Dicembre 15th, 2013 Riccardo Fucile NONOSTANTE I “TAGLI”, I PARTITI CONTINUERANNO A RICEVERE 53,9 MILIONI L’ANNO PER I GRUPPI…. I CINQUESTELLE INCASSANO IL CONTRIBUTO COME TUTTI GLI ALTRI PARTITI
È il tesoretto che nessuna sorpresina — di Renzi o di Letta che sia — può intaccare. 
E su cui Grillo tace, visto che viene incassato anche dai Cinquestelle.
Sta lì, nel fortino di Montecitorio e palazzo Madama, al riparo del regime di autoregolamentazione degli organi costituzionali.
È il “contributo unico e onnicomprensivo” che spetta ai gruppi parlamentari di Camera e Senato. Quasi 54 milioni di euro per quest’anno (32,6 milioni per il primo ramo, 21,3 milioni per il secondo), già rinnovati nelle previsioni di bilancio da qui al 2015.
Soldi che, fino ad oggi, sono serviti a coprire le spese di funzionamento del gruppo.
E che ora i tesorieri si preparano a trasferire in parte all’attività politica, per far fronte al (risicato) taglio dei rimborsi elettorali ai partiti.
Basta la relazione al bilancio di previsione 2013 dei senatori Pd per capire quanto il contributo ai gruppi sia considerato il salvagente per eventuali accelerazioni sul taglio ai costi della politica. “I gruppi parlamentari — è scritto nella relazione — in un quadro di drastica riduzione delle risorse trasferite ai partiti, diventeranno in futuro sempre di più un tramite fondamentale tra i cittadini e le istituzioni , e la politica in generale”.
Significa che quella da sforbiciare è la macchina dei dipendenti, mentre il fronte su cui investire è la comunicazione, la ricerca, le iniziative politiche: “I risparmi sul personale — si legge ancora nella nota al bilancio dei senatori democratici — e la nuova suddivisione delle risorse consentiranno al gruppo di poter svolgere una ‘sufficiente’ iniziativa verso l’esterno”.
Così, paradossalmente, non sono solo i partiti quelli che, come primo passo, pensano ai licenziamenti: la ricetta per il taglio ai costi della politica si ripercuoterà anche in Parlamento. Sempre i senatori Pd — gli unici ad aver già allegato una relazione al bilancio preventivo — spiegano che dallo scorso anno hanno fatto a meno di sei dipendenti (da 66 a 60), per un totale di uscite per il personale di 3 milioni e 110 mila euro.
Il totale del contributo ricevuto da palazzo Madama è di 4 milioni 900 mila euro. Tra le spese dei primi 9 mesi di legislatura, si segnalano 200 mila euro per la comunicazione, 22 mila euro per il noleggio auto, 40 mila euro per le utenze telefoniche.
In cassa avanzano 500 mila euro, un terzo di quello che è rimasto nel bilancio dei senatori Cinque Stelle. Anche loro hanno pubblicato il rendiconto del secondo quadrimestre: hanno speso 653 mila euro (che vanno sommati ai circa 400 mila euro in uscita da marzo a luglio), a fronte di un contributo ricevuto di 2 milioni e 567 mila euro.
Quasi tutto se ne va per stipendi e contributi dei 26 dipendenti. Tra le altri voci da segnalare, 23 euro e 35 centesimi per spese di rappresentanza alla buvette, 51 euro per il libro Il diritto parlamentare nella teoria e nella pratica, 90 euro per una copia de L’Agenda del giornalista (la rubricona delle testate nazionali , evidentemente, serve anche a loro).
Nessuna rendicontazione disponibile per il Pdl, così come per i gruppi alla Camera di Pd e M5S (i democratici lo annunciano per gennaio, i deputati grillini lo pubblicheranno in contemporanea con il Restitution Day).
Scelta Civica avverte che destinerà il 70 per cento dei 2 milioni 385 mila euro che ha ricevuto a Montecitorio per i dipendenti; il resto per iniziative e amministrazione varia: il consuntivo arriverà solo a fine anno, dopo l’approvazione definitiva.
Secondo le nuove disposizioni, da questa legislatura, i gruppi sono obbligati a pubblicare i propri rendiconti, che dovranno essere certificati da società di revisione esterne.
Peccato che a palazzo Madama il bando di gara per l’assegnazione dell’incarico si sia arenato a luglio: bisognava aprire le buste delle candidature cinque mesi fa, invece non se ne sa ancora nulla. Entro fine aprile le assemblee dei gruppi dovranno approvare il loro bilancio 2013.
“Noi siamo pronti — spiegano ancora dalla tesoreria Pd — Al momento però la Presidenza del Senato deve ancora completare la gara (…) che porterà a quella trasparenza e ‘correttezza’ amministrativa da tutti auspicata”.
Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 15th, 2013 Riccardo Fucile DOVE IL PONTEFICE PARLA DI NATALE, FAME NEL MONDO, SOFFERENZA DEI BAMBINI, RIFORMA DELLA CURIA, DONNE CARDINALE, IOR E DEL PROSSIMO VIAGGIO IN TERRA SANTA
“Il Natale per me è speranza e tenerezza…». Francesco racconta a «La Stampa» il suo primo Natale da vescovo di Roma.
Casa Santa Marta, martedì 10 dicembre, ore 12.50. Il Papa ci accoglie in una sala accanto al refettorio
L’incontro durerà un’ora e mezza. Per due volte, durante il colloquio, dal volto di Francesco sparisce la serenità che tutto il mondo ha imparato a conoscere, quando accenna alla sofferenza innocente dei bambini e parla della tragedia della fame nel mondo.
Nell’intervista il Papa parla anche dei rapporti con le altre confessioni cristiane e dell’«ecumenismo del sangue» che le unisce nella persecuzione, accenna alle questioni del matrimonio e della famiglia che saranno trattate dal prossimo Sinodo, risponde a chi lo ha criticato dagli Usa definendolo «un marxista» e parla del rapporto tra Chiesa e politica.
Che cosa significa per lei il Natale?
«È l’incontro con Gesù. Dio ha sempre cercato il suo popolo, lo ha condotto, lo ha custodito, ha promesso di essergli sempre vicino. Nel Libro del Deuteronomio leggiamo che Dio cammina con noi, ci conduce per mano come un papà fa con il figlio. Questo è bello. Il Natale è l’incontro di Dio con il suo popolo. Ed è anche una consolazione, un mistero di consolazione. Tante volte, dopo la messa di mezzanotte, ho passato qualche ora solo, in cappella, prima di celebrare la messa dell’aurora. Con questo sentimento di profonda consolazione e pace. Ricordo una volta qui a Roma, credo fosse il Natale del 1974, una notte di preghiera dopo la messa nella residenza del Centro Astalli. Per me il Natale è sempre stato questo: contemplare la visita di Dio al suo popolo».
Che cosa dice il Natale all’uomo di oggi?
«Ci parla della tenerezza e della speranza. Dio incontrandoci ci dice due cose. La prima è: abbiate speranza. Dio apre sempre le porte, mai le chiude. È il papà che ci apre le porte. Secondo: non abbiate paura della tenerezza. Quando i cristiani si dimenticano della speranza e della tenerezza, diventano una Chiesa fredda, che non sa dove andare e si imbriglia nelle ideologie, negli atteggiamenti mondani. Mentre la semplicità di Dio ti dice: vai avanti, io sono un Padre che ti accarezza. Ho paura quando i cristiani perdono la speranza e la capacità di abbracciare e accarezzare. Forse per questo, guardando al futuro, parlo spesso dei bambini e degli anziani, cioè dei più indifesi. Nella mia vita di prete, andando in parrocchia, ho sempre cercato di trasmettere questa tenerezza soprattutto ai bambini e agli anziani. Mi fa bene, e mi fa pensare alla tenerezza che Dio ha per noi».
Come si può credere che Dio, considerato dalle religioni infinito e onnipotente, si faccia così piccolo?
«I Padri greci la chiamavano “synkatabasis”, condiscendenza divina. Dio che scende e sta con noi. È uno dei misteri di Dio. A Betlemme, nel 2000, Giovanni Paolo II disse che Dio è diventato un bambino totalmente dipendente dalle cure di un papà e di una mamma. Per questo il Natale ci dà tanta gioia. Non ci sentiamo più soli, Dio è sceso per stare con noi. Gesù si è fatto uno di noi e per noi ha patito sulla croce la fine più brutta, quella di un criminale».
Il Natale viene spesso presentato come fiaba zuccherosa. Ma Dio nasce in un mondo dove c’è anche tanta sofferenza e miseria.
«Quello che leggiamo nei Vangeli è un annuncio di gioia. Gli evangelisti hanno descritto una gioia. Non si fanno considerazioni sul mondo ingiusto, su come faccia Dio a nascere in un mondo così. Tutto questo è il frutto di una nostra contemplazione: i poveri, il bambino che deve nascere nella precarietà . Il Natale non è stata la denuncia dell’ingiustizia sociale, della povertà , ma è stato un annuncio di gioia. Tutto il resto sono conseguenze che noi traiamo. Alcune giuste, altre meno giuste, altre ancora ideologizzate. Il Natale è gioia, gioia religiosa, gioia di Dio, interiore, di luce, di pace. Quando non si ha la capacità o si è in una situazione umana che non ti permette di comprendere questa gioia, si vive la festa con l’allegria mondana. Ma fra la gioia profonda e l’allegria mondana c’è differenza».
È il suo primo Natale, in un mondo dove non mancano conflitti e guerre…
«Dio mai dà un dono a chi non è capace di riceverlo. Se ci offre il dono del Natale è perchè tutti abbiamo la capacità di comprenderlo e riceverlo. Tutti, dal più santo al più peccatore, dal più pulito al più corrotto. Anche il corrotto ha questa capacità : poverino, ce l’ha magari un po’ arrugginita, ma ce l’ha. Il Natale in questo tempo di conflitti è una chiamata di Dio, che ci dà questo dono. Vogliamo riceverlo o preferiamo altri regali? Questo Natale in un mondo travagliato dalle guerre, a me fa pensare alla pazienza di Dio. La principale virtù di Dio esplicitata nella Bibbia è che Lui è amore. Lui ci aspetta, mai si stanca di aspettarci. Lui dà il dono e poi ci aspetta. Questo accade anche nella vita di ciascuno di noi. C’è chi lo ignora. Ma Dio è paziente e la pace, la serenità della notte di Natale è un riflesso della pazienza di Dio con noi».
In gennaio saranno cinquant’anni dallo storico viaggio di Paolo VI in Terra Santa. Lei ci andrà ?
«Natale sempre ci fa pensare a Betlemme, e Betlemme è in un punto preciso, nella Terra Santa dove è vissuto Gesù. Nella notte di Natale penso soprattutto ai cristiani che vivono lì, a quelli che hanno difficoltà , ai tanti di loro che hanno dovuto lasciare quella terra per vari problemi. Ma Betlemme continua a essere Betlemme. Dio è venuto in un punto determinato, in una terra determinata, è apparsa lì la tenerezza di Dio, la grazia di Dio. Non possiamo pensare al Natale senza pensare alla Terra Santa. Cinquant’anni fa Paolo VI ha avuto il coraggio di uscire per andare là , e così è cominciata l’epoca dei viaggi papali. Anch’io desidero andarci, per incontrare il mio fratello Bartolomeo, patriarca di Costantinopoli, e con lui commemorare questo cinquantenario rinnovando l’abbraccio tra Papa Montini e Atenagora avvenuto a Gerusalemme nel 1964. Ci stiamo preparando».
Lei ha incontrato più volte i bambini gravemente ammalati. Che cosa può dire davanti a questa sofferenza innocente?
«Un maestro di vita per me è stato Dostoevskij, e quella sua domanda, esplicita e implicita, ha sempre girato nel mio cuore: perchè soffrono i bambini? Non c’è spiegazione. Mi viene questa immagine: a un certo punto della sua vita il bambino si “sveglia”, non capisce molte cose, si sente minacciato, comincia a fare domande al papà o alla mamma. È l’età dei “perchè”. Ma quando il figlio domanda, poi non ascolta tutto ciò che hai da dire, ti incalza subito con nuovi “perchè?”. Quello che cerca, più della spiegazione, è lo sguardo del papà che dà sicurezza. Davanti a un bambino sofferente, l’unica preghiera che a me viene è la preghiera del perchè. Signore perchè? Lui non mi spiega niente. Ma sento che mi guarda. E così posso dire: Tu sai il perchè, io non lo so e Tu non me lo dici, ma mi guardi e io mi fido di Te, Signore, mi fido del tuo sguardo»
Parlando della sofferenza dei bambini non si può dimenticare la tragedia di chi soffre la fame.
«Con il cibo che avanziamo e buttiamo potremmo dar da mangiare a tantissimi. Se riuscissimo a non sprecare, a riciclare il cibo, la fame nel mondo diminuirebbe di molto. Mi ha impressionato leggere una statistica che parla di 10mila bambini morti di fame ogni giorno nel mondo. Ci sono tanti bambini che piangono perchè hanno fame. L’altro giorno all’udienza del mercoledì, dietro una transenna, c’era una giovane mamma col suo bambino di pochi mesi. Quando sono passato, il bambino piangeva tanto. La madre lo accarezzava. Le ho detto: signora, credo che il piccolo abbia fame. Lei ha risposto: sì sarebbe l’ora… Ho replicato: ma gli dia da mangiare, per favore! Lei aveva pudore, non voleva allattarlo in pubblico, mentre passava il Papa. Ecco, vorrei dire lo stesso all’umanità : date da mangiare! Quella donna aveva il latte per il suo bambino, nel mondo abbiamo sufficiente cibo per sfamare tutti. Se lavoriamo con le organizzazioni umanitarie e riusciamo a essere tutti d’accordo nel non sprecare il cibo, facendolo arrivare a chi ne ha bisogno, daremo un grande contributo per risolvere la tragedia della fame nel mondo. Vorrei ripetere all’umanità ciò che ho detto a quella mamma: date da mangiare a chi ha fame! La speranza e la tenerezza del Natale del Signore ci scuotano dall’indifferenza».
Alcuni brani dell’«Evangelii Gaudium» le hanno attirato le accuse degli ultra-conservatori americani. Che effetto fa a un Papa sentirsi definire «marxista»?
«L’ideologia marxista è sbagliata. Ma nella mia vita ho conosciuto tanti marxisti buoni come persone, e per questo non mi sento offeso».
Le parole che hanno colpito di più sono quelle sull’economia che «uccide»…
«Nell’esortazione non c’è nulla che non si ritrovi nella Dottrina sociale della Chiesa. Non ho parlato da un punto di vista tecnico, ho cercato di presentare una fotografia di quanto accade. L’unica citazione specifica è stata per le teorie della “ricaduta favorevole”, secondo le quali ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sè una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. C’era la promessa che quando il bicchiere fosse stato pieno, sarebbe trasbordato e i poveri ne avrebbero beneficiato. Accade invece che quando è colmo, il bicchiere magicamente s’ingrandisce, e così non esce mai niente per i poveri. Questo è stato l’unico riferimento a una teoria specifica. Ripeto, non ho parlato da tecnico, ma secondo la dottrina sociale della Chiesa. E questo non significa essere marxista».
Lei ha annunciato una «conversione del papato».
Gli incontri con i patriarchi ortodossi le hanno suggerito qualche via concreta?
«Giovanni Paolo II aveva parlato in modo ancora più esplicito di una forma di esercizio del primato che si apra ad una situazione nuova. Ma non solo dal punto di vista dei rapporti ecumenici, anche nei rapporti con la Curia e con le Chiese locali. In questi primi nove mesi ho accolto la visita di tanti fratelli ortodossi, Bartolomeo, Hilarion, il teologo Zizioulas, il copto Tawadros: quest’ultimo è un mistico, entrava in cappella, si toglieva le scarpe e andava a pregare. Mi sono sentito loro fratello. Hanno la successione apostolica, li ho ricevuti come fratelli vescovi. È un dolore non poter ancora celebrare l’eucaristia insieme, ma l’amicizia c’è. Credo che la strada sia questa: amicizia, lavoro comune, e pregare per l’unità . Ci siamo benedetti l’un l’altro, un fratello benedice l’altro, un fratello si chiama Pietro e l’altro si chiama Andrea, Marco, Tommaso…».
L’unità dei cristiani è una priorità per lei?
«Sì, per me l’ecumenismo è prioritario. Oggi esiste l’ecumenismo del sangue. In alcuni paesi ammazzano i cristiani perchè portano una croce o hanno una Bibbia, e prima di ammazzarli non gli domandano se sono anglicani, luterani, cattolici o ortodossi. Il sangue è mischiato. Per coloro che uccidono, siamo cristiani. Uniti nel sangue, anche se tra noi non riusciamo ancora a fare i passi necessari verso l’unità e forse non è ancora arrivato il tempo. L’unità è una grazia, che si deve chiedere. Conoscevo ad Amburgo un parroco che seguiva la causa di beatificazione di un prete cattolico ghigliottinato dai nazisti perchè insegnava il catechismo ai bambini. Dopo di lui, nella fila dei condannati, c’era un pastore luterano, ucciso per lo stesso motivo. Il loro sangue si è mescolato. Quel parroco mi raccontava di essere andato dal vescovo e di avergli detto: “Continuo a seguire la causa, ma di tutti e due, non solo del cattolico”.
Questo è l’ecumenismo del sangue. Esiste anche oggi, basta leggere i giornali. Quelli che ammazzano i cristiani non ti chiedono la carta d’identità per sapere in quale Chiesa tu sia stato battezzato. Dobbiamo prendere in considerazione questa realtà ».
Nell’esortazione lei ha invitato a scelte pastorali prudenti e audaci per quanto riguarda i sacramenti. A che cosa si riferiva?
«Quando parlo di prudenza non penso a un atteggiamento paralizzante, ma a una virtù di chi governa. La prudenza è una virtù di governo. Anche l’audacia lo è. Si deve governare con audacia e con prudenza. Ho parlato del battesimo, e della comunione come cibo spirituale per andare avanti, da considerare un rimedio e non un premio. Alcuni hanno subito pensato ai sacramenti per i divorziati risposati, ma io non sono sceso in casi particolari: volevo solo indicare un principio. Dobbiamo cercare di facilitare la fede delle persone più che controllarla. L’anno scorso in Argentina avevo denunciato l’atteggiamento di alcuni preti che non battezzavano i figli delle ragazze madri. È una mentalità ammalata».
E quanto ai divorziati risposati?
«L’esclusione della comunione per i divorziati che vivono una seconda unione non è una sanzione. È bene ricordarlo. Ma non ho parlato di questo nell’esortazione».
Ne tratterà il prossimo Sinodo dei vescovi?
«La sinodalità nella Chiesa è importante: del matrimonio nel suo complesso parleremo nelle riunioni del concistoro in febbraio. Poi il tema sarà affrontato al Sinodo straordinario dell’ottobre 2014 e ancora durante il Sinodo ordinario dell’anno successivo. In queste sedi tante cose si approfondiranno e si chiariranno».
Come procede il lavoro dei suoi otto «consiglieri» per la riforma della Curia?
«Il lavoro è lungo. Chi voleva avanzare proposte o inviare idee lo ha fatto. Il cardinale Bertello ha raccolto i pareri di tutti i dicasteri vaticani. Abbiamo ricevuto suggerimenti dai vescovi di tutto il mondo. Nell’ultima riunione gli otto cardinali hanno detto che siamo arrivati al momento di avanzare proposte concrete, e nel prossimo incontro, in febbraio, mi consegneranno i loro primi suggerimenti. Io sono sempre presente agli incontri, eccetto la mattina del mercoledì per via dell’udienza. Ma non parlo, ascolto soltanto, e questo mi fa bene. Un cardinale anziano alcuni mesi fa mi ha detto: “La riforma della Curia lei l’ha già cominciata con la messa quotidiana a Santa Marta”. Questo mi ha fatto pensare: la riforma inizia sempre con iniziative spirituali e pastorali prima che con cambiamenti strutturali».
Qual è il giusto rapporto fra la Chiesa e la politica?
«Il rapporto deve essere allo stesso tempo parallelo e convergente. Parallelo, perchè ognuno ha la sua strada e i suoi diversi compiti. Convergente, soltanto nell’aiutare il popolo. Quando i rapporti convergono prima, senza il popolo, o infischiandosene del popolo, inizia quel connubio con il potere politico che finisce per imputridire la Chiesa: gli affari, i compromessi… Bisogna procedere paralleli, ognuno con il proprio metodo, i propri compiti, la propria vocazione. Convergenti solo nel bene comune. La politica è nobile, è una delle forme più alte di carità , come diceva Paolo VI. La sporchiamo quando la usiamo per gli affari. Anche la relazione fra Chiesa e potere politico può essere corrotta, se non converge soltanto nel bene comune».
Posso chiederle se avremo donne cardinale?
«È una battuta uscita non so da dove. Le donne nella Chiesa devono essere valorizzate, non “clericalizzate”. Chi pensa alle donne cardinale soffre un po’ di clericalismo».
Come procede il lavoro di pulizia allo Ior?
«Le commissioni referenti stanno lavorando bene. Moneyval ci ha dato un report buono, siamo sulla strada giusta. Sul futuro dello Ior si vedrà . Per esempio, la “banca centrale” del Vaticano sarebbe l’Apsa. Lo Ior è stato istituito per aiutare le opere di religione, missioni, le Chiese povere. Poi è diventato come è adesso».
Un anno fa poteva immaginare che il Natale 2013 lo avrebbe celebrato in San Pietro?
«Assolutamente no».
Si aspettava di essere eletto?
«Non me l’aspettavo. Non ho perso la pace mentre crescevano i voti. Sono rimasto tranquillo. E quella pace c’è ancora adesso, la considero un dono del Signore. Finito l’ultimo scrutinio, mi hanno portato al centro della Sistina e mi è stato chiesto se accettavo. Ho risposto di sì, ho detto che mi sarei chiamato Francesco. Soltanto allora mi sono allontanato. Mi hanno portato nella stanza adiacente per cambiarmi l’abito. Poi, poco prima di affacciarmi, mi sono inginocchiato a pregare per qualche minuto insieme ai cardinali Vallini e Hummes nella cappella Paolina».
Andrea Tornielli
(da “La Stampa”)
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Dicembre 15th, 2013 Riccardo Fucile FERRO: “ARIA PESANTE E QUALCUNO NON VALUTA I PERICOLI”… ROTTURA CON CALVANI, L’UOMO IN JAGUAR: “NOI CI SAREMO”
“Mercoledì 18 dicembre non saremo in piazza del Popolo a Roma”. Ad annunciarlo è Mariano Ferro,
leader siciliano dei Forconi. “Non ci saranno la maggior parte dei comitati del coordinamento 9 dicembre”, gli fa eco il veneto Lucio Chiavegato del coordinamento 9 dicembre che aggiunge: “Ci dissociamo anche da Danilo Calvani (il leader di Latina immortalato sulla Jaguar, ndr) perchè i suoi discorsi a noi non vanno bene”.
Il movimento dei Forconi si spacca. Come si legge nella nota pubblicata sul loro sito ufficiale in cui Mariano Ferro e Amedeo Chiavegato prendono le distanze da un altro dei portavoce della protesta, Danilo Calvani, annunciando “di non riconoscere più la manifestazione del 18 a Roma e che nelle prossime ore ne organizzeranno un’altra nella capitale”.
Ferro: “Sediamoci con il governo”.
“Se il governo ha delle soluzioni ce le dia. Credo che non ce ne siano, ma non voglio dare adito a Letta per fargli dire che siamo solo dei facinorosi. Voglio sedermi col governo, poi si decide. E se non ha soluzioni, allora non c’è nessun motivo per restare”, ha spiegato nel pomeriggio Mariano Ferro ribadendo che “sarà meglio evitare la manifestazione di mercoledì prossimo a Roma: c’è il rischio di infiltrazioni e l’aria che si respira nella capitale è diventata pesante”..
Ferro ha riferito anche di essere stato “contattato dal sottosegretario ai Lavori Pubblici, Rocco Girlanda. Ma finora non gli ho mai parlato. In merito alla spaccatura con Danilo Calvani, l’altro leader, Ferro ha commentato: “C’è divergenza. Se pensa che io voglia fondare un partito è fuori strada. Spero che dietro di lui non ci siano parti politiche non rassicuranti”.
La replica di Calvani.
“Noi in piazza ci saremo e con noi la maggior parte dei comitati”, è stata la replica di Danilo Calvani. “Noi abbiamo sempre detto che non vogliamo trattare con il governo – ha sottolineato Calvani – evidentemente per loro non è più lo stesso. Avranno cambiato idea…”. Mercoledì “io sarò in piazza anche per garantire che non ci siano disordini – replica Calvano – non sarà una protesta nè violenta nè incivile”.
Calvani ha chiarito anche che a piazza del Popolo “non ci sarà nessun accampamento. Io non ho mai parlato di tendopoli, lo ha fatto qualcun altro. Le tende – ha assicurato – restano nei presidi”.
“Forse manifestazione prima di sabato”.
La manifestazione dei Forconi a Roma sarà “dopo il 18 dicembre e potrebbe esserci prima di sabato. Salvo eventi che cambino del tutto il quadro, cioè un segnale chiaro e forte dal governo in risposta alle nostre istanze, a cominciare da uno sgravio fiscale immediato”, ha fatto sapere nel pomeriggio Gaetano Montico, della segreteria nazionale del comitato 9 dicembre e portavoce del movimento.
I leader della protesta.
“Temiamo che possano esserci degli ‘infiltrati’ – ha sottolineato Ferro – e che la manifestazione da pacifica si trasformi in qualcosa di lontano dalle nostre intenzioni. Siamo convinti da quello che sta accadendo nelle ultime ore che organizzazioni trasversali potrebbero creare disordini. Noi – ha ribadito il leader siciliano – non possiamo rischiare di farci coinvolgere in situazioni simili e anche un presidio potrebbe essere una miccia pericolosa. C’è una destra in questo Paese che vorrebbe strumentalizzare la protesta e non non possiamo permetterlo nè alla destra nè alla sinistra. Non vogliamo essere coinvolti da chi cerca lo scontro con la polizia – ha concluso Mariano Ferro – abbiamo deciso di non venire a Roma?, tira una brutta aria. Ciò non vuol dire tirarsi indietro ma volevamo portare in piazza le famiglie, ma non c’è il clima giusto”.
Degli altri due portavoce del Movimento, Danilo Calvani e Luciano Chiavegato, Ferro ha detto che il primo “sarà a Roma”, il secondo “ha firmato con noi un documento per non andare.
“La protesta è e deve rimanere sul piano democratico e pacifico – ha ribadito anche Chiavegato – Se qualcuno vuole alimentare pensieri ‘strani’ allora noi prendiamo le distanze”. I presidi “continuano e cresceranno sul territorio”.
Intanto il Comune di Roma e il prefetto, Giuseppe Pecoraro, continuano a trattare. Per domani è previsto un nuovo incontro dei “Forconi romani” col vicesindaco Luigi Nieri.
Intanto, i Forconi siciliani di Mariano Ferro, Life Veneto, Azione rurale Verona e gli autotrasportatori dell’Aitras non parteciperanno alla manifestazione di protesta a Roma ma proseguiranno l’organizzazione dei presidi in tutta Italia, come ha riferito Lucio Chiavegato di Life spiegando che “non ci sono le condizioni di sicurezza e l’organizzazione adeguata per essere sicuri che non ci saranno persone indesiderate e provocatori. Abbiamo deciso di dissociarsi dall’operato di Danilo Calvani del Cra e Gabriele Baldarelli – ha affermato Chiavegato, coordinatore del movimento 9 dicembre – Noi restiamo sul territorio e continuiamo i presidi ad oltranza. La manifestazione dei ‘9 dicembre’ la faremo ma non adesso, non siamo organizzati e temiamo di non gestire la sicurezza. Abbiamo già visto che c’è chi ha tentato di infiltrarsi nel movimento per motivi che non sono nel nostro spirito. Non possiamo andare a Roma oggi – ha concluso Chiavegato – con il rischio di vedere tra le nostre fila chi viene per spaccare vetrine vestito da black bloc, soprattutto dopo che abbiamo conquistato la fiducia delle forze dell’ordine e che con loro abbiamo un ottimo rapporto”.
A dissociarsi da ogni azione e iniziativa intrapresa da Calvani e Baldarelli sono stati anche Renzo Erbisti, Eugenio Rigodanzo, Giorgio Bissoli, Giovanni Zanon, Giovanni Di Ruvo, Gaetano Montico, Augusto Zaccardelli, che hanno fatto una nota congiunta, in cui spiegano la decisione per ”alcune dichiarazioni farneticanti che lasciano grande spazio ad interpretazioni che nulla hanno a che fare con i motivi della protesta”.
Tutti dichiarano inoltre di non riconoscere ”la struttura web creata sul social network Facebook da persone da noi non autorizzate e i siti non ufficiali”. ‘
‘Si disconosce altresì – scrivono – tutte le iniziative prese e dichiarazioni fatte dai responsabili dei presidi gestiti direttamente o indirettamente dai sopra descritti ed altre persone a loro riconducibili. La manifestazione indetta per il giorno 18 dicembre a Roma – concludono – non è da noi riconosciuta per motivi di organizzazione e di eventuale ordine pubblico”.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 15th, 2013 Riccardo Fucile ECCO IL TRIUMVIRATO CHE GUIDA GLI ARRABBIATI
Nel brodo di concetti new age e interventi razzisti della galassia dei forconi, i coordinatori nazionali del “9 dicembre” stanno provando a darsi una struttura credibile.
Ieri hanno battezzato un gruppo dirigente ristretto: otto persone, imprenditori industriali, edili, agricoli, autotrasportatori, allevatori.
Di questi, solo tre hanno diritto di parola per tutti: l’imprenditore agricolo Mariano Ferro, il leader dei contadini di Latina Danilo Calvani e il presidente degli imprenditori federalisti (Life) Lucio Chiavegato, post-leghista con istanze secessioniste.
Gli otto rappresentano la Sicilia, la Puglia, il Lazio, il Veneto. Torino, capitale della sommossa, non ha uomini nel direttorio.
L’autonominato gruppo ristretto, innanzitutto, ha fatto fuori il contadino new age torinese, Andrea Zunino, 60 anni, autore dell’intervista a Repubblica passata alla breve storia movimentista come “l’Italia schiava dei banchieri ebrei”.
Gli otto lo hanno messo per iscritto: «Zunino non ha nulla a che vedere con codesto coordinamento»
Nella vita precedente gli otto dirigenti, oggi travolti da un’ondata di notorietà , sono stati medi e piccoli imprenditori, spesso azzoppati dalla crisi.
E gli scontri fiscali con lo Stato italiano sono diventati uno dei motivi che li ha portati all’insurrezione.
Il fondatore dei primi forconi – campagna siciliana, gennaio 2012 – è stato Mariano Ferro, 53 anni, una piccola azienda agricola ad Avola, provincia di Siracusa. «Sono pronto a farmi fuoco davanti alla prefettura», disse, ma attorno aveva perso diversi compagni di viaggio.
Nella fase nascente Ferro si era circondato di compagni discutibili. E, tuttora attivo, Angelo Giacchi, piccolo imprenditore di Vittoria: ha appena avviato uno sciopero della fame per protestare contro il pignoramento della casa.
Lo stesso Mariano Ferro, si scopre nei registri delle conservatorie, nel 2010 emise tre assegni scoperti pari a 7.000 euro. Sono finiti in protesto e Serit Sicilia ha iscritto un’ipoteca legale per 16.000 euro.
Il leader dell’Agro Pontino Danilo Calvani, 51 anni, l’ideatore della seconda fase del forconismo, è un coltivatore diretto di Pontinia che, causa povertà incapiente, chiede e ottiene passaggi (in Jaguar, in Mercedes).
Guida i comitati agricoli riuniti della zona e nel 2012 con loro occupò la sede locale dell’Inps. Le ragioni? Nel 2001 Calvani, acquistata un’azienda agraria per 1,5 milioni di euro, iniziò ad assoldare lavoratori stagionali.
A partire dal 2002, gli arrivarono i primi avvisi bonari per il pagamento dei contributi pensionistici: le raccomandate tornavano sempre indietro.
Il piccolo agricoltore ha accumulato debiti contributivi a una media di 2.500 euro l’anno, fino a quando l’Inps non ha passato la questione a Equitalia che ha emesso una cartella per 40.000 euro (oggi salita a 80.000).
A causa della crisi dell’agricoltura dell’Agro Pontino, Calvani ha fatto debiti anche con la Banca Intesa-San Paolo di zona: nel 2006 ha ricevuto un decreto ingiuntivo per 140.000 euro e la sua azienda è stata messa all’asta per una cifra pari al debito.
La crisi ha messo sotto stress molti imprenditori, che oggi vedono una soluzione nel movimento anti-governo e anti-Ue. Lucio Chiavegato nell’ultimo bilancio d’azienda ha messo debiti con le banche pari a 320.000 euro, e debiti minimi con Inps e Inail. Altri due coordinatori nazionali del “9 dicembre” hanno avuto problemi con Equitalia, poi risolti: Giovanni Zanon, industriale siderurgico, nel 2009 ha subito un’iscrizione di ipoteca legale per 11.500 euro.
L’allevatore Giorgio Bissoli per 27.000 euro.
I forconi ora hanno anche una radio ufficiale.
Radio Onda Blu, emittente di Castiglion Fiorentino con audience regionale, un palinsesto che fino a ieri offriva approfondimenti quotidiani sul mondo dei Templari e gli ordini cavallereschi. Ora la radio toscana ha aperto i microfoni alla protesta del ceto medio disperato.
«In qualsiasi ora del giorno e per dar voce a qualsiasi istanza le trasmissioni di Radio Onda Blu verranno interrotte e nel caso fosse necessario sospese a tempo indeterminato», ha scritto in una lettera aperta Pietro Zannoni, titolare della testata, attivista del Coordinamento 9 dicembre.
Il radio-imprenditore è l’ultimo leader locale di un movimento che ha una settimana di vita e produce capipopolo ogni ora. Si formano direttamente ai blocchi stradali.
Il casello di Modena Nord sta plasmando la venticinquenne Michela che, cappello di lana in testa, ribadisce concetti moderatamente insurrezionalisti. «Lo dice la Costituzione: quando si crea un vuoto istituzionale, è un militare che va al potere».
Corrado Zunino
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Dicembre 15th, 2013 Riccardo Fucile “BASTA MINACCE, TORNIAMO A LAVORARE”
«C’è gente che per pochi soldi fa di tutto. Chi ha regalato 600 mila euro a Lele Mora vuoi che non sia in
grado di comperare un gruppo di questi ragazzotti? In questi giorni c’è chi dice che se venisse arrestato scoppierebbe la rivoluzione».
Un sabato normale. Il primo dopo la rivolta: «Non è detto che sia finita. Ma fino a Natale si dovrebbe lavorare. Ormai questo è l’unico mese dell’anno in cui si guadagna qualcosa. Sarebbe da pazzi fermarsi altri giorni».
Seduto al caffè del padiglione alimentare di Porta Palazzo, Marco il panettiere tira le somme della settimana della follia nei mercati torinesi. E racconta i giorni della grande paura, quando la sola voce dell’arrivo delle squadracce dei forconi ha reso deserto il mercato all’aperto più grande d’Europa: «Se montate i banchi – ci dicevano – spaccheranno tutto».
La vera minaccia, racconta il panettiere, «è stata la psicosi che le prepotenze di piccoli gruppi hanno generato a valanga nei giorni precedenti la serrata.
Una paura assurda: solo a Porta Palazzo ci sono 70 macellai. Sai che cosa significa?». Marco non è tipo da spaventarsi facilmente: al mercato ricordano ancora il giorno che salì sul tetto di un palazzo del quartiere per convincere con le maniere forti un gruppo di anarchici a sloggiare.
Perchè allora farsi prendere dal timore? E soprattutto di chi avere paura? Forse della squadra di ragazzi con la sciarpa sul volto che martedì, secondo giorno della protesta, è entrata nel bar di Francesco nella zona di Valdocco, a due passi dal centro, minacciandolo se non avesse chiuso: «Prima hanno battuto le mani sulla vetrina. Poi hanno aperto la porta e si sono avvicinati al bancone per dire: “Se tieni ancora aperto torniamo più tardi e ti sfasciamo tutto”. Chi mi parlava era un ragazzo marocchino sui trent’anni che sventolava una bandiera tricolore».
Avere paura di quel ragazzo? O degli incappucciati che il 7 dicembre spaventavano i negozianti di Collegno, alle porte della città : «Correvano in mezzo alla via principale – ricorda Luigi che li ha visti da dietro il suo bancone di macellaio – e urlavano “Lunedì tutti chiusi, meglio che non troviamo nessuno con le serrande alzate”».
«Per tre settimane – ricorda Marco – il timore sussurrato è diventato paura e poi terrore, alimentato dai blog e dai messaggi su Facebook che moltiplicavano l’effetto di queste scorribande».
Molti avevano avvisato del pericolo: «I nostri associati hanno cominciato a segnalare minacce almeno una decina di giorni prima dello sciopero», ricorda Stefano Papini, presidente della Confesercenti torinese.
E quali contromisure sono state prese? «Poche. Perchè in Prefettura ci rispondevano che senza denunce precise, con nomi e cognomi, non potevano intervenire».
Al mercato di piazza Foroni, la piazza dei pugliesi che ancora oggi celebrano la festa di San Nicola come fossero rimasti a Bari, Stefano P. è uno degli organizzatori dello sciopero del 9 dicembre.
«Noi con quelle minacce non c’entriamo proprio. Anzi, siamo stati le vittime. Avevamo organizzato la protesta perchè la giunta Fassino ha aumentato le tasse e non ha mai preso in considerazione i problemi degli ambulanti. Ci trattano da evasori e poi in campagna elettorale vengono a chiederci il voto».
Che cosa è andato storto? Chi si è infiltrato? «Ultras, brutta gente che voleva approfittarne, negli ultimi giorni anche qualcuno dei centri sociali. Noi abbiamo cercato di prendere le distanze. In piazza Castello ci siamo sdraiati per terra di fronte alla polizia mentre certa gente tirava i sassi».
Ma chi ha chiamato gli ultras e la «brutta gente» di cui parla Stefano? Marco, ha una sua risposta: «C’è gente che per pochi soldi fa di tutto. Chi ha regalato 600 mila euro a Lele Mora vuoi che non sia in grado di comperare un gruppo di questi ragazzotti? In questi giorni c’è chi dice che se venisse arrestato scoppierebbe la rivoluzione».
Il panettiere di Porta Palazzo non è l’unico a ipotizzare la manina del Caimano dietro le minacce. Ma più che il promotore, il leader di Forza Italia sembra uno dei tanti potenziali utilizzatori finali del caos scoppiato a Torino. Stefano di piazza Foroni ha una spiegazione più semplice: «Quando c’è casino c’è sempre qualcuno disposto a sfasciare una vetrina per portarsi a casa qualcosa».
Oggi, nel primo sabato dopo la grande paura, si contano i cocci.
Quelli dei mattoni scagliati lunedì contro la sede della Regione e quelli di un movimento inflitrato fin dal suo nascere: «Abbiamo fatto due riunioni con Calvani, nessuno ci aveva parlato di minacciare i colleghi. Io ho fatto il giro dei negozi per invitare a chiudere ma senza obbligare nessuno», dice Stefano. Non tutti hanno minacciato e non tutti hanno accettato la minaccia. Francesco, il barista di Valdocco, ha risposto a muso duro al ragazzo marocchino che gli imponeva di chiudere il bar: «Se voi tornerete per sfasciare la vetrina mi troverete qui. Ho fatto la guerra in Afghanistan e non ho certo paura di voi».
La protesta è cessata mercoledì, la normalità è solo di due giorni fa. «Perchè vi siete fermati? Se resistevate due giorni in più si bloccava tutta la città ».
A porre le domande è un uomo sulla quarantina, barba lunga e nera e due bambine al seguito. Approfitta del semaforo rosso e interroga un ambulante appoggiato a un camion di frutta. È Mario, il bananaio dell’angolo di Porta Palazzo: «Ci siamo fermati perchè i camionisti ci hanno mollati. Dovevano bloccare i rifornimenti dei mercati generali e invece mercoledì hanno forzato i blocchi e hanno ripreso a lavorare».
«È un vero peccato – recrimina l’uomo con la barba – gli scioperi degli operai erano più tosti e duravano più a lungo ». Scusi, perchè avrebbe voluto che la protesta durasse di più? «Non rispondo alle domande dei giornalisti », dice l’uomo con la barba allontanandosi.
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 15th, 2013 Riccardo Fucile IL TESTO CHE LO INTRODUCE E’ PRONTO…IN CASO DI ARRESTI DOMICILIARI PUO’ DIVENTARE UNA PRASSI
Rieccolo. Il braccialetto elettronico. Un fantasma da 10 anni. Mai veramente vivo, mai definitivamente morto. Targato Telecom.
Adesso rispunterà nel decreto sulle carceri che il Guardasigilli Cancellieri sta tentando di portare in consiglio dei ministri da settimane, bloccata prima dalle polemiche su di lei per via di Ligresti, poi dalla nuova fiducia sul governo.
Non c’è riuscita neppure ieri, a causa degli altri decreti più importanti del suo. Ma il testo è pronto. Andrà la prossima settimana. Lì, proprio all’articolo uno, ecco che il braccialetto fa la sua comparsa.
E tutti pensano subito a Berlusconi, in procinto di scontare i 9 mesi di detenzione che gli restano per la condanna Mediaset dopol’indulto di tre anni.
L’ex premier ha chiesto di essere affidato ai servizi sociali, ma nella scelta è sovrano il tribunale di sorveglianza che potrebbe respingere la domanda e spedire l’ex Cavaliere ai domiciliari.
A quel punto ecco che pure Berlusconi rischia il braccialetto.
Bisogna saper di diritto per scoprire che si parla proprio del nostro braccialetto nel decreto Cancellieri, perchè in verità nel testo ci sono solo poche righe.
Si interviene su un vecchio decreto e laddove è scritto «se lo ritiene necessario» la frase cambia in «salvo che le ritenga non necessarie».
Un assurdo cruciverba? No, significa questo: finora il giudice, quando metteva ai domiciliari un condannato, «se lo riteneva necessario», imponeva al detenuto il braccialetto elettronico.
Si trattava, dunque, di una misura opzionale, non di un obbligo.
Invece che succede adesso? Esattamente l’opposto, il giudice deve motivare perchè «non» ritiene necessario il braccialetto, che da essere una misura di controllo “facoltativa” diventa obbligatoria.
Se il giudice stabilisce di non mettere il braccialetto deve spiegare per quali ragioni non lo fa. Nel caso di Berlusconi, qualora andasse ai domiciliari, se il giudice dovesse decidere di non mettergli il braccialetto, che diventa la prassi per tutti, dovrebbe spiegare perchè non lo obbliga a portarlo.
È ben evidente che si tratta di un’inversione di rilevante importanza, perchè se fino a ieri tutti erano scettici sul braccialetto – una sorta di polsiera o cavigliera elettronica che lancia segnali a una centralina della polizia e che consente di localizzare sempre il detenuto – adesso dovranno ricredersi, perchè nella strategia di svuotare le carceri e potenziare i domiciliari, il braccialetto diventa un importante strumento di garanzia per evitare evasioni.
Il decreto si fa carico anche della notoria labilità di questo strumento, tant’è che toccherà sempre al giudice verificare se il braccialetto è disponibile oppure no.
Tanto vale dare per scontata la polemica sulla Cancellieri, che già al Viminale, da ministro dell’Interno, due anni fa aveva firmato il contratto con Telecom per la fornitura dei braccialetti.
E i pettegoli, durante il caso Ligresti, avevano subito detto che l’aveva fatto per via del figlio che era un manager della compagnia telefonica.
Inevitabile ora il bis.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 15th, 2013 Riccardo Fucile AI FUNERALI DI MANDELA SULL’AEREO DI LETTA ERANO OSPITI ANCHE LA PRESIDENTE DELLA CAMERA E IL SUO COMPAGNO: E’ PRASSI CHE UN UOMO DELLE ISTITUZIONI PORTI LA MOGLIE, PERCHE’ DOVREBBE ESSERE VIETATO L’OPPOSTO? …. CE LO SPIEGHI, PROFESSORE, MAGARI DOPO AVER FATTO UNA DELLE SUE TELEFONATINE AD ARCORE
«Non amo l’ipocrisia, e dunque dico con nettezza che in queste critiche sento forte l’impronta di una
arretratezza sessista dura a morire nella vita pubblica italiana».
Lo scrive la presidente della Camera, Laura Boldrini, in un post su Facebook dopo le polemiche per la presenza del suo compagno alla cerimonia a Johannesburg per Nelson Mandela.
Boldrini ribadisce che la presenza del suo compagno sul volo di Stato è stata a costo zero: «Per me e per il mio staff non c’è stata nessuna spesa di viaggio a carico del bilancio della Camera: siamo stati ospiti sul volo del Presidente del Consiglio dei Ministri».
Quindi, prosegue, «al di là di inesistenti ragioni economiche, credo proprio che il problema sia un altro, nelle polemiche di queste ore.
LA VICENDA
A fare «scandalo» è il fatto che una donna delle istituzioni sia accompagnata da suo marito o dal suo compagno». « E tu intanto paga! #M5S», aveva scritto su Twitter Paolo Becchi, considerato da molti l’ideologo del Movimento 5 Stelle.
«Nessuno -ha spiegato Boldrini- si sogna di contestare la presenza di una moglie o di una compagna al fianco dei vertici istituzionali di genere maschile. In Italia come in tutto il mondo, da sempre persone con incarichi istituzionali viaggiano in coppia, senza che questo rappresenti uno scandalo. Lo fanno negli Stati Uniti come in Europa, in Asia come in Africa. Non amo l’ipocrisia, e dunque dico con nettezza che in queste critiche -sottolinea Boldrini- sento forte l’impronta di una arretratezza sessista dura a morire nella vita pubblica italiana. Per questo non ho voluto ignorare le polemiche: perche’ penso che non riguardino solo me, ma lo spazio che a noi donne viene “concesso” nell’Italia di oggi. C’e’ ancora molta strada da fare».
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 15th, 2013 Riccardo Fucile LANDINI E L’ASSE CON IL LEADER: “E’ PIU’ LIBERO DEI SUOI PREDECESSORI”
«Renzi ha un atteggiamento molto più libero sui temi della democrazia, del lavoro, della lotta alla precarietà rispetto a chi lo ha preceduto alla guida del Partito democratico». Chi parla è Maurizio Landini, leader della Fiom, sindacato politico per eccellenza, radicale di sinistra-sinistra, conflittuale, movimentista.
Fino al punto da teorizzare e praticare l’“indipendenza” nei confronti della Cgil.
Ma la frase di Landini, che non appartiene nemmeno alla stessa generazione di Renzi avendo compiuto 52 anni, dimostra che c’è davvero un’inedita sintonia tra il nuovo segretario del Pd e il capo della Fiom, nel passato più vicino alle posizioni di Sel e di Rivoluzione civile.
Landini, lei e Renzi vi incontrate, discutete, vi lanciate messaggi di reciproco interesse. Sta nascendo un nuovo asse a sinistra del tutto imprevisto: una strana coppia. Qual è il vostro obiettivo?
«Renzi è stato eletto – e non va sottovalutata la maggioranza che lo ha scelto – sulla base di un richiamo alla necessità di un cambiamento. Bene, è un bel po’ chenoi della Fiom diciamo che si deve cambiare perchè non c’è mai stata una fase con questi livelli di ingiustizia sociale, così come non è mai stata così grande la svalorizzazione del lavoro. Renzi vuole voltare pagina, ambisce a diventare premier, mi pare naturale che la Fiom cerchi un confronto con lui nel reciproco rispetto dei ruoli».
Quali sono i punti di incontro?
«Innanzitutto quello sulla democrazia. Renzi ha usato un processo ampiamente democratico per conquistare la segreteria del Pd. Al contrario – e Renzi lo ha capito – non ci sono più regole democratiche nei luoghi di lavoro. In questi anni si sono approvate leggi contro il lavoro, si sono cancellate le pensioni, e i lavoratori hanno perso il diritto di votare sui contratti e sugli accordi».
E lei – sempre che il suo ragionamento sia corretto – pensa che Renzi possa riportare nel mondo del lavoro le regole della democrazia?
«Sì. Come segretario del Pd può decidere che è fondamentale approvare una legge sulla rappresentanza e la democrazia sindacali ».
Ma Cgil, Cisl e Uil non hanno fatto a maggio un accordo con la Confindustria su questo? Addirittura venne definito un “accordo storico”.
«È gravissimo che non sia stato ancora applicato. Ma è la Confindustria che non lo vuole e punta a inserire un meccanismo di sanzioni per impedire l’esercizio del diritto di sciopero».
Un po’ il modello Marchionne. Quello che piace a Renzi. Come la mette?
«Intanto dico che quel modello piace meno alla Corte costituzionale e poi suggerirei a Renzi, se proprio cerca un modello, di mettersi a studiare quello della Volkswagen»
L’economista più ascoltato da Renzi, Yoram Gutgeld, propone per i giovani un contratto unico a tempo indeterminato senza però l’articolo 18. Lei cosa ne pensa?
«Non sono d’accordo. L’articolo 18 è già stato manomesso.Quanti nuovi posti ha creato? Quante multinazionali sono venute in Italia? La verità è che il nuovo articolo 18 ha prodotto più licenziamenti per ragioni economiche. Serve altro: azzeramento delle forme di precarietà , inserimento del reddito minimo, riduzione degli orari, nuovi investimenti pubblici e privati, salvaguardando l’industria pubblica anzichè svenderla con le privatizzazioni. Ma questo governo e questo Parlamento sono in grado di realizzare il cambiamento?».
Sulle privatizzazioni anche Renzi è contro.
«Mi pare una posizione di saggezza ».
Renzi ha apprezzato le sue posizioni critiche nei confronti del sindacato, lei ricambia sulla politica? Serve la rottamazione?
«Non condivido la parola rottamazione, ma un cambiamento profondo comporta assolutamente anche un cambiamento delle persone».
Sembra pronto per iscriversi al nuovo Pd. Lo farà ?
«Finchè sarò il segretario della Fiom avrò solo due tessere in tasca: quella della Cgil e quella dell’Anpi».
Ma voterà Renzi quando si presenterà come candidato a Palazzo Chigi?
«Valgono i contenuti. La personalizzazione della politica ha già fatto troppi danni con Berlusconi».
Roberto Mania
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