Dicembre 25th, 2013 Riccardo Fucile LA LEGGE OBBLIGA I PARTITI, ENTRO 45 GIORNI DALLE ELEZIONI, A DEPOSITARE LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI DEL TESORIERE (OVVERO GRILLO), IL BILANCIO E LA COPIA DI UNO STATUTO CONFORME ALLE REGOLE DEMOCRATICHE…IL 18 OTTOBRE IL PRESIDENTE DEL SENATO GRASSO CONFERMA DI NON AVER RICEVUTO NULLA E CHE IL DIRITTO AL RIMBORSO DECADE
«Il Movimento 5 stelle ha restituito 42 milioni di euro di rimborsi elettorali»: questo è il motto
di Beppe Grillo per zittire ogni critica sul suo operato o del M5s.
Nella realtà , questo non è mai accaduto.
Il fatto emerge grazie a un richiesta di chiarimenti avanzata dal deputato di Sel Sergio Boccadutri al presidente del Senato, Pietro Grasso.
Boccadutri chiede se Grillo e il M5s abbiano mai rispettato la legge che predispone il diritto ai rimborsi, la n. 96 del 2012, al fine poi di incassare o eventualmente restituire la somma.
La legge obbliga le forze politiche a depositare alle Camere rispettivamente la dichiarazione dei redditi del tesoriere (Beppe Grillo in questo caso), il bilancio del M5s e uno statuto che abbia caratteristiche formali conformi “a principi democratici nella vita interna, con particolare riguardo… al rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti”.
Tutto questo va presentato “entro 45 giorni dalla data di svolgimento delle elezioni” pena la perdita del diritto.
La risposta di Grasso a Boccadutri, datata 18 ottobre, è eloquente: “il Senato non ha ricevuto copia”.
Il presidente spiega di non sapere chi sia il tesoriere, e di non avere ricevuto nè i sui riferimenti nè il bilancio del gruppo.
Grasso precisa però che il diritto al rimborso “decade ove non provvedano alla trasmissione” secondo i tempi.
Il diritto al rimborso, di fatto, non è mai scattato per Grillo e il M5s.
Quindi non potevano restituire alcunchè.
E lo statuto presentato per candidare i parlamentari non prevede poi neanche formalmente il rispetto della legge, cioè “il rispetto delle minoranze” e “il diritti degli iscritti”, cioè che chi non la pensa come Grillo possa discuterne e non essere espulso su due piedi, come è successo.
Va aggiunto che sul bilancio del Movimento è stato presentato un esposto alla Procura di Genova dall’Associazione casa della legalità (sempre di Genova) perchè il M5s è accusato di aver incassato svariate migliaia di euro di donazioni ai banchetti per strada, senza però inserirle nei bilanci ufficiali della forza politica.
Non il massimo, insomma, per chi si è fatto paladino della trasparenza nazionale.
Antonio Amorosi
(da “Panorama”)
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Dicembre 25th, 2013 Riccardo Fucile SONO DIECI I COMMISSARIATI DI ROMA SOTTO SFRATTO, LA PREFETTURA DA ANNI NON PAGA L’AFFITTO…AGENTI TRA CESSI ROTTI E RISCALDAMENTO A SINGHIOZZO… ALLOGGI IN CENTRO OCCUPATI ABUSIVAMENTE DA DIRIGENTI, IN ZONA PRATI 25 SU 38 SONO OCCUPATI SENZA TITOLO
La Camera si tiene gli affitti milionari. E a finire per strada sono i poliziotti.
Succede nella Capitale, quella da salvare, ma nessuno se ne preoccupa.
Sono 10 su 29 i commissariati della Polizia di Roma sotto sfratto esecutivo, per finita locazione o perchè la Prefettura ha smesso da tempo di pagare l’affitto per sedi e alloggi.
Come al Flaminio Nuovo, dove una sessantina di agenti presidia 14 comuni della Provincia e la Cassia, strada maestra dell’ingresso nella Capitale.
Con lo Stato moroso la proprietà non mette mano alla struttura da anni, ragion per cui la 626 lì non è mai entrata.
Le foto non rendono l’odore di muffa che gli agenti tentano di eliminare areando i locali.
Gli scarichi delle turche non funzionano, tocca versarci acqua a secchiate. Un cartello sotto lo scaldabagno avverte: “Non accedere, perdita d’acqua. Pericolo”.
Il riscaldamento scalda giusto il commissariato mentre sopra, negli alloggi, la 125 di corrente impedisce di attaccare stufette.
Potrebbero causare il blackout, sarebbero guai. Chissà quanti, guardandosi intorno, avranno pensato di sfilarsi il casco. Anche perchè da qui, il 31 dicembre, si sgombera.
E sarà poliziotti che sfrattano altri poliziotti, roba mai vista. E non solo lì.
A 200 metri c’è la stazione dei Carabinieri Tomba di Nerone, anch’essa sotto sfratto. Poi toccherà a Vescovio, Sant’Ippolito, Tuscolano e via via tutti gli altri.
Il problema degli alloggi collettivi era noto da tempo ed è esploso alla fine dell’anno scorso con l’arrivo di 455 agenti di rinforzo motivato da esigenze di ordine pubblico della Capitale.
I 2.064 posti letto per le forze di polizia erano pieni. Alcuni hanno preso il posto di colleghi anziani che li detenevano per problemi economici o familiari, altri sono stati sparsi tra San Lorenzo e Nomentano. Duecento sono finiti alla Scuola dei Vigili del Fuoco delle Capannelle, che chiude di notte e non ha un’armeria: per un mese si sono spostati per le strade di Roma senza l’arma d’ordinanza.
Altri 78 sono stati alloggiati in tre alberghi. “Abbiamo speso 35mila euro per i pernottamenti, molto meno dei costi che avevamo preventivato”, spiega Pasquale Fiocco, dirigente dell’Ufficio tecnico logistico della Questura di Roma.
Sul suo tavolo si è materializzato il rovescio della medaglia: ex funzionari e dirigenti che da anni occupano abusivamente alloggi individuali e di servizio nei quartieri esclusivi del centro.
Loro, a quanto pare, nessuno riesce a sfrattarli.
Fece scalpore la denuncia dei sindacati di una cinquantina di appartamenti dell’amministrazione degli Interni assegnati a canoni stracciati (se non gratis) a persone ormai senza titolo, pensionati, ex mogli, figli e parenti vari.
Non se n’è più saputo nulla. Su input della Questura, invece, è partita la verifica sui 95 alloggi individuali di propria competenza e anche qui, va detto, non sono mancate sorprese: su 35 appartamenti in via Trionfale, zona Prati, 28 sono risultati occupati da titolari ormai in pensione o trasferiti altrove.
Qualcuno era abusivo da dieci anni. A settembre il questore ha firmato 9 procedure di sfratto, nessuna è stata eseguita. Altri 10 abusivi se ne stanno comodi comodi nei 60 alloggi di servizio, assegnati a titolo gratuito, al Celio, Esquilino, Tuscolano e nei distaccamenti periferici.
“Da anni denunciamo queste iniquità — spiega Filippo Bertolami, segretario regionale ANIP — Italia Sicura – Gli alloggi dorati per i dirigenti del Dipartimento della P.S., con retribuzioni a 5 zeri dovrebbero essere trasformati in alloggi collettivi e assegnati a chi, per 1.300 euro al mese, ogni giorno rischia la pelle per la sicurezza di tutti, in una piazza sempre più incontenibile”.
Anche una volta recuperati, però, non basteranno a garantire una sistemazione decorosa agli agenti.
La Questura sta stringendo i primi accordi per utilizzare strutture demaniali vuote: il commissariato Casilino, pure sotto sfratto, ha traslocato nell’ex motorizzazione.
Altre soluzioni sono allo studio, ma anche così non se ne verrà a capo anche perchè lo Stato, dalla sua, ci mette poco o nulla: nella legge di bilancio 2012 era previsto un contributo di 11,7 milioni per costruire nuovi alloggi per il personale di polizia ma sono spariti nelle variazioni 2013 e fino al 2015 questa posta di bilancio è pari a zero.
Il paradosso è che l’amministrazione dello Stato abbonda di immobili vuoti eppure spende oltre 300 milioni l’anno per alloggiare poliziotti e carabinieri.
Solo per gli affitti — ha accertato la Ragioneria generale dello Stato — il Viminale ha un debito fuori bilancio di 176 milioni.
“La soluzione è sotto gli occhi di tutti”, insiste Bertolami. “Per alloggiare i poliziotti si continuano a pagare montagne di soldi in affitti presso strutture private, spesso fatiscenti e con ingenti costi per canoni e manutenzioni che aumentano solo contenziosi e degrado. E intanto si continua a programmare la vendita dei beni demaniale che si potrebbero ristrutturare e utilizzare a questo scopo anzichè per fantomatiche operazioni per fare cassa”.
Thomas Mackinson
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Dicembre 25th, 2013 Riccardo Fucile DALLA PROCURA DI PALERMO AL PROCESSO ANDREOTTI, DAI RAPPORTI MAFIA-POLITICA AI NO TAV
Procuratore Gian Carlo Caselli, lei fra due giorni andrà in pensione dopo quarantasei anni in
magistratura, cosa si lascia alle spalle?
“Tanto. In tutto questo tempo ho fatto un’infinità di mestieri molto diversi fra loro. Prima il giudice istruttore a Torino sul versante dell’antiterrorismo, occupandomi di Brigate Rosse e Prima Linea. Poi dal 1986 al ’90 al Csm, affrontando un “caso Palermo” dopo l’altro. È in quegli anni che la Sicilia ha cominciato a entrarmi nel cuore. Ricordo la nomina di Borsellino a procuratore di Marsala, con una maggioranza tutta a suo favore. E la mancata nomina di Falcone a consigliere istruttore, con quella stessa maggioranza che si ribalta privilegiando la pura anzianità di un altro magistrato e fa soccombere il principio della professionalità e dell’attitudine. Certo, mi resta l’orgoglio di rivendicare di aver votato sempre nel senso giusto: per Borsellino e Falcone, e per difendere strenuamente il pool di quell’ufficio. Ma anche l’amarezza di non essere riuscito a far prevalere la ragione, nonostante tutti gli sforzi”.
Un po’ la fine che è toccata anche a lei, quando si è trattato di concorrere alla nomina a Procuratore nazionale antimafia.
“Paradossalmente però ne vado fiero. Quella legge contra personam non riguardava solo me, ma tutta la magistratura indipendente. Le cito le parole pronunciate qui a Torino dall’allora Procuratore generale Maddalena all’inaugurazione dell’anno giudiziario, con indosso tanto di toga rossa ed ermellino: l’obiettivo era quello di “colpirne uno per educarne novemila”, disse. Tanti quanti sono i magistrati in Italia. Una legge scandalosa, poi giudicata anche incostituzionale, che colpiva il mio diritto di partecipare al concorso. Un cambio delle regole a partita già avviata, con tre voti per Grasso e tre voti per me, che è davvero inaccettabile in un paese democratico”.
Chi erano i suoi nemici, Procuratore?
“Giorni fa Nando Dalla Chiesa ha ricordato la sua esperienza in Senato, quando sentiva dire che non ero degno di ricoprire quel ruolo perchè avevo osato fare il processo Andreotti. Quindi, in quell’area certamente miei nemici. Ma anche di tutti i magistrati con la schiena dritta che hanno il coraggio di occuparsi di certi interessi e di certi imputati”.
Torniamo alla fotografia di questi 46 anni.
“Dopo il Csm rientro per pochi mesi a Torino, in Corte d’Assise, poi decido di fare domanda per andare alla Procura di Palermo. E lì comincia un’esperienza lunga sette anni…”.
Tra successi e veleni.
“Un’esperienza intensissima, ricchissima di risultati positivi, che ha potuto contare sull’approvazione all’unanimità di due leggi fondamentali per il contrasto alla mafia: quella sui pentiti e il 41bis. Due novità decisive rispetto al passato. Benefici di legge per chi collabora e carcere duro e degno di questo nome e non più l’Ucciardone “ostriche e champagne”, letteralmente, per i mafiosi detenuti. Una svolta che restituisce efficienza ed entusiasmo alle forze dell’ordine e consente alla magistratura riorganizzata in pool, di proseguire nel solco tracciato da Falcone e Borsellino”.
Siamo nella stagione delle stragi di mafia.
“Che aprono un’altra era. Chi fa raffronti tra l’epoca di Falcone e Borsellino e la nostra e dice che non eravamo degni neanche di allacciare le scarpe a quei due giganti magari dice il vero quanto ai nostri limiti, ma non si rende conto che dopo le stragi cambia tutto. Prenda due pentiti storici come Buscetta e Mannoia che avevano parlato anche con Falcone, ma fino a un certo punto. Beh, dopo Capaci e via D’Amelio, sentono il dovere morale di raccontare a noi quello che avevano taciuto. E fanno un clamoroso salto del fosso, affrontando la questione del rapporto tra mafia e politica. Per la lotta alla mafia quella è una mutazione geologica che consente di voltare pagina proprio come aveva indicato Falcone nel maxiprocesso. E noi abbiamo voltato pagina senza più “essere scaltri”, come ha scritto nel suo libro Peppino Di Lello. Senza più teorizzare quel rapporto perverso per poi negarlo nella prassi giudiziaria quotidiana, ma processando a viso aperto i mafiosi di strada esattamente come coloro i quali alla mafia offrivano il loro concorso esterno. Si chiamassero Andreotti o Dell’Utri”.
Tuttavia c’è ancora chi parla di queste indagini come di un fallimento.
“È il gioco delle tre carte, disinformazione o travisamento della realtà . Prenda le due sentenze. Quella della Cassazione su Andreotti dichiara provate le sue collusioni con la mafia fino al 1980. I suoi incontri col boss Stefano Bontade per discutere di Piersanti Mattarella, un onestissimo democristiano ucciso perchè con la mafia non voleva avere nulla a che fare. Altro che processo alla Dc. Una persona un fatto, anche se la persona si chiama Andreotti. Stessa cosa per Dell’Utri. Quando il 9 marzo 2012 la Cassazione restituisce gli atti alla Corte d’Appello per un nuovo giudizio conclusosi con un’altra condanna, a pagina 129 della sentenza scrive che “il concorso esterno in associazione mafiosa è oggettivamente e soggettivamente configurabile almeno fino al 1978”.
E siamo alla zona grigia dei rapporti tra politica, mafia e imprenditoria.
“Certo. Un pezzo centrale della storia politica nazionale — Andreotti — e un pezzo centrale della storia dell’imprenditoria nazionale che poi si fa politica nazionale — Dell’Utri barra Berlusconi, visto che la Cassazione afferma che agiva di fatto come suo intermediario — hanno avuto rapporti stretti con la criminalità mafiosa di cui si dovrebbe quanto meno discutere. Invece, niente. Anzi, fulmini contro la Procura di Palermo e legge contra personam per chi ha osato intraprendere quella strada. E travisamenti della realtà che prendono il nome di assoluzione, persecuzione, innocenza. In questo modo a pagare è solo la qualità della nostra democrazia”.
Lei arriva a Palermo il 15 gennaio 1993, giorno della cattura di Totò Riina. Che effetto le fa leggere queste sue nuove feroci minacce contro i magistrati del processo sulla trattativa?
“Le rispondo da esterno, anzi ormai da estraneo. Queste frasi impressionano. Non credo che Riina sia uno che parla a vanvera. Che poi voglia intorbidare le acque o muovere qualcosa sul piano di un’azione operativa, questo lo sa lui. Però, guai a sottovalutare le sue parole nei confronti del collega Di Matteo. Ma per fortuna mi sembra che nessuno lo abbia fatto”.
In tanti anni a Palermo non ha mai annusato profumo di trattativa?
“Assolutamente no. Mai nulla di nulla. Avrei cominciato io a indagare”.
È rimasto sempre un grande punto interrogativo sulla mancata perquisizione nell’abitazione di Riina, nonostante il processo e la sentenza.
“Certo, è un dato di fatto che la Procura fosse pronta a perquisire mentre i carabinieri del Ros hanno chiesto di soprassedere. E purtroppo è successo quel che è successo”.
E non le ha mai fatto venire nessun sospetto?
“C’è stato un carteggio tra noi e il Ros. E preferisco non tornarci. È stata una bruttissima pagina”.
Dopo Palermo, il suo ritorno a Torino è un ritorno alle origini.
“Per molti versi, sì. Con colleghi preparatissimi, con gruppi di lavoro specialistici. Penso a Guariniello e alle indagini sulla sicurezza nei posti di lavoro, come quella sull’Eternit. Penso alle indagini sulla corruzione, come quella su Rimborsopoli che è ancora in corso. Alle inchieste sulla ‘Ndrangheta. E sui reati commessi da frange No Tav in Val di Susa, alcuni connotati da una violenza intensa”.
La mafia ormai è stabilmente infiltrata al Nord.
“Ma anche il contrasto che facciamo non scherza. Nei processi denominati Minotauro, Crimine Due, Colpo di coda e Albachiara sono stati inflitti circa 850 anni di carcere per il 416bis. Quindi, certo che la mafia al Nord c’è, e ormai sappiamo riconoscerla nella sua struttura associativa anche se il sangue non scorre per le strade”.
Parliamo delle inchieste sui No Tav. Lei è stato molto criticato per le decisioni prese dalla Procura.
“Nella grande maggioranza, il movimento è fatto di persone molto per bene. Ma ha un difetto, quello di accettare che ci siano frange, schegge, persone estranee alla valle che praticano sistematicamente comportamenti violenti e illegali anche in forme gravi. E la parte perbene non si dissocia, se non balbettando qualcosa, anzi molte volte arriva a giustificare persino i sabotaggi ai cantieri. La frase “siamo tutti black bloc” ne è una costante dimostrazione. Un comportamento gravemente equivoco. Ma c’è anche un’area della stampa, della classe politica e intellettuale del paese che fatica a riconoscere che la violenza in democrazia…”.
Si riferisce allo scrittore Erri De Luca?
“Per carità , Erri de Luca è uno dei tanti. Ma quando sui muri di Torino compaiono scritte infami, oltraggiose, minacciose contro di me e contro i colleghi della mia procura e questi intellettuali non dicono una parola di condanna, c’è qualcosa che non funziona perchè penso che lo squadrismo, anche se si trasferisce nelle scritte sui muri, andrebbe sempre e comunque condannato”.
Cosa vuole dire Procuratore, che stiamo entrando in una stagione simile a quella che precedette gli anni di piombo?
“No, non lo dico e non lo penso. Sono stagioni diverse, per fortuna. Sono convinto che siamo stellarmente lontani da quel periodo. Ma nessuno può negare che gli attacchi al cantiere siano diventati una specie di laboratorio per la sperimentazione di forme di violenza. Come nessuno può dire che non ci sia anche una potenzialità espansiva. E non si può nemmeno chiedere alla magistratura di essere cieca o indulgente. Penso all’attacco al cantiere della notte dello scorso 13 maggio. Lì c’è stata una vera propria azione paramilitare di venti persone divise in gruppi coordinati da un comando unificato che hanno preso di mira dei lavoratori, operai e forze dell’ordine lanciando di tutto, dalle pietre alle bombe carta. Un’azione che secondo il Gip aveva in fatto e in diritto una finalità di terrorismo. Mentre nei siti web si continua a parlare di passeggiate e di criminalizzazione del dissenso da parte della magistratura”.
Il movimento contesta l’impatto ambientale dell’opera e il suo costo spropositato.
“Hanno tutto il diritto di farlo, avranno tutte le buone ragioni del mondo. Ma non lo so perchè non spetta a me questa valutazione. Quello che mi preme dire è che il movimento non può tollerare e giustificare alcun tipo di di violenza. Dare fuoco a un compressore, prendere a sassate gli operai che escono dalla galleria per spegnerlo, costringerli a ripararsi di nuovo nel tunnel col rischio di farli asfissiare, questo sarebbe opera degli eredi della Resistenza? Attaccare dei lavoratori che stanno lì per guadagnarsi il salario, questo sarebbe democratico? Non diciamo bestemmie. Il problema è che la politica continua a delegare alla magistratura compiti e responsabilità che non le spettano in via esclusiva”.
La politica contesta l’invasione di campo dei magistrati.
“Ma mentre delega ma fissa un’asticella. Prendiamo la mafia. Fin quando ti occupi della mafia di strada, va bene. Quando entri nella zona grigia, non va più bene. Per i No Tav, non basta l’intervento investigativo-giudiziario, va bene. Sono necessari interventi diversi da parte della politica, della finanza, della cultura, dell’informazione. Beh, io non li vedo. Leggo che dieci milioni di euro che dovevano servire in compensazioni per la valle sono finiti chissà dove. Questo significa gettare benzina sul fuoco. È inaccettabile”.
Si sente tranquillo sul caso della concessione dei domiciliari a Giulia Ligresti e sul coinvolgimento del ministro della Giustizia Cancellieri?
“C’è un procedimento in corso e non ne parlo. Comunque, personalmente sì. Mi sento più che tranquillo”.
Adesso si occuperà di agromafie?
“Credo proprio che farò questo”.
Niente politica?
“Non ci penso nemmeno. Non è il mio lavoro”.
Andrea Purgatori
(da “HuffingtonPost“)
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Dicembre 25th, 2013 Riccardo Fucile L’ITALIA HA COSTRUITO SCUOLE, PONTI E STRADE
Herat. “Voglio bene a chi gli arriva”. Così recita la scritta su un piccolo alberello di cartoncino che addobba un pino ben più grande, in un angolo della sala intitolata al centocinquantenario della Repubblica su Piazza Italia all’interno della base italiana di Herat in Afghanistan.
Può dunque star certa la piccola Giuliana, che il suo messaggio di affetto è arrivato forte a chiaro. Insieme a quello dei suoi compagni di una scuola elementare di Catania che per il Natale hanno realizzato degli addobbi natalizi inviati poi ai militari italiani impegnati in Afghanistan.
Il messaggio della bimba insieme a pochi altri simboli del Natale aiuta a rompere la monotonia delle mimetiche dei soldati di stanza a Camp Arena, sede del Regional Command West di Isaf, il centro di comando del contingente italiano nel Paese asiatico.
In molti altri uffici della base sono stati anche realizzati dei piccoli presepi, perchè la Natività venisse comunque celebrata.
Qualcosa per sentirsi vicini alle famiglie che in Italia attendono il rientro dei propri cari. Sono forse i parenti in patria, dicono in molti, a soffrire di più l’assenza. Ma tanti dei militari impegnati sono veterani le cui famiglie, conoscono bene l’impegno e i doveri.
Il fatto di poter essere in collegamento con le famiglie con gran facilità , grazie a internet, rende meno dura la vita e il trascorrere dei giorni
Nell’ultimo Natale di impegno delle forze armate italiane in questa terra dunque non c’è tristezza. È raro incontrare qualcuno che si lamenti di non poter essere a casa, pur se con dispiacere. Niente drammi. Solidarietà , un senso di coesione sorprendente e tanta dedizione professionale, bastano a sconfiggere la malinconia.
Il lavoro in quelli che sono gli ultimi mesi della complessa missione che impegna gli oltre 2000 militari del contingente italiano, va avanti infatti alacremente, nonostante il Natale. Tutte le attività proseguono e sono pochissime le modifiche alla vita di tutti i giorni.
Piccole concessioni al protocollo sono state adattate alla presenza delle autorità che hanno voluto manifestare la propria vicinanza ai militari.
Nella base di Shindand, ultima base avanzata del contingente dopo la chiusura graduale di tutti gli altri avamposti, in occasione della visita del ministro della Difesa Mario Mauro e del capo di stato maggiore della difesa Luigi Binelli Mantelli, al normale pranzo, si è aggiunto un buffet di auguri.
La cena del 24 a Herat è stata ritardata di una mezz’ora, seguita dalla Santa Messa, nel tentativo di far partecipare il maggior numero di militari al brindisi finale. Tutto in estrema sobrietà come lo scenario di un teatro di operazione militare impone.
Oltre questi piccoli momenti , per il resto le giornate seguono il loro normale corso.
Sono gli impegni, spesso, a distogliere i soldati dal pensiero del passare distanti dalla famiglia. In particolare quelle attività utili più che mai adesso, a pochissimi mesi dal ritiro completo delle truppe, a lasciare il segno tangibile nel Paese e qualcosa di concreto e utile alla popolazione afghana.
Prima di tutto liberare il territorio dagli ordigni improvvisati, marca dell’azione degli insurgens contro le forze internazionali, ma anche un enorme rischio per i civili, in particolare i bambini.
E poi le attività del Prt, Provincial Reconstrucion Team, che destina fondi italiani e aiuti tecnici alle amministrazioni locali, con le quali stabilisce le priorità di intervento per cercare di offrire un contributo utile, ottimizzando al massimo ed evitando sprechi.
Sul primo fronte sono impegnati in questo periodo e fino a fine missione i militari del quarto reggimento genio guastatori di Palermo al comando del colonnello Bruno Pisciotta.
Il loro lavoro quotidiano è orientato in particolare alla ricerca e disinnesco degli esplosivi e alla bonifica di aree delicate. In particolare le strade più frequentate sia dalle truppe internazionali che dai civili come la Highway 1.
L’attività del genio nello scenario afgano ha visto crescere gli specialisti nella preparazione tecnica, e grazie alla cautela e alle capacità riconosciute agli italiani a livello internazionale, sono numerosissimi gli attentati sventato.
Sul secondo fronte sono gli uomini del colonnello Vincenzo Grasso a gestire le complesse attività di raccordo con le autorità politiche afgane, a Natale e fino a fine missione. In questi mesi il lavoro del Prt non rallenta neanche di fronte alla stretta sui fondi e al minor numero di uomini impiegati.
Pur non essendo una festività riconosciuta in Afghanistan, chi dal Prt ha ricevuto un regalo, sono stati i circa 1200 bambini di una scuola di Herat che, prima degli interventi italiani facevano lezione all’interno di tende montate all’interno del piazzale dell’istituto, e che ora potranno imparare in una vera aula.
Ma tra i lavori in via di ultimazione ci sono anche un’altra scuola, che sarà intitolata a Maria Grazia Cutuli, un centro disabili e un centro per l’assistenza ai tossicodipendenti. Oltre a pozzi, ponti, strade e piccoli altri interventi.
È grazie a tutto questo che l’Italia, con enorme dispendio di risorse economiche e energie umane può dire di aver fatto la sua parte davanti alla comunità internazionale per migliorare le sorti di un Paese come l’Afghanistan.
È forse il popolo afgano quello che più di tutti merita un augurio in questi giorni di Natale.
Quello di potersi risollevarsi, lasciandosi alle spalle diversi decenni di guerra e un’arretratezza che ancora ne condiziona la rinascita.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 25th, 2013 Riccardo Fucile ACCORDO FATTO PER LE AMMINISTRATIVE DEL CAPOLUOGO TOSCANO… TERRENO COMUNE SU MOLTI TEMI ANCHE A LIVELLO NAZIONALE
Le prime concrete tracce d’avvicinamento fra Scelta Civica e Matteo Renzi arrivano da
Firenze. Il segretario del Pd ha annunciato che proverà a fare il bis da sindaco e ha spiegato che, oltre ai Democratici, “ci saranno anche liste civiche a supporto della mia candidatura”.
Un’occasione che il partito fondato da Mario Monti non si è lasciata scappare.
I vertici locali aderiscono al progetto lanciato da Renzi e lasciano intravedere la possibilità che a Firenze possa nascere un governo Pd-Scelta Civica non dettato dalle contingenze delle larghe intese ma da un’idea precisa.
“Scelta Civica è contenta della ricandidatura di Matteo Renzi, – dice il neocoordinatore fiorentino Mattia Alfano — che ha ben lavorato a Firenze. Noi siamo pronti a collaborare al progetto del sindaco con una lista in appoggio che mantenga le prerogative di Scelta Civica e cioè professionisti giovani, preparati, privi di esperienza politica”.
E il responsabile nazionale Diritti Civili Giuliano Gasparotti: “Firenze già da queste amministrative deve essere laboratorio politico nazionale. Proviamo a mettere insieme le migliori energie, idee e persone per costruire da Firenze un Fronte degli Innovatori”.
Ma che cosa sta succedendo fra Renzi e Scelta Civica?
I rapporti si stanno intensificando. Tracce più o meno piccole si trovano in alcuni movimenti e dichiarazioni degli ultimi giorni.
E anche dalle parti di Sc il “verso” sta cambiando. La scelta di Andrea Romano neocapogruppo alla Camera è favorevole al sindaco di Firenze.
L’ex direttore di Italia Futura già ai tempi di Mario Monti era considerato il più vicino a Renzi, una sorta di capo dei “criptorenziani” di Sc. Non è difficile ipotizzare che le cose possano evolversi nei prossimi mesi.
Tuttavia, come spiega il deputato Dario Nardella, uno degli uomini di fiducia del sindaco di Firenze, la concretezza di questo rapporto andrà misurata anche sul terreno delle riforme istituzionali.
“Il segnale che arriva da Firenze è in sintonia con una serie di segnali che arrivano da Roma. C’è effettivamente una congiuntura. Firenze è il primo esperimento concreto di collaborazione forte, reale, tra Scelta Civica e Pd”.
Peraltro, le proposte che Renzi avanza “in molti aspetti sono condivise da Sc, sul fronte della liberalizzazioni e sul fronte della lotta alla burocrazia.
Sono aspetti su cui Sc si è soffermata”. Ma il terreno principale a Roma saranno le riforme istituzionali.
“La concretezza di questa congiuntura la potremo verificare rapidamente sulla legge elettorale e sull’abolizione del bicameralismo, anche se qui ci sono più distanze, Scelta Civica propende per sistemi a base proporzionale”.
Insomma il percorso sarà graduale, perchè i parlamentari di Scelta Civica aspettano il neosegretario del Pd al varco, vogliono vedere quanto saranno innovative davvero le sue proposte.
Intanto però il deputato scrittore Edoardo Nesi è già passato con il segretario del Pd.
Pietro Ichino apre al job act, ma aspetta di vedere la proposta definitiva, Mario Monti — con cui Renzi tiene un canale aperto — si era molto complimentato all’indomani della vittoria alle primarie, “la vittoria di Matteo Renzi può certamente segnare una svolta nell’azione di Governo e dare slancio alle riforme politiche, sociali ed economiche per cui Scelta Civica è nata e per le quali, oggi, in modo più coeso e deciso di prima, si sente impegnata”.
Monti si era spinto oltre: “Scelta Civica offrirà al nuovo segretario democratico una vera disponibilità sui provvedimenti concreti, sulle priorità e sulla tempistica delle riforme nell’ambito della nuova maggioranza”.
Come sul lavoro: “Renzi sposa la posizione di Scelta Civica — ha spiegato Monti — serve entro pochi mesi il codice del lavoro semplificato”.
E secondo la vicepresidente di Sc e sottosegretaria al Ministero dei Benei Culturali Ilaria Borletti con Renzi si può “intraprendere insieme il percorso di riforme”, a partire appunto dal “superamento del bicameralismo perfetto” e dalla “riduzione del numero di parlamen
tari”. Insomma, tutte proposte che Sc è disponibile a votare insieme a Renzi in Parlamento.
David Allegranti
(da Huffingtonpost“)
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Dicembre 25th, 2013 Riccardo Fucile ERNESTO CARBONE IN SEI MESI HA SPESO 15.000 EURO TRA APERITIVI, CENE E ALBERGHI “SENZA INDICAZIONE DEL TITOLO”
Ernesto Carbone è uno dei deputati più vicini a Matteo Renzi.
Consigliere d’amministrazione della fondazione Big Bang del sindaco di Firenze, eletto nel listino bloccato alle ultime politiche.
Carbone, storico braccio destro dell’ex ministro Paolo De Castro, ha iniziato il suo percorso politico con i comitati dell’Ulivo.
Prima di essere eletto deputato Carbone era presidente ed amministratore delegato di una società , Sin Spa, collegata al ministero dell’Agricoltura.
Sul “Fatto Quotidiano” di lunedì 23 dicembre vengono raccontate le “spese folli” del deputato renziano, circa 15 mila euro messe in conto alla società per aperitivi, pranzi e cene, oltre che pernottamenti negli hotel, senza alcuna giustificazione.
Come scrive “Il Fatto”, ” lo statino con i dettagli della spesa, contestati dal collegio sindacale, recita: tra maggio 2012 e gennaio 2013 sono stati spesi circa 15 mila euro senza alcuna espressa indicazione del relativo titolo”.
Il presidente di Sin Spa non ha spiegato perchè ha messo a carico della sua società spese considerevoli come i 2 mila e passa euro per i ritorni a casa, da Roma a e Bologna, i 600 euro spesi in tre cene in un ristorante di lusso frequentato anche dalle stelle del calcio, Somo, i 500 per un serata presso altro ristorante romano “Da Ottavio”, i 130 euro per un aperitivo presso l’Hotel Locarno, e così via.
Il sito di Ernesto Carbone è più che renziano non si può, con tanto di “Adesso”, lo slogan delle scorse primarie, scritto dappertutto, e la ripubblicazione delle newsletter del sindaco di Firenze.
Vista la battaglia per la sobrietà della politica messa in cima alle sue priorità da neo segretario del PD, ci chiediamo cosa penserà Renzi della nota spese senza giustificazioni del suo fedelissimo deputato.
Andrea Mollica
argomento: la casta, Partito Democratico, PD, Renzi | Commenta »
Dicembre 25th, 2013 Riccardo Fucile AVEVA 18 ANNI IL GIOVANE MILITANTE DEL FRONTE DELLA GIOVENTU’ UCCISO SOTTO CASA IL 29 APRILE 1975
Comunque la si voglia guardare, questa vicenda fa parte ormai della storia di Milano. Nel bene e
nel male. Dalla tarda serata di lunedì 23 dicembre al caso di Sergio Ramelli, il militante del Fronte della gioventù ucciso il 29 aprile del 1975 da esponenti della sinistra extraparlamentare, si aggiunge un nuovo capitolo.
È morta Anita Ramelli, la madre del giovane assassinato.
In molti, durante tutta la giornata della Vigilia di Natale, le hanno reso omaggio all’obitorio di piazzale Gorini a Milano.
Tralasciamo volutamente i messaggi di cordoglio di tutti gli sciacalli di pseudo destra che in queste ore si affannano a sgomitare commenti.
Non dimentichiamo che sono gli stessi che quando un ragazzo di destra si difendeva dalle agggressioni emanavano bollettini all’insegna del “non è mai stato iscritto al partito”.
Anita Ramelli seguì tutte le udienze del processo, venne anche chiamata a deporre ma concesse poche interviste e fu protagonista di una vita molto schiva rispetto a giornali e televisioni.
Solo nel 1997 concesse un’intervista per il libro «Sergio Ramelli una storia che fa ancora paura», piccolo volume stampato da alcuni militanti di estrema destra di Monza: «Io non ho mai chiesto vendetta, ma giustizia. Ho avuto fiducia, nonostante tutto, nella magistratura. Ho sofferto in silenzio aspettando che un giorno mi portassero la notizia: “Anita, li abbiamo presi”».
argomento: destra | Commenta »