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TELECOM, DA LETTA A RENZI A FORZA ITALIA: LA POLITICA TACE E S’INCHINA AI SALOTTI

Dicembre 21st, 2013 Riccardo Fucile

TUTTI ZITTI NEL GIORNO IN CUI GLI SPAGNOLI VANNO AVANTI NELLA BATTAGLIA PER LA SOCIETà€…. PARLANO SOLO ZANONATO E IL PREMIER: “IL GOVERNO È NEUTRALE” (CIOÈ LASCIA FARE)

Se serviva una plastica rappresentazione di quanto la politica sia ormai gregaria rispetto agli assetti del potere economico, gli eventi hanno provveduto a fornirla giusto ieri. Mentre a Milano, infatti, si decideva il futuro della più rilevante azienda di telecomunicazioni del Paese, il mondo politico elegantemente si sfilava e lasciava fare parlando d’altro.
Fino al voto dell’assemblea dei soci di Telecom Italia — con l’eccezione di Enrico Letta e Flavio Zanonato, sollecitati a parlarne dai giornalisti — non una parola compariva sulle agenzie.
I più pensavano ad altro e non si sono neanche accorti della portata dell’evento, i pochi in grado di capirlo hanno preferito tacere per manifesta incapacità  di incidere sulla materia o semplice convenienza.
Non si sa ad esempio, nonostante qualche sollecitazione, cosa pensi Matteo Renzi dell’affaire Telecom: se cioè lo convinca il passaggio dell’azienda in mani spagnole — avallato ieri in assemblea dalla bocciatura della mozione di revoca del Cda — senza bisogno di un’offerta pubblica di acquisto che remuneri anche i piccoli azionisti.
Pure l’inner circle del neosegretario del Pd, in genere così ciarliero e pieno di posizioni nette al limite della semplificazione, si rifiuta di dire alcunchè e osserva la scena in vana attesa che il leader-oracolo indichi la via.
Silente pure Forza Italia — che a settembre, dopo l’accordo Telco, si sbracciava chiedendo subito una relazione in Parlamento di Letta — schiacciata dall’ennesimo caso di conflitto di interesse del suo Leader viste le trattative Mediaset-Telefà³nica sulla pay tv in Spagna (e prossimamente in Italia).
Non pervenuto nemmeno il Movimento 5 Stelle, nonostante una nota contro il passaggio in mani straniere arrivata un paio di settimane fa.
Questo per non citare che i tre principali partiti in Parlamento.
Restano in campo, dunque, il premier e il suo ministro dello Sviluppo economico, gli unici a intervenire ieri.
La prima menzione va a Flavio Zanonato, titolare delle deleghe specifiche e simpaticamente inconsapevole della situazione visto che è riuscito a sostenere in due successivi interventi entrambe le parti in commedia.
Prima domanda: si può fare la riforma dell’opa proposta da Massimo Mucchetti (presidente per il Pd della commissione Industria in Senato), che farebbe almeno scucire qualche soldo agli spagnoli per assumere il controllo di Telecom?
“Magari — si emoziona il ministro — Sono favorevolissimo”.
Passa circa un’ora e Zanonato torna sul luogo del delitto.
Intervenire? Macchè: “Lo Stato anni fa ha deciso di vendere questa società  e adesso si tratta di garantire le cose strategiche che interessano alla sicurezza dell’informazione italiana, ma lasciare ad una società  privata la facoltà  di svolgere la sua attività ”.
Tra le due ponderate posizioni del ministro per così dire competente arrivano le parole sul tema del presidente del Consiglio: “Il governo è assolutamente in campo per garantire investimenti sulla rete ma non non per garantire un giocatore: esistono regole di mercato che vanno rispettate”.
C’è però il problema della rete, che “è un asset strategico e dunque il governo vuole proteggerlo” anche “imponendo investimenti infrastrutturali” (un commissione tecnica del governo ne deciderà  il livello necessario entro gennaio, ma comunque Telefà³nica non ha i soldi per farli).
Conclude Letta: “Ho solo ribadito quanto già  detto in questi mesi: Telecom Italia è una società  privata ed esistono regole di mercato”.
Il problema è che la neutralità  invocata dal premier — oltre a ricordare quella di Massimo D’Alema rispetto alla scalata dei “capitani coraggiosi” — è un sostanziale avallo della procedura grazie alla quale Telefà³nica si prenderà  Telecom pagando solo i suoi soci in Telco (Generali e banche) e aggirando quel 75 per cento e più di capitale in mano agli altri azionisti.
Per di più la sua petizione di principio secondo cui non si interviene in una partita in atto non tiene conto di due dati di fatto: da un lato lui e il suo governo avevano promesso più volte, chiedendo di bloccare iniziative parlamentari in tal senso, un decreto di riforma della disciplina dell’Opa (lo ha dichiarato, non smentito, Mucchetti); dall’altro non esiste una data di closing per l’accordo Telco di settembre e, di questa via, non si potrebbe mai legiferare in attesa che finisca quella partita in cui Letta è neutrale ma finisce per avvantaggiare un concorrente.

Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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LAVITOLA E IL RICATTO A SILVIO “FILMATO CON LE PROSTITUTE”

Dicembre 21st, 2013 Riccardo Fucile

UN IMPRENDITORE RACCONTA AI PM LE PRESSIONI DELL’EX DIRETTORE DE “L’AVANTI!”:…L’INCHIESTA SU UN OSPEDALE MAI COSTRUITO A PANAMA

Valter Lavitola, già  ai domiciliari, torna in carcere. L’accusa: corruzione e tentata estorsione al colosso delle grandi opere Impregilo.
E Silvio Berlusconi torna invece al centro di un’inchiesta. L’ex premier non è indagato, ma nelle carte viene descritto al rango di un burattino nelle mani del faccendiere salernitano.
Da un lato è in “provata condizione di ricattabilità ” — la prova sta nella condanna in appello di Lavitola per estorsione ai danni del Cavaliere — e dall’altro, nell’agosto 2011, “veicola la richiesta estorsiva” di Lavitola nei confronti di Massimo Ponzellini, presidente di Impregilo.
E anche in questa storia — seppure non rilevanti, come sostiene il gip Dario Gallo — entrano in scena prostitute, e persino presunti video del Cavaliere usati da Lavitola per ricattarlo, almeno a quanto racconta ai pm l’imprenditore romano Angelo Capriotti. Ma il punto sono le decine di milioni di euro, quelle di un ospedale da far costruire da Impregilo a Panama, secondo l’accusa , per foraggiare il presidente Ricardo Martinelli, e lo stesso Lavitola, in cambio di un appalto molto più sostanzioso: la metropolitana della capitale sudamericana.
Indagati — oltre a Lavitola, arrestato ieri — anche Adalberto Rubegni, con l’accusa di corruzione, e il presidente panamense Martinelli, in concorso con Lavitola e l’imprenditore sudamericano Rogelio Oruna.
Per Rubegni il gip ha respinto la richiesta d’arresto, avanzata dai pm Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli.
Ma come si realizza l’estorsione di Lavitola ai danni di Impregilo e in che modo, Silvio Berlusconi, “veicola la richiesta estorsiva”?
Le minaccia dell’ex amico e del presidente panamense Impregilo s’era aggiudicata un’altra importante commessa: quella del raddoppio del Canale di Panama.
L’appalto per la metropolitana, invece, era saltato e di conseguenza, la società  non aveva intenzione di costruire l’ospedale promesso.
È in questa fase, agosto 2011, che “Lavitola, per conto di Martinelli, fa pressione su Impregilo richiedendo comunque la realizzazione dell’ospedale con la minaccia”.
Ed ecco la minaccia: Martinelli avrebbe parlato pubblicamente di una “cattiva esecuzione delle opere del Canale di Panama” provocando “ricadute negative sulle quotazioni in Borsa” per Impregilo.
Non v’è prova che, aggiunge il gip, che “Berlusconi fosse a conoscenza di tutti i retroscena dell’operazione”. Se Berlusconi è inconsapevole, fino a prova contraria, Lavitola agisce da “intermediario per incarico e nell’interesse degli estorsori”.
E Berlusconi si trasforma nel veicolo dell’estorsione.
Il 2 agosto il Cavaliere chiama Ponzellini: “Ti telefono perchè, mi telefonano da Panama… e dicono che devo contattare i vertici Impregilo… e dire che sulla questione ospedali dovete trovare l’accordo con Panama… altrimenti il   presidente del Panama rilascerà  alle 19,30 di questa sera ora panamense una dichiarazione per bloccare l’opera di Impregilo sullo stretto con un grave tracollo… conseguente in borsa per Impregilo (…) Quel tale Lavitola no, amico del presidente di Panama… mi ha telefonato sei volte mi ha trovato alla fine e mi ha lasciato detto questo”. “Ti ringrazio dell’informazione — risponde Ponzellini — mi metto in moto subito siccome domani alle 7:30 sono da Gianni Letta ti lascio la soluzione, ma stasera già  intervengo”.
E in effetti, il giorno dopo, Ponzellini chiama l’ad di Impregilo, Rubegni.
“Ho preso un’inculata da Berlusconi”
“Ho preso un’inculata dal presidente Berlusconi — dice Ponzellini a Rubegni — perchè gli ha telefonato Lavitola che Martinelli è incazzato…”.
“E vabbè — risponde Rubegni — a Lavitola gli passa… noi abbiamo fatto un’offerta per una metropolitana, la metropolitana non l’abbiamo preso… che cazzo vuoi, lo sa anche Valterino…”.
Ponzellini risponde: “Ha chiamata Lavitola, ha detto che il presidente Martinelli darà  un anticipo alla fine sul canale, così il titolo Impregilo cadrà …”.
La minaccia inizia a fare il suo effetto. Ponzellini aggiunge: “Credo che la cosa migliore sia andare a trovare sto Martinelli a settembre…”.
E Rubegni commenta: “Ci stiamo già  parlando, il problema è…”.
“Il problema — c onclude Ponzellini — e che Lavitola vuole mettersi in mezzo lui credo”.
Interrogato dai pm, l’ex ministro Franco Frattini, spiega che “la promessa della costruzione di un ospedale fu il risultato di un impegno assunto personalmente da Berlusconi all’esito di un viaggio nel giugno 2010, a Panama, dove incontrò il presidente Martinelli. Un viaggio che Berlusconi fece in compagnia di Lavitola. Berlusconi mi disse che una parte della spesa necessaria per la costruzione di tale ospedale poteva accollarsela lui, per l’altra mi disse di chiedere agli imprenditori italiani che lavoravano a Panama… la questione mi imbarazzò non poco”.
I 50 milioni di euro per le vacanze di Martinelli
La costruzione dell’ospedale, secondo l’accusa, sarebbe stata affidata a Rogelio Oruna “imprenditore con il quale Martinelli aveva un rapporto occulto di società  di fatto, avendo già  svolto il ruolo di collettore delle tangenti a lui destinate”.
Uno dei testi chiave, Raffaele Velocci, definisce Oruna la “cassaforte” di Martinelli e Lavitola.
Lorenzo Reguzzo è un funzionario Impregilo a Panama. Racconta ai pm che Lavitola avrebbe ricevuto da Impregilo ben 50mila euro, in nero, per organizzare la visita di Berlusconi a Panama nel giugno 2010 e, soprattutto, le vacanze in Italia di Martinelli. Impregilo, dice Reguzzo, “pagò attraverso una triangolazione dopo le pressioni di Lavitola, per il quale ‘era necessario recuperare i rapporti con Martinelli arrabbiato con Impregilo per la mancata costruzione dell’ospedale”.

Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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FORZA ITALIA, LA RAMAZZA DI SILVIO: BRUNETTA IL PRIMO DELLA LISTA

Dicembre 21st, 2013 Riccardo Fucile

IL CAVALIERE DISPERATO ADESSO PENSA DI FAR FUORI BRUNETTA: TROPPE GAFFE, L’EX MINISTRO RISCHIA LA ROTTAMAZIONE

È trascorso poco più di un mese dalla scissione e Forza Italia è di nuovo un vulcano sul punto di esplodere.
Tanto che un Silvio Berlusconi in vena di repulisti ha deciso di imboccare anche lui la via della rottamazione. E in cima alla lista è finito anche uno dei fedelissimi del leader, il capogruppo alla Camera Renato Brunetta.
Ma da Montecitorio ai coordinamenti regionali è tutta una giostra impazzita.
Nei capannelli forzisti in Transatlantico non si parlava d’altro, mentre in aula si votava la legge di stabilità .
«Ormai lo salutano giusto in quattro», «con questa ha superato il segno» è stato il tam tam di Montecitorio su Brunetta che in un battibaleno ha raggiunto il capo, blindato poco distante da lì, a Palazzo Grazioli, già  impelagato nelle sabbie mobili dei coordinatori regionali.
Appena toccato, l’ex premier, dalle rivelazioni sul Lavitola «ricattatore» e i filmini hard, raccontano: «Altro fango che tentano di riversarmi addosso, storia assurda senza alcun fondamento» è lo sfogo.
A pesare su Brunetta, l’uno-due di questi ultimi giorni.
Il mancato rinnovo di una decina di contratti scaduti il 18 dicembre a dipendenti del gruppo (cinque assorbiti da altri gruppi, cinque finiti a casa), tra i quali anche un paio legati a Daniele Capezzone e Mariastella Gelmini.
Negli stessi giorni, il faccia a faccia del capogruppo con il democratico renziano Nardella per discutere di legge elettorale. Col Cavaliere costretto nel giro di 24 ore a investire formalmente Denis Verdini del ruolo di “ambasciatore” unico sulla riforma.
La rivolta scoppiata al gruppo da un paio di giorni ha avuto l’effetto della classica goccia, i malumori del resto non si sono mai placati dall’insediamento in aprile.
Ieri a Grazioli è stato un via vai di dirigenti per lamentare la «situazione ormai insostenibile». Berlusconi ha assicurato che a gennaio rimetterà  mano a tutto, capigruppo compresi. Intenzionato a chiedere il «sacrificio» al fedelissimo Renato.
Al Senato, Paolo Romani appena nominato sarebbe confermato da nuova votazione. «Sembra che in Forza Italia parlino in troppi e non si capisce a nome di chi – sostiene Gianfranco Rotondi – Consiglio a Silvio di donare molte museruole per Natale. Dudù ne può fare a meno, noi no».
Il clima è un po’ questo. «Tutti rottamati. Io per primo. Siamo in una fase in cui tutti dobbiamo metterci in gioco – rincara a Mix24 di Giovanni Minoli il nuovo big, il coordinatore dei club Marcello Fiori – Dobbiamo tutti ritenerci sotto esame, alla fine vedremo se ci saranno le condizioni per la conferma e di chi».
Chi attendeva la trentina di nomine del Comitato di presidenza prima di Natale è rimasto deluso. Berlusconi ha rimandato la partita.
Forse di qualche giorno, a fine anno, più probabilmente se ne riparlerà  a gennaio. In ballo c’è di tutto. Anche l’ascesa del riluttante direttore delTg4 e Studioaperto Giovanni Toti.
Berlusconi – che nel frattempo ha lanciato una campagna mediatica natalizia con tanto di mail e battage web – si è intanto arenato sulla nomina dei coordinatori regionali.
A cominciare da quella di Claudio Fazzone, uomo di Tajani (e discusso senatore di Fondi), nel Lazio. Nelle ultime ore, a sorpresa, avanza pretese su quella poltrona Maurizio Gasparri, in cerca di «riabilitazione » dopo la figuraccia della polizza coi soldi del gruppo per la quale è indagato.
Ma è caos anche in Campania, dove il prescelto Domenico De Siano, sostenuto tra gli altri dalla Carfagna, incontra l’ostilità  di Nicola Cosentino, appena uscito dal carcere.
La paralisi regna anche sulla casella siciliana. Circolano svariati nomi,
Berlusconi sarebbe tornato alla carica con Saverio Romano, infrangendosi contro l’indisponibilità  dell’ex ministro.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)

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L’ETERNO “GRAN PRIX D’AN-ERIQUE”: PER FAR RINASCERE LA DESTRA IN ITALIA NON SERVONO RONZINI, MA CAVALLI DI RAZZA

Dicembre 21st, 2013 Riccardo Fucile

DUE SCUDERIE UFFICIALI IN LITE PERENNE E TROPPI CAVALLI DA SOMA DOPATI… NECESSITA ROTTAMARE GLI AF-FONDATORI (FRATELLI, SORELLE E CONGIUNTI COMPRESI) E INIZIARE UN NUOVO CICLO CON IDEE NUOVE E FANTINI CHE SAPPIANO STARE IN SELLA

Da giorni il potenziale elettore della “destra che non c’e'” legge resoconti alienanti sul   cammino della sedicente “destra italiana” verso una presunta unificazione delle varie “anime” che la compongono.
Con una caratteristica: che se un tempo i congressi di area finivano a seggiolate, ma perlomeno ciò aveva come motivazione le divisioni sulle idee, sui valori di riferimento, sui ceti sociali cui ci si intendeva rivolgere, i messaggio da trasmettere, il fascino del confronto culturale, oggi si viene quasi alle mani per un patrimonio.
Non di idee, sia chiaro, ma di vile denaro, quello della Fondazione An.
E dobbiamo leggere, noi, non oso dire ideologicamente impostati, ma almeno culturalmente sobri, di un raggruppamento del 2% che scippa il simbolo di An ad un altro dell’1,3%.
Per usarlo? No, perchè non lo utilizzino gli altri.
Ci tocca ascoltare una sacerdotessa con le stigmate da fotoshop che agita il tricolore ma che avrebbe fatto volentieri un ticket con un clandestino come Tosi, profugo dalla Padania.
La stessa che invoca le primarie non rendendosi neanche conto che vi sarebbero meno votanti che clienti al mercato della Garbatella o a quello di Porta Portese.
Qualcuno oggi scrive “passano i giorni, le ore e la frattura, nel mondo ex An, è sempre più forte. Forse irrimediabile e non più ricomponibile”: ma magari fosse vero, magari si rendessero conto che il problema sono loro, la loro mancanza di credibilità .
Perchè si dovrebbe ricostruire An, portandola in processione come nelle feste di Paese?
Per dare spazio al cognato di Rampelli o a quello della Meloni?
Per dare credibilità  a un partitino di otto deputati, già  spaccato a metà ?
Per concorrere a far incassare a qualcuno i rimborsi elettorali?
Per garantire uno stipendio ai tre già  designati capilista Alemanno, Scurria e Fidanza?
Perbacco che cavali di razza, che scuderia di prim’ordine, che parentopoli passata e futura “unita nella lotta”.
E qualcuno pensa che vi sia una “base militonta” disposta a remare per non farli schiantare contro lo scoglio del 4%?
E quale sarebbe, se vi fosse, il progetto politico che starebbe alla base dell’operazione? Quello di portare in dote al Cavaliere disarcionato un 3% totale che gli permetta di sollevarsi dalla polvere della pista?
Dov’è l’ambizione di costruire dalla base una nuova destra moderna ed europea?
Dov’è la radice culturale di una destra della legalità  e del senso delo Stato, dell’etica e della solidarietà  sociale?
Dove sono il ricambio generazionale e il passo indietro promesso?
Allora si abbia il coraggio di prendere atto che è si chiuso un ciclo e che un altro se ne deve aprire, con programmi nuovi e con una nuova classe dirigente che non potrà  nascere finchè si continuerà  nei giochi correntizi da basso impero.
Ma ci rendiamo conto che questi hanno dissipato un 12-15% di consensi in pochi anni?
Che non hanno saputo interpretare i cambiamenti del Paese, l’evoluzione della società  civile, i bisogni degli Italiani, la rabbia dei giovani?
Che sono diventati ministri, sindaci, presidenti di regione e non hanno cambiato di una virgola il destino della destra italiana? Anzi l’hanno spesso pure sputtanata, imbarcando parenti e serpenti, per finire spesso cacciati per aver malgovernato?
In tutta coscienza, affidereste mai il futuro della destra italiana a costoro?
Vogliono rendere un servizio al nostro mondo politico?
Facciano un passo indietro tutti e da subito, si sciolgano, trascorrano un periodo di tempo all’estero a studiare le moderne destre europee, frequentino i mercati, ascoltino le esigenze del popolo italiano, non bussino alle porte dei potenti ma a quelle della povera gente che stenta a sopravvivere.
Lo facciano con l’umiltà  di chi deve imparare, non con l’arroganza di chi ha avuto una chance e l’ha buttata via.
E si affidi la costruzione di un nuovo movimento a una nuova generazione, a una nuova classe dirigente, a un nuovo leader che emergerà  naturalmente.
Un partito che tagli con il passato, una struttura politica centrale con una miriade di associazioni intorno che, penetrando nel tessuto sociale e culturale del Paese, garantiscano e selezionino i cervelli migliori da inserire gradualmente nelle strutture del nuovo partito.
Con due primi atti liberatori: rinunciare al patrimonio di An e devolverlo a strutture sociali, respingere con fermezza ogni contributo o alleanza con il Cavaliere.
Altro che Grillo, sarebbe il segnale che è nata una destra vera che non scende a compromessi e che non è pilotata da guru con libero accesso alle ambasciate straniere.
Una destra movimentista che recuperi quello che è suo, dalla difesa dei ceti più deboli alla tutela ambientale, dalla lotta spietata alla mafia ai diritti civili, dal lavoro per i giovani alla tutela delle donne.
Una destra composta da militanti che non abbiano paura di sporcarsi le scarpe di fango e di salire le scale delle case popolari, non quelle dei Palazzi del potere.
Una destra che rottami tutte le auto blu d’Italia, una destra che nasca con l’orgoglio di saper fare opposizione, non come i mendicanti da blandire con una monetina.
Una destra che rivendichi la giustizia sociale in Italia e non abbia paura di conquistare voti anche a sinistra.
Di fronte a cambiamenti epocali, occorre una classe politica che legga, che studi, che sappia ascoltare, che sappia trasmettere passione, che buchi il video, che colori le piazze, che invada il web.
Basta con il museo delle cere e gli apologeti del cerone.
La destra ritorni a sognare e a trasmettere emozioni.

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DIETRO L’INFAME ACCORDO ITALIA-LIBIA SPUNTANO TANGENTI PER LA LEGA

Dicembre 21st, 2013 Riccardo Fucile

“IL SOLE 24 ORE” RACCONTA IL MECCANISMO DI TANGENTI CON CUI BELSITO AVREBBE LUCRATO SULLA VENDITA DI PATTUGLIATORI A GHEDDAFI…MA I CONTATTI CON I GERARCHI LIBICI LI TENEVA MARONI

Le dimissioni di Roberto Maroni dalla segreteria della Lega Nord assumono una prospettiva diversa dopo aver letto “Il Sole 24 Ore”.
L’ottimo inviato Claudio Gatti racconta il meccanismo di tangenti e retropagamenti con cui il tesoriere della Lega, Francesco Belsito, in combutta con degli alti ufficiali libici, avrebbe lucrato sulla vendita al regime di Gheddafi di pattugliatori e corvette prodotte da Fincantieri.
Cioè l’azienda in cui Belsito ricopriva l’incarico di consigliere d’amministrazione per scelta (vergognosa) della Lega.
Basta mettere in fila le date per trarne una deduzione logica: le trattative per un contratto di fornitura di navi militari alla Libia, con tanto di “cresta” per entrambi i contraenti, seguirono di pochi mesi l’accordo siglato fra il governo Berlusconi e il dittatore di Tripoli per il respingimento dei migranti. §
Un trattato indecente, condannato da tutta la comunità  internazionale, approvato nell’agosto del 2008 (purtroppo anche con il voto di quasi tutti i parlamentari del centrosinistra).
E’ logico rilevare, alla luce di quanto scrive Claudio Gatti su “Il Sole 24 Ore”, che nella sua duplice veste di tesoriere della Lega e membro del cda Fincantieri, Francesco Belsito sia passato all’incasso, cercando di monetizzare quel patto infame.
Nessuna persona seria può pensare che si sia trattato di un’iniziativa personale di Belsito.
I contatti con i gerarchi libici nel piano anti-immigrati li teneva il ministro degli Interni, Roberto Maroni.
E ne menava gran vanto in pubblico.
Se ora ha lasciato la guida del suo partito, è ragionevole pensare che possa trattarsi di una mossa preventiva.
Fin qui i leghisti se la sono cavata scaricando su Belsito (e Bossi) l’intera colpa delle malversazioni amministrative e delle appropriazioni indebite di denaro pubblico.
Ma riguardo ai legami con i militari libici questa linea difensiva non potrebbe mai reggere.

Gad Lerner

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FAIDA FORZA ITALIA IN CAMPANIA: MATCH TRA GLI IMPRESENTABILI CESARO-COSENTINO, E LA PASCALE…

Dicembre 21st, 2013 Riccardo Fucile

BERLUSCONI IMPANTANATO SULLE NOMINE

Accade pure che, per l’ennesima volta, Silvio Berlusconi rinvia le nomine di Forza Italia. E decide di non decidere.
E così in Campania, per dirne una, continua la grande faida del partito degli indagati. Per l’ambita poltrona di coordinatore regionale il prescelto era Domenico De Siano, ex sindaco del comune ischitano Lacco Ameno, e ora parlamentare.
Nel suo curriculum spicca l’indagine per presunti episodi di malcostume avvenuti nei tempi in cui era vicesindaco.
Ora è forte dell’appoggio non solo dell’ex guardasigilli Nitto Palma e di Mara Carfagna, ma soprattutto di Gigino Cesaro, detto Gigino ‘a Pupetta, il potente presidente della provincia di Napoli, noto per essere stato coinvolto in inchieste relative ai suoi rapporti col clan dei casalesi.
Ma contro ha Nicola Cosentino, che appena uscito dal carcere viene descritto dai suoi come una specie di conte di Montecristo assetato di vendetta, appoggiato dal suo referente nazionale Denis Verdini.
Per chiudere il caso si è impegnata addirittura Francesca Pascale, che si è sempre interessata alle vicende campane.
Soddisfatta per essere comparsa per la prima volta nei presepi natalizi di Napoli, di ritorno con tre statuette — una sua, una di Silvio, una di Dudù — ha invitato il Cav a non cedere a Nick ‘o mericano.
Risultato: per ora, tutto fermo.
Eccolo, il male oscuro che consuma il berlusconismo si tempi della decadenza. Paura. Paralisi nella scelta. Ricatti.
Tra il filmino che Lavitola minaccia di avere con scene hard di Berlusconi con signorine panamensi e le faide degli indagati sul territorio.
Il Cavaliere, raccontano i suoi, appare paralizzato.
Ripete lo stesso discorso, quello su magistratura democratica come le br, sulla persecuzione e sui plotoni di esecuzione. È convinto che si debba martellare contro i giudici.
Attorno lo sono meno: “Al brindisi era la sesta volta che sentivo lo stesso discorso — racconta un azzurro — ma non gli si può dire nulla
Per la prima volta la corte teme la frana: “Una volta — prosegue l’azzurro — la gente veniva con noi perchè c’era Berlusconi. Ora ci dice: vengo con te nonostante lui”.
E così diventa un problema anche nominare i coordinatori regionali di Forza Italia.
È stato Raffaele Fitto, taciturno e scontento per l’andazzo, a bloccare la nomina più imbarazzante.
Quella di Claudio Fazzone, il signore di Fondi e ras del basso Lazio. Colui che fece di tutto, con successo, per evitare lo scioglimento del comune fondano.
Il suo nome è chiacchierato perchè risultò essere nella proprietà  di terreni e fabbricati con il clan dei Tripodo (a giudizio per reati di mafia).
Il senatore è stato indagato per abuso di ufficio. Ora fa parte dell’Antimafia in quota Forza Italia.
Berlusconi si era convinto ad affidargli un incarico, tranne poi tornare indietro di fronte alla sollevazione dei suoi.
Addio decisionismo.
Il Cavaliere, ai tempi della decadenza, appare stanco, frastornato.
Annoiato dalle beghe di partito. Ecco che un giorno loda i club e quelle facce nuove da contrapporre alle vecchie cariatidi del partito, tranne poi confessare che all’iniziativa dei club ha visto facce non solo più vecchie ma pure più brutte di quelle delle vecchie cariatidi.
E nessuno degli interlocutori sa quale sia la verità . Se ce ne è una o se l’ex premier si auto-convinca delle versioni che racconta perchè, in verità , ha la testa ad altro e non sa che fare.
Succede così, paradosso di tempi cinici e duri, che pure un Giovanni Toti, il potente direttore di Tg4 e Studio Aperto, sia il protagonista di una contrattazione che, a raccontarla, ha dell’incredibile.
Berlusconi lo vorrebbe come uno dei futuri coordinatori di Forza Italia. Ma Toti, che da Berlusconi è stipendiato a Mediaset, risponde che non ha intenzione di lasciare due Tg per essere uno dei tanti.
O coordinatore unico, dice, o niente. E allora niente, per ora.
Con Berlusconi che ai suoi ha confidato: “Su Toti, mi fanno problemi a Mediaset”. Ma l’analisi su come possa accadere che Berlusconi subisca Mediaset rientra nei misteri di questo tempo.
Non è invece un mistero che le truppe spaesate che già  si vedono disperse stiano pensando a come non lasciarsi risucchiare dal melanconico e feroce male oscuro di Forza Italia.
E così Fitto e il grosso dei lealisti prova a imporre una logica politica: nomine, scadenze, riorganizzazioni, provvedimenti. Altri invece già  la danno per persa.
Negli ultimi giorni lo studio di Gianni Letta è tornato ad avere la coda come ai bei tempi. È lui il grande regista dell’operazione “ricucitura” con Alfano, viste anche le difficoltà  di Forza Italia ma anche quelle di Angelino da quando Renzi è segretario. Per la serie: due debolezze possono fare una forza.
Proprio Gianni Letta sta testando le truppe alla Camera perchè, come primo segnale di ricucitura, vorrebbe sostituire Renato Brunetta magari con Mariastella Gelmini, che dal Nuovo centrodestra non è affatto odiata. Chissà .
È chiaro che il Cavaliere di queste manovre non sa niente.
Fermo, mentre tutt’attorno frana.

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