Dicembre 16th, 2013 Riccardo Fucile PREVISTO IL TAGLIO DI 3.000 DETENUTI… TOSSICODIPENDENTI IN COMUNITA’ DI RECUPERO E STRANIERI CHE SCONTANO GLI ULTIMI DUE ANNI NELLE CARCERI DEL PAESE DI ORIGINE
Meno detenuti nelle carceri, circa 3mila, e taglio dei tempi per i processi civili e penali. Questo l’obiettivo
del pacchetto di misure che domani andrà in Consiglio dei ministri.
Un modo, come ha spiegato Enrico Letta per “dare seguito alle parole di Giorgio Napolitano”. Il presidente della Repubblica nel tradizionale saluto di fine anno alle cariche istituzionali, ha sottolineato ancora una volta “le condizioni disumane” alle quali sono costretti i detenuti, “è un problema da non trascurare nemmeno un giorno in più”, ha sottolineato la prima carica dello Stato.
E l’esecutivo, dopo settimane di mediazioni e di confronto, porta sul tavolo del Cdm un pacchetto corposo che prevede un dl sulle carceri e due ddl sul processo civile e penale.
La novità più importante sarà il taglio dei tempi per quanto riguarda i processi civili e penali. Misure, tra queste l’obbligo di notifiche per via telematica, che verranno inserite in due ddl.
Il Dl, invece, riguarderà in particolare i tossicodipendenti. Per fatti non rilevanti “verrà tolta la recidiva”, inoltre i tossicodipendenti verranno aiutati a reinserirsi nella società , attraverso le comunità di recupero.
Nel decreto è prevista anche un’altra misura importante per gli extracomunitari colpevoli di reati: in alcuni casi gli ultimi due anni di carcere li sconteranno nelle prigioni dei paesi di origine.
Il dl prevede anche l’uso dei braccialetti. Dopo un confronto con il ministero dell’Interno è arrivato l’ok definitivo e anche questa misura approderà domani in Cdm. Inoltre viene introdotta la figura del Garante nazionale dei detenuti.
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Dicembre 16th, 2013 Riccardo Fucile L’AUMENTO DELLE SALE BINGO E DELLE VIDEOLOTTERY
Fare cassa. Non importa come.
Succede che, come sempre, a rimetterci siano i disgraziati. Così lo Stato biscazziere — non cambia se al governo c’è D’Alema o Berlusconi o Letta — si rivolge a persone affette da una patologia che si chiama gioco d’azzardo.
Come? Con l’aumento delle Sale Bingo e, più pericoloso ancora, delle Videolottery (o Vlt), macchinette mangiasoldi come le Slot Machine che sono collegate in rete e hanno la possibilità di incassare, uniche nel loro genere, banconote da 500 euro.
à‰ tutto scritto, letto e controfirmato, nella legge di Stabilità , quella che dovrebbe far tornare i conti dello Stato e rilanciare l’economia dell’Italia.
Quel Paese che, a detta di coloro che governano, vede la luce in fondo al tunnel, ma non risulta abbia agganciato nessuna ripresa concreta.
Così, Letta 145 milioni di euro conta di metterli in tasca grazie al gioco d’azzardo. Ripartiti in 40 milioni che dovrebbero rientrare tra il rinnovo delle concessioni ai soliti noti per nove anni, e 105, invece, dalle 7000 nuove videolottery che andranno ad aggiungersi alle 50.500 già esistenti.
Letto, scritto e controfirmato, nonostante nessuno se ne sia accorto. La notizia è passata inosservata, sommersa da un grande calderone di norme che abbracciano di tutto e di più.
Le nuove slot online
Il mercato delle slot online. I colossi del settore non si sono fatti sfuggire l’occasione e hanno già chiesto le concessioni per le slot.
Già prima della scadenza del 29 novembre, data in cui scadeva per le 12 società (Cirsa, Codere, Cogetech, Gament, Gamtica, Gtech/Lottomatica, Hbg, Intralot, Nts Network, Net Win, Snai, Sisal a cui aggiungere Bplus — che opera in proroga della vecchi convezione del 2004) la possibilità di presentare le opzioni preliminari per i titoli delle Vlt, tra il 60 e l’80 per cento dei diritti a disposizione delle compagnie storiche, mentre i tre nuovi soggetti assegnatari puntavano al maggior numero possibile.
In linea teorica ognuna delle società aveva la possibilità di acquisire un numero compreso di diritti tra il 7 e il 14% delle new slot collegate alla propria rete, al costo di 15 mila euro ciascuno
L’unico concessionario a fare l’en plein è stato Intralot Gaming Machines che ha rilevato i 770 diritti a propria disposizione.
Segue un altro dei nuovi soggetti Nts Network, con 720 titoli su 910 disponibili, seguito da Sisal e Gmatica, che hanno entrambi rilevato 600 diritti (con il primo che poteva puntare a un massimo di circa 840 mentre il secondo a oltre 1100). Dopo di loro si posiziona Lottomatica Videolot con 500 diritti (su 720 circa a disposizione); l’ultima new entry NetWin Italia, con circa 400 diritti rispetto ai 725 a sua disposizione e infine Codere con 250 diritti (come Gmatica è il concessionario protagonista del maggiore incremento di new slot rispetto all’ultima gara).
Non hanno esercitato la facoltà di acquisire titoli aggiuntivi Cogetech e Hbg, mentre Bplus, Gamenet, Cirsa e Snai, non avevano incrementato le proprie reti.
Il business delle sale Bingo in Italia non è mai decollato. Il primo a incentivare l’apertura delle sale fu il governo D’Alema. Spuntarono come funghi in tutte le città .
A volte veri e propri villaggi del gioco.
Molto americanizzate, moquette, tabelloni e cartelle stile tombola. Ma dietro il boom iniziale il fenomeno è sempre andato in discesa. Anche perchè in quel caso la possibile vincita è sempre direttamente proporzionale al numero di giocatori.
Il governo Letta, però, ha comunque colto la palla al balzo in tema di rinnovo delle concessioni. 200.000 euro da ogni società , altri 300 mila di anticipo come garanzia, più i canoni mensili.
Per arrivare a cifra tonda, già che si trovavano a trattare la materia. “L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli procederà nel corso dell’anno 2014”, è scritto nella legge, “alla riattribuzione delle medesime concessioni attenendosi ai seguenti criteri direttivi fissazione nella somma di euro 200.000 la soglia minima per l’attribuzione di ciascuna concessione (da versare in due trance la prima alla presentazione della domanda, la seconda alla sottoscrizione della nuova concessione); durata delle concessioni pari a sei anni; 300.000 di garanzia bancaria ovvero assicurativa dovuta dal concessionario, per tutta la durata della concessione, a tutela dell’Amministrazione statale; il mantenimento dei requisiti soggettivi ed oggettivi, dei livelli di servizio e di adempimento delle obbligazioni convenzionali pattuite”.
Letta, sempre nel principio di fare cassa e portare in Europa dei conti almeno presentabili, ha anche scelto la strada migliore per risolvere il contenzioso con le società che gestiscono il mercato.
Secondo la Corte dei conti, come scritto nei giorni scorsi dal sito lanotizia.it  , già nel 2008 la procura della Corte dei conti aveva stabilito un risarcimento nei confronti dello Stato da parte dei re delle slot, fissato in 98 miliardi di euro per non aver collegato le macchine ai sistemi informatici del ministero. Una cifra da capogiro.
Ma dovuta al fatto, secondo i magistrati contabili, che avevano operato senza nessun controllo. Il procedimento è ancora pendente, ma il governo ha chiuso con una richiesta di 700 milioni, neanche l’uno per cento di quello che avrebbe dovuto entrare nelle casse statali. Una sorta di sanatoria letta da più parti come un favore — l’ennesimo — alle società che gestiscono l’azzardo ormai non solo legalizzato, ma parastatale.
Visto che gran parte delle entrate arrivano da lì. La terza azienda italiana, come Finmeccanica e la Fiat.
La tassa sui disperati
Per capire di cosa parliamo bisogna rifarci ai conti. E così si scopre che nelle scommesse legali gli italiani hanno speso 15,4 miliardi di euro nel 2003 e 79,8 miliardi nel 2011. Sedici volte il business che produce Las Vegas. In pratica parliamo di un incremento del 52% l’anno, per un fatturato che vale il 5% del Pil e mette il settore fra le prime industrie del Paese. In base ai dati dei Monopoli, in Italia la spesa media in scommesse per abitante maggiorenne è stata di 1.586 euro nel 2011: il 13,5% del reddito.
Questo mentre crescono come funghi i nuovi casinò. Perchè le sale bingo in realtà sono una semplice insegna: il business e tutto nelle macchinette mangiasoldi che, con le nuove concessioni, rischiano di aumentare ancora la spesa media. E ridurre sul lastrico le famiglie.
Il tutto mentre i Comuni cercano di portare avanti la strategia contraria: disincentivare il gioco. In provincia di Reggio Emilia, nei mesi scorsi, è addirittura nata la struttura residenziale per curare i pazienti dall’azzardo compulsivo. Le Asl, a livello locale, investono perchè ritengono la ludopatia una vera e propria malattia.
Poi però arriva lo Stato a gamba tesa che scombina tutti i buoni propositi. Le regioni cosiddette virtuose, come l’Emilia Romagna, hanno aperto servizi per la cura da gioco in tutte le città . Non solo. Si sono spinti oltre.
Le sale gestite dalle società dovrebbero esporre (il condizionale è obbligatorio) gli opuscoli su come ci si cura. La buona sostanza: entrate e giocate, è legale, lo Stato incassa e allo stesso però si lava la coscienza offrendo la cura.
Una sorta di larghe intese prima ancora che learghe intese si materializzassero sotto gli occhi di tutti. In principio fu il governo Berlusconi a comprendere che quello del gioco era un business da poter spremere. Ci si è tiffato dentro dD’Alema, ha proseguito ancora Berlòusconi: fu una legge del suo governo a stabilire che le concessioni avessero una durata di nove anni.
Quello che il governo in loden di Mario Monti ha assunto a modello e che adesso prosegue con Enrico Letta, buon conoscente di Antonio Porsia che già nel 2004 finanziò con 15 mila euro la sua campagna elettorale.
I signori del gioco d’azzardo si ritrovano anche tra gli sponsor della lobby che Letta guida da anni, Vedrò. Tutto naturalmente avviene per una serie di casualità .
Il business è business. Anche se fatto alle spese dei poveracci che vengono riconosciuti come malati. Lo Stato si curerà di loro, prima però li svuota le tasche. E’ la regola del gioco e non conta niente se il governo sia targato centrodestra, centrosinistra o abbracci tutto l’arco politico e di schieramenti.
Emiliano Liuzzi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 16th, 2013 Riccardo Fucile LAURA BOTTICI USA L’AUTO DI STATO PER ANDARE A FARE GLI AUGURI A NAPOLITANO: MA NON VOLEVANO L’IMPEACHMENT?
I Cinque Stelle chiedono l’impeachment di Napolitano un giorno sì e l’altro pure, ma l’etichetta
istituzionale sembra essere più importante.
Così la senatrice grillina Laura Bottici, eletta Questore del Senato a marzo, non si è sottratta alla consueta cerimonia al Quirinale per lo scambio degli auguri di Natale e Capodanno con le alta cariche dello Stato.
Di più: forse per non fare tardi, la senatrice è salita al Colle con l’auto blu (proprio quell’auto blu che fino a pochi mesi fa era il simbolo della casta da abbattere).
Laura Bottici è stata eletta in Parlamento nella circoscrizione Toscana.
Dal 21 marzo 2013 è eletta Questore del Senato della Repubblica per M5S con 120 voti di preferenza.
E’ intervenuta in aula diverse volte per criticare gli sprechi della Casta e per chiedere uan riduzione dei cnonessi privilegi.
Insomma si predica bene e si razzola male…
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Dicembre 16th, 2013 Riccardo Fucile DIVERGENZE SIA PER QUANTO CONCERNE IL TIMORE DI INFILTRATI CHE PER I RAPPORTI DA TENERE CON IL GOVERNO
Che fosse un movimento eterogeneo era chiaro fin dall’inizio.
Tanto eterogeneo da biforcarsi quasi subito, con portavoce e modalità di protesta ben diversi.
Le due anime dei Forconi sveleranno tutta la loro distanza nel corso di questa settimana. Da una parte l’ala che si riconosce in Danilo Calvani, il leader in Jaguar; dall’altra il Comitato 9 dicembre, decisamente più moderato e meno intransigente.
Il primo ha confermato di voler manifestare mercoledì 18 dicembre in piazza del Popolo a Roma (seppur senza presidio); i secondi hanno in mente una “passeggiata pacifica” per le vie della Capitale, in data ancora da definirsi.
Più che piccole sfumature, divergenze che hanno già il sapore della spaccatura.
Dal movimento ovviamente negano. “Tra noi e Danilo Calvani non c`è nessuna spaccatura, ma solo una divergenza sulla trattativa con il governo”, spiega Mariano Ferro, fondatore e leader del movimento il popolo dei Forconi.
“Calvani dice ‘tutti a casa senza trattar’ — osserva Ferro – e può essere una scelta, noi invece vogliamo mettere sul tavolo del governo la crisi e conoscere le risposte che il governo dà alla crisi”.
Sulla manifestazione già in programma mercoledì 18 a Roma ha poi aggiunto: “Spostarsi dalla Sicilia costa, spostarsi dalla Lombardia costa, spostare persone per portarle in una ‘gabbia’ che si chiama piazza del Popolo, nonostante sia bellissima, non serve a niente: se spostiamo le persone non credo sia utile chiuderle in un ovile come si fa con le pecore, e non credo che radunarle in piazza del popolo sia una protesta esaltante”.
Comitato 9 dicembre: “Domenica a messa in piazza San Pietro”.
Anche per ribadire la sua vocazione pacifica, il Comitato 9 dicembre ha annunciato di voler partecipare alla messa di Papa Francesco domenica prossima in piazza San Pietro.
Lo annuncia il leader del movimento in Sicilia, Mariano Ferro, precisando di “voler vivere un momento di serenità e di pace”.
“Non possiamo rassegnarci – aggiunge Ferro – non vogliamo vedere violenza, non comprendiamo l’indifferenza del governo.
‘I poveri non possono aspettare’ ha detto qualche giorno fa Papa Bergoglio e noi che siamo i poveri ci affidiamo a lui ancor prima che agli uomini che decidono della nostra vita. Poveri – sottolinea l’esponente dei Forconi – ma ricchi, ricchi di voglia di vivere, ricchi di speranza, ricchi di voglia di serenità , di pace e di giustizia.
Ci piacerebbe – auspica Mariano Ferro – se Papa Francesco lanciasse per noi un messaggio per quanto sta accadendo nel nostro Paese”.
Calvani, invece, non molla l’ipotesi piazza del Popolo.
“Mercoledì a Piazza del Popolo non avremo nessuna tenda e il sindaco Marino dovrebbe sapere che siamo stati autorizzati a fare una manifestazione senza alcuna occupazione di suolo pubblico. Mentre il Prefetto può stare tranquillo, perchè non ci saranno neanche cortei di camion o adunate al di fuori dei presidi autorizzati”, dice il leader del Forconi e del Cra, Comitati Agricoltori Riuniti.
“Capisco la preoccupazione dei politici e i loro tentativi di scoraggiare in ogni modo chi vuole manifestare”, aggiunge. “Ma noi siamo certi che riempiremo piazza del Popolo senza alcuna violenza e senza nessun movimento politico di estrema destra che non ha nulla a che fare con noi e dei quali non devo rispondere”.
Il Comitato 9 dicembre, però, punta sulla passeggiata pacifica, anche per il timore che la “gabbia” di piazza del Popolo possa trasformarsi in una calamita per estremisti e violenti.
Una parte del movimento, infatti – quello che si è dissociato da Danilo Calvani – sta lavorando a una due giorni a Roma: le date non sono ancora decise, fanno sapere dal movimento, ma non è escluso che l’iniziativa si tenga già in settimana. Non si tratterà di un corteo, spiegano dal Comitato 9 dicembre, ma di una “passeggiata”, un “serpentone pacifico e silenzioso” nelle vie della Capitale.
Si stanno studiando anche altre strategie non convenzionali di protesta.
Al comitato – che ha promosso anche le iniziative dei giorni scorsi, prima che nei Forconi si producesse una frattura con l’ala più dura che fa capo a Calvani – fa riferimento l’ala più morbida del movimento, preoccupata di possibili infiltrazioni da parte di frange estremiste.
L’iniziativa a cui si sta lavorando è quella di convogliare nella Capitale un gran numero di persone provenienti da tutta Italia, con cifre che secondo quanto viene riferito, al momento, in base alle adesioni, possono aggirarsi sulle 200-300 mila suddivise in due giorni consecutivi.
“Non vogliamo creare nessun disagio – dicono gli organizzatori – la nostra vuole essere una passeggiata pacifica, non un corteo, con lavoratori, famiglie, bambini, pensionati, anche disabili”. Una platea variegata che è anche quella di un movimento costituito da molte categorie diverse, accomunate da un forte disagio e dalla richiesta di un taglio della pressione fiscale. Nel frattempo il comitato vuole mantenere i presidi in sede locale e, in concomitanza dell’ iniziativa a Roma, manifestare anche di fronte alle prefetture nelle diverse città .
Poi c’è l’idea di portare avanti “forme di proteste alternative”, gesti simbolici di impatto mediatico, “assolutamente legali, ma che lascino un segno”, dicono.
Tra le idee sui cui si sta ragionando, il prelievo di massa di somme importanti dai conti correnti delle banche, lo stop concordato su larga scale del rifornimento di carburante, la riconsegna dei documenti allo Stato per indicare che non si sentono più cittadini italiani, invitando Equitalia a spiegare come, dopo questo gesto, potrà fare i sequestri.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 16th, 2013 Riccardo Fucile SUL MATTARELLUM PRONTO AL DIALOGO ANCHE CON BERLUSCONI
I contatti sono già stati avviati nella discrezione più assoluta. Ambasciatori renziani hanno sondato, nei
giorni scorsi, alcuni fedelissimi di Grillo in parlamento sulla legge elettorale. L’oggetto del reciproco “annusamento” – non ancora una trattativa – è proprio quel Mattarellum che Angelino Alfano e il nuovo centrodestra vedono come una sciagura assoluta. Perchè una cosa è certa: al di là dei guanti di sfida che si lanciano in faccia in pubblico, Renzi coltiva un piano segreto per usare «Beppe» a suo favore nella battaglia contro i guardiani del governo a tutti i costi.
Pronto anche ad andare a elezioni in un election day che tenga insieme Politiche ed Europee.
La strategia del segretario democratico è un doppio binario.
E non è un caso se ieri, all’assemblea nazionale del suo partito, non sia sceso nei dettagli di quale modello elettorale preferisca.
Renzi ha infatti posto la deadline di fine gennaio per trovare un accordo con il nuovo centrodestra «all’interno dei confini della maggioranza».
Respingendo dunque la tesi di chi, come i ministri Quagliariello e Franceschini, vorrebbe invece collegare la riforma elettorale con la riforma costituzionale che riguarda la fine del bicameralismo.
«Sono scuse per perdere tempo – ha spiegato ai suoi il sindaco di Firenze – , mentre noi dobbiamo approvare subito una riforma prima che la Corte costituzionale arrivi con le motivazioni della sentenza che ha abolito il Porcellum ».
Dunque questo mese di tempo è la finestra che Renzi concede ad Alfano per provare a scrivere insieme una legge a doppio turno con premio di coalizione e preferenze.
Ma già prepara il secondo binario, ovvero la sua exit strategyse la prima ipotesi – l’accordo all’interno della maggioranza – dovesse rivelarsi una palude.
E qui entrano in scena Grillo e Berlusconi, interlocutori indispensabili. E cambia anche il modello elettorale, virando rapidamente verso la legge Mattarella.
Tuttavia con una modifica sostanziale, in chiave ipermaggioritaria: il 25% di recupero proporzionale del vecchio Mattarellum dovrebbe infatti essere trasformato in premio di maggioranza per garantire la governabilità .
Era quello che proponeva un ordine del giorno firmato due settimane fa da Roberto Calderoli e poi abbandonato.
Il problema è che la prima “chiacchierata” tra renziani e M5S su questo SuperMattarellum al momento è stata una fumata nera. I suoi sarebbero favorevoli, ma Grillo teme una legge elettorale che lo confinerebbe nell’irrilevanza, mentre con il vecchio Mattarellum senza il premio (data la presenza di tre poli) il centrosinistra renziano non avrebbe alcuna garanzia di vittoria. Ma il calcolo di Renzi prescinde da queste prudenze grilline.
Il sindaco infatti, se Alfano facesse melina sul doppio turno, andrebbe comunque avanti da solo – tanto più che Berlusconi e Forza Italia si sono già pubblicamente espressi a favore del legge in vigore dal ’94 al 2005 – e il redde rationem ci sarebbe in Aula.
A quel punto, con il Super-Mattarellum in campo, per i cinquestelle sarebbe difficile dire di no. E il rischio di un’implosione parlamentare del M5S sarebbe molto alto.
«Il dissenso sta crescendo. Quando presenteremo la proposta – ha confidato ai suoi il segretario dem – in aula li massacriamo. Dentro di loro stanno esplodendo conflitti».
La legge elettorale, nell’ottica di Renzi, costituisce anche un’ottima leva per costringere il governo e i partiti alleati a marciare sulla sua agenda.
Alfano è infatti consapevole che, se non si raggiungesse un accordo di maggioranza sulla legge elettorale, l’alternativa (il SuperMattarellum) lo costringerebbe a tornare a Canossa dal Cavaliere e a dire addio al sogno di una ristrutturazione post-berlusconiana del centrodestra.
Quali saranno i contenuti che il segretario democratico metterà nel “patto alla tedesca” da siglare a gennaio sono stati esposti ieri davanti ai delegati dell’assemblea nazionale. Renzi con i suoi la chiama la «triplice intesa» perchè tocca tre settori: le proposte sul lavoro «de-ideologizzato» (ovvero senza accettare la piattaforma della Cgil), i diritti civili con le unioni gay e il superamento della Bossi-Fini – e il capitolo cultura&scuola.
Che sia il patto alla tedesca con Alfano e Letta o il piano d’emergenza con Grillo e Berlusconi per arrivare al Mattarellum, al momento Renzi è l’unico giocatore che ha in mano una carta di riserva.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 16th, 2013 Riccardo Fucile BLITZ ALLA RICERCA DI DOCUMENTI SULLA DISTRAZIONE DI FONDI… TRA I NUOVI INDAGATI ANCHE ALCUNI ASSESSORI
L’inchiesta è sempre la stessa, ma continua a riservare clamorosi sviluppi.
Sul caso dei rimborsi ai gruppi, la politica sarda trema ancora.
E stamattina diciannove consiglieri regionali, qualcuno ex e qualcuno promosso assessore, si sono ritrovati i carabinieri e i finanzieri in casa e in ufficio.
La polizia giudiziaria cerca documenti e altri indizi che supportino ulteriormente l’accusa mossa dal sostituto procuratore Marco Cocco: i fondi che dovevano servire per l’attività politica sono stati invece utilizzati per affari personali.
Da qualche giorno sul registro degli indagati ci sono nuovi nomi e le perquisizioni fatte scattare all’alba di oggi confermano che l’attività della procura di Cagliari non è ancora conclusa. Gli arresti ordinati qualche settimana fa non erano l’ultimo capitolo. Tra i nomi nuovi compaiono quelli di tre esponenti del Partito sardo d’azione, l’unico che fino a questo momento era rimasto fuori dall’indagine.
Poi c’è Giorgio Oppi, uno degli esponenti politici più influenti dell’Udc della Sardegna, più volte assessore regionale e consigliere regionale per almeno cinque legislature.
A Sassari la polizia giudiziaria si è presentata a casa di Sergio Milia, avvocato e attuale assessore regionale alla Cultura e alla Pubblica istruzione.
Milia, comunque, non è l’unico tra gli esponenti della Giunta a finire sotto inchiesta: oggi è stata perquisita la casa dell’assessore all’Ambiente, Andrea Biancareddu, mentre è già a un livello avanzato il procedimento contro l’assessore all’Agricoltura, Oscar Cherchi.
Tra gli altri indagati, per il momento, si conoscono i nomi di Chicco Porcu, Antonio Biancu, Mario Bruno e Giuseppe Cuccu del Pd e Tore Amadu del Pdl, ex assessore regionale ai Trasporti.
Per gli altri si attendono ancora le conferme, visto che il lavoro di finanzieri e carabinieri potrebbe andare avanti ancora per diverse ore.
Con questo nuovo filone, la Procura della Repubblica di Cagliari ha praticamente decapitato tutta la politica sarda.
Gli indagati complessivamente sono un’ottantina, più o meno di tutti i partiti, e tra loro c’è anche la vincitrice della primarie del centrosinistra (che aspira a strappare la poltrona a Ugo Cappellacci) Francesca Barracciu.
Ancora in carcere l’ex capogruppo del Pdl Mario Diana, mentre solo due giorni fa era stato scarcerato il suo compagno di partito Carlo Sanjust.
Secondo gli accertamenti dei magistrati i fondi per l’attività politica, nel corso delle ultime legislatura, sarebbero stati sfruttati per acquistare orologi, penne e libri di grande valore, ma anche per organizzare un matrimonio e finti convegni su temi di ogni genere.
Nicola Pinna
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Dicembre 16th, 2013 Riccardo Fucile “ABBIAMO PERSO UN MILIONE DI POSTI DI LAVORO, MA NEANCHE UN ASSESSORE”
La politica costa agli italiani 23,2 miliardi l’anno tra funzionamento di organi istituzionali, società
pubbliche, consulenze e altri costi e oltre 1 milione di persone vive grazie al sistema di governo e amministrazione, tra esecutivo, regioni e province. “Abbiamo perso un milione di posti di lavoro, ma neanche un assessore”.
L’allarme lo lancia Luigi Angeletti, segretario generale della Uil presentando il III rapporto “I costi della politica” elaborato dal sindacato. “E’ una spesa che non possiamo più permetterci”.
1 MILIONE VIVE DI POLITICA
Sono oltre 1,1 milione le persone che in Italia vivono direttamente o indirettamente di politica, pari al 5% del totale degli occupati nel nostro Paese.
CONSULENZE E INCARICHI COSTANO 2 MILIARDI
Le spese per le consulenze, gli incarichi e le collaborazioni nella politica ammontano a 2,2 miliardi di euro, con un costo medio per contribuente pari a 72 euro.
Nello specifico, 1,3 miliardi di euro per incarichi e consulenze della Pubblica amministrazione, 350 milioni di euro per incarichi retribuiti a dipendenti pubblici, oltre 580 milioni di euro per incarichi e consulenze conferiti da società pubbliche.
AUTO BLU, 2 MILIARDI L’ANNO
I costi per la mobilità Della politica (auto blu e grigie, taxi, vetture a noleggio, etc.) ammontano a circa 2 miliardi di euro l’anno.
ENTI LOCALI ‘PESANO’ 3 MILIARDI
I costi per il funzionamento degli organi di Regioni, province e Comuni ammontano a 3,1 miliardi di euro (101 euro medi per contribuente), in diminuzione del 5,1% (170 milioni di euro).
ANGELETTI: RIDURRE COSTI POLITICA DI 7 MILIARDI
“I costi della politica sono ulteriormente aumentati dall’ultima indagine e oggi abbiamo valutato che sono intorno ai 23 miliardi: si possono ridurre di 7 miliardi rendendo le istituzioni più efficaci, senza comprometterne il funzionamento”, ha detto Angeletti in conferenza stampa.
Per il segretario generale della Uil serve un’accelerazione sul taglio dei costi alla politica “al di là delle belle parole”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 16th, 2013 Riccardo Fucile QUELLO SPECCHIO DEFORMANTE CHE INGIGANTISCE LE PROTESTE DI POCHI
Che botta di fortuna. L’espressione era più colorita, comunque il concetto è quello. Mentre camminava in una Torino deserta alla ricerca del portone della sede di Equitalia da assediare, non lo trovava e allora decideva di deviare verso il Consiglio regionale ma poi si fermava davanti al palazzo del Comune, Andrea Zunino continuava a ripetere il concetto mentre parlava al telefonino con un altro capo della protesta dei Forconi.
Il leader piemontese avrebbe poi incontrato discreti problemi a spiegare il suo Pantheon personale, nel quale alloggia il primo ministro ungherese Orbà n, non esattamente un sincero democratico, e le sue frasi per nulla originali sui banchieri ebrei che dominano il mondo, eterna premessa che prelude all’antisemitismo, non importa se dichiarato o meno.
Ma in quel momento, su quel punto, fortuna e persino maiuscola, aveva ragione lui. Come ottenere la massima visibilità con il minimo sforzo, questo potrebbe essere il titolo.
Ci siamo dimenticati, in molti hanno di fatto voluto farlo, dei numeri, che nelle manifestazioni di piazza hanno sempre il loro peso, vedi a ogni corteo il solito minuetto sulle cifre fornite dalla questura.
A Torino, divenuta a sua insaputa capitale della rivolta, nel giorno di massima pressione della protesta, contando anche ultrà di Juventus e Toro, c’erano al massimo duemila persone.
Non fosse stato per i sassi e i lacrimogeni che volavano, in piazza Castello si sarebbe potuto fare anche una partitella a pallone, che di spazio ce n’era.
Questo non è un dettaglio da poco. Le dimensioni contano.
Nello specchio deformato dell’Italia di oggi, è sembrato che il Paese fosse scosso dall’onda di un movimento di massa, che tale ancora non è.
L’elemento decisivo per l’ascesa alla notorietà dei Forconi è stato il metodo. Minacciare il barbiere di corso Francia di tagliargli la gola con il rasoio che aveva in mano, circondare e prendere a spintoni il ragazzo del bar di via Alfieri che sta uscendo con il vassoio in mano per portare i cappuccini negli uffici di fronte, impedire insomma alla gente di andare a lavorare, di muoversi liberamente.
Si è trattato di questo. Adesso che la protesta conosce una piccola tregua forse è il caso di dire che non se ne è parlato abbastanza, del metodo.
L’esplosione mediatica dei Forconi ha canonizzato la protesta contro lo Stato sanguisuga, presentando spesso la gente in piazza e i loro portavoce come martiri del sistema.
Il prezzo da pagare a questa narrazione è stato lo scarso rilievo dato ai problemi, eufemismo, provocati alla stragrande maggioranza degli altri cittadini.
Eppure anche il metodo è importante, almeno dovrebbe esserlo, perchè in questi giorni si è assistito a uno spiraglio del Medioevo prossimo venturo, a una sorta di homo homini lupus al ribasso, io sto male quindi anche tu devi soffrire.
«Stiamo diventando sempre più cattivi» diceva sconsolato il barbiere di corso Francia. Aveva ragione anche lui. Sono stati brutti giorni per un paio di principi importanti della nostra convivenza civile, del nostro stare insieme, da comunità , e non da insieme di singoli individui.
«Siamo contro tutti e contro nessuno» gridava un altro dei capi.
Non è casuale che un sondaggio del Tg3 stabilisca che l’ottanta per cento degli italiani non ha capito il senso della protesta.
In questa vaghezza si è colto solo il senso di un individualismo proprietario, antipolitico e antisindacale, una specie di spontaneismo che autorizzava il via libera a ogni pulsione, a ogni rancore.
Il vuoto si riempie sempre, è una legge di natura. Così, sotto parole d’ordine in contrasto tra loro, è stato possibile che pezzi del nostro ceto medio sempre più proletarizzato, titolare ormai solo di un odio generalizzato e senza speranza di futuro, abbiano fornito relativa massa d’urto a una protesta nata e gestita all’interno della destra estrema più residuale, come dimostrano le scoperte e anche gli arresti degli ultimi giorni.
L’asso nella manica di questo casino neppure troppo organizzato è stato proprio l’indeterminatezza, la pura esibizione di un disagio.
C’è un implicito ricatto morale nel protestare perchè si sta male senza una rivendicazione precisa: dissentire o stare dall’altra parte è quasi impossibile.
E poi sono purtroppo tanti quelli che stanno male, che fanno fatica.
Così l’effetto della pesca a strascico è garantito, i media non possono ignorare il fenomeno, che in questo modo si gonfia, occupa più spazio di quanto ne abbia sulla mappa del Paese, genera una empatia quasi d’obbligo.
E così oscura evidenti indizi del fatto che i Forconi, almeno come si sono palesati finora, non sono la soluzione, ma fanno parte del problema.
Che fortuna, davvero. Fino a quando politici irresponsabili, vedi alla voce Beppe Grillo, decideranno di cavalcare questo grumo indistinto, c’è speranza.
In attesa che arrivi davvero un’Alba, magari dorata, a portarci via tutti, noi e loro.
(da “La Stampa“)
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Dicembre 16th, 2013 Riccardo Fucile I POLIZIOTTI: “ERAVAMO SENZA CASCO, HANNO COLPITO A FREDDO”
«Non indossavamo nemmeno i caschi. È stato un attacco premeditato, per di più arrivato in un momento
di assoluta calma».
Giuseppe Corrado, 50 anni, era in piazza con la divisa del Reparto Mobile. Ma è anche vicesegretario provinciale del Sap e insiste sull’«attacco che ha tradito la fiducia» accordata dalle forze dell’ordine agli organizzatori della manifestazione.
Attacco programmato
L’aggressione era programmata. Soltanto da qualcuno, i più erano all’oscuro.
La polizia ha sequestrato due cassette di plastica con 15 palloncini gonfiati con vernice colorata, tre fumogeni e quattro sacchetti di cellophane pieni di scaglie di plastica gialla per «impanare» le divise dopo la scarica di vernice.
Un poliziotto, poi, è riuscito a riparare appena in tempo il viso da un pezzo di muratura preso dal cantiere aperto in piazza Castello e lanciato contro lo schieramento davanti alla Regione.
«I ragazzi non volevano colpire le forze dell’ordine, miravano al palazzo della Regione» si affrettano a dire in piazza Castello genitori, amici, persino consiglieri comunali. Come se il lancio di vernice sui muri fosse legittimo.
«Non è vero, hanno lanciato ad altezza uomo, basta guardare le divise e i “mezzi” parcheggiati qui davanti per capirlo» ribatte il poliziotto in borghese che ha il compito di mantenere i contatti con i manifestanti.
Il «tradimento»
E ancora: «Era andato tutto bene, eravamo tutti tranquilli, non indossavamo nemmeno i caschi. All’improvviso, piovono palloncini pieni di vernice. A freddo, a tradimento, dopo che avevano assicurato di voler fare una manifestazione pacifica. Perchè lo hanno fatto? Perchè hanno voluto tradire la fiducia accordata? Siamo stati costretti ad avanzare per far allontanare i manifestanti. È stata una carica di “alleggerimento”, nulla di esagerato. Secondo voi, che avremmo dovuto fare? Restare lì ad assistere al tiro a segno?».
La polemica
«Abbiamo il dovere di difendere le istituzioni che rappresentiamo. Sempre lo abbiamo fatto e sempre lo faremo» aggiunge Corrado, che si dichiara «dispiaciuto per quanto è avvenuto in questi giorni a Torino».
Il sindacalista esprime lo stesso sentimento di dispiacere anche «per gli attacchi del sindaco ai vertici di questura e prefettura. Forse, sarebbe meglio che il primo cittadino pensasse a risolvere i mille problemi della cittadinanza e lasciasse fare l’ordine pubblico al personale qualificato impegnato ogni giorno in questo compito».
Claudio Laugeri
(da “La Stampa“)
argomento: denuncia | Commenta »