Dicembre 30th, 2013 Riccardo Fucile TRA VETI E CONVENIENZE DEI PARTITI SPUNTA IL DOPPIO TURNO NAZIONALE… MA ORA SI ASPETTA LA CONSULTA
Accelerare. Far presto. Chiudere comunque, con chi ci sta.
Il pressing di Matteo Renzi sulla legge elettorale sembra aver funzionato: tra incontri ufficiali e colloqui riservati, tre dei quattro principali attori della scena politica — Pd, Forza Italia e Nuovo Centrodestra — stanno mettendo le carte in tavola per trovare un punto d’incontro che permetta di varare una nuova legge elettorale in tempi rapidissimi: settimane, non mesi.
Ma esiste davvero, un massimo comune denominatore capace di mettere d’accordo Renzi, Berlusconi e Alfano? E quale potrebbe essere?
Si parte dalla legge attuale, il Porcellum, che tutti dicono di voler abolire perchè non permette all’elettore di scegliere i parlamentari (e questa è anche l’inconfessabile ragione della sua sopravvivenza: a quasi tutti i segretari di partito non dispiaceva affatto quel potere di decidere chi diventava deputato o senatore).
La Corte Costituzionale lo ha corretto, bocciando le liste bloccate senza preferenze e il premio di maggioranza attribuito con la sola maggioranza relativa, quel premio che ha permesso al centrosinistra di conquistare la maggioranza assoluta alla Camera con appena il 29,5 per cento dei voti.
Ma la Corte non ha ancora reso note le motivazioni della sua sentenza: lo farà a metà gennaio, e molti aspettano proprio quel documento per capire, per esempio, se le liste bloccate sono incostituzionali sempre e comunque o se sono ammesse per una quota limitata dei seggi, come accadeva già con il Mattarellum.
O se magari sono ritenute legittime liste corte, con pochi nomi.
Non si tratta di un dettaglio secondario, come vedremo, ed è per questo che le trattative sono sostanzialmente ferme fino alla pubblicazione della sentenza.
Cosa vuole il Pd?
Il nuovo leader del Partito democratico non ha indicato un modello preciso, ma ha messo in chiaro che la nuova legge elettorale dovrà soddisfare tre requisiti fondamentali.
Primo, dovrà mantenere il bipolarismo, chiudendo la stagione delle larghe intese. Secondo, dovrà riconsegnare all’elettore il potere di scegliere i parlamentari. Terzo, dovrà consegnare al Paese, la sera stessa delle elezioni, il vincitore che governerà per i successivi cinque anni.
La neoresponsabile delle riforme istituzionali del Pd Maria Elena Boschi ha chiarito ai suoi interlocutori che non ci sono preclusioni per nessuna soluzione, purchè consenta di raggiungere tutti e tre questi obiettivi.
Vediamo allora quali sono le proposte in campo.
IL DOPPIO TURNO NAZIONALE
E’ la proposta elaborata dall’ex presidente della Camera Luciano Violante: sistema proporzionale con un voto di preferenza (o due, uno a un uomo e uno a una donna), sbarramento al 5 per cento, premio di maggioranza per chi raggiunge il 40-45 per cento e ballottaggio tra il primo e il secondo (partito o coalizione) se nessuno raggiunge quella soglia.
Oltre al Pd, sono a favore Scelta Civica e Sel, ma gli altri hanno votato contro quando la proposta è stata messa ai voti al Senato. La novità è che, mentre il Pdl era contrario, oggi sia Forza Italia che il Nuovo Centrodestra potrebbero prenderla in considerazione, anche se con alcune modifiche.
IL DOPPIO TURNO DI COLLEGIO
E’ il sistema vigente in Francia: se nessuno dei candidati raggiunge la metà più uno dei voti nel collegio, si va al ballottaggio. Niente preferenze, niente liste bloccate.
Ma se in Francia il meccanismo ha funzionato grazie al traino del voto presidenziale, in Italia l’attuale tripolarismo non gli permetterebbe di soddisfare il terzo requisito di Renzi: l’indicazione immediata di un vincitore.
Non solo, ma Berlusconi non ne vuole sentir parlare, perchè nei Comuni il doppio turno ha giocato quasi sempre a suo sfavore. La motivazione ufficiale è che gli elettori di centrodestra non tornano ai seggi per la seconda volta, quella vera è la paura che l’antiberlusconismo coalizzi dappertutto i suoi avversari.
IL SISTEMA SPAGNOLO
E’ la soluzione che Denis Verdini sponsorizza da tempo, e che sembra aver convinto anche Berlusconi: collegi provinciali con liste bloccate (in Spagna la media è di sei candidati). Così com’è non soddisfa nessuno dei tre requisiti di Renzi: non è bipolarista, non permette la scelta del candidato e soprattutto non sforna una maggioranza certa, essendo proporzionale allo stato puro. Ma Verdini propone di correggerlo con premio di maggioranza da assegnare con un ballottaggio nazionale, modifica che soddisferebbe due dei tre requisiti, ma non il terzo (il potere di scelta dell’elettore tra più candidati).
IL MATTARELLUM
Il ritorno al sistema precedente (tre quarti dei seggi assegnati nei collegi uninominali maggioritari, un quarto con la proporzionale alle liste bloccate di partito) è stata a lungo una bandiera del Pd, e adesso anche il capogruppo forzista Brunetta vorrebbe riadottarlo per andare subito alle urne (Verdini invece è contrario, perchè teme che il sistema che nel 2001 consegnò al centrodestra un trionfale 61-0 in Sicilia possa condurlo oggi a una disastrosa sconfitta, stavolta su scala nazionale).
Neanche il Mattarellum, così com’era, sarebbe però in grado di incoronare certamente un vincitore. Ecco perchè Renzi ha elaborato una modifica fondamentale: incastrare un premio di maggioranza tra i collegi uninominali e la quota proporzionale.
Oltre a metà dei forzisti, bisognerebbe comunque convincere anche gli alfaniani, assolutamente contrari a questa soluzione.
IL TATARELLUM
Al Nuovo Centrodestra di Alfano (e forse anche a Casini) non dispiace l’idea di adottare un sistema che ricalchi quello in vigore nelle Regioni: liste con preferenza nelle circoscrizioni, e alla coalizione più votata un premio di maggioranza da assegnare con liste bloccate.
Per superare l’incostituzionalità del premio assegnato senza un quorum, Alfano accetterebbe un doppio turno nazionale, ma dovrebbe fare i conti con la fortissima resistenza di Berlusconi alla reintroduzione del voto di preferenza.
L’INTESA POSSIBILE
Molto dipenderà , come dicevamo, dalle argomentazioni con cui la Corte motiverà la bocciatura del Porcellum. Se dovesse dichiarare incostituzionale qualunque lista bloccata, anche corta, allora rimarrebbero in campo solo le soluzioni che prevedono i collegi uninominali o il voto di preferenza, ma resterebbe comunque da sciogliere un nodo fondamentale, la garanzia di un vincitore certo.
E l’unica soluzione che permetterebbe di ottenere questo risultato, dopo la bocciatura del premio di maggioranza (senza quorum), è il ballottaggio nazionale tra le due coalizioni più votate, con il quale si potrebbe assegnare il premio a chi conquista al secondo turno la metà più uno dei voti.
Di questo, a poco a poco, si stanno convincendo tutti i protagonisti della trattativa.
Sebastiano Messina
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 30th, 2013 Riccardo Fucile NELLE BOZZE DELLA MAGGIORANZA, ARRESTI PIÙ DIFFICILI PERFINO PER GLI ASSASSINI INCENSURATI E NIENTE PIÙ MANETTE A SORPRESA
La maggioranza e il governo lavorano per riformare la giustizia, con un grave rischio: compromettere
la sicurezza pubblica, allargando le garanzie per gli indagati, ancor di più se incensurati, e ostacolando le inchieste.
Da una parte il prossimo 8 gennaio torna in aula il provvedimento, già licenziato dalla commissione Giustizia alla Camera, di cui è presidente Donatella Ferranti (Pd), sulla carcerazione preventiva.
Dall’altra parte, la commissione ministeriale, guidata dal magistrato Giovanni Canzio, ha elaborato una bozza di riforma che potrebbe approdare ben presto in Consiglio dei ministri.
Ma ccome cambierà il sistema giustizia nel nostro Paese? Fanno discutere in particolare le modifiche al Codice di procedura penale inserite nella bozza governativa che riguardano la carcerazione preventiva.
La prima attiene la collegialità del giudice per l’applicazione della misura cautelare. Mentre adesso a decidere se mandare in galera qualcuno è un solo gip, con la riforma saranno necessari addirittura tre giudici con conseguente soppressione del Tribunale del Riesame.
E immaginiamo le difficoltà di personale e di incompatibilità dei tribunali più piccoli. Ma non è tutto.
In futuro, come prevederebbe la bozza della commissione ministeriale guidata da Canzio, l’indagato avrà anche diritto all’ascolto preventivo.
Insomma, si ha il diritto a essere avvertiti nel momento in cui qualche pm chiede l’arresto prima che il collegio valuti la richiesta.
Elemento questo su cui si mostra scettica la presidente della commissione Giustizia alla Camera, Donatella Ferranti: “Non ho letto il testo, stando alle notizie di stampa, con questa modifica si svuoterebbe di senso e di efficacia la misura cautelare”.
Anche in tema di colloqui le cose potrebbero cambiare: non ci saranno più limiti alle conversazioni tra l’arrestato e il difensore, salvo per chi è indagato per reati di mafia e terrorismo.
Se ad oggi il divieto dei colloqui degli arrestati può protrarsi fino a cinque giorni, con la riforma tutto ciò non sarà più necessario. Di conseguenza i legali, potranno istruire bene i propri clienti sulla versione da fornire al magistrato.
Ci sono anche altre novità , come quella che esclude dal giudizio abbreviato le parti civili, che potranno rappresentare le proprie posizioni al di fuori della sede penale. Ossia in quella civile, che di solito è molto dispendiosa.
Inoltre, verrebbe depennato il diritto dell’imputato di presentare personalmente il ricorso in Cassazione e introdotta la possibilità di archiviare i reati meno gravi. Fin qui la bozza del governo.
Ma l’8 gennaio sarà in aula anche un altro provvedimento, pesantemente osteggiato dall’Associazione nazionale delle toghe.
È il disegno di legge che riforma la custodia cautelare. Uno il punto contestato: un giudice non potrà più applicare la misura cautelare, coercitiva o interdittiva, ricavando il pericolo di reiterazione del reato e pericolo di fuga ‘esclusivamente’ dall’efferatezza del reato contestato.
Quindi, carcere o domiciliari più difficili e il magistrato dovrà valutare oltre al fatto anche la personalità del soggetto, i trascorsi, i comportamenti passati e presenti.
Se incensurati, per i funzionari pubblici che accettano la loro prima mazzetta, e addirittura per i killer al loro primo colpo, la vita sarà molto più semplice. “Paradossalmente — spiega il presidente dell’Anm, Rodolfo Maria Sabelli — sarà più facile mandare in galera un borseggiatore recidivo che un omicida al primo reato o anche un funzionario che si fa corrompere per la prima volta. Rischiamo di non riuscire ad applicare a un’omicida neanche un divieto di espatrio”.
Ferranti non individua alcun rischio per la sicurezza collettiva: “Ci sarà bisogno di un rigore motivazionale maggiore, ma anche di uno sforzo investigativo che sostanzi l’applicazione della misura cautelare”. E conclude: “Spesso, leggendo le misure cautelari, emergono motivazioni stereotipate in merito alla reiterazione del reato”. Mentre l’Anm sul punto denuncia il rischio per la sicurezza, il governo prepara la controriforma che azzoppa le inchieste.
Valeria Pacelli e Nello Trocchia
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 30th, 2013 Riccardo Fucile IL NUMERO UNO DELLA BREMBO E PRESIDENTE DI SCELTA CIVICA: “IL CAVALIERE HA PROMESSO MOLTO SENZA MANTENERE NULLA”…”OGNI INCONTRO D’AFFARI CI SORBIVAMO UNA STORIELLA DA PARTE DEI PARTNER ESTERI”
Se all’estero avevano ancora dei dubbi sui guasti del berlusconismo, ci ha pensato Alberto Bombassei, presidente di Scelta Civica ma, soprattutto, di uno dei goielli del made in Italy, il gruppo Brembo, a esprimere una posizione netta in una lunga intervista ad un autorevole quotidiano elvetico.
Per intenderci, Brembo è il leader mondiale indiscusso dei freni ad alta tecnologia, adottati dai marchi di auto e moto più prestigiosi.
“Quando Berlusconi era premier – dice il 73enne industriale al Tages Anzeiger di Zurigo – gli imprenditori italiani che si recavano all’estero dovevano sorbirsi, regolarmente, ad ogni incontro d’affari, una storiella su di lui. Per fortuna le cose, adesso, sono radicalmente cambiate”.
“Berlusconi – continua il suo affondo Bombassei – ha promesso molto senza mantenere nulla”.
Impietoso, pure, il giudizio sulla classe politica italiana, che per il magnate dei freni richiama “lo stile dei Borboni”.
Il Parlamento, poi, gli ricorda “l’arena di Verona” e dei Parlamentari lo ha colpito “l’incompetenza e la distanza dai problemi della gente”.
Di Monti, invece, Bombassei dice che “ha salvato l’Italia in un momento difficile ma che la gente non ne è consapevole”.
Quanto a Enrico Letta, la sua coalizione assomiglia a “un bollito misto”. Nulla a che vedere con la “grosse Koalition guidata dalla Merkel”.
Perchè l’Italia si salvi cosa deve fare, allora, viene chiesto a Bombassei? Per il presidente di Scelta Civica “la politica deve cambiare la legge elettorale, di modo che entrino in Parlamento delle persone scelte dai cittadini, mentre gli imprenditori devono essere convinti a non fuggire all’estero”.
Soprattutto, però, Bombassei ritiene che “gli utili delle aziende devono essere reinvestiti nell’innovazione, nella meccatronica e nelle nanotecnologie”.
Ma perchè, a 73 anni, invece di scorrazzare sulla sua barca nel Mediterraneo, o di giocare a golf, Bombassei si è dato alla politica? “Per spirito di servizio. In passato, come imprenditore, ho ottenuto tanto grazie al mio Paese. Adesso è arrivato il momento di restituire”.
Franco Zantonelli
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Dicembre 30th, 2013 Riccardo Fucile L’ATTESO RICAMBIO PARTORISCE ALTRI POLITICI DI PROFESSIONE E RENZI E’ COME GLI ALTRI
Diciamoci la verità : questi quarantenni sono appena arrivati e hanno già discretamente rotto. 
Il fatto è che i giovani troppo a lungo rimasti ai margini della vita civile non li immaginavi così: politici di professione.
Ricordavi quei professori maltrattati dalle patrie università dove dominano i baroni e approdati all’Mit di Boston.
Vedevi giornalisti scomodi, intellettuali ghettizzati, ragazzi impegnati con le ong nel terzo mondo. Pensavi a quella forza che preme nella gioventù. Al desiderio senza compromessi di cambiare il mondo come in Aden Arabia di Paul Nizan
E invece, dopo decenni di attesa, il ricambio generazionale ha partorito Enrico Letta, Matteo Renzi e Angelino Alfano, che saranno pure quarantenni, ma hanno le stesse stimmate di chi li ha preceduti: sono tre politici di professione.
Con qualche aggravante: Letta è il nipote coccolato e fortunato di Gianni Letta. Cioè dell’eminenza grigia, grigissima, di Silvio Berlusconi.
Mentre Alfano del Cavaliere ha eseguito qualsiasi istruzione. Finchè non gli ha voltato le spalle. Insomma, ecco il volto giovane della Casta.
Quarantenni, sì, anagraficamente, ma nello spirito Matusalemme al confronto è un poppante. E come loro decine di neodirigenti di partito, a destra e a sinistra, che oggi nelle città si propongono con l’autorità dell’anagrafe. Un po’ poco.
Così i nuovi dirigenti del Pd subito nominati da Renzi. Carini, giovani. Un’impressione di freschezza, un profumo di borotalco. Magari si dimostreranno i migliori del mondo, ce lo auguriamo. Ma con che titoli sono stati scelti?
Sono gente che si è distinta nella lotta contro la mafia, la rovina dell’ambiente, la corruzione, la lottizzazione dei partiti? Risposta: hanno trent’anni. Stikazzi, direbbero a Roma
Il punto è che in Italia riusciamo a trasformare tutto in slogan.
Peggio: si cavalca un’istanza giusta, scimmiottandola, svuotandola.
Alla fine annullandola con l’illusione di averla risolta. I nodi veri dei diritti hanno la durata di una campagna pubblicitaria: prima tocca ai gay che si difendono a favore di telecamera, ma in privato si chiamano ancora froci.
Poi si scoprono i neri che si mettono in lista, ma si lasciano morire come cani in mezzo al mare di Lampedusa.
Quindi le donne, per cui è più facile prevedere quote sulla carta che rispetto nella sostanza
E ora tocca ai quarantenni. Accendi la tv e te li trovi sempre davanti. Anche nel cuore della notte quando cerchi un film.
Eccoli, pronti ad alzare il sopracciglio perchè loro sono la nuova generazione. Ma gli italiani chiedono soltanto una classe dirigente nuova e non compromessa. Competente e coraggiosa. Cioè che finalmente si decida in base al merito.
Che non è scritto sulla carta d’identità .
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 30th, 2013 Riccardo Fucile IL BUCO RISCHIA DI ESSER SUPERIORE AI 7 MILIONI DI PERDITE DEL 2012
Quando nel novembre scorso Antonio Misiani, fedelissimo di Bersani, nominato tesoriere dall’allora segretario, aveva detto che Matteo Renzi «tanto avrebbe trovato le casse vuote», gli uomini del sindaco l’avevano presa come una battuta. Ora dovranno ricredersi.
Ai renziani è stato lasciato in eredità ben di peggio.
Se nel 2012 il bilancio del partito registrava 7 milioni di perdite nel 2013 il buco rischia di essere ancora maggiore. E questo è avvenuto quando i rimborsi elettorali erano già stati dimezzati e il disegno di legge per la loro graduale abolizione già incardinato alla Camera.
Tant’è vero che si sta pensando di rispondere a questa situazione d’emergenza con una «due diligence», come si fa per le aziende.
Si affiderà , cioè, a un gruppo di professionisti il compito di verificare tutti i rapporti bancari, i contratti e quant’altro. Ci vorrà un mesetto di tempo.
Dopodichè probabilmente verrà messo tutto in Rete: il passato, il presente e il futuro. In modo che le spese del Pd siano trasparenti e ogni elettore possa verificarle.
Immerso nel lavoro, il nuovo tesoriere del partito, Francesco Bonifazi, fedelissimo del segretario, non si fa strappare una parola nemmeno sotto tortura. Ma le mura del palazzo del Nazareno hanno occhi e orecchie. E le prime indiscrezioni cominciano a trapelare.
Gli elementi che saltano all’occhio sono fondamentalmente tre.
Il primo: i dipendenti del Pd e i dirigenti politici avevano stipulato un accordo interno per il blocco delle assunzioni nell’arco del 2012-2013. Patto che non è stato rispettato quando si è trattato di piazzare al Nazareno, come quadri, otto nuovi dipendenti, nel gennaio del 2013. Guarda caso un mese prima delle elezioni. Guarda caso tutti e otto poi eletti in Parlamento. A loro, evidentemente, bisognava fornire una rete di protezione, in caso di scioglimento anticipato della legislatura.
Non finisce qui: altre assunzioni sono state fatte anche nell’agosto del 2012, sempre nell’era bersaniana. Anche questi dipendenti presi come quadri, il che significa che hanno una tutela maggiore di altri in caso di ristrutturazione dell’organico.
Per chiarire la situazione dal punto di vista degli oneri finanziari, il Pd ha circa 200 dipendenti, 150 lavorano al partito, gli altri sono distaccati e il costo medio di un dipendente è di 67 mila euro lordi.
Ma ecco che arriva il secondo capitolo relativo alla gestione delle spese del Nazareno. Al 31 ottobre del 2012 sono stati spesi 958 mila euro di consulenze in un anno.
E sempre in quello stesso arco di tempo giù una sfilza di cifre: 446 mila euro che vanno sotto la voce «viaggi nazionali», 333 mila per «servizi generali», 230 mila per rimborsi di alberghi, 236 mila per le agenzie di stampa, 635 mila per la manutenzione. In quest’ultimo ambito rientra anche la manutenzione del sito web del partito, che ha un costo notevole: sono stati spesi 327 mila euro in un solo anno
Ma la voce che impressiona di più è un’altra. Riguarda la propaganda: sei milioni di euro. Una cifra da capogiro, tanto più se si pensa a quali sono stati poi quattro mesi dopo i risultati per il Partito democratico di questo sforzo economico a livello elettorale.
Di questa somma la metà circa è andata in inserzioni e pubblicità sui media. Mentre ben più di un milione è stato il costo delle affissioni dei manifesti.
Un ritmo di spese a dir poco sostenuto, che sembrava quasi dare per scontato il fatto che in realtà , alla fine della festa, i rimborsi elettorali, in un modo o nell’altro, non sarebbero stati mai veramente cancellati.
Un ritmo che non si è interrotto neanche l’anno dopo, nel 2013. Ancora è presto per avere un dato finale riguardo questa stagione che ha visto il Pd impegnato in una campagna elettorale che ha prodotto altri significativi esborsi di soldi. Ma le previsioni sono improntate al pessimismo.
Racconta qualche dipendente, ovviamente con la premessa di voler mantenere l’anonimato, che i renziani si aggirano per il palazzo del Nazareno con le mani ai capelli e che si lasciano sfuggire frasi del tipo: «Vuoi vedere che ce l’hanno fatto apposta a lasciarci queste voragini?».
Processo alle intenzioni? La dietrologia in politica, si sa, ha sempre la meglio. Ma i numeri, invece, sono quelli che sono, immagazzinati in un computer o stampati nero su bianco su fogli che vengono letti e riletti quasi ogni giorno. E si giunge così al terzo e ultimo capitolo di questa storia. Riguarda il rapporto tra il Partito democratico e l’Unità .
Nel corso del tempo il Pd si è impegnato, come è normale che sia, ad acquistare un certo numero di copie e di abbonamenti del quotidiano fondato da Antonio Gramsci. Ogni volta veniva stipulato un contratto.
Ma di contratti ce ne sono stati diversi in questi ultimi due anni. L’ultimo porta la data del 17 ottobre del 2013, quando Pier Luigi Bersani si era già dimesso e al suo posto era stato eletto segretario Guglielmo Epifani, all’Assemblea nazionale del Pd , alla Fiera di Roma.
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 30th, 2013 Riccardo Fucile CROLLA LA FIDUCIA NEI PARTITI E L’EUROPA NON PIACE PIU’….IL TREND E LE ATTESE…SI’ ALL’ELEZIONE DIRETTA DEL CAPO DELLO STATO
Alla ricerca di comunità , di appigli a cui attaccarsi. Per ora, con scarsi esiti. 
È il ritratto in chiaroscuro tratteggiato dalla XVI indagine di Demos, dedicata al “rapporto fra gli Italiani e lo Stato”
1. Il primo aspetto che emerge, come si è detto, riguarda il distacco profondo dalle istituzioni politiche e di governo. Non è un fatto nuovo, ma colpisce, comunque, per le proporzioni che ha assunto.
Lo Stato, le Regioni, i Comuni: le sedi del governo centrale e locale, rispetto a un anno fa, hanno perduto ulteriormente credito. Come il Presidente della Repubblica (quasi 6 punti in meno), che paga il ruolo da protagonista assunto, negli ultimi mesi.
E se il Parlamento e gli stessi partiti hanno perduto pochi consensi è solo perchè non hanno più molto da perdere, vista la residua dote di fiducia di cui ancora dispongono. Molto al di sotto del 10%
2. Non deve sorprendere, allora, che si parli in modo aperto di crisi della democrazia rappresentativa. Visto che gli attori e le sedi principali della rappresentanza democratica — i partiti e il Parlamento — appaiono delegittimati. D’altra parte, quasi metà degli italiani pensa che la democrazia sia possibile “anche senza i partiti”. E forse, implicitamente, che gli stessi partiti siano un problema per la democrazia. Mentre oltre il 30% ritiene che si possa (convenga?) rinunciare alla democrazia
3. Bisogna, peraltro, resistere alla tentazione di considerare questo ritratto la copia di altre raffigurazioni, proposte in precedenza. A differenza del passato, non solo recente, oggi non si salva nessuno. E nessuno ci salva. Non c’è più un Presidente a cui affidarsi. Gli stessi magistrati, comunque vicini al 40% dei consensi, sono lontani dai livelli raggiunti negli anni di Tangentopoli quando sfioravano il 70% (Ispo, 1994). E se, alla fine degli anni Novanta, per “difendersi dallo Stato” ci si affidava all’Europa, oggi il problema pare, al contrario, difendersi dall’Europa. Visto che la fiducia nella UE è “caduta” di oltre 11 punti nell’ultimo anno, ma di circa 20 rispetto a 10 anni fa
4. Così, oltre alle associazioni degli imprenditori, che, però, si posizionano in basso, nella graduatoria, le uniche istituzioni che facciano osservare un sensibile aumento della fiducia presso gli italiani sono le Forze dell’ordine (di quasi 4 punti) e, ancor più, la Chiesa (di 10). Nel primo caso, per la crescente domanda di sicurezza, in tempi tanto incerti. Nell’altro, per la capacità di Papa Francesco di “comudente nicare” valori condivisi in modo pop(olare). E di testimoniare come la Chiesa sia in grado di cambiare. Superando tensioni interne non esplicite, ma rese evidenti dalle dimissioni di Papa Benedetto XVI
5. Il distacco dallo Stato appare così forte che l’alternativa tra ridurre le tasse e i servizi ha cambiato di segno, rispetto a pochi anni fa. Meno di dieci anni fa, nel 2005, la maggioranza degli italiani (54%) riteneva più importante potenziare i servizi. Oggi il rapporto si è rovesciato, visto che il 70% considera prioritario “ridurre le tasse”. Ciò significa che i costi del sistema pubblico sono divenuti insopportabili, agli occhi dei cittadini. In-giustificabili, comunque, di fronte alla qualità dei servizi offerti
6. Ciò è tanto più significativo — e inquietante — in tempi di crisi profonda, come questi. Il bilancio del 2013 tratteggiato dagli italiani (intervistati da Demos) appare, infatti, drammatico, più che serio. Sotto tutti i profili.
Per primi: l’economia e il fisco. Poi: la politica, il reddito delle famiglie. La sicurezza. La credibilità internazionale del Paese. E se le attese per l’anno che verrà sembrano (un po’) migliori, probabilmente, è perchè sperare non costa niente. E, comunque, peggio di così… D’altronde, è difficile fare previsioni, se quasi 6 persone su 10 pensano che la crisi durerà almeno altri due anni. Se circa il 53% del campione (quasi 6 punti più di un anno fa) ritiene inutile fare progetti futuri. Perchè il futuro è troppo incerto. Esiste solo il presente
7. Così non debbono suscitare sorpresa gli indici di partecipazione, assai diversi dal clima d’opinione. La sfiducia nei confronti dello Stato e delle istituzioni, la frustrazione “pubblica” e la rabbia antifiscale, l’assenza di futuro, infatti, non hanno inibito la partecipazione sociale. Al contrario.
Circa 5 italiani su 10 dichiarano, infatti, di aver frequentato, nel corso del 2013, manifestazioni politiche, di tipo tradizionale e nuovo (attraverso la Rete o il consumo responsabile). Oltre 6 affermano, ancora, di essere stati coinvolti in attività di partecipazione sociale. I più giovani (15-24 anni), in particolare, mostrano un coinvolgimento molto ampio (36%) nelle manifestazioni di protesta e nelle mobilitazioni “in Rete”
8. Da ciò il paradosso: una società effervescente e in movimento in un Paese senza riferimenti, sfiduciato di fronte a istituzioni senza fiducia. A poteri locali e territoriali sempre più delegittimati
Ma, in effetti, il contrasto è solo apparente. Perchè la mobilitazione della società costituisce, in parte, una reazione “alla” sfiducia. Riflette, dunque, la ricerca di risposte attraverso l’impegno personale e collettivo. Senza rassegnarsi alla delusione. Insieme. Perchè partecipare produce legami sociali e di comunità . D’altra parte, la mobilitazione dei cittadini sottende anche una reazione “di” sfiducia: contro gli attori e le istituzioni della democrazia rappresentativa. Un fenomeno canalizzato, alle elezioni politiche, dal M5S. Ma una partecipazione tanto estesa, in tempi di sfiducia verso lo Stato, echeggia un malessere diffuso, da cui emerge, fra l’altro, la protesta amplificata dai Forconi
9. Dietro a tanto “movimento” della società si intuisce il vuoto lasciato dagli attori e dalle istituzioni rappresentative. Non a caso quasi 3 italiani su 4 si dicono d’accordo con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Quasi un antidoto al distacco dai partiti e dai governi, a livello centrale e sul territorio
10. Il clima “antipolitico” che pervade l’Italia in questo passaggio d’anno (e, forse, d’epoca), dunque, evoca il vuoto della politica e, al tempo stesso, una domanda di politica molto estesa. E altrettanto delusa.
Non può durare ancora a lungo, tutto ciò, senza conseguenze. Ma per reagire in modo efficace a questa emergenza democratica occorre guardare nella direzione giusta. Perchè i nemici della democrazia rappresentativa non sono solo coloro che la osteggiano apertamente. Ma, anzitutto, coloro che la tradiscono.
Perchè la rappresentano in modo irresponsabile.
Senza efficienza e senza passione. Senza dignità
Ilvo Diamanti
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 30th, 2013 Riccardo Fucile IL CAVALIERE SPERA: “SE STACCA LA SPINA PUO’ RIMEDIARE AL TRADIMENTO”
Governo di scopo, voto a maggio, partito in assetto da guerra con tanto di “tutor” azzurri per ogni elettore italiano, perchè questa volta serve «il miracolo ».
Silvio Berlusconi passa le vacanze chiuso nella tana di Arcore a studiare e sognare la riscossa. «Questa volta o la va o la spacca».
Chiama al telefono Miccichè che riunisce i suoi a Cefalù. «Cinque mesi ci dividono dal 25 di maggio, meglio se insieme alle europee avremo anche le politiche», è il messaggio dell’ex premier.
Esorta gli italiani a «imparare a votare», torna a chiedere l’elezione diretta del Capo dello Stato.
A chiarire il piano del Cavaliere ci pensa il Mattinale, la nota politica del gruppo alla Camera: «Letta via subito, governo di scopo per una legge elettorale maggioritaria ed elezioni con le europee».
Semplice a dirsi, difficile a farsi. Berlusconi sa che ormai lui, passato all’opposizione, non può far cadere il governo.
Per questo punta tutto su Renzi, si convince che sarà lui a regalargli quel voto che vede come un lavacro elettorale dopo la condanna definitiva.
«Renzi ha preso di mira Alfano, lo provoca per fargli buttar giù il governo senza sporcarsi le mani». Il che a Berlusconi andrebbe benissimo. Tanto che invoglia l’ex delfino a far cadere il governo facendogli balenare scenari rosei.
Come dimostra l’apertura di ieri del Giornale: «Alfano, ultima chiamata. Se stacca la spina può rimediare al suo tradimento, altrimenti scomparirà come Fini».
Intanto il Cavaliere lavora per preparare Forza Italia alla campagna elettorale. La vuole al punto da programmare già ora offensive mediatiche in grande stile.
Oggi, per dire, sarà intervistato al Tg5. Forza Italia si va strutturando su due pilastri: il partito tradizionale e il movimentismo dei Club e dell’Esercito di Silvio.
Ma prima di varare il piano ci sono le beghe interne da risolvere.
Lo scontro è sui tre coordinatori di Fi, o meglio vicepresidenti, immaginati da Berlusconi. Si parla di Toti, Tajani e una donna, Gelmini o Bernini.
Ma i falchi, che rivendicano di avere salvato l’agibilità politica di Silvio portandolo all’opposizione, non vogliono essere guidati da personalità che sentono estranee. Dalla loro c’è lo statuto, che non prevede altro che il presidente (Berlusconi) e un coordinatore organizzativo. «E cambiarlo sarà molto, molto difficile», avverte uno di loro.
Il Cavaliere capita l’antifona potrebbe fare marcia indietro, rinunciare al triumvirato e lasciare solo Verdini a capo della macchina organizzativa.
Inizia invece a girare un possibile organigramma del futuro Comitato di presidenza, il cervello del partito composto da 36 persone tra aventi diritto (capigruppo, vice, governatori) e 12 nominati da Silvio.
Con una serie di deleghe: Toti alla comunicazione, Fitto agli enti locali (ma non è certo di accettare), Santanchè al fund raising e alle manifestazioni, Capezzone ai dipartimenti, Fontana al tesseramento, Abrignani alle questioni elettorali.
E se saltassero i vicepresidenti potrebbe nascere una cabina di regia di 5 o 6 fedelissimi da riunire più velocemente del Comitato di presidenza.
Ci sarà poi una Consulta del presidente, un pensatoio economico composto da imprenditori ed economisti. Infine i coordinatori regionali, altra grana per Berlusconi che non riesce a nominarli per le lotte tra le diverse fazioni.
Per questo, per accontentare tutti, pensa a un Comitato regionale con un presidente affiancato da 2-4 coordinatori con specifiche mansioni.
E qui si arriva al lavoro sul territorio che trova il suo fulcro nei Club, il grande progetto di Berlusconi.
«Raggiungeremo — ha detto ieri l’ex premier — gli elettori indecisi e quelli di Grillo, 24 milioni di persone, con i 12mila Club che puntiamo a creare in tutta Italia. Ogni Club dovrebbe curare 4 sezioni elettorali, in media 752 elettori ciascuna».
L’idea è che i Club (ad oggi circa 7.000) prenderanno le liste elettorali di ogni sezione per fare una “mappatura del voto”.
Le “Sentinelle” di Silvio andranno a vedere chi non ha votato e cercheranno di conquistarlo. Snobberanno gli elettori Pd, andranno a bussare alla porta dei forzisti «per tenerli caldi» e dei grillini per convertirli al verbo di Silvio.
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 30th, 2013 Riccardo Fucile LA COMPRAVENDITA VOTI NON SAREBBE A RISCHIO PRESCRIZIONE
Uno che c’era ricorda perfettamente che circolavano «offerte di ogni tipo», pur di non far votare la
mozione di sfiducia.
Ai pm napoletani Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock, che gli avevano chiesto della compravendita del senatore Sergio De Gregorio, l’allora presidente della Camera, Gianfranco Fini, rispose di non saperne nulla ma alla domanda seguente Fini mette a verbale: «Con riferimento alla successiva vicenda, riferita alla mozione di sfiducia presentata nell’autunno del 2010, posso dire che è certamente vero che alcuni deputati di Futuro e libertà sottoscrittori della mozione di sfiducia non la votarono. Ma non conosco ragioni diverse da quelle pubblicamente addotte dagli interessati».
Si annuncia una pessima befana per Silvio Berlusconi.
Fu l’ex senatore Sergio De Gregorio, in uno dei suoi interrogatori, a svelare ai pm napoletani questo nuovo scenario.
Lui che aveva confermato a Woodcock e a Piscitelli di essere stato comprato da Silvio Berlusconi per tre milioni di euro, ha messo a verbale una «confidenza» fattagli da Denis Verdini, uno dei tre triunviri del Pdl: «Verdini mi raccontò di aver convinto Luca Barbareschi a passare il guado in cambio di una fiction con Mediaset».
Una dichiarazione che non è stata lasciata cadere nel vuoto. E che, evidentemente, in questi mesi è stata al centro di un’attività di verifica per trovare conferme che alcuni deputati di Futuro e libertà furono al centro di una campagna acquisti.
Di sicuro, alcuni di loro tornati nel Pdl sono stati poi determinanti per non far dimettere il governo Berlusconi, avendo la Camera respinto la mozione di sfiducia presentata dai finiani e votata il 14 dicembre del 2010.
Fa mettere a verbale Gianfranco Fini: «Il ripensamento di alcuni sottoscrittori di quella mozione fu poi determinante per il respingimento della stessa».
Fabio Granata, oggi tra i promotori di “Green Italia”, deputato di stretta osservanza finiana, ricorda perfettamente la vigilia di quella votazione che avrebbe dovuto far cadere il governo Berlusconi.
«Fino alla sera prima non ci sentivamo sicuri. Avevamo sentore che qualcuno stesse per lasciarci. In quei giorni avemmo tutti la percezione diretta di offerte di ogni tipo. Aldo di Biagio, che rimase con noi, disse pubblicamente che gli fu fatta una offerta di mezzo milione di euro per una Fondazione…».
Consultando l’archivio storico dell’Ansa, effettivamente il non voto di Silvano Moffa e il voto contrario di Catia Polidori e Maria Grazia Siliquini, tutti e tre provenienti da Futuro e libertà , furono determinanti per la tenuta della maggioranza: la mozione fu bocciata con 314 contrari e 311 a favore.
Di certo, ricordano oggi gli ex finiani, Catia Polidori divenne sottosegretaria, Silvano Moffa, presidente della commissione Lavoro della Camera. Maria Grazia Siliquini fu nominata nel cda delle Poste italiane.
«Poi ci fu un’altra tornata di passaggi da Futuro e libertà al Pdl – ricorda Fabio Granata – Luca Barbareschi, Andrea Ronchi, Adolfo Urso, Pippo Scalia e Luca Bellotti».
Guido Ruotolo
(da “La Stampa”)
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Dicembre 30th, 2013 Riccardo Fucile L’INTERVENTO DI SUSANNA PENCO, BIOLOGA PRESSO MEDICINA SPERIMENTALE DELL’UNIVERSITA’ DI GENOVA
Si è accesa in queste ore un’aspra polemica in tema di sperimentazione animale. 
Una studentessa di veterinaria dichiara su Facebook di essere viva solo grazie alla sperimentazione sugli animali ed ecco che arrivano nel post commenti violenti ed ingiuriosi di cosiddetti “animalisti” .
La grande stampa dedica molto spazio all’episodio, schierandosi a difesa della ricerca in vivo e condannando, giustamente, i toni e i contenuti di quelli che definisce genericamente “animalisti”.
In tal modo, volontariamente o no, il giudizio morale su quei pochi violenti ed esaltati che hanno attaccato la studentessa è ricaduto sul mondo animalista vero, popolato da persone che ogni giorno si battono per gli animali, per i loro diritti e troppo spesso per la loro sopravvivenza: associazioni che danno voce a chi non ce l’ha, volontari che curano e accolgono e semplici cittadini che, ad esempio, a proprie spese tamponano come e fin dove possono le falle della sfera pubblica, che ai non umani non riconosce quasi mai diritto di cittadinanza.
Pubblichiamo la testimonianza e la riflessione della biologa Susanna Penco, ricercatrice presso il dipartimento di Medicina sperimentale dell’Università di Genova, malata di sclerosi multipla.
Chissà se la stampa “libera” dalle lobbie farmaceutiche darà a Susanna lo stesso spazio dato a Caterina…
Ho appreso del clamore suscitato in rete dalle affermazioni di una studentessa malata, con la quale condivido la sfortuna di non aver avuto la salute in dotazione. Anche io convivo con una malattia che mi ha costretta a flebo di cortisone, a terapie pesanti, a rinunciare, per esempio, a vivere un sereno Capodanno, o la vigilia di Natale (se mi devo fare una puntura che mi scatena sintomi come la peggiore delle influenze è ovvio che me ne debba stare a casa), in quanto devo sottopormi cronicamente ad una cura fastidiosa, di cui alcuni lavori scientifici, tra l’altro, mettono anche in dubbio l’efficacia.
Mi sconfortano le parole offensive verso la studentessa, poichè educazione e civiltà sono valori imprescindibili.
Tuttavia, contrariamente a lei, troverei umiliante per me stessa farmi fotografare con una flebo attaccata alla vena: pertanto metto in rete una foto in cui appaio sorridente, anche se molto spesso sono tutt’altro che serena o in salute.
Detesto le strumentalizzazioni di qualsiasi genere. Siccome sono malata mi informo, e leggo ad esempio che non ci sono ancora cure per le forme progressive di sclerosi multipla: è un dato di fatto.
Grazie alle mie conoscenze scientifiche sono persuasa che, anche per le malattie più agghiacciantii, ossia delle quali non si conoscono le cause e che riducono fortemente la qualità della vita, sia proprio la sperimentazioni sugli animali ad allontanare le soluzioni e la guarigione per i malati.
Sono spesso malattie croniche, che costringono i pazienti e le loro famiglie ad una vita drammatica. Inoltre, le terapie sono molto costose per il Servizio sanitario nazionale. Se si abbandonasse un metodo fuorviante e ci si concentrasse sull’uomo, i progressi della scienza sarebbero più rapidi ed efficaci: io spero risolutivi”.
Una via per arrivarci è la donazione degli organi per la ricerca.
D’accordo con i miei parenti ho donato il cervello affinchè sia studiato dopo la mia morte. Se c’è un modo di capire le cause, e di guarire anzichè curare (guarire gioverebbe ai malati, e anche al bilancio dello Stato, della Sanità , in definitiva dei contribuenti!), dovremmo cominciare a studiare tessuti umani e anche gli organi post mortem.
La soluzione migliore è sempre la prevenzione che, finchè non sono note le cause, non è attuabile.
La dott.ssa Candida Nastrucci, biochimico clinico (DPhil, Università di Oxford, Grant Holder Fondazione Veronesi) , aggiunge che per quanto riguarda le malattie genetiche, non è possibile determinare quali tipi di terapie avremmo potuto sviluppare usando tessuti o cellule derivati da esseri umani o dallo stesso paziente.
L’uso di animali potrebbe anche aver rallentato il progresso della ricerca per trovare cure per malattie umane. Il futuro è la medicina personalizzata, che sfrutta le differenze genetiche interindividuali per capire il funzionamento delle malattie umane.
Per queste ragioni negli altri Paesi si investe sui metodi alternativi: per esempio, il National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti ha finanziato con 6 milioni di dollari un progetto rivoluzionario per la mappatura del toxoma umano, con l’obiettivo di sviluppare test tossicologici per la salute umana e ridurre i test su animali. Non credo che i rimedi ai mali umani stiano nello studio fatto su esseri viventi diversi da noi: e tutto questo lo vivo sulla mia pelle.
La sperimentazione animale può essere anticamera di cocenti delusioni. Ve ne sono molti esempi, anche riguardanti farmaci in commercio.
Susanna Penco
argomento: Animali, denuncia | Commenta »