Dicembre 28th, 2013 Riccardo Fucile SOLO IL 41% DEGLI ITALIANI RIVOTEREBBE LO STESSO PARTITO SCELTO A FEBBRAIO….IL 25% DI CHI HA VOTATO SCELTA CIVICA, IL 15% DI CHI AVEVA SCELTO CINQUESTELLE E IL 13% CENTRODESTRA ORA VOTEREBBE PER IL PD
Elettori infedeli, pronti al tradimento o all’abbandono. 
Solo il 41% rivoterebbe adesso lo stesso partito scelto a febbraio alle Politiche. Poco di più, il 55%, la stessa coalizione.
Il resto, in caso di elezioni, è pronto a cambiare partito o preferire l’astensione.
E chi ci guadagnerebbe, da questa situazione, è il centrosinistra, soprattutto il Pd a guida Renzi. Verso cui si indirizzano, più che per altri, le intenzioni di voto degli infedeli che non intendono confermare la scelta di febbraio.
La ricerca di Lorenzo De Sio e Aldo Paparo del Cise (rilevazioni dal 16 al 22 dicembre) parla di «una grande turbolenza delle intenzioni di voto», con «una mobilità significativa».
Pur nella turbolenza, il vento soffia a vantaggio del Pd: in maniera così marcata da spingere, per la prima volta, i ricercatori a non presentare i risultati delle rilevazioni sulle intenzioni di voto (comunque «ben oltre quei sei punti di “effetto Renzi” individuati da vari istituti nelle ultime settimane»).
Si trovano nel centrosinistra gli elettori più fedeli: l’80% rivoterebbe la coalizione. Inoltre, un decimo di quanti si sono astenuti a febbraio dichiara che, se si votasse adesso, sceglierebbe Pd.
Stessa scelta che farebbe un elettore su 4 dei montiani, il 15% di chi ha votato Cinquestelle e il 13% del centrodestra.
Il Movimento di Grillo e Forza Italia registrano tassi bassi di fedeltà : meno della metà dell’elettorato confermerebbe ora la preferenza di febbraio.
Altri due aspetti, per i ricercatori, accomunano le due forze ora all’opposizione: un flusso verso l’astensione superiore a un terzo del proprio elettorato e rilevanti passaggi verso il centrosinistra.
Peggiori i dati del centro: un elettore su tre che a febbraio si era affidato alla coalizione di Monti cambierà scelta.
C’è da essere prudenti, trattandosi di intenzioni di voto. Eppure «appare sorprendente», spiegano i ricercatori del centro diretto da Roberto D’Alimonte, che a pochi mesi dalle Politiche quote molto importanti di elettori riferiscano che cambierebbero voto: «A nostro parere è difficile non mettere i dati osservati in relazione con l’emersione nel centrosinistra della leadership di Renzi. Si sa da tempo che il sindaco ha una capacità di comunicazione che va oltre il bacino tradizionale del centrosinistra e i dati sembrano confermare questa ipotesi».
Renato Benedetti
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 28th, 2013 Riccardo Fucile “NON SI TRATTA DI SOSPENDERE L’ART.18, MA SOLO DI ALLUNGARE IL PERIODO DI PROVA”
Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, dice sì al contratto unico proposto da Matteo Renzi, leader del Pd. «Quella del contratto unico — spiega il sindacalista — può essere la strada per ridurre la precarietà . E allora bisogna avere il coraggio di confrontarsi con una dimensione nuova».
Perchè dice sì al contratto unico? La Cgil è finora stata prudente, se non contraria, a questa proposta.
«Dico sì al contratto unico se vuol dire cancellare una serie di forme contrattuali inutili che hanno soltanto precarizzato il mondo del lavoro. Dico basta ai contratti di collaborazione, alle false partite Iva, al lavoro interinale, a quello a progetto. Bisogna guardare in faccia la realtà e smetterla di fingere: sono contratti che non servono nè alle imprese nè ai lavoratori. Penso che Renzi voglia aprire una fase nuova ».
Quali forme contrattuali salverebbe?
«Il contratto a tempo indeterminato, l’apprendistato, il contratto a termine e il part time. Con il contratto unico a tempo indeterminato verrebbe allungato solo il periodo di prova »
Nei fatti significherebbe una sospensione temporale dell’articolo 18 per i nuovi assunti. La Fiom rinuncia all’articolo 18 dopo le battaglie che sono state fatte in questi anni?
«Ma no, non è così. Vorrei far notare, intanto, che tutti quei lavoratori precari non hanno nè diritti nè tutele. Aggiungo che l’articolo 18 è stato modificato e non ha creato più occupazione bensì più licenziamenti per ragioni economiche. Il contratto unico a tempo indeterminato avrebbe tutte le tutele, si tratterebbe solo di allungare il periodo di prova».
Di quanto?
«Se ne dovrà discutere. Mi limito a ricordare che nel settore metalmeccanico la prova dura da due a tre mesi per la basse qualifiche e fino a sei mesi per quelle più alte».
Un anno andrebbe bene?
«Sarà oggetto della discussione. Servirà un periodo congruo durante il quale verificare gli interessi delle imprese e dei lavoratori ».
È di questo che ha parlato con Renzi quando lo ha incontrato?
«Per ora ho capito che Renzi vuole ridurre la precarietà e che condivide la necessità di una legge sulla rappresentanza sindacale».
Di questa sua posizione ha discusso con il segretario della Cgil, Susanna Camusso?
«C’è un’idea generale della Cgil di estendere le tutele a tutti i lavoratori. Dal mio punto di vista quella prospettata da Renzi può essere una strada».
Quindi è la posizione della Fiom, non della Cgil?
«È in corso il congresso della Cgil. Avremo modo di discuterne ».
Dunque lo scambio tra lei e Renzi è il seguente: lei dice sì al contratto unico e Renzi sostiene la proposta della Fiom per una legge sulla rappresentanza sindacale. È così?
«Secondo me l’epoca degli scambi è finita. Io penso a problemi concreti: alla precarietà , da una parte, che mina la vita delle persone; alla necessità , dall’altra, che i lavoratori possano scegliere il sindacato al quale iscriversi e dire la loro sugli accordi che li riguardano. È un diritto di cittadinanza, non un interesse della Fiom».
Renzi propone anche un sussidio di disoccupazione per tutti coloro che perdono il lavoro in sostituzione dell’attuale cassa integrazione. Lei è d’accordo?
«No. Penso che la cassa integrazione vada estesa a tutti i settori e che vada finanziata con i contributi di imprese e lavoratori. Poi è necessario introdurre un reddito minimo garantito a carico della fiscalità generale. Non penso, però, che il governo Letta- Alfano sia in grado di farlo».
Proprio Alfano, intervistato da Repubblica, ha proposto di superare i contratti nazionali a vantaggio di quelli aziendali e individuali. Che ne pensa?
«Che mentre Renzi prova a immaginare cosa possa essere l’Italia tra vent’anni, Alfano propone una logica che ci riporterebbe all’Ottocento. Mi domando come possano stare insieme il piano per il lavoro di Renzi e le idee ottocentesche di Alfano. Questo è il governo che può realizzare il cambiamento nel mercato del lavoro che indica il segretario del Pd?».
C’è un’alternativa?
«Non sarebbe meglio approvare una legge elettorale seria e andare a votare per avere poi un governo in grado davvero di cambiare questo Paese?»
Roberto Mania
(da “la Repubblica”)
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Dicembre 28th, 2013 Riccardo Fucile L’EX CAPO DI GABINETTO SUL CASO SHALABAYEVA: “QUALCOSA NON MI CONVINCE IN TUTTA QUESTA STORIA”
Giuseppe Procaccini è in campagna con la sua famiglia nel giorno in cui Alma Shalabayeva torna in
Italia con la figlia Alua.
L’ex capo di gabinetto di Alfano è l’unico che si è dimesso a luglio.
Mentre il ministro Alfano è rimasto al suo posto. “Per me un uomo di Stato si prende la responsabilità anche quando non è sua”.
Procaccini dopo le dimissioni disse che non dormiva al pensiero di Alma e Alua. Oggi cosa direbbe alla signora?
Sul piano umano sono più sereno ora che è tornata. Mi dispiaceva pensare a una donna trattenuta contro la sua volontà . Però le chiederei anche perchè non ha detto nulla in quelle ore sulla sua condizione. E perchè non hanno detto nulla i suoi avvocati. Qualcosa non mi convince ancora oggi in questa storia.
Certo è stato anomalo anche il comportamento della Polizia
Anche io oggi mi chiedo, di fronte a un attivismo così esaperato ed esasperante dell’ambasciatore del Kazakistan, di fronte all’eccesso di zelo e alla presenza di un’agenzia investigativa sul posto, come mai non sia scattata una lampadina in chi agiva, anche se all’inizio Ablyazov era stato presentato come un grande criminale.
Ma non sarà che quella lampadina non scattò proprio perchè la Polizia era stata avvertita che quell’operazione interessava al ministro dell’interno Alfano?
Non penso. Quando c’è una segnalazione di un pericoloso ricercato, come quella dell’Interpol, con l’ambasciata del Kazakistan che dice che possono esserci uomini armati nella villa, è ovvio che si agisca così.
Quindi non c’è stata un’anomalia?
L’anomalia è sicuramente un ambasciatore che si presenta a notte fonda al ministero. Ma è un’anomalia relativa perchè prima era stato negli uffici della Polizia.
à‰ una doppia anomalia se è preceduto dalla telefonata del ministro dell’interno al capo di gabinetto. Cosa le disse Alfano?
Mi disse “io non so come fare, c’è l’ambasciatore kazako che mi vuole vedere per una vicenda che può interessare, per la sua pericolosità , la pubblica sicurezza”. Il ministro mi disse di riceverlo ma non mi parlò di Ablyazov. Allora io andai nell’ufficio a incontrarlo. Certo è una cosa molto singolare. Ma bisogna vedere il contesto: non c’era il Capo della Polizia. Era notte. L’ambasciatore è venuto nel mio ufficio alle nove e mezza di sera.
Alfano non le ha mai detto come entrò in contatto con l’ambasciatore kazako. Qualcuno lo racomandò? Magari il collaboratore di Berlusconi, Valentino Valentini, o l’Eni come ha sostenuto un testimone anonimo in un’intervista a Report?
Io Valentini non lo conosco nemmeno e non so chi avesse interessi in questa storia. Una cosa è certa: non c’è stata alcuna connivenza degli apparati del ministero dell’interno.
Nessuna telefonata dall’Eni o da altri politici?
Magari. Mi sarei insospettito.
Davvero nessuno le disse nulla del rimpatrio con un volo privato di madre e figlia?
Io non sapevo nulla del rimpatrio della signora. Quando la vicenda è uscita io ho chiesto una relazione. Molti giorni dopo il blitz nella villa di Casal Palocco, solo quando è esploso il caso sulla stampa, ho riletto un messaggio inviatomi dal capo della segreteria del Dipartimento, Alessandro Valeri, sul mio telefonino, il giorno dopo la venuta dell’ambasciatore kazako.
E cosa c’era scritto?
Il prefetto Valeri mi informava che era stato effettuato quell’intervento per quel ricercato dall’Interpol. Aveva dato esito negativo e lui avrebbe avvertito l’ambasciatore Kazako. Punto.
Non una parola sull’espatrio della moglie e della figlia?
Nulla.
Eppure si è dovuto dimettere.
Non volevo si dicesse che nessuno pagava. Allora ho detto: ‘Mi prendo la responsabilità e vi do un segnale: nella vita un uomo di Stato è responsabile anche quando non lo è’. Se uno avverte il peso della funzione esercitata deve essere pronto anche a dimettersi.
Alfano e il ministro Cancellieri, invece, restano al loro posto.
Ognuno è fabbro della propria fortuna. Se si fa qualcosa per gli altri si è fatto per sè stessi. Il mio gesto è servito a mettere al riparo la Polizia e a dimostrare che non siamo gli utili idioti della politica.
Ma almeno Alfano l’ha chiamata dopo?
Mi ha fatto più di una telefonata. Un giorno sono tornato al ministero per alcune pratiche, lui l’ha saputo e ha voluto incontrarmi perchè era dispiaciuto. Si è reso conto che le istituzioni vanno coltivate e bisogna ridare fiducia.
Ma Alfano lì per lì non mi pare che abbia preso male le sue dimissioni. Non disse una parola in sua difesa.
Io sono più anziano e l’esperienza conta in queste cose.
Marco Lillo
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 28th, 2013 Riccardo Fucile IL MINISTRO SI SENTE INTOCCABILE… I FUNZIONARI DELLO STATO TRATTATI COME BURATTINI
Quante cose sono cambiate dal luglio scorso. Alma Shalabayeva e la figlia Alua sono tornate dal Kazakistan. Matteo Renzi è diventato segretario del Pd; Silvio Berlusconi non è più l’azionista di maggioranza del governo di Enrico Letta.
Un po’ di teste sono rotolate giù dal Viminale per salvare la dignità del Palazzo: il capo di gabinetto del ministro, Giuseppe Procaccini, si è dimesso e il capo della segreteria del Dipartimento, il prefetto Alessandro Valeri, è stato sostituito.
Tutto bene quel che finisce bene? Non proprio.
Il ministro dell’Interno Angelino Alfano resta al suo posto, più saldo che a luglio. Le ragioni politiche che ne hanno permesso la sopravvivenza oggi sono ancora più forti di allora: l’esile filo che tiene in vita il governo è passato dalle mani di Berlusconi alle sue.
Anche le ragioni di opportunità che avrebbero consigliato le dimissioni però si sono rafforzate. Non a caso ieri ha preferito parlare di altro invece che salutare il rientro della signora Ablyazov e di sua figlia.
Per capire perchè Alfano non dovrebbe stare più in quel posto bisogna ascoltare le parole dette dal prefetto Procaccini al Fatto : “Un uomo di Stato è responsabile anche quando non lo è. Se si avverte il peso della funzione esercitata, bisogna essere pronti a dare le dimissioni come ho fatto io”.
Ecco perchè Alfano non è un uomo di Stato.
Le dimissioni del responsabile politico tutelano la dignità di un’istituzione che fallisce i suoi obiettivi primari e garantiscono che i diritti fondamentali saranno tutelati al massimo livello proprio perchè, in caso di violazione, a rimetterci sarà il responsabile a livello politico.
Ecco perchè, come spiega il prefetto Procaccini nell’intervista, i suoi colleghi al ministero sono rimasti sgomenti nel vedere come sia stato abbandonato al suo destino. I prefetti del ministero, dopo il suo addio, hanno scoperto di non avere alcuna copertura politica.
Pensavano di essere funzionari dello Stato e invece si ritrovano nel ruolo di burattini. Devono scattare come servi quando bussa l’ambasciatore amico ma poi, quando scoppia lo scandalo, devono comportarsi come i fusibili in un circuito, che saltano per salvare il sistema.
Marco Lillo
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 28th, 2013 Riccardo Fucile A GENNAIO RIPRENDE LA TRATTATIVA CON RENZI… L’INCOGNITA DELLA CONSULTA
Verdini e Brunetta. Il mago dei numeri, l’inventore vero del Porcellum, contro l’economista che è
diventato il primo consigliere del Cavaliere.
È tra questi due uomini che si sta giocando una delle partite più importanti per il futuro di Forza Italia, quella della legge elettorale.
Uno scontro duro, all’altezza della posta in gioco: la sopravvivenza o meno della creatura berlusconiana.
Perchè Denis Verdini ne è convinto e l’ha spiegato e rispiegato a Berlusconi. Con il Mattarellum Forza Italia rischierebbe grosso.
«È sempre stato così – ha ricordato Verdini al capo – perchè gli elettori di sinistra votavano in massa il candidato nel collegio uninominale e snobbavano le liste sul proporzionale. Mentre i nostri facevano l’opposto. Con i collegi abbiamo sempre faticato».
Per questo, secondo Verdini, fare proiezioni in base ai risultati ottenuti dalle liste alle ultime elezioni politiche è «un non senso».
Il comportamento degli elettori cambia a seconda del sistema di voto. Tanto più che stavolta ci sarebbe il terzo incomodo, cioè il Movimento 5 Stelle, che renderebbe una vera lotteria l’assegnazione dei seggi.
Nella sua perorazione anti-Mattarellum, Verdini ne ha anche evidenziato le proprietà distorsive, ben oltre il superpremio del Porcellum.
Nell’ipotesi astratta di tre forze di identico peso – ha spiegato nell’ultima riunione dedicata al tema – basterebbe che uno dei tre partiti conquistasse un solo voto in più in ogni collegio per accaparrarseli tutti: 475 voti per 475 collegi.
«Altro che Porcellum! ».
Tutto questo ha detto e ripetuto Verdini. E sembrava aver fatto breccia in un Berlusconi solitamente molto distratto sulla materia elettorale. Ma poi ci si è messo Brunetta. Da fautore del ritorno al Mattarellum, il capogruppo forzista ha lavorato alle corde il Cavaliere.
Batti e ribatti, si è fatto strada. «Solo con il Mattarellum possiamo sperare di tornare alle urne a maggio».
E il Cavaliere, prima di Natale, è sembrato sposare ufficialmente la linea Brunetta: «Pensiamo che un accordo si possa trovare ritornando alla legge di prima e cioè il Mattarellum»
Verdini sconfitto? Non ancora.
Perchè se Brunetta discute alla Camera con Nardella e Boschi, l’ex coordinatore conosce bene sia Renzi che tutto il clan fiorentino del segretario Pd.
Rapporti consolidati che gli serviranno quando, dopo capodanno, incontrerà il sindaco di Firenze per aprire ufficialmente il tavolo di trattativa sulla riforma elettorale.
Tra l’altro il mago dei numeri ha trovato un alleato inaspettato nel Quirinale.
Dove le tentazioni pro-Mattarellum di Renzi vengono guardate con grande scetticismo.
«Nessuno ha ancora capito cosa vuole Renzi – dice una fonte del Colle – ma se davvero punta al Mattarellum deve sapere che il 25 maggio non si potrà mai votare. Perchè bisognerebbe ridisegnare i collegi e ci vogliono almeno un paio di mesi». Senza contare che al Viminale, dove materialmente andrebbe riscritta la mappa dei collegi, siede Angelino Alfano, un avversario irriducibile del voto anticipato.
E dunque i due pugili ritornano al centro del ring.
La battaglia tra Brunetta e Verdini adesso si è spostata sulla Corte costituzionale. Perchè il primo ha fretta, molta fretta di andare subito all’incasso prima che dal palazzo della Consulta escano le motivazioni della bocciatura del Porcellum: «Serve un’intesa che, se per eleganza arrivasse anche prima della pubblicazione (prevista entro gennaio) della sentenza della Consulta sul Porcellum, avrebbe un grande significato politico».
Verdini è di parere opposto. E l’ha chiarito a chi di dovere. «Non possiamo scrivere una legge elettorale al buio, sarebbe imprudente. Conviene leggere prima la sentenza, tanto se c’è la volontà politica la legge elettorale si scrive in una settimana. Ad esempio sulle preferenze cosa diranno i giudici?».
In Forza Italia dicono che Verdini punti ancora al suo vecchio amore, un modello spagnolo corretto. Con liste di candidati corte e collegi piccoli, a livello di province. Liste talmente corte, con 4 o 5 candidati, da scongiurare l’introduzione delle preferenze, che Verdini vedrebbe come l’anticristo.
Anticamera di gruppi parlamentari anarchici, non più docili strumenti nelle mani del leader.
Ma oltre ai modelli elettorali e alle convenienze, tra i due contano anche le differenze di carattere. Verdini ritiene la materia elettorale di sua stretta competenza, Brunetta ha l’ambizione di occuparsi di tutto.
E lo scontro è sempre sul punto di tracimare fino al contatto fisico, come è accaduto un paio di settimane fa.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 28th, 2013 Riccardo Fucile L’ENTE PRENDE TEMPO SUI SUOI DEBITI… RINVIATA LA RESTITUZIONE DI 3,3 MILIARDI AL TESORO
Il Monte dei Paschi di Siena rischia di tornare presto un problema pubblico.
E’ questa la principale conseguenza della delibera degli azionisti della banca senese che hanno bocciato la proposta del cda presieduto da Alessandro Profumo di varare a gennaio l’aumento di capitale da 3 miliardi di euro necessario per la restituzione allo Stato dei cosiddetti Monti bond come convenuto con la Commissione europea a settembre.
Ha votato contro il 69,06% del capitale presente in assemblea, cioè il 49,3% dei soci di Rocca Salimbeni. Quindi, come previsto, la bocciatura della proposta di Profumo e del direttore generale Fabrizio Viola è stata portata avanti con il voto quasi esclusivo della Fondazione Mps cui fa capo il 33,5% della banca toscana.
Forte della sua rappresentatività , l’ente è poi riuscito a far passare la sua proposta di procedere alla ricapitalizzazione soltanto nel mese di giugno: ha votato a favore l’82,04% del capitale presente in assemblea, mentre hanno votato contro o si sono astenuti complessivamente azionisti che detengono poco più del 2% della banca e non ha partecipato alla votazione il 15,67% del capitale.
Una scelta che senz’altro concede più fiato alla fondazione guidata da Antonella Mansi e gravata da 339 milioni di debiti accumulati negli anni scorsi con una dozzina di banche nel tentativo di mantenere il controllo del Montepaschi.
La ricapitalizzazione immediata, infatti, avrebbe tagliato la strada all’ente che sta trattando a 360 gradi una soluzione per la sua sussistenza, riducendo drasticamente il valore del suo unico asset, il Monte appunto.
Altrettanto non si può dire per Mps e per lo Stato italiano.
Per la banca il rinvio dell’aumento di capitale e, quindi, della restituzione dei Monti bond, l’aiuto di Stato ottenuto dopo mille tortuosità dal governo dell’ex rettore della Bocconi e convalidato dal successore Enrico Letta, significa 120 milioni di euro di dividendi da staccare in più al Tesoro che lo scorso anno ha integralmente sottoscritto le obbligazioni.
Per Saccomanni, però, l’incasso delle cedole è un misero antipasto in confronto alla prospettiva che offriva la tempistica prevista da Profumo e Viola, cioè la restituzione integrale dei 3,3 miliardi di aiuti di Stato entro febbraio.
E ancora peggio potrebbe andare se le fosche previsioni di Profumo, le cui dimissioni sono date per scontate con tanto di lista dei potenziali successori, dovessero rivelarsi esatte.
Secondo l’ex numero uno di Unicredit, a suo tempo messo in un angolo dalle fondazioni azioniste della banca milanese sempre per un problema di controllo, un rinvio della ricapitalizzazione significa renderla impossibile.
La conseguenza? L’ingresso dello Stato, via conversione del debito in titoli, in un Monte dei Paschi che vale sempre meno. E, in contemporanea, lo sfumare definitivo della restituzione degli aiuti di Stato.
“Entriamo in un campo di incertezza, perchè non sappiamo che cosa succede da qui al prossimo maggio”, aveva detto il banchiere in assemblea a proposito del rinvio della ricapitalizzazione.
“Oggi abbiamo la certezza che si possa realizzare l’aumento di capitale, domani si entra nell’incertezza: oggi c’è un consorzio di garanzia che garantisce la riuscita dell’aumento, domani andrebbe ricreato il consorzio ma non sappiamo se sarà possibile e a che condizioni. Oggi le condizioni sono favorevoli per noi. La volatilità dei mercati è ancora rilevante e non sappiamo che cosa succederà da qui a maggio”, aveva aggiunto.
Per poi ricordare come l’aumento di capitale a gennaio avrebbe risolto anche il tema del pagamento degli interessi sui Monti bond e, quindi, invitare a tenere presente anche il quadro politico: “La situazione politica in Italia è sempre piuttosto instabile e certo non ci auguriamo che possa accadere nulla di particolare. Certamente non sappiamo cosa accadrà da qui a maggio quanto ci saranno anche le elezioni europee”.
“Da dove arrivino i 3 miliardi mi interessa poco: se la banca è ben gestita e arrivano i 3 miliardi resta a Siena, altrimenti sparisce”, aveva poi detto il banchiere rispondendo alle preoccupazioni del sindaco di Siena, Bruno Valentini, sull’arrivo di capitali stranieri.
“La verità è che in Italia siamo troppo capaci di attrarre investimenti stranieri”, ha ironizzato dicendosi “stupito” che anche la sezione di Siena di Confindustria si sia lamentata circa il possibile arrivo di investitori stranieri.
”Non c’è nessun Palio, se non con i contribuenti italiani”, ha quindi rimarcato senza sbilanciarsi sul tema delle sue dimissioni. ”Queste sono decisioni che si assumono a sangue freddo e nei luoghi deputati. Non ho nessuna anticipazione da fare agli azionisti”, ha detto ricordando che per gennaio è in calendario una riunione del consiglio di amministrazione della banca. Del resto queste cose sono solitamente oggetto di delicate trattative, come Profumo sa bene per averlo vissuto in prima persona nel settembre del 2010 quando ha lasciato Unicredit dopo una giornata di trattative costellata di annunci e smentite e con in tasca una liquidazione da oltre 40 milioni di euro.
“Abbiamo messo la banca in sicurezza sotto profilo della liquidità e se ci fosse stato l’aumento di capitale a gennaio l’avremmo messa in sicurezza anche sul piano patrimoniale”, ha invece commentato Viola al termine dell’assemblea.
“Oggi dobbiamo prendere atto che una parte del piano di ristrutturazione è stata rinviato. Il nostro percorso va comunque dritto al risanamento della banca”, ha aggiunto. Nel corso dell’assise l’amministratore delegato aveva precisato che il consorzio di banche che aveva garantito l’aumento di capitale a gennaio 2014 “si è mosso secondo la prassi del mercato”.
C’è stata “una due diligence (l’analisi dello stato di salute di un’azienda, ndr) che ha valutato positivamente la situazione dell’istituto e anche le condizioni di mercato”. Il consorzio di garanzia, inoltre, ha ricevuto “le assicurazioni necessarie da investitori istituzionali” per il raggiungimento dell’obiettivo dell’aumento di capitale.
Lo stesso Viola aveva poi detto ai soci di non essere “soddisfatto dei risultati di questi ultimi due anni nelle trimestrali, ma questi risultati vanno indubbiamente inquadrati” in quella che era la situazione di Banca Mps ereditata dalla passata gestione di Giuseppe Mussari ed Antonio Vigni.
“Il punto di partenza che abbiamo trovato all’inizio del 2012 era caratterizzato da alcuni problemi, a partire dalla carenza di capitale”, aveva osservato ricordando che nell’ottobre 2011 Banca Mps è “rimasta in piedi come soggetto funzionante grazie all’intervento straordinario della Banca d’Italia che ha dato liquidità alla banca”.
Tra i “problemi strutturali” che l’istituto sconta ancora dalla passata gestione c’è “un’eccessiva esposizione su attività finanziarie che non rendevano, o rendevano pochissimo oppure in alcuni casi costavano”, come le operazioni sui derivati Santorini e Alexandria, oltre a una struttura del portafoglio crediti “con circa il 60% di mutui o finanziamenti a medio lungo termine”.
“Non ho la sfera di cristallo e mi auguro che non ci sia nessuna conseguenza. Sono però convinta che oggi sia stata chiarita definitivamente quella che era l’incertezza sull’aumento di capitale che noi abbiamo sempre appoggiato”, ha invece commentato il presidente della fondazione Mps sostenendo che “da noi non c’è stata nessuna sfiducia nei confronti dei vertici della banca”.
Non solo. “Oggi non ci sono nè vinti nè vincitori”, ha aggiunto precisando che “da tempo avrei voluto che questa situazione fosse spersonalizzata perchè tutti dobbiamo avere grande attenzione per la banca. Se qualcuno pensa che non c’è stato un confronto tra noi sbaglia. Poi non sempre è possibile trovare una mediazione. Ci sono legittime posizioni che talvolta possono non essere conciliabili”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 28th, 2013 Riccardo Fucile “L’EURO FRUTTO DI UN EUROPEISMO SENZA MACCHIA”
A sentire oggi i suoi esponenti, sembra che la destra abbia sempre combattuto contro la moneta
europea. E invece le cronache dell’epoca sono piene di inni alla nuova valuta. A cominciare da quelli del presidente del consiglio di allora…
Letta jr., il Pd e i giornali al seguito stanno regalando a Berlusconi un vantaggio propagandistico mica da ridere: lo associano a Grillo nel nuovo nemico da battere, cioè il fronte “populista” M5S-Forza Italia che minaccerebbe l’Italia con la sua antica e costante ostilità all’euro.
Senz’accorgersi che, così dicendo, regalano al Cavaliere una comodissima patente di coerenza e perfino di estraneità alla moneta unica europea, divenuta il bersaglio fisso di tutte le proteste politiche e sociali.
E contribuiscono ad accreditare autolesionisticamente, nell’opinione pubblica più insofferente e meno informata, la leggenda nera secondo cui l’euro sarebbe figlio della sinistra, mentre la destra l’avrebbe sempre combattuto.
Niente di più falso.
Il primo passo dell’euro fu il Sistema monetario europeo (Sme), creato nel 1978 ed entrato in vigore il 13 marzo 1979, quando in Italia governava per la quarta volta Giulio Andreotti.
Nel dibattito parlamentare che precedette la firma, l’allora “ministro degli esteri del Pci” Giorgio Napolitano lanciò il 13 dicembre 1978 alla Camera un duro attacco agli accordi Sme che garantivano la sola Germania, «paese a moneta più forte», col rischio di indebolire «i paesi più deboli della Comunità » e di portare l’Italia «a intaccare le sue riserve e a perdere di competitività », oltre a dover «adottare drastiche politiche restrittive».
Il trattato di Maastricht fu firmato il 7 febbraio 1992, quando in Italia governava per la settima e ultima volta Giulio Andreotti.
L’area Euro fu definita nel 1998, sotto il primo governo Prodi, con un tasso di cambio concordato in Europa dal ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi.
L’euro nacque ufficialmente il 1° gennaio 1999 ed entrò in circolazione il 1° gennaio 2002, quando da sette mesi in Italia governava per la seconda volta Silvio Berlusconi. Il quale, vinte le elezioni del 2001, tenne subito a rassicurare chi temeva l’avvento di un governo euroscettico: «Voglio mandare — disse il 14 maggio subito dopo la vittoria nelle urne — un messaggio ai leader e agli amici dell’Unione europea… Siamo orgogliosi di far parte dell’Europa e di avere nel presidente Ciampi il più illustre interprete del sincero e fattivo europeismo degli italiani».
Poi, alla cerimonia ufficiale di presentazione della divisa europea, il 26 novembre 2001, esaltò le magnifiche sorti e progressive della moneta unica, frutto di un «europeismo senza macchia» e foriera di «vantaggi di gran lunga superiori ai dubbi che qualcuno nutre per le difficoltà ad adattarsi e a fare i calcoli del cambio».
La definì «un traguardo di arrivo, ma anche di partenza». E, durante il festoso brindisi, accompagnò con ampi cenni di assenso le parole commosse del presidente Ciampi («l’euro è un evento storico, la realizzazione di un sogno e il sinonimo di risanamento dell’economia, di stabilità monetaria, di bassi tassi di interesse, di trasparenza dei beni e servizi, quindi di maggiore libertà dei consumatori, ma soprattutto della nascita dell’Europa come soggetto politico»).
E quelle del presidente della Commissione europea Prodi («quando a gennaio l’euro entrerà nelle tasche di tutti i cittadini europei creerà una economia più forte nella Ue, ma soprattutto l’identità di cittadini europei»).
Non contento, Berlusconi fece stampare e recapitare per posta a 20 milioni di italiani «una sorpresa», «un piccolo omaggio che spero gradito»: l’euroconvertitore in plastica azzurra, per «facilitare i calcoli da lira a euro», «con i più cordiali auguri di Silvio Berlusconi».
Come se l’euro l’avesse inventato lui.
Visto il livello di impopolarità raggiunto dall’euro negli ultimi mesi, e visto il boom nei sondaggi di chiunque lo contesti, non sarebbe male se chi vuol battere Berlusconi alle prossime elezioni tirasse fuori quel pezzo di plastica azzurro con la griffe del Cavaliere per rinfrescare la memoria ai tanti che l’hanno perduta.
Semprechè chi vuol battere Berlusconi alle elezioni esista, in natura.
Marco Travaglio
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Dicembre 28th, 2013 Riccardo Fucile PREVISTI RINCARI ANCHE PER TRASPORTI E PEDAGGI… INCOGNITA SUI CONSUMI DI ACQUA
Dal primo gennaio sarà più caro anche spedire una lettera e una raccomandata.
Perfino consumare un caffè o una bibita alla macchinetta. E anche su benzina e gasolio tira una brutta aria: in questi giorni di festa i distributori hanno fatto registrare forti rincari in mancanza come al solito di concorrenza ed efficienza di sistema.
Poi ci sono i trasporti locali che in molte Regioni – come il Piemonte – dal 15 dicembre hanno messo a segno aumenti medi del 20% colpendo soprattutto i pendolari.
Senza contare che i pedaggi autostradali regionali – dopo che in aprile scorso la rete nazionale ha portato a casa un adeguamento medio del 3% circa – stanno cercando di recuperare: dal primo di gennaio, per esempio, salirà del 12,91% il pedaggio delle Autovie venete.
Ma la parte del leone in questa corsa ai rincari verrà ricoperta dalla nuova versione della Tares, l’imposta locale sui rifiuti che verrà pagata dagli inquilini, per la quale secondo i calcoli di Confesercenti aumenterà fino al 60% rispetto a quanto pagato l’anno scorso.
Per non dire del nuovo calcolo sul consumo dell’acqua disposto in questi giorni dal Garante che partirà da gennaio e sapremo presto se sarà vantaggioso per il consumatore o no. Si accettano scommesse.
L’aumento di lettere e raccomandate sarà salato anche se potrà non scattare subito ma entro due anni.
A deciderlo saranno Le Poste. Il costo per spedire una lettera potrà salire dagli attuali 70 centesimi sino a 95 centesimi e le raccomandate da 3,60 a 5,40 euro.
Il via libera a questi vistosi rincari è arrivato dall’Autorità per la Garanzia nelle Comunicazioni (Agcom).
Un complesso provvedimento su questo argomento è stato pubblicato sul sito dell’Agcom e stabilisce appunto che «Poste Italiane ha facoltà di incrementare il prezzo delle posta prioritaria relativa alla prima fascia di peso (0-20 grammi), fino a 0,95 euro/invio, entro il 2016».
Rincari in vista per caffè, bibite e snack acquistati nei distributori automatici anche nelle scuole e negli ospedali.
Dal 1° gennaio sarà possibile aumentare il prezzo di circa il 6%, adeguandolo all’aumento Iva dal 4 al 10%, anche per le «macchinette» collocate in edifici pubblici per i quali erano stati stipulati i contratti prima dell’aggravio fiscale.
Lo ha annunciato ieri la Confida-Confcommercio commentando un emendamento alla legge di Stabilità .
Brutte notizie sul fronte dei carburanti. Il Codacons ha già chiesto al governo provvedimenti per evitare un’onda di rincari proprio quando «gli automobilisti italiani sono in movimento per le festività ».
Benzina e gasolio hanno fatto registrare in questi giorni forti rincari, raggiungendo una media di 1,796 euro al litro la verde (e punte di 1,830 euro/litro) e 1,726 euro al litro il diesel.
Novità tariffarie in arrivo dal prossimo anno anche nel settore energetico esclusivamente per i cittadini che hanno deciso di scaldare la propria abitazione utilizzando le pompe di calore.
Questa tariffa che riguarda quindi i consumi, non sarà più legata al volume dell’energia elettrica utilizzata e più aderente agli effettivi costi dei servizi di rete: il trasporto, la distribuzione e la gestione del contatore.
Lo ha deciso l’Autorità per l’energia approvando l’introduzione della cosiddetta tariffa «D1». Le associazioni dei consumatori sono preoccupate.
Nonostante il probabile ribasso sulle bollette elettriche e del gas, il panorama sembra fuori controllo e arriva in un momento di crollo dei consumi e di bassa inflazione. Con alle spalle forti aumenti: in meno di due anni – ricorda uno studio Confesercenti -, dal 2011 a ottobre 2013, le tariffe sui servizi pubblici locali sono cresciute in media del 19.2%, quasi il triplo del +7,3% registrato dai prezzi al consumo nello stesso periodo, comportando un aggravio medio di 312 euro a famiglia.
(da “Corriere della Sera“)
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Dicembre 28th, 2013 Riccardo Fucile IL MEETUP PARLAMENTO 5 STELLE, NATO PER FAR INTERGIRE ATTIVISTI E DEPUTATI, E’ STATO EPURATO… IL LEGALE: “CESSATE L’USO DEL NOME E DEI MARCHI DI GRILLO”… LA “DEMOCRAZIA DIRETTA” VA BENE SOLO SE E’ DIRETTA DA GRILLO E CASALEGGIO
Il logo del Movimento 5 Stelle è stato depositato. Adesso potrà utilizzarlo solo chi è autorizzato. E di
sicuro non lo sono gli aderenti al gruppo “Meet up Parlamento 5 Stelle”.
In attesa che venisse creata una piattaforma digitale attraverso cui interagire con i parlamentari pentastellati, loro avevano pensato di anticipare i tempi e di rendersi utili, ergendosi anche a megafono delle proposte grilline.
Come riporta Italia Oggi, si trattava di una iniziativa spontanea, fatta all’insaputa del leader.
E così, ai poveri sognatori di democrazia diretta è arrivata una missiva da parte dello studio legale che cura gli interessi dell’ex comico genovese.
“Nelle vostre pagine web e nei vostri forum vengono spesi nomi e segni riproduttivi del marchio registrato Movimento 5 Stelle di proprietà esclusiva, quest’ultimo, del mio cliente. Vi invito a voler cessare immediatamente l’uso e il riferimento diretto, indiretto o anche solo per allusione al nome od ai marchi di proprietà del sig. Grillo, uniformandoVi alle regole comportamentali e procedurali osservate da quanti si rispecchino nelle attività del Movimento 5 Stelle”, ha scritto l’avvocato Michelangelo Montefusco.
Insomma, vietato parlare del M5S, vietato confrontarsi e avere un filo diretto coi parlamentari, a meno che non sia regolamentato e controllato dai vertici.
Il MeetUp Parlamento 5 Stelle era nato “per lo sviluppo e la presentazione delle proposte di legge ai parlamentari M5S, nell’attesa sia creata la piattaforma ufficiale per votare le proposte di legge, sentivamo la necessità di uno strumento per cominciare a lavorare in questo senso. Con questo scopo è nato il Gruppo: Parlamento a 5 Stelle, con il preciso intento di convogliare le idee degli Attivisti del Movimento e permettere agli Eletti del 5 stelle di attingere a questa enorme risorsa che sono le idee proveniente da migliaia di cittadini attivi e presentare queste idee come leggi in parlamento”.
Insomma, la democrazia diretta va bene soltanto se è diretta da Grillo e Casaleggio.
Nico Di Giuseppe
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