Dicembre 29th, 2013 Riccardo Fucile UN ASSASSINO CONDANNATO A 14 ANNI NE FARA’ SOLO 5 IN CARCERE
Della serie: palle d’acciaio (soi-disant) e coda di paglia.
Abbiamo un assassino che è stato condannato a 14 anni di galera.
Gli sarebbe toccato l’ergastolo, ma i giudici gli hanno concesso le attenuanti generiche e l’attenuante del risarcimento del danno; così sono partiti da 30 anni: meno un terzo — 20; meno un altro terzo — 14, 4.
Facciamo 14 per comodità di calcoli. Bè, sempre 14 anni si deve fare, gli sta bene.
Ma non è vero, ne farà 5 circa.
Prima di tutto ha diritto alla liberazione anticipata (art. 54 Ordinamento penitenziario); che vuol dire che, per ogni 6 mesi di galera, gli vengono abbonati 1 mese e 15 giorni (finora; adesso Cancellieri ha stabilito che gli sia regalato un altro mese).
Sicchè 6 mesi sono in realtà 3 mesi e 15 giorni; un anno di prigione sono in realtà 7 mesi. Calcolati sui 14 anni che dovrebbe fare, si arriva a 8 anni effettivi.
Ma non è tutto qui.
C’è l’art. 30 ter che prevede la concessione di permessi-premio (quelli di cui ha usufruito Gagliano, il serial killer evaso). Possono essere concessi (1 mese e mezzo all’anno) dopo aver scontato un quarto di pena.
Teoricamente il nostro assassino (condannato a 14 anni) dovrebbe stare almeno 3 anni e mezzo in galera senza permessi.
Ma un anno di prigione equivale a 7 mesi; quindi i 3 anni e mezzo si riducono a 2 anni; dopodichè ai 5 mesi previsti dall’art. 54 si aggiungerà il mese e mezzo di permessi premio.
A questo punto un anno di prigione varrà 5 mesi e mezzo effettivi.
L’assassino dovrebbe scontare ancora 10 anni e mezzo che, a questo punto, sono — in concreto — 4 anni e 8 mesi.
E non è ancora tutto qui perchè, agli effetti del computo della pena, ogni 5 mesi e mezzo è come se fosse passato un anno.
E siccome gli ultimi 4 anni di pena sono trasformati in affidamento in prova al servizio sociale (erano 3, ma ci ha pensato Cancellieri), dopo 6 anni e mezzo finti (10 e mezzo che dovrebbe fare meno 4 di servizi sociali) che sono però 3 anni e veri, l’assassino è “affidato”.
In totale ha passato in carcere circa 5 anni.
Rifatevi questi calcoli per ogni delinquente condannato e vedrete che di galera vera anche i peggiori ne fanno un terzo di quello che i giudici gli ficcano al processo. Ma, dice Cancellieri, non c’è nulla di automatico, i giudici valuteranno se concedere permessi premio e semi libertà . E se sbagliano, come è successo — secondo lei — per Gagliano, Dio li protegga. Presa per i fondelli, pura e semplice.
La liberazione anticipata si “deve” concedere quando “il detenuto partecipa all’opera di rieducazione”. Che, in concreto, significa che basta che non faccia casino. Niente atti di generosità , lavoro, studio, pentimenti operosi: rispetti gli orari, non picchi nessuno e non dia fastidio.
Ma c’è di più: la valutazione sulla “partecipazione all’opera di rieducazione” deve essere effettuata ogni 6 mesi e solo sul periodo di 6 mesi appena trascorso; quello che è successo nei periodi precedenti non può essere valutato.
Sicchè può capitare che il nostro detenuto abbia partecipato a una rivolta carceraria, incendiato i materassi e picchiato le guardie: bene, per quel periodo niente liberazione anticipata.
Solo che, per via delle botte che anche lui avrà ricevuto, nei 6 mesi successivi se ne sta ricoverato in infermeria e, anche volendo, di casino non ne può fare: allora la liberazione anticipata — per questi 6 mesi di ospedale — gli spetta, 45 giorni di abbuono non glieli leva nessuno.
Quanto ai permessi, i criteri di valutazione sono gli stessi: non faccia casino e non disturbi. Ma l’anno scorso…
Fa niente, adesso sono 6 mesi che sta buono e partecipa all’opera di rieducazione. Fino a qui si tratta di pura e semplice irragionevolezza.
Ma ci si deve aggiungere incompetenza giuridica e mala fede.
L’aumento di 2 mesi annui per liberazione anticipata non si applicherà più dal 31/12/2015. Perchè? I detenuti successivi sono più cattivi, immeritevoli, cosa? E poi: un detenuto modello si merita la liberazione anticipata di 5 mesi fino al 2015; poi, lui resta ancora più modello di prima ma gliela riduciamo a 3?
Ma questi l’art. 3 della Costituzione l’hanno mai letto?
Infine: Cancellieri lo sa benissimo (di sicuro glielo hanno detto appena arrivata) che la metà abbondante dei detenuti è costituita da immigrati clandestini e piccoli spacciatori. Sono circa 30.000. che non usciranno per via del mirabolante decreto svuota carceri: escono già quasi subito con scarcerazione decisa dal giudice.
Per questa gente il carcere è come un fast food: dentro una settimana e poi fuori.
Nel frattempo però altri entrano al posto loro.
La popolazione complessiva resta la stessa, i posti occupati pure. Cambiano solo i detenuti ma questo, ai fini del sovraffollamento carcerario, è irrilevante.
Ciò che si doveva fare era una depenalizzazione concreta almeno per questi 2 reati; così sì che si recuperavano posti in carcere.
Altro che riduzioni di pena generalizzate per ogni tipo di delinquenti, anche per quelli pericolosissimi.
Ma qui interviene l’ultima presa per i fondelli: se succede qualcosa, la colpa è del giudice.
Bruno Tinti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 29th, 2013 Riccardo Fucile MARIA CLAUDIA IOANNUCCI, EX SENATRICE DI FORZA ITALIA, AMICA DEL FACCENDIERE, E’ DIVENTATA A SORPRESA AZIONISTA CON IL 20% DELLA NIE
La nuova azionista dell’Unità è un’amica di Valter Lavitola. 
Alcune sue conversazioni con l’ex editore dell’Avanti! (che era intercettato) sono finite negli atti dell’indagine napoletana sugli affari panamensi del faccendiere.
Si chiama Claudia Maria Ioannucci, avvocato e professore di diritto amministrativo a L’Aquila, 64 anni, già senatrice di Forza Italia nel 2001 quando sconfisse Ottaviano Del Turco.
Dal 2011 è consigliere di amministrazione delle Poste, nominata per ‘concessione’ di Berlusconi a Lavitola, stando almeno alle rivendicazioni di Valter.
La società della professoressa Ioannucci, Partecipazioni Editoriali Integrate Srl, controlla poco meno del 20% della NIE Spa, Nuova Iniziativa Editoriale spa, la società che edita il quotidiano fondato da Antonio Gramsci nel 1924.
La Srl azionista dell’Unità è stata creata dall’attuale amministratore del giornale, Fabrizio Meli, nell’aprile scorso ed è stata poi ceduta alla Ioannucci il 29 ottobre 2013 dallo stesso Meli, manager del gruppo Tiscali di Renato Soru, a ottobre.
Fondata nell’aprile scorso da Rita Lombardo (10%) e Fabrizio Meli (90%), ex giornalista sardo, promosso a manager del gruppo di Soru e poi ad amministratore dell’Unità , la società Partecipazioni Editoriali Integrate Srl, dopo avere rilevato le quote dell’Unità , è stata ceduta il 29 ottobre all’ex senatrice berlusconiana.
In particolare il 90% delle quote di Meli sono andate all’ex marito di Maria Claudia Ioannucci, il responsabile comunicazione del Sole 24 Ore Alfonso Dell’Erario che si dichiara: “Intestatario temporaneo della quota che è della mia ex moglie Maria Claudia Ioannucci”.
Mentre il restante 10% è stato comprato subito anche formalmente dalla Ioannucci. Chissà cosa avrà spinto il consigliere delle Poste in scadenza nel 2014 a investire in una società che ha chiuso l’ultimo bilancio del 2012 con 4,6 milioni di perdita su 12 milioni di ricavi.
Il quotidiano diretto da Luca Landò non attraversa un grande momento, come tutta la stampa.
Oggi il primo socio è Matteo Fago con il 30%. Segue la Gunther Reform Holding Spa, dell’imprenditore pisano Maurizio Mian, con il 25,9%.
La Partecipazioni Editoriali Integrate Srl di Ioannucci è quindi il terzo socio con una quota del valore nominale di un milione di euro che vale il 19,94 per cento del capitale.
L’ex governatore sardo del Pd, Renato Soru, come persona fisica, passa dal 26 al 2 per cento ma resta con la società Monteverdi, a lui riferibile, anche se scende al quarto posto con una quota del 17 per cento.
La Soped Spa delle Coop rosse è scesa dal 3 al 2,5 per cento e la Chiara Srl dell’ex presidente di Impregilo e Bpm, Riccardo Ponzellini, scende all’1,5 per cento.
Per capire qualcosa di più sul nuovo azionista dell’Unità può aiutare il verbale dellla sua audizione come persona informata dei fatti davanti al pm Vincenzo Piscitelli che indagava a Napoli sugli affari panamensi di Lavitola.
Il 19 settembre del 2011 Claudia Ioannucci racconta: “Ho conosciuto Lavitola, se ben ricordo, nel 2004, per una questione legale relativa a un suo amico, poi è divenuto, oltre che mio cliente, uno dei miei più cari amici e tali rapporti di amicizia, nel tempo, si sono estesi all’intera famiglia”.
Il 21 agosto del 2011 Riccardo Martinelli, il presidente di Panama corrotto da Lavitola per l’appalto di Finmeccanica, secondo l’ipotesi di accusa dei pm napoletani, va a Villa Certosa da Silvio Berlusconi.
Lo accompagna proprio Claudia Ioannucci che ne approfitta per siglare un intesa tra Poste Spa e Poste Panama.
Dalla Sardegna Ioannucci chiama Lavitola, che paga le spese degli extra alberghieri del presidente e del suo codazzo.
L’ex senatrice di Forza Italia magnifica villa Certosa e l’ospitalità di Berlusconi poi passa il telefono a Martinelli per salutare l’amico Valter.
Nella lettera a Berlusconi scritta durante la latitanza e consegnata al messaggero Carmelo Pintabona perchè la portasse a Berlusconi, Valter scrive a Silvio: “Lei mi ha promesso di collocare la Ioannucci nel Cda dell’Eni, mi ha concesso la Ioannucci nel cda delle Poste (aveva promesso di darle anche la presidenza di Banco Posta, anche ciò non è stato mantenuto)” .
Maria Claudia Ioannucci spiega così l’acquisto: “Ho fatto il senatore di Forza Italia, ma mi piace sentire le voci di tutti. Ho acquistato una società per contribuire al salvataggio di un giornale”.
I lettori dell’Unità potrebbero essere preoccupati nel vedere il 20% del quotidiano fondato da Gramsci che finisce a una ex senatrice di Forza Italia, diventata famosa perchè è amica di Lavitola ed è stata con Martinelli a Villa Certosa?
“Vorrei evitare di chiederle i danni”, azzanna lei, “sono famosa perchè sono un bravo avvocato e un professore universitario. Lavitola non è uno dei miei più cari amici. Non ricordo la frase del verbale che mi sta leggendo. Era un mio cliente e poi è nato un rapporto con la sua famiglia. Ero stata nominata già nel Cda delle Poste una volta durante il governo Prodi. Se anche fosse vero che Valter mi ha raccomandata, vuol dire che ha apprezzato l’avvocato. Ai lettori del giornale fondato da Gramsci dica che le ragioni non sono mai tutte da un lato”.
Marco Lillo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 29th, 2013 Riccardo Fucile IL GOVERNO HA PRODOTTO UN MIGLIORAMENTO DI SOLI 40 EURO L’ANNO PER I REDDITI BASSI: 4 EURO AL MESE LORDI
«Lo rafforzeremo in Parlamento». Mai promessa fu più disattesa di quella sul taglio al cuneo fiscale.
Se da una parte, è vero che i redditi sotto i 20 mila euro riceveranno qualche soldino in più, dopo le correzioni di Camera e Senato alla proposta del governo.
Dall’altra parte è altrettanto vero che parliamo di briciole.
Alla fine, siamo passati da 15 a 19 euro al mese (lordi) come massimo beneficio per i lavoratori dipendenti.
Quindi da una pizza e birra a una pizza e birra con dolce. Meglio di niente, si dirà . Soprattutto, se come sembra, il “tesoretto” spunterà in busta paga in un’unica soluzione. E quindi quei 226 euro totali anzichè 182, spettanti a chi ne guadagna 15 mila lordi all’anno, di sicuro si noteranno di più.
Ma se guardiamo al valore medio, circa 191 euro, il discorso cambia.
Perchè il rischio di vederlo quasi del tutto risucchiato dalle tasse locali è concreto
Secondo le previsioni dell’ufficio studi della Uil, ad esempio, il prossimo anno solo di addizionali regionali all’Irpef gli italiani pagheranno in media 141 euro.
E questo grazie alle norme sul federalismo fiscale che consentono per il 2014 di portare l’aliquota su di un altro 0,6% e dunque fino a un massimo del 2,33%.
Questo significa – a parità di valori medi – un taglio annuale al cuneo fiscale di 50 euro (191 al netto dei 141): appena 4 euro e 20 centesimi al mese.
Altro che pizza e birra. Qui siamo a tre caffè e mezzo, a Genova ad esempio, dove la tazzina è al top.
Piemonte, Lazio, Liguria e Molise stanno decidendo proprio in questi giorni se avvalersi dell’ulteriore leva fiscale. E il Molise è già al 2,03% di addizionale.
Ma come mai alla fine neanche il Parlamento è riuscito a rilanciare quella che doveva essere la misura regina della legge di Stabilità appena varata? Le risorse.
È vero che le Camere hanno rimodulato il taglio del cuneo a favore dei redditi più bassi, ma a parità di perimetro, all’interno cioè del miliardo e mezzo stanziato nel 2014.
Nel triennio, ce ne sono 5 di miliardi per restringere la forchetta tra il costo lordo del lavoro e quanto poi ci si mette in tasca. Troppo pochi per rilanciare i consumi e sostenere i redditi.
Confindustria ne chiedeva 10, molti economisti bollano come pressochè inutile qualunque intervento “una tantum” sotto i 15.
Il Parlamento si è dunque trovato con le mani legate. La soluzione finale è stata quella di premiare i lavoratori sotto i 20 mila euro alzando di 40 euro circa il “regalo” del governo.
E levando agli altri (dai 22 mila fino ai 55 mila euro lordi annui) tra i 30 e gli 80 euro. Giustizia è fatta? Visti gli importi e la platea, sì e no.
I beneficiati sono solo uno su cinque (4 milioni di lavoratori su 20 milioni totali che usufruiscono delle detrazioni).
Il ministro del Lavoro Giovannini due giorni fa ha detto che grazie alla riprogrammazione di fondi europei a rischio perdita il taglio del cuneo in realtà salirà da 1,5 a «4,2 miliardi nel 2014».
Ma la differenza è vincolata al solo Mezzogiorno. Nè d’altronde si può sperare nel famoso “fondo taglia-cuneo”, varato dalla Stabilità e che sarà riempito con le risorse da spending review e lotta all’evasione.
Qualora avanzino, visto che in fila ci sono i conti dello Stato, le esigenze indifferibili e le priorità sociali.
Valentina Conte
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 29th, 2013 Riccardo Fucile LA DENUNCIA DEL SEGRETARIO DEL SAP: “NON CI SONO SOLDI PER COMBATTERE LA CRIMINALITA’, MA QUELLI DEL FONDO UNICO GIUSTIZIA CHE FINE HANNO FATTO?”
Macchine ferme ai box perchè non ci sono i soldi per riparare i freni, uffici di polizia giudiziaria
azzoppati, pochissime risorse per fare operazioni di intelligence.
E paradossi come le centinaia di milioni di euro del Fondo Unico Giustizia, che dovrebbero servire anche alla riqualificazione della polizia e che invece non si sa dove siano e perchè siano “intoccabili”.
O ancora, l’idea di affidare a un call center privato le telefonate d’emergenza al 112, sperimentazione già in corso in Lombardia.
“Siamo in una situazione gravissima”, spiega all’HuffPost Nicola Tanzi, segretario generale del Sindacato Autonomo di Polizia (Sap). “L’anno prossimo inizierà con 15 mila uomini in meno nella polizia di Stato. Una riduzione che significa meno sicurezza reale per i cittadini”.
Cosa manca oggi alla polizia? Quali sono le difficoltà con cui vi scontrate ogni giorno?
Oggi mancano le risorse per tutto. Non abbiamo i soldi per fare operazioni di intelligence, nè tanto meno per le missioni. Il che vuol dire non poter svolgere le attività necessarie per contrastare le organizzazioni criminali che sempre più spesso si scambiano uomini, risorse e favori tra le varie regioni. Le nostre operazioni di contrasto alla mafia, alla camorra e alla sacra corona sono azzoppate in partenza se non possiamo spostarci da una regione all’altra come richiede una seria indagine giudiziaria. Le risorse previste dalla legge di Stabilità (100 milioni di euro) verranno utilizzate per pagare l’operatività e le attività di servizio. Tutto il resto — intelligence, addestramento, aggiornamento, mezzi, strutture — rimane scoperto.
Mancano le autovetture per la polizia giudiziaria. In molti casi ci sono gli agenti, ma non ci sono i mezzi. Quindi abbiamo uffici di polizia presso i tribunali che però non possono svolgere attività sul territorio, non possono andare a svolgere il lavoro richiesto dai magistrati. Stesso discorso per le squadre volanti, che per uscire devono aspettare che rientri la volante di turno. Il tutto mentre – paradosso dei paradossi – abbiamo autovetture ferme ai box perchè non ci sono i soldi per la manutenzione: per cambiare i freni, le ruote, cose così, non dico per rimetterle a nuovo.
Di fronte alla scarsità di risorse, quali sono le vostre proposte? Da dove si inizia?
Sono sei anni che il sindacato chiede una razionalizzazione delle forze in campo. Non è più possibile avere cinque corpi di polizia sul territorio nazionale. È giunta l’ora di studiare un meccanismo di razionalizzazione che miri a ottimizzare le risorse. Come è successo in Francia, anche in Italia è arrivato il momento di mettere tutte le forze di polizia alle dipendenze del ministero degli Interni. Non ci possiamo più permettere nessuno spreco. Cinque sale operative nelle diverse città sono troppe.
Cosa vi aspettate dal governo? Quali sono le mosse che vi hanno infastidito di più nel 2013?
Siamo stanchi della mancanza di coraggio da parte della politica. Dal governo ci aspettiamo più coraggio. Soprattutto, siamo stanchi di finte soluzioni. Le faccio un esempio eclatante. La Corte di giustizia europea ha condannato l’Italia per inadempienza sull’attivazione del numero telefonico d’emergenza europeo 112. E l’Italia cosa fa? Invece di attrezzarsi per risolvere la questione, sperimenta una soluzione che affida a un call center privato lo smistamento delle telefonate d’emergenza, con evidenti problemi per la privacy dei cittadini e mettendo a rischio la capacità delle forze dell’ordine di garantire la sicurezza.
Ci spieghi meglio. Se io chiamo il 112 per denunciare un reato mi potrebbe rispondere l’operatore di un call center?
Esatto. In alcune città è in corso una sperimentazione che affida a delle società private lo smistamento delle telefonate al numero d’emergenza. Questo vuol dire che se un cittadino in difficoltà chiama il 112 a rispondergli è un altro cittadino, dipendente (o magari collaboratore) di una società privata che ha vinto l’appalto. Le criticità di un sistema del genere sono moltissime. Come la mettiamo, ad esempio, con i reati perseguibili d’ufficio? Se a rispondere al telefono è un pubblico ufficiale ha il dovere di comunicare il tutto all’autorità giudiziaria, altrimenti compie il reato di omissione d’atto d’ufficio. Il cittadino normale, invece, non è obbligato a riferire il fatto costituente reato. Ma è solo uno dei problemi. Sulla privacy, ad esempio, si aprono punti interrogativi enormi. Se ad esempio chiamo per denunciare una violenza sessuale, non è forse lecito aspettarsi che dall’altra parte del telefono ci sia un pubblico ufficiale, e non l’operatore di un call center di cui non so neanche il nome? Infine, non sono neanche sicuro che con questa soluzione si finisca con il risparmiare davvero. Bisogna considerare i soldi per l’appalto privato.
Dove è in corso questa sperimentazione?
In alcune città soprattutto della Lombardia. È stata voluta dal presidente della Regione Roberto Maroni, uno dei politici che in questi anni hanno più insistito sulla sicurezza. Un paradosso, non le pare?
Ma non è tutto. Torniamo alla differenza tra sicurezza reale e percepita. Mi accennava di una trovata dell’ex ministro La Russa ancora in piedi…
Sì, siamo rimasti a bocca aperta quando abbiamo saputo che il governo ha stanziato 60 milioni di euro per il rifinanziamento nei prossimi sei mesi dell’operazione Strade Sicure, una trovata che risale al 2008 quando il ministro della Difesa era Ignazio La Russa. L’obiettivo centrale di quella operazione — che consiste nell’affiancare militari alle forze di polizia per il pattugliamento delle strade — consiste nell’aumentare la sicurezza percepita dalla popolazione. Ma non si riesce proprio a capire il vantaggio di aumentare la sicurezza percepita in un momento in cui quella reale fa acqua da tutte le parti. Affiancare ai poliziotti dei militari che passeggiano per la città non è certo il miglior modo di rispondere alle esigenze dei cittadini. Anche perchè un conto sono gli obiettivi sensibili (le ambasciate o il cantiere Tav, per capirci), un altro sono i comuni interventi urbani (come una rapina, ad esempio), per i quali i militari non sono preparati. In questo modo non si fa altro che proseguire sulla linea della sicurezza percepita portava avanti dal governo Berlusconi. Anche se ora è chiaro che le priorità sono altre.
E invece cosa mi dice sul Fondo Unico Giustizia?
Questa situazione fa ancora più rabbia perchè, volendo, i soldi ci sarebbero. Da parecchi anni abbiamo un appostamento di risorse che si chiama FUG (Fondo Unico Giustizia), composto da capitali e liquidi sequestrati alla criminalità organizzata. Secondo una legge dello Stato, i soldi di questo fondo vanno ripartiti tra ministero degli Interni, ministero di Grazia e Giustizia (45%) e Tesoro (1%). Ecco, il punto è che questi soldi non si riescono a usare. E parliamo di centinaia di milioni di euro, visto che non è neanche dato sapere la cifra esatta. In una relazione alla Camera qualche anno fa l’ex ministro degli Interni Alfredo Mantovano parlò di oltre 600 milioni di euro esigibili, che si suppone debbano essere aumentati, dal momento in cui non se ne conosce la sorte. Ecco, la domanda è proprio questa: questi soldi dove sono? Quanti sono? E come vengono utilizzati?
Quali sentimenti accompagnano il lavoro di un poliziotto chiamato a contenere le manifestazioni di rabbia di chi si sente escluso dalla società e preso in giro dalla politica?
È inutile girarci intorno, le forze di polizia oggi vivono un disagio profondo. Anzi, direi un disagio doppio: da un lato condividono le difficoltà di tutti gli altri cittadini (blocco contrattuale da quattro anni, tagli, poche gratificazioni, impossibilità del riordino delle carriere); dall’altro sono percepite da chi protesta come dei nemici cui dare addosso ogni volta, perchè il poliziotto se non interviene è inefficiente, se interviene è violento. Spesso ci troviamo tra due fuochi, il proprio disagio e quello delle persone che protestano.
G. Belardelli
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 29th, 2013 Riccardo Fucile DOVEVANO FAR TRASCORRERE ALLA MAGGIORANZA LE FESTIVITA’ IN AULA, MA SARUBBI INCHIODA VACCA: “AVETE CONCESSO LA DEROGA ALLE 24 ORE DI TEMPO TRA FIDUCIA E VOTO, POTEVATE STARE IN AULA IL 23 NOTTE E LAVORARE IL 24, AVETE PREFERITO SCAPPARE A CASA, SIETE DEI BUGIARDI”
Insulti di ogni tipo e minacce di morte. Il solito spettacolo desolante degli hatespeech su consuma sulla pagina Facebook di Beppe Grillo ai danni di Titti di Salvo (Sel) e Andrea Romano (Scelta Civica) .
«Dovete bruciare vivi». «Distruggeteli, li dovete schiacciare come vermi», «piuttosto dovete andare a…o voi e le vostre famiglie…. dovete solo che morireeeeee», è il tenore di alcuni post.
RABBIA E ODIO
A causare questo interrotto fiume di attacchi un video postato dal leader del M5S dei due deputati mentre in un discorso in aula si oppongono alla proposta dei Cinque Stelle di prolungare i lavori parlamentari più del previsto e, anzi, chiedono di accelerare il dibattito per poter raggiungere prima i propri familiari per le Feste.
Sotto, il commento di Grillo che scrive : «Avevano paura che il M5S li facesse lavorare durante le feste! Guardate come reagiscono questi parlamentari pagati dai cittadini. Massima diffusione! Tutti devono sapere!».
L’iniziativa ha suscitato l’odio e lo sdegno di molti utenti che hanno scelto la pagina di Grillo per manifestare la loro rabbia: «Siete de barboni, noi che siamo qua a lavorare anche la notte di Natale per due lire e voi poverini volete tornare prima a casa».
E ancora: «Il Natale a nostre spese e noi martoriati da questi inutili e corrotti fancazzisti». Parole rivolte spesso contro l’intera classe politica.
PRIMA REAZIONE
Sel, una volta che la notizia è uscita sulla stampa, attraverso il suo portavoce ha fatto sapere: «Il sig. Beppe Grillo potrà stare tranquillo, delle minacce sulla sua pagina facebook verso i parlamentari di Sinistra Ecologia Libertà ne risponderà in tribunale. In democrazia e in un Paese libero la lotta politica non si fa nè con le minacce, con gli insulti, le menzogne».
MA IL RETROSCENA SMASCHERA IL BLUFF DEI GRILLINI
Il deputato pentastellato Gianluca Vacca il 23 dicembre su Facebook ha scritto: «La Camera chiude. Abbiamo provato a inchiodarli qui fino al 24, anche al 25 se necessario. Ovviamente pur di evitare questo hanno posto l’ennesima fiducia e sono tornati tutti a casa, per le vacanze».
Una polemica che non è piaciuta al suo collega del Pd, Andrea Sarubbi, che sempre su Facebook ha ribattuto: «Non è vero! Avete concesso la deroga alle 24 ore di tempo tra la richiesta di fiducia e il voto per tornare a casa la vigilia di Natale. Perchè dite bugie?».
Risposta imbarazzata di Vacca :«Andrea, si tratta di poche ore, dopo l’apposizione della fiducia potevamo fare ben poco ormai».
Ma Sarubbi non molla: «Non è vero. Potevate passare il 23 notte alla Camera e lavorare il 24. Non lo avete fatto».
Parole che hanno chiuso la polemica in quanto da Vacca non ci sono stati altri commenti. non sapendo più che dire.
Un’altra figura da barboni dei Cinquestelle.
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Dicembre 29th, 2013 Riccardo Fucile IL LEADER DI FORZA ITALIA CONVINTO CHE SI ANDRA’ A VOTARE MEL 2014
Con una telefonata Silvio Berlusconi torna ad invitare i giovani del suo partito a lavorare in vista di
elezioni anticipate.
La telefonata dell’ex premier arriva durante una cena a Napoli tra i militanti della “Giovane Italia” e gli “Studenti per le libertà ”.
I giovani forzisti erano riuniti al ristorante “La Lanterna” di Villaricca. Lì fu firmato nel 1989 il patto di camorra tra politici e casalesi che ha dato vita allo sversamento dei rifiuti tossici, come rivelò all’epoca un pentito nell’ambito della maxi operazione Adelphi.
Tra i proprietari del ristorante c’è il padre del coordinatore in Campania dei giovani di Forza Italia
«Come ogni anno ci riuniamo negli ultimi giorni di dicembre per gli auguri e per fare un bilancio dell’anno trascorso e fissare gli obiettivi per il nuovo anno — spiega Armando Cesaro, vice coordinatore nazionale della “Giovane Italia” e presidente di “Studenti per le libertà ” – Quest’anno con noi, tramite una telefonata, il presidente Berlusconi ci ha aiutato a fissare gli obiettivi per il prossimo anno, tra cui quello di prepararsi per nuove elezioni politiche. Il presidente ha dichiarato che nei primi mesi del prossimo anno verrà a Napoli ad incontrare tutti i militanti. I ragazzi hanno rinnovato la fiducia al presidente Berlusconi e lo attendono a braccia aperte quanto prima».
La spallata al governo Letta e nuove elezioni sono nell’agenda di Berlusconi
E l’ex premier pensa sempre a ricompattare le file del suo movimento che, raccontano i fedelissimi, vuole del tutto nuovo, «senza capi e capetti».
In un attivismo politico che continua senza sosta, Berlusconi ha annunciato oggi un altro intervento telefonico a una manifestazione organizzata in Sicilia da Miccichè per parlare di politica e di come prepararsi alla spallata.
(da “la Repubblica“)
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Dicembre 29th, 2013 Riccardo Fucile IL BOSS PENTITO CHE DENUNCIO’ LO SMALTIMENTO DI MATERIALE TOSSICO IN CAMPANIA GIA’ NEL 1993, ACCUSA IL COSTRUTTORE
Carmine Schiavone, il boss pentito che denunciò lo smaltimento di materiale tossico in Campania già nel 1993, accusa il costruttore
Lo dice senza problemi che in vita sua ha ammazzato almeno cinquanta cristiani, e per altri quattrocento ha dato l’ordine di farli fuori.
Lo giura con un sorriso che è scampato alla morte tante volte, per miracolo: “Pure con la stricnina in carcere ci hanno provato, e un’altra volta con un lanciamissili”. Carmine Schiavone ha retto a tutto dopo l’affiliazione alla mafia, con pungitura a Milano nel 1974 per mano di Luciano Liggio.
Non un camorrista, dunque, ma un mafioso che gestiva il comparto costruzioni e opere pubbliche a Caserta e dintorni: dieci miliardi di lire al mese da spartire e investire.
Nei primi anni 90 il guaio. Gli propongono di mettere monnezza sotto una strada, e lui ci sta.
Ma quando s’accorge che tra i sacchi di spazzatura ci sono fusti tossici, rompe l’accordo. Il clan tenta di convincerlo. Sandokan, suo cugino, lo minaccia. Lui insiste, gli fanno una soffiata e arriva l’arresto, il carcere, le rivelazioni sulla montagna di schifezze sotterrate nelle campagne.
Indagini e processi che mandano in galera 1500 affiliati.
Questa è la storia di Carmine Schiavone per come la racconta lui in prima persona a Servizio Più Pubblico, lo speciale in onda stasera su La7 (ore 20:35) per raccontare cos’è l’“Inferno atomico”, un territorio devastato da 10 mila tonnellate di rifiuti tra cui, dice Schiavone, ci stanno pure materiali radioattivi.
“Qua sotto ci sono le scorie nucleari, arrivate qua dalla Germania in cassettine grandi così — dice Schiavone calpestando un campo vicino a Casal di Principe —. Le portava una società di Milano collegata all’ex P2, a Licio Gelli: era di uno che faceva il costruttore, e che s’è dimesso appena io ho verbalizzato il suo nome”.
Cioè quando, a partire dal 1993, Schiavone spiega ai magistrati l’affare della monnezza e spara un nome grosso, già all’epoca: “Dove sono finiti i verbali dove parlo di Paolo Berlusconi?”, chiede Schiavone quando alcune mamme della zona, persi i loro bimbi per tumori legati all’inquinamento, pretendono dal boss un’assunzione di responsabilità .
Nessuna prova contro Paolo Berlusconi è mai stata esibita, e molte dichiarazioni di Carmine Schiavone restano coperte dal segreto di Stato.
Quanto emerso nelle ultime settimane sul lavoro svolto dalla Commissione parlamentare nel 1997, il famoso “qua moriranno tutti tra vent’anni”, è solo un frammento della verità più profonda e inesplorata.
Un mistero che ha rovinato la vita a Roberto Mancini, l’agente della Criminalpol che per quelle indagini del 1993 sorvolò in elicottero le terre del veleno. Al suo fianco Schiavone, che gli indicava i campi dove il suo clan aveva sotterrato i rifiuti pericolosi.
L’agente Mancini ha passato giorni interi camminando su quella terra, a prendere misure e segnare punti di scavo, a seguire i carotaggi e prendere appunti.
L’agente Mancini non è più in servizio: da dieci anni combatte un linfoma, un cancro tipico nella Terra dei fuochi, una malattia che è una beffa per chi credeva nella legalità e ha visto sprecare un lavoro rischioso, durissimo.
“Non sono stato tutelato dallo Stato — dice Mancini nello studio di Servizio Pubblico a Sandro Ruotolo —. Finora ho combattuto il tumore, d’ora in poi mi dedicherò alle istituzioni. Quando consegnai il mio rapporto sulle ispezioni giù in Campania, i giudici Narducci e Policastro erano entusiasti. Pochi giorni dopo cambiarono idea, e dell’inchiesta non rimase nulla: troppo difficile da gestire, troppe pressioni. C’è stato anche l’intervento della massoneria, è provato”.
In Campania tutti aspettano una risposta. I malati, i parenti dei morti, quelli che pretendono dal presidente della Repubblica il riconoscimento ufficiale dello status di vittime dello Stato: “Gli abbiamo spedito 150 mila cartoline, non ha dato cenno — spiegano dal comitato —. Del resto, all’epoca dei fatti, era lui il ministro degli Interni. Quindi ora speriamo che ci dia ascolto Papa Francesco”.
Nelle campagne, i contadini raccolgono peperoni e friarielli a pochi metri dalle aree sospette: “Dobbiamo svendere, nessuno compra più”.
Ma perchè non avete denunciato negli anni chi veniva a sversare? “Con la canna di fucile in bocca dovevamo parlare, certo. Qua non ci ha difesi mai nessuno, la politica sapeva, ha mangiato e noi siamo rovinati”.
Chiara Paolin
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 29th, 2013 Riccardo Fucile IL SOTTOSEGRETARIO LEGNINI MOSTRA LE CARTE: “RIDOTTI DA 185 A 58 MILIONI”
Prima il “giornalista del giorno”, ora “l’elemosina di Stato” all’editoria. 
Beppe Grillo sul suo blog denuncia i finanziamenti destinati all’editoria. Già nel 2008, secondo V-Day, si scagliava contro i soldi pubblici ai giornali.
Da allora la situazione per il leader del M5S è cambiata in peggio: i contributi sono aumentati, “dai 137 milioni di euro del 2013 ai 175 del 2014”.
Come era già accaduto per la rubrica dedicata ai giornalisti giudicati ostili dal Movimento 5 Stelle, anche in questo caso Grillo comincia con L’Unità .
Grillo stila la classifica dei giornali che nel 2012 hanno ricevuto i finanziamenti pubblici.
Al primo posto c’è Avvenire (4,3 milioni di euro), seguito da Italia Oggi (3,9 milioni). Chiude il podio L’Unità (3,6 milioni).
La società che la edita, Nuova iniziativa editoriale, ha un nuovo azionista di riferimento, Matteo Fago, uno dei fondatori del portale di viaggi Venere.
Sul blog Grillo contesta i bilanci del quotidiano fondato da Antonio Gramsci: “La media vendite del 2012 sul 2011 è diminuita del 19 per cento, con una perdita di 7.529 copie. La perdita, a livello di risultato netto dopo le imposte, nonostante i generosi finanziamenti pubblici, è stata di 4.637.124”.
L’Unità è un calabrone, “non si sa come faccia a volare, ma non fallisce mai”.
Ma stavolta a Grillo va male, perchè trova uno che gli risponde documenti alla mano, ovvero Giovanni Legnini, sottosegretario all’Informazione e all’Editoria : “I fondi sono stati drasticamente ridotti negli ultimi anni. I contributi diretti sono calati. Nel 2008 erano 243 milioni, nel 2014 non raggiungeranno i 60 milioni. La Guardia di Finanza svolge controlli rigorosi per evitare imbrogli”.
Nel 2008 Grillo aveva raccolto le firme per un referendum abrogativo dei contributi per l’editoria, poi naufragato a causa del mancato raggiungimento di quota 500 mila. All’epoca i contributi diretti sfioravano i 250 milioni di euro, senza contare i contributi postali e altre agevolazioni.
Nel 2010 vengono aboliti i contributi indiretti (agevolazioni telefoniche, spedizioni postali, rimborsi per la carta o spedizione degli abbonamenti).
Nel 2012 il governo Monti lega i contributi per le imprese e le cooperative editrici alle copie effettivamente vendute — invece che alle tirature — e al livello occupazionale. Con rimborsi delle spese per il personale e per l’acquisto della carta.
Nonostante l’allarme di Grillo, le risorse dello Stato destinate al settore dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria di Palazzo Chigi, sono drasticamente calate: dai 506 milioni di euro del 2007 ai 185 milioni del 2012. La somma comprende i contributi diretti e altri interventi, come le convenzioni (Rai e agenzie italiane per i servizi esteri).
Fino al 2010 erano comprese le agevolazioni postali, poi sospese.
Per quanto riguarda i contributi diretti, si è passati dai 280 milioni del 2006 ai 58 previsti per il 2014.
Il 2 ottobre la presidenza del Consiglio dei ministri ha corretto al ribasso i sostegni diretti all’editoria per il 2012, decurtando quasi 12 milioni, e facendo calare la somma complessiva a 83 milioni.
Sono 45 le testate che hanno diritto ai contributi diretti, dai quotidiani a diffusione nazionale come L’Unità o Il Foglio (1,5 milioni) alle testate locali come Il Giornale dell’Umbria (1 milione) e il Quotidiano di Sicilia (899 mila euro).
Non mancano le riviste di settore, come Motocross (272 mila euro), Sprint e Sport (332 mila euro), Il Corriere mercantile (1,4 milioni di euro) e quotidiani in lingua straniera, come Dolomiten (1,1 milioni).
La legge di stabilità appena approvata prevede un fondo straordinario per l’editoria: 120 milioni nel triennio 2014-2016 legati alle ristrutturazioni aziendali e agli ammortizzatori sociali.
Il sottosegretario Legnini precisa: “Quei 120 milioni sono destinati ai lavoratori e servono ad arginare la gravissima crisi del settore. Non vanno agli editori, quelle norme sono pensate per aiutare i dipendenti, in entrata e in uscita”.
Di quei 120 milioni, la metà è destinata alle ristrutturazioni aziendali e agli ammortizzatori sociali, alleggerendo quindi gli editori di una parte dei costi per i pensionamenti e le nuove assunzioni.
Insomma, Grillo ha ceffato di brutto anche questa volta.
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Dicembre 29th, 2013 Riccardo Fucile IL GIOVANE BERLUSCONI E GLI APPALTI CON GLI “ASSEGNI IN BOCCA”
Se questo è un perseguitato. Palazzinaro dai capitali svizzeri e misteriosi. Amico di mafiosi. Massone piduista centrale nel progetto di rinascita gelliano. Capo di un impero che ha corrotto finanzieri e giudici. Parte integrante del sistema politico-affaristico della Prima Repubblica democristiana e socialista.
Al secolo Silvio Berlusconi, pregiudicato dall’estate scorsa.
Michele De Lucia, già tesoriere di Radicali italiani, fa esercizio di memoria in un Paese abituato a dimenticare e mette in fila, uno dopo l’altro, i trent’anni di scandali e guai giudiziari (1963-1993) del Berlusconi presunto imprenditore che si è fatto da solo.
Obiettivo : smontare la “balla colossale della sua persecuzione giudiziaria”, ripetuta ossessivamente dal Cavaliere Decaduto da quando è stato condannato definitivamente, nell’agosto di quest’anno, per la frode fiscale sui diritti tv di Mediaset.
Edito da Kaos, che di De Lucia ha pubblicato anche “Il Baratto”, sempre dedicato a B., il titolo del volume è “Al di sotto di ogni sospetto” (298 pagine, 18 euro) e ripercorre tutte le vicende del berlusconismo ante ’94 per arrivare all’unica, vera spiegazione della famigerata discesa in campo: “L’imprenditore Berlusconi nel 1994 è entrato in politica per sottrarsi alla magistratura”.
Altro che “un novello Enzo Tortora”, come ha detto ieri lo stesso De Lucia alla presentazione a Roma, nella sede di Radicali italiani, con Gianfranco Spadaccia e Giuseppe Di Leo.
Prima scena. Milano, 29 maggio 1963. B. ha 26 anni e diventa socio senza quota di capitale della Edilnord. I soldi li mette una finanziaria svizzera di Lugano.
Un anno dopo, Marcello Dell’Utri diventa il suo segretario. Il giovane palazzinaro è figlio di un funzionario della Banca Rasini, piccolo istituto di credito che Michele Sindona “indicherà come crocevia dei capitali mafiosi al nord”.
La prima grande speculazione è Milano 2 a Segrete, terreni acquistati per poco più di 4mila lire al metro quadrato lievitano a 15mila lire.
Giudici e giornali indagano su questa lottizzazione. B. riesce persino a ottenere che venga spostata la rotta aerea di Linate. E lo fa con un trucco in cui compare un sacerdote strano e sospeso a divinis, don Luigi Verzè, che lì costruisce un ospedale: “La carta di volo fornita dall’Alitalia ai piloti reca la macchia scura della lottizzazione ‘Milano 2’ con accanto la scritta ‘Hospital’ , come se tutta la lottizzazione fosse l’ospedale, mentre questi ne è una parte infima”.
Il palazzinaro B. è un prestigiatore che rimane dietro le quinte. I suoi prestanome sono la cugina, la zia, il cognato.
In quegli anni, nei comuni del Milanese, si costruisce solo con le tangenti ai partiti (Dc, Psi ma anche Pci) e lo stesso B. un giorno ricorderà : “Si costruiva con gli assegni in bocca”.
B. è vicino alla Dc e al Psi e non disdegna di finanziare la scissione del Msi, quando nacque Democrazia nazionale.
Berlusconi è un imprenditore del Sistema, con un peccato originale che non sarà mai svelato: gli anonimi finanziamenti svizzeri.
De Lucia passa in rassegna tutte le vicende del berlusconismo pre-politico. la lettura impressiona ancora oggi.
Sono storie torbide, in cui risalta l’avidità senza scrupoli del nascente impero del Cavaliere, supportata dal doppiogiochismo spregiudicato di Previti (l’acquisizione della villa di Arcore, di proprietà dei Casati Stampa) e Dell’Utri.
Non c’è nulla da salvare nella parabola nera dell’uomo di Arcore. Altro che favola.
Il palazzinaro ospita mafiosi (la saga dello stalliere Mangano) e subisce attentati. Davanti ai suoi occhi si consuma un rapimento incredibile (altro mistero) e nel 1978 si iscrive alla loggia P2 di Licio Gelli.
Ogni volta che B. viene sentito sulle sue frequentazioni è reticente nonchè bugiardo (viene anche condannato per falsa testimonianza, ben prima della “persecuzione giudiziaria” iniziata nel 1994.
Altro esempio luminoso. Il giornalista Mino Pecorelli, quello di Op e degli scandali andreottiani, viene ammazzato il 20 marzo 1979.
Due giorni prima, il 18, Pecorelli annota: “Berlusconi-Bonino-Caltagirone”.
Altro appunto: “Edilnord Berlusconi: interessi in Svizzera, la Guardia di Finanza non è mai andata”. Quella stessa GdF controllata da Gelli.
B. guadagnerà mille miliardi di lire dalla vendita dei suoi appartamenti a enti statali e parastatali.
Il lavoro di De Lucia si chiude laddove è partito tutto: la Svizzera. Un’inchiesta per riciclaggio che coinvolge nel ’91 “il clan berlusconiano”.
L’indagine resta senza seguito però. Il berlusconismo no.
Altro capitolo corposo è la guerra delle antenne che squassò la Dc durante il governo Craxi.
B. utilizza 91 miliardi di lire per sorvegliare la discussione della legge Mammì, interamente a suo favore.
Ennesimo dettaglio. In un’inchiesta a Napoli viene arrestato un tuttofare berlusconiano, Maurizio Japicca. Ha schedato i politici amici. Tra i nomi: Giorgio Napolitano.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano”)
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