Dicembre 18th, 2013 Riccardo Fucile FILIPPI TADDEI, IL NUOVO RESPONSABILE ECONOMIA DEL PD, AUTORE DEL PROGRAMMA ECONOMICO DI CIVATI E ORA SCELTO DA MATTEO RENZI, NON HA OTTENUTO L’IDONEITA’ PER “CARENZA DI PUBBLICAZIONI”
Non ancora idoneo.
Il nuovo responsabile economia del Pd, autore del programma economico di Pippo Civati e scelto da Matteo Renzi per occuparsi di quell’area, ha ricevuto una bocciatura all’esame per l’abilitazione da professore associato di politica economica, valida da oggi al 18 dicembre del 2017.
Il giudizio collegiale, pubblicato sul sito del Miur, è che Taddei «non supera nessuna delle condizioni sufficienti previste dai criteri stabiliti dalla commissione. Dalla valutazione analitica delle pubblicazioni risulta soltanto 1 articolo in riviste di fascia A con un rilievo discreto».
«Il candidato Filippo Taddei», spiega un membro della commissione, il professor Gian Cesare Romagnoli, «è Assistant Professor alla Sais, The Johns Hopkins University, esterno, supera la condizione necessaria nella categoria della fascia A. Non supera la condizione sufficiente. Ha un PhD in Economics alla Columbia University. Presenta 1 sola pubblicazione di fascia A in 1 anno. La valutazione media è insufficiente. Per il Cv e le pubblicazioni, non è idoneo per l’abilitazione a Professore Associato di Politica Economica nel concorso 13-A2».
«La produzione scientifica e i titoli presentati dal candidato non risultano adeguati al conseguimento dell’abilitazione a Professore Associato di Politica Economica», è stato il giudizio del collega Antonio Garofalo.
(da “Europa“)
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Dicembre 18th, 2013 Riccardo Fucile DUEMILA POLIZIOTTI PER TREMILA MANIFESTANTI… CORI DA STADIO, QUALCHE MACCHIETTA IN TUTA MILITARE, I GIAPPONESI FOTOGRAFANO
Roma blindata con più di 2mila poliziotti intorno a piazza del Popolo per la manifestazione del movimento
dei forconi, che rimarrà in presidio fino a mezzanotte. La partecipazione alle 16, ovvero un’ora dopo il raduno annunciato, è molto ridotta rispetto alle aspettative del Coordinamento 9 dicembre, l’organismo che riunisce al proprio interno tutte le correnti del movimento dei forconi.
Si attendevano almeno 15mila persone, ma per adesso i manifestanti sono al massimo tremila.
Penosa la giustificazione: “Molti treni diretti a Roma si sono fermati perchè rotti” ha dichiarato all’Agi Danilo Calvani, leader del movimento 9 dicembre durante il presidio.
“Siamo autorizzati a rimanere qui fino a mezzanotte, rispetteremo le consegne, mentre gli altri presidi continueranno” ha continuato Calvani.
Slogan e cori da stadio al centro delle urla dei manifestanti: “Noi la crisi non la paghiamo” e ancora “tutti a casa”.
In piazza anche i manifestanti di Casapound, circa 200, che sono arrivati al presidio sventolando le bandiere tricolore e portando lo striscione “Alcuni italiani non si
arrendono”.
Una manifestazione contraddistinta però dalla spaccatura interna al movimento.
Non c’è invece uno dei fondatori del movimento, Mariano Ferro ed è assente anche il presidente di Life, Liberi imprenditori federalisti europei, Lucio Chiavegato, leader della corrente veneta.
Entrambi hanno rinunciato temendo la possibilità di infiltrazioni nel movimento che potrebbero rovinare la protesta.
Ferro rilancia un altro presidio per domenica prossima a Roma.
I manifestanti saranno prima in piazza San Pietro ad ascoltare l’Angelus di Papa Francesco, poi si sposteranno in una piazza della Capitale da concordare con la Questura, dove monteranno un sit-in permanente.
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Dicembre 18th, 2013 Riccardo Fucile IL REATO E’ PROCURATO ALLARME: PUBBLICO’ UNA NOTIZIA PRIVA DI QUALSIASI FONDAMENTO… A CAUSA DEI PRECEDENTI, A BELPIETRO NEGATE LE ATTENUANTI
Il direttore di “Libero” Maurizio Belpietro è stato condannato a due mesi di arresto, convertiti in
un’ammenda da 15 mila euro, per la falsa notizia di un attentato a Gianfranco Fini.
Il reato di Belpietro è procurato allarme: “Libero” pubblicò una notizia che mobilitò le forze dell’ordine in tutt’Italia e che poi si rivelò senza alcun fondamento.
La fonte di Belpietro era uno che voleva burlarsi della credulità dei giornali.
Il decreto penale esclude «l’esimente di un preteso diritto di informazione» per «totale assenza» di «qualsiasi connotato di serietà » in mancanza di una «anche minima verifica possibile»: «la “confidenza” è diventata “notizia” solo in ragione della sua diffusione e dell’allarme destato».
La pena detentiva (poi commutata in ammenda) per il gip non contrasta con Strasburgo perchè il no al carcere per i giornalisti è nei casi di diffamazione; e i precedenti penali negano al direttore le attenuanti.
Qui di seguito il pezzo di Maurizio Belpietro su Gianfranco Fini, affinchè tutti possano vedere come si fa la lotta politica dalle parti del Cav.
Su Gianfranco iniziano a circolare strane storie…
Girano strane voci a proposito di Fini. Non so se abbiano fondamento, se si tratti di invenzioni oppure, peggio, di trappole per trarci in inganno. Se mi limito a riferirle è perchè alcune persone di cui ho accertato identità e professione si sono rivolte a me assicurandomi la veridicità di quanto raccontato e, in alcuni casi, dicendosi addirittura pronte a testimoniare di fronte alle autorità competenti
Toccherà quindi ad altri accertare i fatti.
La storia è ambientata in Puglia, anzi, per la precisione ad Andria, un grosso comune da poco diventato capoluogo della neonata provincia di Bat, Barletta, Andria e Trani. Qui qualcuno avrebbe progettato un brutto scherzo contro il presidente della Camera.
Non so se sia giusto parlare di attentato, sta di fatto che c’è chi vorrebbe colpirlo in una delle sue prossime visite e per questo si sarebbe rivolto a un manovale della criminalità locale, promettendogli 200 mila euro.
Secondo la persona che mi ha fatto la soffiata, nel prezzo sarebbe compreso il silenzio sui mandanti, ma anche l’impegno di attribuire l’organizzazione dell’agguato ad ambienti vicini a Berlusconi, così da far ricadere la colpa sul presidente del Consiglio.
Per quel che ne ho capito, l’operazione punterebbe al ferimento di Fini e dovrebbe scattare in primavera, in prossimità delle elezioni, così da condizionarne l’esito. Vero, falso? Non lo so. Chi mi ha spifferato il piano non pareva matto.
Anzi, apparentemente sembrava un tizio con tutti i venerdì a posto: buona famiglia, discreta situazione economica, sufficiente proprietà di linguaggio.
In cambio dell’informazione non mi ha chiesto nulla, se non di liberarsi la coscienza e poi tornare da dov’era venuto.
Belpietro informa di non aver pagato l’autore della soffiata: e vorrei vedere che un’informazione così sgrausa, senza una fonte e senza uno straccio di riscontro neppure alla lontana, uno deve pure pagarla.
Inoltre Belpietro annuncia che il tizio voleva ‘liberarsi la coscienza’, quinto attestato di credibilità .
Perchè si è rivolto a me e non è andato dai carabinieri? Gliel’ho chiesto e mi ha risposto che era in imbarazzo a giustificare come fosse venuto in possesso della notizia e temeva che la spiegazione potesse arrivare alle orecchie dei suoi familiari.
Per cui ha voluto vuotare il sacco con me, facendosi assicurare che non avrei svelato il suo nome, ma mi sarei limitato a riferire le sue parole. È quel che faccio, pronto ad aggiungere qualche altro particolare, se qualcuno me lo chiederà .
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Dicembre 18th, 2013 Riccardo Fucile IL CAPOGRUPPO PDL: “MI ERA STATO CONSIGLIATA DALLA BNL, NELL’INTERESSE DEL PARTITO”
Una polizza vita i cui beneficiari sarebbero stati i suoi figli pagata, e non poco, con i soldi del gruppo al Senato.
Per questo l’ex presidente dei senatori Pdl, Maurizio Gasparri, rischia ora il processo con l’accusa di peculato.
I pubblici ministeri della capitale gli contestano di «essersi appropriato di 600mila euro utilizzandoli in data 22 marzo 2012 per l’acquisto — con il versamento del relativo “premio unico spot” — di una polizza Bnl intestata personalmente a lui, avente durata la sua intera vita e i cui beneficiari, in caso di morte dell’assicurato, erano i suoi eredi legittimi».
Insomma, nulla a che fare nè con la sua attività politica nè con quella del Pdl.
L’inchiesta, coordinata dal procuratore Giuseppe Pignatone, dagli aggiunti Francesco Caporale e Nello Rossi e dai pm Giorgio Orano e Alberto Pioletti e delegata ai finanzieri del nucleo speciale di polizia valutaria, nasce a seguito di alcune segnalazioni di operazioni sospette della filiale Bnl di palazzo Madama.
La banca ha notato diversi movimenti sul conto del partito di Berlusconi, spesso fatti in contanti.
I soldi venivano prelevati, si legge nel decreto, dalle impiegate Giovanna Cati e Laura Giacomini anche attraverso assegni e poi conservati nella cassaforte della coordinatrice amministrativa, Daniela Lucentini.
Era lei che elargiva e ha elargito ai circa 150 senatori del partito, il denaro in contante per la loro attività politica. Due milioni e ottocento mila euro in due anni senza che vi fosse una sola giustificazione.
I militari guidati dal generale Giuseppe Bottillo non hanno trovato una sola pezza d’appoggio.
Gestione che incastra solo Gasparri ma che viene stigmatizzata dai magistrati che spiegano che i contributi ai gruppi «vengono assegnati per la “esplicazione delle loro funzioni”, così precludendo ogni forma di impiego delle somme rispondente ad interessi privati».
E se è vero che non ci sono ulteriori indicazioni sulla destinazione dei contributi in ordine alle spese ritenute utili all’esercizio delle attività e che non vi era alcun obbligo di rendicontazione, è «singolare» — scrivono i pm che nell’utilizzo di soldi pubblici «sia stata adottata per anni una tale modalità di gestione, scarsamente rispondente ad esigenze di controllo e di trasparenza».
Restrizioni solo in un secondo momento introdotte dalla legge e quindi non punibili.
È un fatto, però, che nessuno sappia come e perchè siano stati spesi dal gruppo Pdl al Senato quasi tre milioni di euro di denaro pubblico in due anni.
I finanzieri hanno analizzato anche la posizione di Gaetano Quagliariello, all’epoca vicepresidente Pdl al senato, anche lui inizialmente iscritto nel registro degli indagati. Gli accertamenti evidenziavano che l’attuale ministro per le Riforme costituzionali aveva disposto 18 bonifici dal conto Pdl al suo personale per un totale di oltre 400 mila euro.
Da lì, poi, il delegato di Magna Carta, la fondazione della quale è presidente, ha fatto 68 prelievi in contanti.
Giro di denaro che ha fatto ritenere ai pm che quei soldi siano stati utilizzati a fini politici: per il ministro è stata chiesta l’archiviazione.
Diversa la questione per Gasparri ai magistrati che lo hanno interrogato ha spiegato di avere fatto quell’investimento convinto dal funzionario della banca e convinto, soprattutto, che fosse nel bene del partito che in quel momento aveva contenziosi aperti con alcuni dipendenti.
Quando gli è stato chiesto per quale motivo allora i beneficiari fossero i suoi eredi, il senatore ha detto non esserne al corrente.
È vero che il primo febbraio scorso, Gasparri ha riscattato la polizza (liquidata in 610.697,28 euro) e restituito 600mila euro al gruppo. Ma è vero anche questo è avvenuto dopo che la direzione amministrativa del gruppo gli aveva fatto specifiche richieste.
E, in ogni caso, per il codice penale il peculato è istantaneo: non importa se i soldi sono stati restituiti in un secondo momento, il reato è stato comunque consumato.
Il senatore si è difeso anche ieri: «Ritenevo di aver chiarito agli organi competenti in maniera puntuale la vicenda relativa alla gestione dei fondi del gruppo parlamentare del Pdl al Senato. L’operazione in questione mi era stata proposta dalla banca che da sempre ha i suoi uffici in Senato e tutto è stato fatto con grande trasparenza e nell’interesse del gruppo».
Maria Elena Vincenzi
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Dicembre 18th, 2013 Riccardo Fucile OGGI, ALLE ORE 15, LA MANIFESTAZIONE IN PIAZZA DEL POPOLO, GUIDATA DAL “RIBELLE” CALVANI…. PRESENTI ANCHE CANI SCIOLTI DI VARIO COLORE.. DUEMILA AGENTI, ATTESE 15 MILA PERSONE
A poche ore dalla manifestazione di piazza del Popolo del Comitato 9 dicembre, organizzata da Danilo
Calvani, “contadino” di Latina e soprattutto uno dei leader del Comitato, a Roma la tensione cresce.
Il fondatore dei Forconi siciliani, Mariano Ferro, mette in guardia: “Il rischio di infiltrazioni è altissimo. Non so cosa potrebbe accadere oggi. Calvani continua a dire che terranno fuori gli estremisti, che CasaPound non ci sarà , ma io sono sicuro che andranno lo stesso”.
Poi aggiusta il tiro per evitare la rottura definitiva (e per non perdere terreno): “Sono sicuro che Danilo lavorerà per garantire una manifestazione pacifica, siamo animati dalla stessa finalità : mandare tutti a casa. Forse abbiamo sbagliato a spaccarci, ma c’è il rischio di strumentalizzazioni”.
In piazza ci sarà anche CasaPound, “guidata” dal suo vicepresidente Simone Di Stefano, già arrestato e condannato a tre mesi con l’obbligo di firma per aver tolto la bandiera della Ue dalla sede del Parlamento europeo a Roma, sabato scorso, per sostituirla con il tricolore.
“Come avevamo già annunciato — assicura Di Stefano — ci saremo senza simboli, ma con la bandiera italiana”.
L’esponente del movimento di estrema destra si rivolge a Grillo, invitandolo “a ritirare i suoi 150 parlamentari, altrimenti anche lui è come loro”.
Calvani invece, nonostante la spaccatura del movimento e i rimbalzi di accuse, non teme affatto un insuccesso della manifestazione: “I Forconi non muovevano niente, è una fortuna che si siano dissociati questo ha fatto sentire liberi di partecipare molti cittadini, rimasti finora alla finestra perchè non gradivano di essere definiti Forconi. Arriveranno fiumi di persone da tutta Italia. Vedrete cosa sarà piazza del Popolo”.
L’appuntamento è alle 15, per un sit in che andrà avanti fino a mezzanotte, quando scadrà l’autorizzazione della Questura.
“Da Torino alla Sicilia partiranno in treno, con gli autobus e con i furgoni, persino in autostop” assicura Calvani, che ribadisce: “Nessun timore di infiltrazioni, le forze dell’ordine saranno al nostro fianco”.
Sono circa 2000 gli agenti mobilitati a Roma, dove si svolgerà anche il corteo dei movimenti di lotta per la casa.
Presidiate tutte le sedi istituzionali e gli obbiettivi sensibili.
Divieto “di assembramento” dei tir — per le strade di Roma e attorno ai caselli autostradali — e anche di semplice circolazione per tutti quei mezzi che non siano impegnati nella distribuzione delle merci.
Dalla questura, stima di massima: 15mila manifestanti.
“L’unica bandiera presente sarà quella italiana” promette Calvani. Alla domanda se non siano preoccupati per la partecipazione di CasaPound, risponde: “E dov’è il problema? Verranno come comuni cittadini. Non accadrà niente, stiamo collaborando con le autorità preposte alla sicurezza”.
Il savonese Luigi Tenderini, ex militante No Tav, attacca: a suo dire, Calvani starebbe riesumando l’estrema destra, quindi “sarebbe da arrestare per eversione” .
Mentre di Ferro e Chiavenago, altri esponenti del Comitato 9 dicembre, dice: “Sono leader senza alcuna investitura”.
Per il direttore generale del Dis, Giampiero Massolo, ascoltato ieri dal Copasir, è proprio la natura poco coesa del movimento, “fatto di tante anime”, ma che “intercetta comunque un malcontento diffuso nel Paese a causa della crisi”, a far sì che la protesta “si presti ad essere infiltrata da gruppi estremisti”.
Circostanza che ha spaventato il leader dei Forconi siciliani Ferro che, assieme al Comitato 9 dicembre del Veneto (e non solo), domenica 22 dicembre, sarà a Roma per andare alll’Angelus a “prendersi la benedizione di Papa Francesco”.
Sono già stati prenotati 10 pulman a Vicenza, a Verona, a Treviso e in Toscana.
Sandra Amurri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 18th, 2013 Riccardo Fucile L’INSIGNE POETA EX COMUNISTA NON HA IL SENSO DEL RIDICOLO: PERCHE’ MAI ALFANO NON DOVREBBE ANDARE? LUI NON E’ UN PREGIUDICATO
Impedimenti legali. Che però non mancano di scatenare, ancora una volta, la discussione. 
A tuonare, sì, contro i giudici, ma poi anche contro il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano – quello nato dalla scissione interna al Pdl in rappresentanza dei cosiddetti ‘governativi’ – ci pensa Sandro Bondi, esponente di Forza Italia, partito che oggi si colloca all’opposizione.
Dinanzi al divieto imposto dai magistrati a Silvio Berlusconi di uscire dai confini dell’Italia per volare all’estero dopo la condanna in Cassazione per frode fiscale, Bondi prende carta e penna per dire che “se la magistratura dovesse impedire al presidente Berlusconi di recarsi al vertice” belga “del Ppe, senza che nessuna voce delle istituzioni avverta il dovere di segnalare una grave anomalia della nostra vita democratica, consiglierei ad Alfano di declinare l’invito per onorare una storia di cui ha fatto parte e per sollevare un problema che riguarda la nostra democrazia, che pure il suo partito solleva almeno nelle enunciazioni di principio”.
A parte che l’unica anomalia esistente nel nostro Paese è quella di un pregiudicato che pretende di dettare legge, il problema non riguarda la nostra democrazia, ma il semplice rispetto delle norme vigenti.
Berlusconi non può espatriare, se ne faccia una ragione il poeta ex comunista. E Alfano (che pregiudicato non è) può andare dove gli pare senza dover chiedere il permesso a Bondi.
La pretestuosa polemica è esplosa alla vigilia della riunione – fissata per domani nel castello di Meise, alle porte di Bruxelles – del Partito popolare europeo.
Quella famiglia politica, cioè, che raccoglie e rappresenta in seno all’Ue le forze moderate, democristiane e conservatrici.
Al summit (a cui parteciperanno il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, il presidente della Commissione Josè Manuel Barroso e la cancelliera Angela Merkel) era già stato annunciato da tempo l’invito spedito ad Angelino Alfano in qualità di vicepremier e a Ferdinando Casini come presidente dell’Internazionale cristiano-democratica.
In un primo momento, però, si era sparsa la voce che Berlusconi non rientrasse nella ‘rosa’.
Circostanza, questa, che secondo i bene informati aveva fatto arrabbiare, e non poco, lo stesso ex premier.
A ruota, tuttavia, è stato lo stesso portavoce del Ppe a precisare che alla riunione “sono stati invitati i leader dei tre partiti” che fanno parte del Ppe, ovvero Forza Italia, Nuovo CentroDestra e Udc, senza fare alcun accenno agli eventuali impedimenti legali per il Cavaliere.
Impedimenti che però sussistono visto che dopo la sentenza sul processo Mediaset l’ex senatore è stato privato del passaporto.
Se uno non avesse commesso reati, nulla gli avrebbe impedito di partecipare: tutto qua.
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Dicembre 18th, 2013 Riccardo Fucile LA PROCURA DI MILANO HA RISPOSTO CHE LA LEGGE VIGENTE NON AMMETTE DEROGHE AL DIVIETO DI ESPATRIO
La procura di Milano ha negato a Silvio Berlusconi il permesso di raggiungere Bruxelles, domattina, per partecipare al vertice del Ppe che precede il Consiglio europeo.
Nelle ultime ore è stata recapitata la risposta ufficiale che gli avvocati del leader di Forza Italia avevano sollecitato.
Il Cavaliere, nonostante il ritiro del passaporto e il timbro “non valida per l’espatrio” alla carta d’identità , voleva andare.
L’invito è stato diramato proprio ieri dal presidente del Ppe Joseph Daul. A lui in qualità di presidente di Forza Italia, al leader Udc Pier Ferdinando Casini e al segretario del neonato Ncd Angelino Alfano.
Ma all’appuntamento al Castello di Bouchout di Meise, andranno gli altri, non l’ex premier.
L’ufficio giudiziario che fa capo a Edmondo Bruti Liberati ha fornito un responso tecnico ai legali berlusconiani, facendo notare come il problema non risieda nel merito della richiesta avanzata, non un no indeterminato alla partecipazione al vertice Ppe insomma.
Piuttosto, nel fatto che la legge che disciplina la materia, risalente al ’67, non consente deroghe in tal senso.
Ghedini e Longo avevano fatto leva su una recente direttiva Ue, richiamata anche da sentenze della Corte di giustizia europea, relativa a casi ritenuti simili, in cui la possibilità al condannato di lasciare il paese d’origine per motivi specifici verrebbe riconosciuta.
E il problema, fanno notare, viene posto non per il vertice di domani (al quale prenderà parte il vicepresidente della Commissione Antonio Tajani) ma per le future occasioni.
Berlusconi non vuole forzare la mano, non lo farebbe mai senza un via libera formale, sottolineano. Anche perchè in caso contrario si materializzerebbe l’espatrio senza permesso, la fuga.
Il Cavaliere, rimasto anche ieri ad Arcore, vede nero.
Ha accolto la notizia come un cattivo presagio in vista della futura campagna per le Europee alla quale vorrebbe battersi da protagonista.
Ieri sera un accenno in collegamento telefonico con un club di Forza Italia di Como: «Sono sicuro che la sentenza vergognosa di condanna verrà annullata, ma non in tempo per consentirmi di candidarmi alle prossime elezioni che non sono lontane. Ma ricordiamoci che ci sono partiti, come il M5S, che non hanno un leader parlamentare. Noi potremo superare l’inconveniente della mia incandidabilità se ci impegneremo per il nostro interesse comune».
Un intervento in cui è anche tornato ad accusare il governo «che è solo di sinistra con la stampella del Nuovo centrodestra», ma in cui non ha mai parlato del partito, solo dei club Forza Silvio che dovranno lanciarsi in un «porta a porta» con una iniziativa ogni 15 giorni, per «conquistare diversi milioni di voti».
Obiettivo: i consensi grillini e «i pensionati», dice, e battere la sinistra «che vuole ridistribuire la ricchezza togliendo soldi alla borghesia».
Sul presidente Napolitano continua a tacere, in pubblico. Non lesinando rasoiate, in privato. «Non è affatto imparziale, gli italiani devono capire che è un bolscevico» incalza da Villa San Martino, lasciando che siano i suoi a sparare a pallettoni a Roma. Sandro Bondi è arrivato a sostenere che il Colle abbia «favorito la scissione del Pdl», per il “Mattinale” edito dallo staff di Brunetta Napolitano «è lontano dalla gente e serve il voto», per il capo dell’Esercito di Silvio, Simone Furlan, Napolitano «deve dimettersi».
Berlusconi tornerà a Roma oggi, incontrerà i maggiorenti forzisti, poi un brindisi di auguri.
Prima del rompete le righe natalizio i suoi – assai nervosi e in piena sindrome da abbandono – attendono in dono le nomine nel Comitato di presidenza.
Il Cavaliere tergiversa, prende tempo, forse le concederà .
Ma il suo tempo – come ieri ad Arcore – lo dedica ormai ai club e non certo a Forza Italia.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 18th, 2013 Riccardo Fucile “A VOLTE MI CHIEDO SE NE VALGA LA PENA, MA LE MINACCE NON MI FERMERANNO”
La prima volta che ha indossato la sua toga di magistrato era notte. 
Quella del 24 maggio 1992. Ancora uditore giudiziario, faceva il picchetto d’onore fra le colonne di marmo del Tribunale di Palermo.
Stava lì, in piedi davanti alle bare di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo.
Sono passati più di vent’anni da quando abbiamo conosciuto Nino Di Matteo, immobile in mezzo all’immenso atrio illuminato solo dai ceri.
Ce la ricordiamo tutti quella notte. Il buio, il silenzio, il dolore, la paura.
Poi l’altra bomba, l’altro picchetto d’onore del 19 luglio.
«A volte mi chiedo se è giusto andare avanti, per me e per la mia famiglia. Razionalmente penso che non ne valga la pena, ma poi un impasto di sentimenti si fa largo e mi trascina a una sola risposta: ne vale la pena, è giusto così», dice lui che è appena arrivato nella sua stanza al secondo piano del Palazzo di giustizia, la terza a destra dopo una porta blindata.
È mattino presto quando il pubblico ministero minacciato di morte da Totò Riina e minacciato da lettere anonime con lo stemma della «Repubblica italiana » si china su una scrivania coperta di fascicoli, verbali di interrogatorio, note riservate.
Le carte della trattativa su Stato e mafia. Non quelle del processo che si sta celebrando contro l’ex ministro degli Interni Nicola Mancino e gli ufficiali dell’Arma insieme ai boss, le altre, quelle dell’indagine che continua oltre il processo.
Sono le carte che lo costringono a vivere come un sepolto vivo, dentro un mondo protetto da tutto e da tutti.
«Diciamo che è una coincidenza: l’ordine di morte partito da Riina e tutti quegli anonimi sono arrivati in sincronia quando, anche dopo il rinvio a giudizio degli imputati, con i miei colleghi abbiamo deciso di non fermarci con l’inchiesta», racconta questo magistrato palermitano che è sotto scorta dal 1993 («La mafia di Gela, volevamo farmi fuori»), ha 51 anni, moglie e due figli, padre avvocato e nonno giudice.
Se l’aspettava un’esistenza difficile. Solleva lo sguardo dalle carte, esita un attimo: «Sapevo a cosa andavo incontro quando ho cominciato a fare il magistrato, il lavoro che volevo fare: il pm, non il giudice. A Palermo avevano già ucciso molti colleghi, c’era già stato Capaci, via D’Amelio, ma non credevo che si potessero ripresentare momenti così».
Mai era accaduto – neanche ai tempi del maxi processo a Cosa Nostra – che un pm non potesse andare in udienza «per motivi di sicurezza», come è capitato la settimana scorsa. Volevano portarcelo con un blindato a Milano, tipo quelli che il nostro esercito usa in scenari di guerra come l’Afghanistan e l’Irak. Troppo pericoloso spostarsi. Troppo pericoloso restare anche a Palermo per Di Matteo.
Non va più a nuotare alle 7 del mattino. Non va più alla “Favorita”, alle partite.
Ogni tanto i suoi «angeli custodi» lo trascinano in qualche caserma – sempre diversa – dove si fa mezz’ora di jogging. Ha sempre dietro uomini armati.
Un confidente ha appena svelato «che è arrivato l’esplosivo » anche per lui. Era accaduto nell’estate del 1992, quando qualcun altro aveva annunciato il tritolo per Paolo Borsellino.
Tutto come vent’anni fa?
«No, c’è una differenza importante: allora c’era solo il silenzio intorno a Paolo, oggi ci sono tantissimi italiani che stanno dalla nostra parte, semmai stridono certi silenzi istituzionali se confrontati alla solidarietà dei cittadini, delle persone senza nome che mi scrivono».
I silenzi dei Palazzi. Tanti. Il capo dei capi della mafia vuole ucciderlo e, al di là dei comunicati ufficiali e di circostanza – a parte il comitato di ordine pubblico e sicurezza convocato dal ministro Alfano a Palermo e le sue dichiarazioni di ieri – Roma sembra lontana, indifferente alla sorte di un magistrato stretto in una morsa, fra il delirio del capo dei Corleonesi e invisibili personaggi scivolati fra le pieghe delle indagini della trattativa. Perfino la ministra di Grazia e Giustizia Cancellieri, l’amica dei Ligresti, ha mostrato un certo distacco.
Prima ha detto che la sua amministrazione era all’oscuro di ogni piano omicida di Riina (eppure gli operativi del Dap, di solito sono anche troppo informati), poi ha «espresso vicinanza ai magistrati » mentre qualcuno in giro per l’Italia già metteva in giro le solite voci infami.
Non è vero niente, quali minacce ha avuto mai Di Matteo? L’avevano fatto con Falcone, all’Addaura.
Ma questa volta c’è la faccia di Totò Riina ripresa da un telecamera, c’è la sua voce registrata da un microfono. «Se mi torcono un capello, questa volta c’è la prova», riflette il pm che per anni ha indagato sulle uccisioni di Falcone, Borsellino, Chinnici, Saetta.
Per anni ha cercato faticosamente indizi – con pentiti, riscontri, indagini – su Riina mandante di quei delitti e adesso, paradosso, si ritrova la «prova » del suo annunciato omicidio sotto gli occhi, già pronta.
«È lì, nel video», dice.
E comincia a ricordare quando l’inferno è diventato ancora più inferno. Settembre 2012, dodici fogli con lo stemma della Repubblica italiana e l’intestazione “Protocollo fantasma” lasciati nella buca delle lettere di casa sua.
Un anonimo avvertiva che i pm della trattativa erano spiati, poi un’escalation di messaggi ritenuti da chi indaga provenienti da apparati.
Come ci si sente tra due fuochi?
Nino Di Matteo non risponde e scompare dentro un’altra porta blindata.
Attilio Bolzoni
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Dicembre 18th, 2013 Riccardo Fucile DA IERI NON GLI DANNO PIU’ DA MANGIARE…”CI URLAVANO DI SPOGLIARCI E CI DERIDEVANO”
“Scaricavano acqua fortissima sui nostri corpi – continua Ahmed, che nasconde il suo vero nome per paura di rappresaglie – ci faceva male”. Dolore fuori. E dentro. “Tutti nudi, uno accanto all’altro. Provavo grande imbarazzo. È stato terribile… perchè ci hanno trattato come macchine all’autolavaggio?”.
La sua domanda rimane appesa, Ahmed chiude la comunicazione e torna a riposarsi sul suo materasso lercio buttato a terra sotto la tenda fatta con le coperte termiche.
È “guarito”, la scabbia non c’è più. Ma al Centro l’aria è ancora irrespirabile.
Da tre giorni Kahlid ha paura delle ombre. È il ragazzo siriano autore del filmato girato con uno smartphone dalla collinetta sopra il piazzale e consegnato al “Comitato 3 ottobre”.
Una data, quella, che ha inciso nell’anima: il giorno in cui è arrivato a Lampedusa. E da lì non si è più mosso.
“Sono stato minacciato da quattro operatori della cooperativa – denuncia – mi hanno detto “ti rompiamo il culo”, “se esci da qui ti ammazziamo””. Temono guai, rischiano il licenziamento.
“Da ieri non mi danno più da mangiare, nè da bere, nè sigarette. Io volevo solo dimostrare i maltrattamenti che subiamo”.
Sono quasi 70 giorni che sta nel Centro, in attesa di essere sentito dal magistrato per il riconoscimento dello scafista che lo ha portato in Italia. “Le condizioni igieniche sono inumane, non abbiamo coperte, siamo ammassati uno sull’altro, i bagni non funzionano”.
Ore di imbarazzo per chi quel Cpsa è stato chiamato a gestire e oggi si trova sotto accusa.
La Cooperativa “Lampedusa Accoglienza” appartiene al Gruppo Sisifo, che ha una serie di imprese della Lega Coop.
Nel 2012, come documenta una recente inchiesta dell’Espresso, ha ricevuto dallo Stato 3 milioni e 116 mila euro e incassa da 30 a 50 euro per ogni profugo ospitato per ogni giorno di assistenza.
Eppure là dentro gli immigrati mangiano e dormono per terra, si diffondono epidemie di pidocchi e scabbia, i bagni sono inguardabili, cani randagi urinano sugli zaini.
Si vive nella promiscuità . “Ci sarebbe uno spazio dedicato a donne e bambini al quarto piano di una delle palazzina – spiega Raffaela Milano, di Save the Children – ma ci dormono anche gli uomini perchè non trovano altri spazi”. In queste condizioni, nessuno si stupisce che si diffonda la scabbia. Così come nessuno crede davvero che la disinfestazione con le pompe d’acqua all’aperto sia soltanto un episodio. “Ci risulta che sia stato fatto altre volte in passato”, dice Raffaela.
Come vengono spesi i soldi che arrivano dallo Stato?
Anche di questo dovrà rendere conto l’amministratore delegato di “Lampedusa Accoglienza”, Cono Galipò, oltre che del “lavaggio” di massa in piazza. Il vescovo di Monreale, monsignor Francesco Pennisi, una spiegazione se l’è già data.
“C’è chi approfitta delle sventure altrui per fare affari. Al Cara di Mineo nel cosiddetto “villaggio della solidarietà ” ci sono imprenditori del Nord, cooperative legate a politici, fornitori di servizi. Così i centri di accoglienza rischiano di diventare “affari di stato””.
(da “La Repubblica“)
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