Cappotto rosso fuoco, cappello scuro e occhiali.
Appena esce dall’auto dei carabinieri Lucia Annibali si toglie la maschera di silicone che deve portare almeno quattro ore al giorno. È scesa nel garage del tribunale, lontano da taccuini e telecamere.
All’ingresso principale ci sono le donne dell’Udi con i cartelli: “Lucia potrei essere io”. Lei, per ora, vuole mostrare il suo volto solo a chi le ha fatto troppo male e al giudice che dovrà dare giustizia.
L’udienza è breve, poche ore. Gli avvocati della difesa chiedono il rito abbreviato «subordinato però a integrazioni probatorie».
Vogliono sentire altri testimoni e periti. Il giudice Maurizio Di Palma dice che l’istruttoria non ha bisogno di integrazioni.
Fissa l’udienza per il 21 febbraio, il 22 ci sarà la sentenza. Non sarà passato nemmeno un anno dall’aggressione, a volte la giustizia riesce a essere veloce.
«Sono contenta di questa decisione – dice Lucia Annibali, anche lei avvocato – Presto potrò avere giustizia e non è cosa da poco. Ho guardato gli accusati solo per un attimo perchè io oggi non dovevo guardare loro ma guardare avanti, al mio futuro. È quel che ora conta davvero per me».
Il suo avvocato, quando il giudice esce dall’aula, le chiede: «Lucia, cosa vuoi fare?». C’è sempre la porta secondaria che porta al garage, la macchina dei carabinieri è pronta al viaggio verso Urbino.
Lucia non risponde, ma con la mano indica la porta principale. Sa che di là ci sono dieci telecamere pronte, ci sono i cronisti e i fotografi.
«Senza dire una parola – dice l’avvocato Francesco Coli – con quella decisione Lucia ha spiegato tutto: la più forte sono io, sono uscita dal guscio e non ho paura a mostrare il mio volto ferito. Voglio rientrare nel mondo delle persone normali».
Flash, applausi e grida. «Lucia, Lucia…».
Con il padre, la madre e il fratello la donna sale a salutare il procuratore capo Manfredi Palumbo.
Dal garage partono invece i cellulari con Luca Varani e gli albanesi Altistin Precetaj e Eubin Talaban. L’uomo accusato di essere il mandante dell’oltraggio ancora una volta ha raccontato la sua verità . «Io volevo che con l’acido i due albanesi facessero danni all’auto di Lucia, non a lei. Oggi ho offerto un appartamento, come risarcimento. So che è un piccolo gesto ma è tutto quello che posso fare».
Offerta respinta.
Luca Varani ha avuto una figlia, due mesi fa, dalla fidanzata “ufficiale”, sempre nascosta a Lucia. Lui ha riconosciuto la figlia, la donna lo va a trovare in carcere.
Lucia Annibali esce dal portone centrale del palazzo di giustizia.
Ci sono tante donne ad applaudirla. Sui loro cartelli hanno scritto “Siamo tutte parte lesa”, “Gli schiaffi sono schiaffi. Scambiarli per amore fa molto male”.
Una troupe riesce a ripeterle la domanda: «Cos’ha provato, a rivedere Varani?». «Niente», risponde ancora. Lei deve guardare avanti, al suo futuro.
Oggi sarà ancora all’ospedale di Parma per un controllo. Forse più serena.
Gli incubi, quando hanno un volto e non sono soltanto un passamontagna, fanno meno paura.
Jenner Meletti
(da “La Repubblica“)
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