Dicembre 20th, 2013 Riccardo Fucile LO STRAPPO GENERAZIONALE C’E’, MA IN SENSO CONTRARIO…. LA MAGGIORANZA DEI SUOI SOSTENITORI SONO PENSIONATI E DIPENDENTI PUBBLICI
Matteo Renzi ha un problema. La «rottura» consumata con la sua trionfale elezione a segretario
del Pd sbiadisce nella continuità con il vecchio Pd, a leggere l’analisi della composizione sociale e anagrafica dei quasi due milioni che l’hanno votato alle primarie dell’8 dicembre.
Secondo lo studio di Candidate & Leader Selection, gruppo di lavoro della società italiana di scienza politica coordinato dalle università di Cagliari e Milano, pubblicato dal quotidiano Europa, la maggioranza assoluta degli elettori di Renzi ha oltre 55 anni e appartiene a due categorie sociali: pensionati e dipendenti pubblici.
Un elettorato omogeneo sia rispetto a quello dell’avversario Gianni Cuperlo (il candidato «vecchio», «dell’apparato», «non in grado di allargare la base del Pd»…) sia a quello della «non vittoria» del Pd di Pierluigi Bersani alle elezioni politiche del 25 febbraio 2013.
Dunque l’effetto-Renzi, almeno per ora, esiste certamente dal punto di vista mediatico, forse da quello politico, niente affatto da quello sociale e generazionale.
Un dato molto significativo, quando si tornerà alle elezioni: in assenza di sfondamento in altre categorie sociali, peraltro contese da Grillo e Berlusconi, anche il Pd di Renzi dovrà rinunciare a velleitarie «vocazioni maggioritarie».
La ricerca è stata effettuata il giorno delle primarie con oltre 3600 interviste in 150 seggi campione.
I quasi tre milioni di elettori sono prevalentemente maschi (60 per cento) e over 45 (69 per cento).
Le categorie più rappresentate: pensionati (34 per cento) e dipendenti pubblici (18 per cento). Tra gli elettori di Renzi e Cuperlo queste proporzioni sono invariate, salvo lievi scostamenti, mentre tra quelli di Civati ci sono più donne (43 per cento) e giovani: il 14 per cento ha meno di 25 anni (il doppio rispetto a Renzi), il 44 per cento ha meno di 45 anni (contro il 29 per cento di Renzi), il 62 per cento è under 55 (contro il 46 per cento di Renzi).
Inoltre Civati è l’unico candidato il cui elettorato non è composto in maggioranza da pensionati e dipendenti pubblici (insieme al 44 per cento contro il 54 di Renzi) perchè il deputato lombardo viene scelto da una quota più rilevante di studenti, dipendenti di aziende private e lavoratori autonomi (in tutto 39 per cento, contro il 27 di Renzi).
L’effetto Renzi si riscontra nell’orientamento politico del 20 per cento dei suoi elettori, che non avevano mai partecipato a primarie e alle ultime elezioni non avevano votato per il centrosinistra. Qui sta la sua diversità rispetto a Cuperlo e Civati, il cui «valore aggiunto» è all’incirca la metà . Ma si tratta, in ogni caso, di un venticello, non di uno tsunami.
Durante la campagna per le primarie, Renzi aveva denunciato che il Pd da rottamare era un partito maggioritario nelle categorie protette, minoritario nei ceti dinamici e meno tutelati.
Eppure le primarie che lo hanno incoronato sono state, rispetto alle precedenti, quelle in cui maggiore è stato l’afflusso proprio dei pensionati e minore quello di giovani e studenti.
Inoltre la composizione degli elettori di Renzi è analoga a quella di Bersani.
Come rivelato da un’indagine Ipsos, alle elezioni 2013 gli elettorati del Pd e del M5S sono complementari.
Il M5S è il più votato dagli elettori under 55, il Pd fa il pieno tra gli over 55.
I grillini surclassano il Pd tra studenti, disoccupati, autonomi, dipendenti privati, operai.
Il Pd stravince tra i pensionati (addirittura il 37 per cento contro l’11 dei grillini) e regge il confronto tra i dipendenti pubblici (29 per cento contro 31).
«Si tratta – scriveva su l’Unità l’8 maggio Franco Cassano, sociologo e parlamentare Pd, in un articolo intitolato “Lo schema che imprigiona la sinistra” – di una base sociale fortemente legata al sistema del welfare, la cui composizione è in buona misura il riflesso dell’espansione della sfera dei diritti che si produsse negli Anni 70. La maggior parte di coloro che non vengono raccolti da questa rete giocano un’altra partita e finiscono per approdare altrove. (…) Da tempo il centrosinistra possiede un elettorato ristretto e non espansivo. Un dato che, come accadeva per la lettera rubata di Poe, abbiamo di fronte agli occhi ma ci rifiutiamo di vedere».
Nemmeno Renzi ha finora fatto uscire il Pd da questo schema che lo imprigiona.
Giuseppe Salvaggiulo
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Dicembre 20th, 2013 Riccardo Fucile E NELLA SEZIONE 4 I VOTANTI PASSANO DA 51 A 230
In un seggio di Cosenza, durante le primarie del Pd, ha vinto la mozione “contenti tutti”: aggiungiamo 150 voti bonus a Cuperlo, 150 a Renzi e 50 a Civati.
Peccato che al momento di aumentare i voti, i promotori della mozione-tarocco si siano resi conto di un particolare: “I due euro per ogni scheda, chi li mette?”.
E si parla di 350 voti fantasma, mica spicci. Allora meglio ridurre.
“Facciamo 70 a Cuperlo, 70 a Renzi e 30 a Civati”. Così risparmiamo tutti.
Il racconto di uno basito scrutatore pro Civati non è rimasto circoscritto al seggio numero 4 di via Popilia, a Cosenza.
Ma è andato a finire dritto sul tavolo della commissione regionale (quella provinciale ha bocciato il ricorso), che valuterà se annullare o meno le elezioni in quel seggio. Anche perchè lo scrutatore Francesco Bruno, il civatiano, ha raccontato un altro particolare: all’inizio i renziani hanno accusato i cuperliani di aver inbucato, prima dell’apertura del seggio, schede pro-Cuperlo in un doppiofondo.
Il trucco, degno di David Copperfield, non è piaciuto.
Ma un punto d’incontro lo si è trovato: voti bonus per tutti.
Bruno chiude sconsolato la denuncia: “Gli iscritti al Pd che hanno votato vengono fatti passare da 51 a circa 230, in modo da risparmiare la quota di due euro per i voti fittizi. La restante somma per coprire i voti viene versata dai rappresentanti delle mozioni Cuperlo e Renzi”
Non è l’unico caso di presunti brogli a Cosenza: Giuseppe Caporale, garante regionale della mozione pro Civati, ha chiesto l’annullamento di un’altra votazione alla commissione provinciale del Pd. Bocciato.
Caporale non ha mollato: ora toccherà alla commissione regionale valutare il caso. Anche nel seggio 5 è un civatiano, Costantino Covelli, ad aver notato qualcosa di strano il giorno dell’Immacolata.
In quel seggio, allestito in un centro anziani, hanno votato in più di 900.
Un po’ troppi per i registri, che non avrebbero potuto contenere tanti nominativi. Lì ha vinto Cuperlo, che in città ha incassato 1300 voti e ha battuto Renzi di circa 300 lunghezze. Civati ne ha presi poco più di 200.
Covelli ha seguito le operazioni a urne aperte. Poi, in serata, dopo la chiusura, ha chiamato Caporale.
Insieme sono andati alla federazione provinciale di Cosenza. Volevano controllare meglio i registri, nel frattempo portati da altri.
Dovevano essere lì, ma non c’erano, spiegano ora Caporale e Covelli. Che fine hanno fatto? Si sono materializzati il giorno successivo.
Dall’area Cuperlo e Renzi, a Cosenza, rispediscono le accuse al mittente, facendo notare che in via Popilia, il verbale di chiusura del seggio è stato sottoscritto anche da un civatiano.
I renziani spiegano di aver mandato ai seggi “vigilantes”, perchè “qui può succedere di tutto”.
L’ultima parola spetta alla commissione regionale.
Emmanuele Lentini
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 20th, 2013 Riccardo Fucile LA RECESSIONE HA RIDISEGNATO IL PAESE
L’Italia non è mai stata così divisa. Agli economisti di destra piace dire che la marea alza e abbassa
le barche, gli yacht come i gozzi, tutti allo stesso modo e così avviene nell’economia. Ma non è vero.
Cinque anni di crisi – la crisi più lunga dal dopoguerra – hanno segnato la società italiana.
Gli indici con cui le statistiche misurano le disuguaglianze sociali crescono inesorabilmente dal 2007, l’ultimo anno prima della recessione. E il modo in cui questo è avvenuto mostra che la teoria della marea non tiene.
Ricchi più ricchi
La crisi non ha reso i ricchi meno ricchi. Se la sono cavata egregiamente, con appena qualche piccolo tremolio, che non ha compromesso le quote in più di ricchezza nazionale, guadagnate negli anni e nei decenni precedenti, a scapito del resto del Paese.
E’ all’altro capo della scala sociale, però, che è avvenuto lo sfondamento.
Anzi, lo sprofondamento. In confronto a quei ricchi, infatti, i poveri, a cominciare dalle classi medie in declino, sono diventati più poveri.
Soprattutto al Sud, dove erano già più poveri.
L’allargarsi della forbice è anchepiù vistoso se non si considera solo come i 4 milioni di italiani ricchi (e, in mezzo a loro, i 40 mila straricchi) hanno cavalcato gli ultimi anni di crisi, ma se si guarda a come i più fortunati hanno saputo gestire e utilizzare il lungo ristagno che, dagli anni ’90, imprigiona l’economia italiana.
I 40 mila dello 0,1 per cent
L’ultima Italia egualitaria è ancora quella dei primi anni ’80. Nel 1983, calcolano Paolo Acciari e Sauro Mocetti in uno studio (“Una mappa della disuguaglianza del reddito in Italia”) pubblicato dalla Banca d’Italia, i 4 milioni di contribuenti, che costituiscono il 10 per cento più ricco degli italiani, assorbivano il 26 per cento del reddito nazionale.
In realtà è di più, dato che lo studio analizza le dichiarazioni dei redditi e, dunque, non tiene conto dell’evasione e neanche dei redditi fuori Irpef, in particolare gli interessi sui depositi, le cedole dei titoli, i dividendi azionari, insomma, le rendite finanziarie in genere che, per i ricchi, pesano.
Acciari e Mocetti sono, però, convinti che, anche se il livello assoluto non è affidabile, il movimento dei redditi può essere disegnato dalle dichiarazioni Irpef. Dieci anni dopo, dunque, nel 1993, il 10 per cento più ricco intasca il 30 per cento del reddito dichiarato, lasciando il 70 per cento a tutti gli altri.
E’ il momento in cui l’economia italiana si ferma, smette, sostanzialmente, di crescere per non ripartire più, fino ad oggi, accontentandosi di allargarsi ad un ritmo paragonabile a quello di Haiti o dello Zimbabwe, lontano dal resto dell’occidente.
Ma questo non impedisce ai 4 milioni di italiani più ricchi, quelli con un reddito sopra i 35 mila euro, di ritagliarsi una fetta di torta sempre più grande: al 2003, sono arrivati sopra il 33 per cento.
Nel 2007, alla vigilia della crisi, sono saliti ancora, sopra il 34 per cento. In meno di25 anni, la fetta del 10 per cento è cresciuta di quasi un terzo.
Superstipendi e superpension
Ma ai 40 mila superstipendi, superpensioni, superparcelle, superrendite, che costituiscono lo 0,1 per cento dei redditi trasparenti all’Irpef e per i quali bisogna dichiarare dai 250 mila euro in su è andata anche molto meglio.
Nel 1983, questa categoria di maxiredditi assorbiva meno dell’1,50 per cento del totale delle dichiarazioni.
Nel 1993, già sfiorava il 2 per cento. Ma il passo lo hanno allungato dopo, a ristagno iniziato: nel 2007, la quota dei 40 mila straricchi era salita oltre il 3 per cento. In pratica, in 25 anni è raddoppiata.
E la crisi? A queste altitudini è un venticello, che non compromette la presa delle classi più agiate sulla torta nazionale. Fra il 2007 e il 2009, la quota del 10 per cento più ricco scende dal 34,12 al 33,87 per cento.
Geografia dell’ineguaglianz
La capacità dei più ricchi di intercettare quote crescenti di reddito è il segnale più vistosodi una società ineguale, ma ne fornisce una immagine parziale.
Il 10 per cento più ricco diventa più ricco, ma che succede nell’altro 90 per cento?
Da questo punto di vista, la crisi sembra aver segnato una netta cesura. Il processo di progressiva ascesa dei ceti medi che, sgranandosi lungo la scala sociale, riduceva gli indici di disuguaglianza si è bruscamente interrotto con il 2007.
L’indice nazionale, ora, è in risalita, ma la mappa che Acciari e Mocetti hanno disegnato, secondo gli indici statistici di disuguaglianza, provincia per provincia, consente di vedere che l’impatto è assai diverso nelle diverse zone del Paese, fino a suggerire una geografia anche politicoelettorale.
La disuguaglianza è nettamente inferiore nel Centro-Nord. Ai minimi, anche se a livelli non propriamente scandinavi, in realtà come Lodi, Biella, Vercelli ma, in generale, in buona parte dell’Italia padana e delle regioni rosse del centro.
La linea Roma-Pescar
Una situazione che muta di colpo sulla linea Roma-Pescara, sul confine di quella che eral’area di intervento della Cassa del Mezzogiorno, soprattutto se si tiene conto anche della disoccupazione.
Qui, quasi tutta la Sicilia, la Calabria e, soprattutto, Campania, Molise, il grosso della Puglia, in buona sostanza, l’Italia meridionale, con l’eccezione della Basilicata, registra tassi di ineguaglianza paragonabili a quelli della Turchia.
Nel Nord, il quarto più povero della popolazione dispone del 5,7 per cento del reddito complessivo. Nel Sud, questa quota crolla al 3,7 per cento.
Una frattura geografica che si affianca e si somma a quella nazionale ricchi- poveri e che rende ancora più incerto il cammino di uscita dalla crisi.
Maurizio Ricci
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Dicembre 20th, 2013 Riccardo Fucile PICCOLO ELENCO DI QUEL CHE C’E’ E PERCHE’ NELLA LEGGE DI STABILITA’
Il viaggiatore che si trovasse a passare nei pressi delle commissioni Bilancio delle due Camere durante la discussione della legge di Stabilità osserverebbe una scena assai bizzarra.
Dentro l’aula i parlamentari discutono e votano, entrano ed escono commessi, funzionari e gli stessi onorevoli, all’esterno – su un tavolo – un gruppo di giornalisti segue i lavori col testo della legge a sinistra e il fascicolo degli emendamenti a destra. Tutt’intorno c’è un’altra tribù dall’occupazione più sfuggente: a turno i suoi membri alternano fasi di calma ad altre di grande agitazione in cui scrivono o telefonano o passano fogli a qualcuno; amano colloquiare con gli interlocutori sempre con un’aria un po’ da congiurati; hanno una certa passionaccia per la parola all’orecchio, la passeggiata sotto braccio, l’amichevole pacca sulla spalla, il sorriso largo e rassicurante.
Ecco, quella tribù sono i lobbisti.
Chi sono i lobbisti?
Intanto quelli veri e propri – cioè i dipendenti di una società di lobby ufficiale come Cattaneo Zanetto o Reti, per citare le più note – sono una minoranza e nemmeno delle più rilevanti.
Alcuni lobbisti sono, più semplicemente, quelli che nelle aziende si chiamano “Responsabili delle relazioni istituzionali ” (una, Simonetta Giordani, in questo governo ha cambiato sponda e da Autostrade è passata al sottosegretariato ai Beni Culturali), altri ancora sono lobbisti informali: ex dipendenti del Parlamento, magari, come il meraviglioso esemplare registrato a Montecitorio dal Movimento 5 Stelle.
Sul sito di Beppe Grillo lo si sente vantarsi al telefono di come ha bloccato un emendamento del Pd che fissava a 150 mila euro l’anno il tetto massimo di cumulo tra pensione e redditi da lavoro che tanto fastidio dava ai nostri Grand commis (in una parte non registrata ha fatto riferimento anche ai membri della Consulta): “Ho dovuto scatenare mari e monti. È stata una battaglia durissima. Io lo potrei scrivere in un manuale come caso di eccellenza di azione di lobby… Ho dovuto smuovere tutto”. Alla fine, il tetto è stato fissato a oltre 300 mila euro. Più del doppio.
Chi sono i mandanti?
Alle Camere, da ottobre a dicembre, stazionano tutti. Giganti come Eni o Enel o Poste o Ferrovie hanno ovviamente un loro uomo sul posto: la società guidata da Mario Moretti, per dire, deve essere certa che i finanziamenti da cui dipende siano effettivamente stanziati e quindi presidia il ministero delle Infrastrutture prima e il Parlamento poi (missione compiuta anche quest’anno).
Ci sono poi gli inviati dei ministeri. Quello della Difesa si occupa tanto dei militari veri e propri quanto dell’industria del settore: a questo giro, ad esempio, i primi hanno incassato 100 milioni extra per il 2014 e altri cento da dividere con le altre forze di polizia, i secondi un piano pluriennale di spesa in armamenti.
Ci sono poi i lobbisti delle tv private e dell’editoria, che si preoccupano dei rispettivi fondi statali, e c’è il mondo dell’energia che è diviso in tre: c’è sempre qualcuno del Gestore dei mercati elettrici (Gme), altri di Assoenergia e qualcuno pure di Energia Concorrente, che poi sarebbe l’associazione a cui aderisce Sorgenia di Carlo De Benedetti che ha strappato un emendamento per risolvere un contenzioso sugli oneri urbanistici con un comune del lodigiano (un risparmio potenziale di 22 milioni di euro)
Non mancano, ovviamente, gli uomini dell’Abi, l’associazione bancaria italiana, i veri trionfatori di questa sessione di bilancio tra detrazioni sulle sofferenze velocizzate (da 18 anni a cinque) e rivalutazione delle quote di Bankitalia con relativa aliquota di favore.
La lobby del gioco – a partire da Sistema Gioco Italia di Confindustria – pure è sempre presente in forze in Parlamento: tra concessioni e trattamento fiscale i fronti aperti sono molti (anche se l’emendamento per spaventare regioni e comuni tentati dalla guerra alle slot, come vi raccontiamo qui accanto, probabilmente alla fine verrà cancellato)
Non manca il mondo assicurativo, anche se Ania preferisce lavorare direttamente col ministero: dopo il regalo del governo Monti che ha nei fatti reso irrisarcibili molti infortuni di piccola entità (norma anti-“colpo di frusta”), oggi l’esecutivo Letta gli regala per decreto il mercato dell’autoriparazione grazie all’obbligo di far riparare la macchina solo nelle carrozzerie convenzionate.
Gli interessati, nel senso dei carrozzieri, iniziano a gennaio una mobilitazione nazionale.
Si può dire che anche loro siano una lobby, però non efficace come quella della loro controparte.
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 20th, 2013 Riccardo Fucile DAI FASTI E DAI REGALI PREZIOSI DI UN TEMPO AL BUFFET NELLA SEDE DI FORZA ITALIA
Sobrietà nei doni, spending review, un cane per mascotte. 
Silvio Berlusconi come Mario Monti? Almeno sotto Natale, sembra di sì.
Il Cavaliere, contrariamente agli anni precedenti, si è limitato (salvo colpi di scena) a un buffet nella sede della rinata Forza Italia, a San Lorenzo in Lucina, nel centro di Roma, intervenendo con la fidanzata Francesca Pascale e il cane Dudù.
La formula consolidata, invece, prevedeva una cena al ristorante più doni preziosi alle donne e tecnologici agli uomini.
DIAMANTI NON PER SEMPRE
Nel 2004, ad esempio, all’Hotel Splendide Royal, aveva regalato orecchini coordinati con spilla per le donne, orologi Omega per gli uomini. Più concerto live di Apicella per tutti.
Neanche la crisi aveva intaccato il format. «Gli italiani devono spendere, fare le feste e i regali come l’anno scorso», dice nel 2008: la crisi? «Un fatto psicologico».
All’Acquario romano la cena con i deputati è un titanico tripudio tricolore: tra i marmi bianchi illuminati da luci verdi e rosse, vengono dati alle signore pendenti Re Carlo con smeraldo, diamante e rubino; agli uomini, orologi Locman: due aziende italiane. Regali patriottici.
TV AL PLASMA E IPAD
Il 2009, ad Arcore, è un Natale convalescente. Berlusconi, colpito al volto dalla statuetta del Duomo lanciata da Massimo Tartaglia, si lecca le ferite fisiche e d’immagine.
Ma il suo spirito è vivo alla Camera, dove il gruppo Pdl regala ai deputati una tv al plasma da 23 pollici a testa
Un anno dopo, arriva l’iPad per lui, un anello tricolore per lei, fatto di tre fedine: una di oro rosa con rubini, una di oro bianco con brillanti, una di oro giallo tempestata di smeraldini
Gli ultimi Natali sono stati meno sfavillanti, ma non si era mai arrivati al grado zero. Che, comunque, è piuttosto eloquente.
LA SCOPERTA DI DUDÙ
Quasi quanto in passato erano stati i regali di Francesco Cossiga ai suoi nemici (a Massimo D’Alema un bambolotto di zucchero, perchè i comunisti mangiano i bambini; al senatore dc Franco Mazzola un sacchetto con 30 monete d’oro di cioccolata).
Berlusconi, questa volta, il regalo se l’è fatto da solo: è Dudù.
«Non avevo mai avuto cani in casa – ha detto nella sede di Fi – ma ora mi si è aperto tutto un mondo…».
Il Cavaliere dunque, in tempi di crisi economica e tagli alla politica, è passato dalla filosofia spendi&spandi alla spending review.
Ma chissà cosa c’è sotto l’albero di Dudù.
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Dicembre 20th, 2013 Riccardo Fucile LA RESPONSABLE DLE LAVORO DEL PD ENTRA AL MINISTERO DELL’INDUSTRIA CONVINTA DI ESSERE IN QUELLO DEL LAVORO
Com’è volgare e sessista la tempesta che si è abbattuta su Marianna Madia, fresca responsabile del lavoro nel Pd renziano, che alla sua prima uscita ha sbagliato portone e anzichè dal ministro del Lavoro si è fatta ricevere da quello dell’Industria.
Entrambi i ministeri si trovano in via Veneto: è facile sbagliarsi, anche perchè si tratta di una via piuttosto lunga.
A noi risulta che Madia, sedutasi davanti a Zanonato (Industria), lo abbia immediatamente riconosciuto come tale.
Secondo Il Tempo, invece, la laboriosa democratica avrebbe animatamente discusso con Zanonato della sua materia (sua della Madia) e si sarebbe accorta dell’equivoco solo quando il titolare dell’Industria ha pronunciato la più italiana delle frasi «Non è di mia competenza»: in questo caso con qualche ragione.
Zanonato l’avrebbe quindi accompagnata alla finestra: «Il ministero del Lavoro è dall’altra parte della strada. Hai sbagliato indirizzo».
E ministro: quello giusto si fa chiamare Giovannini.
È da ieri che la Rete, sadica, si sganascia dalle risate.
Una mortificazione immeritata: Madia ha ricevuto da Renzi la delega al Lavoro, non ai navigatori satellitari. Non è tenuta a orientarsi tra i palazzi del potere: che poi, si sa, sono tutti uguali.
Ad aggiungere confusione ulteriore, il ministero del Lavoro adesso si chiama «del Welfare», chiaramente per fare un dispetto a lei.
E poi, in un Paese dove il direttore di un carcere non si accorge di avere tra i detenuti un serial killer, Madia si è invece subito resa conto che Zanonato era Zanonato.
Non sapeva cosa ci facesse lì, è vero.
Ma qualche volta, a giudicare dai risultati del governo, non lo sappiamo nemmeno noi.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa“)
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Dicembre 20th, 2013 Riccardo Fucile AVREBBE MINACCIATO IMPREGILO PER COSTRINGERLA A COSTRUIRE UN OSPEDALE A PANAMA
L’ex direttore dell’Avanti! Valter Lavitola è stato raggiunto in carcere, da una nuova ordinanza di custodia
cautelare con l’accusa di tentata estorsione ai danni della società Impregilo. L’inchiesta è condotta dal procuratore aggiunto di Napoli Francesco Greco e dai pm Henry John Woodcock. L’interrogatorio di garanzia si svolgerà lunedì prossimo nel carcere di Poggioreale.
IL RICATTO A BERLUSCONI
Secondo quanto riferito da Angelo Capriotti (uno degli imprenditori italiani del consorzio Svemak che ottenne appalti a Panama e perciò avrebbe pagato tangenti al governo centroamericano e che ricevette da Lavitola anche la richiesta di regalare un elicottero al presidente Martinelli) il 9 aprile scorso ai pm «Lavitola aveva i video di Berlusconi con le prostitute di Panama e li usava per ricattarlo».
Capriotti a Woodcock e Piscitelli racconta: «In occasione del soggiorno, secondo quanto riferitomi da Lavitola, lo stesso aveva procurato anche in quella occasione, come avvenuto in Brasile, delle ragazze mercenarie per il presidente del Consiglio italiano».
Capriotti aggiunge di aver appreso dall’imprenditore Mauro Velocci che quest’ultimo «aveva poi sottratto a Lavitola, duplicandoli, dei video a luci rosse riguardanti tali incontri che Lavitola aveva girato di nascosto. Velocci mi disse anche di essere in possesso di video che riprendevano il presidente panamense Martinelli intento ad assumere cocaina».
Capriotti afferma però di non aver «mai visto tali video». Il ruolo di Berlusconi nella vicenda sarebbe comunque quello di «vettore inconsapevole» del tentativo di corruzione attuato da Lavitola, già detenuto nell’ambito dell’indagine su finanziamenti pubblici alla testata e per corruzione internazionale, e coinvolto in una vicenda di corruzione insieme all’ex premier, Silvio Berlusconi.
L’ACCUSA
Le altre accuse si riferiscono alla promessa da parte della società Impregilo di realizzare un ospedale a Panama in cambio dell’attribuzione da parte delle autorità panamensi dell’appalto per la realizzazione della metropolitana di Panama City, appalto poi attribuito a altra società non italiana.
Vi sarebbero state minacce di ritorsioni di vario genere nei confronti dei responsabili dell’Impregilo per indurli a realizzare comunque l’ospedale.
I pm contestavano anche l’ipotesi di corruzione internazionale , non condivisa dal gip, che ha ritenuto invece sussistente l’ipotesi di istigazione alla corruzione.
LA TELEFONATA
Il nuovo filone d’indagine nasce da una telefonata dell’aprile 2011 tra l’allora vertice di Impregilo, Massimo Ponzellini e Silvio Berlusconi.
Un colloquio che ha al centro proprio la realizzazione di un ospedale a Panama. Una telefonata sulla quale il top manager è stato anche ascoltato dai pm napoletani.
Berlusconi, nell’aprile 2011, disse a Ponzellini di essere stato chiamato da Lavitola per conto del presidente panamense Ricardo Martinelli che spinge perchè Impregilo mantenga l’impegno di costruire un ospedale nello Stato Sudamericano.
Un colloquio che per gli inquirenti partenopei deve essere chiarito.
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 20th, 2013 Riccardo Fucile BERLUSCONI ASSENTE, SOLLIEVO A BRUXELLES
«Non sapevo che Berlusconi non avesse più i documenti, lo conoscevo ai tempi in cui aveva il passaporto… ». Jean Claude Juncker si conferma il più sarcastico tra i leader europei.
Ma la battuta dell’ex premier lussemburghese riassume perfettamente il sollievo per il mancato arrivo del Cavaliere che si respira al castello di Meise, la residenza alle porte di Bruxelles dove si tengono le riunioni del Partito popolare europeo prima dei summit Ue.
Anche Jyrky Katainen, l’impassibile premier finlandese, ricorre all’ironia: «Berlusconi è sempre stato molto colorito nei nostri incontri, ma sta ai giudici decidere cos’è giusto, that’s life!».
È più istituzionale il presidente del Ppe Joseph Daul: «Non è potuto venire perchè è stata applicata la legge italiana e io rispetto la giustizia».
Alla riunione Forza Italia è rappresentata da Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione Ue.
C’è anche Angelino Alfano, leader dell’Ncd che aspira ad entrare nella famiglia popolare prima delle europee di maggio. Probabilmente ce la farà .
Sull’assenza di Berlusconi Tajani e Alfano si dicono dispiaciuti.
«Pensavo – spiega il ministro dell’Interno – che in applicazione di Schengen il principio di cittadinanza corrispondesse ai confini europei».
A non essere dispiaciuti erano invece i grandi d’Europa presenti a Meise.
A partire dalla Cancelliera Angela Merkel. Non bastano i turbolenti precedenti tra lei e il Cavaliere e l’allergia a chi nel 2011 stava per mandare l’Italia in default e affondare l’Europa.
Ora Berlusconi è anche un pregiudicato. Come da etichetta la Merkel non parla in pubblico dell’ex collega, ma un eurodeputato della Cdu a lei molto vicino racconta del suo sollievo: «Certamente la Cancelliera non sarebbe stata felice di vedere Berlusconi al Ppe».
Il parlamentare, che preferisce restare anonimo, racconta che la Merkel, e non solo lei, farebbe volentieri a meno di avere Forza Italia nella famiglia dei popolari.
Le circostanze rendono però difficile pensare all’espulsione del partito anche se comandato da un condannato ormai percepito come un antieuropeista: il Ppe nei sondaggi è avanti di un soffio sui socialisti (Pse) e se vorrà guidare l’assemblea di Strasburgo ed esprimere il presidente della Commissione Ue si dovrà tenere buono ogni voto.
La decisione del Ppe sul futuro di Fi sarà presa il 27 gennaio. E nel caso in cui Fi dovessere rimanere nel Ppe c’è già un accomodamento per limitare i danni.
Racconta ancora il deputato cristianodemocratico che interpeta lo spirito della Cancelliera: «Almeno ora abbiamo la certezza che non dovremo sederci allo stesso tavolo di Berlusconi perchè non può espatriare. Una vera fortuna. Per i leader popolari farsi vedere al suo fianco in campagna elettorale sarebbe estremamente dannoso».
Ma le istanze dell’ex premier in Europa vengono portate avanti da Tajani e Alfano.
I due hanno mostrato grande sintonia. Per esempio quando Daul ha proposto di lanciare l’idea di una commissione d’inchiesta Ue sulla malagiustizia in paesi in cui gli standard non sono in linea con quelli continentali, come Bulgaria o Slovenia.
Al che Tajani ha affermato che anche l’Italia meriterebbe un’inchiesta, se non altro per fare luce «sul ruolo di Magistratura democratica».
E Alfano ha commentato: «Sono d’accordo con Antonio».
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 20th, 2013 Riccardo Fucile IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA SMENTISCE IL DIRETTORE DEL CARCERE DI MARASSI
“Tutti erano a conoscenza del percorso di Gagliano”, ha detto il ministro della Giustizia Annamaria
Cancellieri, riferendo in Parlamento sul caso di Bartolomeo Gagliano, il serial killer di cui si sono perse le tracce dopo un permesso premio dal carcere di Marassi. Il detenuto è ancora in fuga.
Un episodio che, a pochi giorni dal via libera al decreto ‘Svuota carceri’, ha fatto scattare una polemica.
Intanto anche un pentito di camorra, detenuto a Pescara, è evaso il 15 dicembre scorso, dopo un permesso.
“Ho disposto che venga predisposta un’indagine completa conoscitiva”, ha dichiarato il ministro della Giustizia.
“Una circostanza che intendo chiarire subito è che sia il magistrato di sorveglianza che il carcere di Genova erano a conoscenza dell’intero percorso giudiziario del detenuto”, ha detto Cancellieri, nel corso dell’informativa nell’aula della Camera.
“Il giudice di sorveglianza ha concesso il permesso sulla base di tutte le informazioni”, ha aggiunto il ministro.
Il ministro si è poi soffermato sulla funzione delle misure alternative al carcere, in particolare dei permessi premio che garantiscono “più sicurezza, non meno”, perchè sono “strumenti necessari e irrinunciabili per il reinserimento dei detenuti in base all’articolo 27 della Costituzione”.
“Servono – ha ricordato il ministro – a far riprendere ai detenuti i contatti con la famiglia e il territorio per evitare che, una volta scontata la pena, riprendano le condotte per cui erano stati condannati”.
Anche perchè, ha detto il ministro, la percentuale di violazione dei permessi è molto bassa.
“Nel 2010 sono stati concessi 19.662 permessi e solo in 38 casi vi è stato un mancato rientro. Nel 2011 sono stati concessi 21.923 permessi con 48 mancati rientri e nel 2012 sono stati 25.275 permessi con 52 mancati rientri ed analoghi sono i dati del 2013. Si tratta di una percentuale di violazione dei percentuale di molto inferiore all’1% di violazione”, ha detto Cancellieri.
(da “La Repubblica“)
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