Gennaio 5th, 2014 Riccardo Fucile
MOSTRI DI IPOCRISIA SPARSI IN TUTTI GLI SCHIERAMENTI
I piccoli mostri, che fanno accapponare la pelle a papa Francesco, sono tra noi. In Parlamento. Da decenni.
E sono quei cattolici di convenienza o impelagati nello scambio elettorale, che da sempre bloccano qualsiasi progresso nei diritti civili.
Poi ci sono i cattolici muti, quelli che hanno tutti gli strumenti culturali per capire che lo Stato moderno deve regolare i nuovi fenomeni sociali, ma preferiscono non parlare e svicolare, agitando lo slogan che “non è il momento”, perchè temono di urtarsi con la gerarchia ecclesiastica.
Dal dopoguerra a oggi li abbiamo conosciuti tutti.
Prima c’erano i democristiani di facciata — non parliamo di quelli di convinzioni profonde alla De Gasperi o alla Dossetti o a qualsiasi corrente appartenessero — democristi di casacca, che in privato sguazzavano in ogni trasgressione come nell’indimenticabile film “Signore e Signori” di Germi, ma in pubblico plaudivano ipocritamente ai bavagli in Rai, alle censure cinematografiche e al blocco in Parlamento di leggi immorali come il divorzio e l’interruzione di gravidanza.
Svanita la Democrazia cristiana è iniziata l’era dell’alleanza tra Vaticano e Berlusconi per arginare naturalmente il “comunismo” e quel nemico per il quale si è inventato un neologismo privo di senso: il “laicismo radicale”.
Dunque, auspice il Vaticano di Wojtyla e quello ratzingeriano, andava bene il premier delle Olgettine, che produceva leggi a favore dei falsari di bilanci, evasori fiscali, delinquenti di vario tipo favoriti da prescrizioni ammazza-sentenze, purchè facesse da scudo contro le terribili leggi tipo unioni civili o testamento biologico.
Se poi, in un sussulto di decenza e ascoltando soprattutto la voce schifata di milioni di cattolici, l’Avvenire si permetteva qualche timido rimbrotto, si litigava un po’ e si decapitava il direttore Boffo. Capitolo chiuso, l’alleanza riprendeva.
La variante sofisticata era rappresentata dagli “atei devoti”, persone di allegro cinismo, ma convinte della necessità di schierarsi con il cristianesimo nella sua versione più integralista sempre per bloccare la minaccia laica.
A loro andava bene Benedetto XVI con i suoi “principi non negoziabili”, ignorati da tutte le democrazie cristiane europee, ma in Italia agitati dalla Conferenza episcopale per sabotare il referendum sulla procreazione assistita, la legge sulle unioni civili, il testamento biologico, il divorzio breve, le norme anti-omofobia.
Bisogna dire, però, che i piccoli mostri di ipocrisia si sono sparsi in tutti gli schieramenti dell’ultimo ventennio. A destra come a sinistra.
E ogni volta che arriva in parlamento un progetto di legge, che faccia uscire l’Italia dal sonno medievale, si precipitano in tv, pontificando che non è il momento, che si indebolisce la famiglia, che la vita è sacra (l’inizio e la fine, pare di capire, perchè del periodo di mezzo in termini di lavoro, di servizi, di funzionamento dello stato, di moralità pubblica, uno se ne può anche infischiare…).
Insomma, che è sempre meglio rimandare.
Ora però c’è una novità . È arrivato sul trono papale un prete di nome Francesco.
Che non ha modificato di una virgola la “dottrina” e dunque (se capita) parla del diavolo, considera negativamente l’aborto, è contrario ai matrimoni gay, ma ha chiarito nero su bianco che la Chiesa non deve svolgere “ingerenza spirituale”. Dunque basta con le manovre di una Cei che organizzi l’astensione al referendum sulla procreazione assistita o precetti l’associazionismo cattolico per indire un Family Day.
La rivoluzione di Francesco significa una cosa molto semplice: la Chiesa si impegna a formare coscienze cristiane e con il dialogo a stimolare anche quelle agnostiche, ma non vuole e non deve — il papa lo ha chiarito espressamente — mettersi a fare lobby e meno che mai alleanze partitiche per imporre il suo punto di vista in parlamento.
Non si capisce allora in nome di chi parlano i soliti improvvisati “difensori della fede”.
Se Francesco invita il clero a prendersi cura dei casi concreti delle coppie divorziate, delle donne che hanno abortito, dei bambini — lo ha detto recentemente ai superiori degli ordini religiosi — che vivono con la mamma e la “fidanzata di mamma”, a maggior ragione il Parlamento deve finalmente legiferare sui diritti civili e su fenomeni sociali che attendono di essere regolamentati.
Sapendo che da decenni la maggioranza dei cattolici in tutte le inchieste ha ribadito il suo sì al divorzio, il suo no alla restrizione della legge sull’aborto, il suo sì alle convivenze e alle unioni civili etero e omosessuali.
La verità è che i parlamentari pseudo-religiosi non hanno nessun contatto con i cittadini cattolici in carne e ossa.
Chi vuole, può anche fare un salto a Buenos Aires e informarsi. A Bergoglio non piacciono le nozze gay, ma quando nella Capitale argentina si discusse una legge locale per le unioni civili, l’arcivescovo Bergoglio non mosse un dito.
E la norma passò senza ingerenze.
Marco Politi
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Gennaio 5th, 2014 Riccardo Fucile
CON RENZI PD STA PER “PANINO DEMOCRATICO” E DIVENTA SPONSOR DELLO SNACK EATALY
Dunque il Pd che ostenta lo snack Eataly non sta più per “Partito democratico”, ma per “Panino
democratico”.
E il «Fassina chi?» con cui Renzi ha liquidato il viceministro è rivelatore di un’arroganza pericolosissima.
Di sicuro c’è un sapore di complicità commerciale in quel marchio Eataly esibito sul pranzo a sacco («packed lunch» lo chiama Renzi) durante la pausa (anzi il «break») della riunione della segreteria. E c’è la solita protervia del parvenu della roba Calogero Sedara nel prendere finalmente possesso dei palazzi maltrattando gli antichi proprietari.
Qualcuno deve pur dire a Renzi che ci vuole scienza e umanità nello scegliersi il grimaldello con cui sfasciare un vecchio mondo.
Così come l’orrendo partito di plastica di Berlusconi umiliò la grande tradizione del moderatismo italiano, ora il partito-salsamenteria e la rottamazione, non più dei dinosauri ma dei dissidenti e dei non plaudenti come Fassina, sta umiliando la storia della sinistra italiana.
Per essere più chiari: si capisce che Renzi combatta la vecchia nomenklatura, ma Fassina è nuovo quanto lui.
E forse nell’imprinting e nel marchio d’origine, il Berlinguer di quello dovrebbe contare almeno quanto il Fonzie di questo.
E non si era mai vista, neppure ad Arcore, la pubblicità del cibo dell’uomo-marketing, l’amico Oscar Farinetti che sarà pure di sinistra ma è innanzitutto un imprenditore del cibo che deve vendere anche panini.
Sono più buoni? Facciamo un concorso? Ci sono mozzarelle che lasciano tra i denti anche un po’ di etica e sfilacci di diritti civili?
«È un Rinascimento in salsa tonnata» è stata la folgorante definizione dello scrittore Tomaso Montanari, che non è Roberto Gervaso, e non è neppure il povero Fassina, che ieri si è dimesso.
Siamo in Italia e anche la spocchia ha la sua tradizione e i suoi precedenti.
Ebbene nel «Fassina chi?» si riverbera il supponente «Michele chi?» che, pronunziato contro Santoro, negò la stessa evidenza della tv, quella di essere popolare, e ritorna anche il «Craxi chi?» che costò ad Occhetto la sconfitta definitiva.
Rischia davvero, il segretario, di sciupare il cambiamento, sia con gli sbotti di boria, sia con lo stile. È infatti comprensibile che voglia (e debba) farci dimenticare il sigaro di Bersani, dell’uomo solo al comando che si aggrappava a un boccale di birra, e quella odiosa scenografia da apparato, tempi contingentati, verbali, documenti, emendamenti, dipartimenti, un potere fatto di asprezze nascoste e distanze incolmabili.
E dobbiamo pure riconoscergli che è necessario anche fuggire dal loden di Monti, dalla posa saccente della sobrietà dei tecnici bagnata dalle lacrime della Fornero.
E ancora c’è l’incubo delle cene politiche ad Arcore con la regia del cuoco Michele sino al degrado del bunga bunga e al quadretto dei fidanzatini di Peynet con il cane Dudù tra le braccia.
E però la scenografia giovanilistica di Renzi sta volgendo subito al kitsch, con quei grandi cartoni di cibo griffato e quel dettaglio di piccola onestà ostentata: «abbiamo pagato con i nostri soldi», «sono costati solo 17 euro».
E anche il tavolo ingombro di cavetti, iPhone e computer Mac, più che a una sessione politica faceva pensare al tavolo nerd di Wikileaks, un “tu vo’ fa’ l’americano” senza più il risarcimento finale dei maccheroni.
E c’è pure il nome Renzi sul muro, con la R stilizzata, che aveva già scatenato i sarcasmi dei militanti (“webnauti” nel gergo “easy” del nuovo Pd).
Sembrano scopiazzature delle scene di Altman sull’America, dove il presidente-parodia è sempre sponsorizzato, spinto da interessi privati.
Viene in mente lo stemma della casa reale sulla senape Colman’s, sul sale marino Maldon, sullo zucchero Tate & Lyle, sul te Twinings, sugli impermeabili Barbour. La formula è: By Appointment to Her Majesty the Queen.
Ha ragione Fassina: Renzi si autocelebra e si fa del male rendendo “cool” il panino di Farinetti, anzi «la filosofia Farinetti» corregge lui.
Non capisce che così scimmietta il Berlusconi che sponsorizzava il risparmio Mediolanum del suo amico Doris.
Tutto può diventare pubblicità , tranne – ci pareva – la segreteria del Partito democratico. E si sa che si comincia con la mozzarella e si finisce con la paccottiglia, le penne biro, le calze, il dentifricio e il piumino Monclerche, ha detto Renzi, «non è più da paninari » così come il giubbotto a chiodo non è più la divisa del bullo ma l’abito del progressista.
Matteo Renzi va salvato dalla deriva outlet, ma anche dall’abuso di anglicismi da blackberry, i cui ultimi vagiti sono il “job act” e la “civil partnership”.
Già ci aveva fatto sorridere la convocazione delle riunioni alle 7.30 a. m., con tutta quella retorica sul mattino che ha l’oro in bocca.
Erano questi gli orari andreottiani, tipici dei padroni delle preferenze, Gaspari, Gava e tutta la Dc austera che così fregava i gaudenti nottambuli socialisti, Martelli e De Michelis, i quali andavano a letto quando cominciava la riunione: «coricati presto e levati di buon mattino / se vuoi gabbare il tuo vicino».
Del resto anche la retorica sulla fattività del politico instancabile ha una sua storia in Italia, che ricade su Renzi: dalla luce accesa tutta la notte nell’ufficio di Palazzo Venezia, all’Andreotti che riceveva alle cinque del mattino davanti alla porta della chiesa, al Berlusconi che faceva leggenda delle notti passate in bianco a lavorare per poi addormentarsi durante il giorno, e ci sono pure le macchiette come il liberale Costa, che non era mai “fuori stanza”, sino al fantuttone Brunetta.
Anche la bicicletta, infine, che è un mezzo meraviglioso, sta diventando un vezzo di nuovismo, la parodia dell’essere alla mano.
Il nuovista pedala, straparla l’inglese (che in realtà non conosce abbastanza) e insulta tutti, ma soprattuttoi galantuomini come Fassina.
Se si escludono qualche timido tweet di solidarietà (Chiara Geloni), e l’intervento di Cuperlo, che è stato suo avversario ed esige «il rispetto delle persone», solo Matteo Orfini ha parlato chiaro, semplice e diretto: «Renzi, sei il segretario del Pd, basta fare il guascone».
Il silenzio degli altri, tutti renziani entusiasti dall’obbedienza pronta, cieca e assoluta, in un solo pomeriggio ha invecchiato il cambiamento.
Il conformismo infatti è l’abito più antico del potere, l’ermellino che consacra la regalità provvisoria del vincitore di passaggio.
Francesco Merlo
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 5th, 2014 Riccardo Fucile
SECONDO LA CGIA DI MESTRE AZIENDE SOGGETTE A TASSE TRA IL 53% E IL 63% CON UN AGGRAVIO TRA 270 E 1.000 EURO NEL 2013 PER IMPRESE SOTTO I DIECI ADDETTI
L’inasprimento del Fisco ha “colpito” il 95% delle aziende presenti in Italia, portando la pressione fiscale su queste imprese a oscillare tra il 53 e il 63%, a un livello mai raggiunto in passato.
Lo rileva la Cgia di Mestre, che tira la volata all’ennesimo grido d’allarme di Confindustria: “Le imprese italiane hanno il primato negativo del prelievo più alto del Fisco tra i Paesi avanzati”.
Per le microimprese, spiega l’Associazione veneta, si è appena concluso un anno caratterizzato dall’ennesimo aumento delle tasse.
Rispetto al 2012, le attività fino ai 10 addetti hanno subito un aggravio che va dai 270 ai 1.000 euro.
Importi non particolarmente pesanti, che tuttavia si sono aggiunti ad un carico fiscale complessivo che per le attività di questa dimensione si attesta, secondo gli Artigiani di Mestre, attorno a un dato medio che oscilla tra il 53 e il 63%.
A questo quadro fanno eco i dati di viale dell’Astronomia.
Secondo il Centro studi di Confindustria, nel 2012 il complesso delle imposte pagate dalle imprese italiane è il 16esimo più elevato al mondo, pari al 65,8% degli utili, e soprattutto è il più elevato tra i più importanti Paesi avanzati, seguito dalla Francia (64,7%) e dalla Spagna (58,6%) e a distanza dalla Germania (49,4%).
Si tratta del cosiddetto total tax rate quantificato dalla Banca mondiale, l’ammontare complessivo delle imposte pagate da imprese aventi caratteristiche standard.
Nel calcolo sono incluse le imposte, locali e statali, su profitti, immobili, autoveicoli e carburanti, tenendo conto di deduzioni e detrazioni e i diversi contributi sociali versati; mentre sono escluse le imposte sui consumi e quelle raccolte per conto delle autorità fiscali in qualità di sostituto d’imposta.
Ma gli industriali non puntano il dito solo contro la pressione fiscale.
A complicare la vita degli imprenditori c’è anche l’elevato numero dei pagamenti che un’impresa-tipo in Italia deve effettuare in un anno per assolvere agli obblighi fiscali e contributivi: 15, il più elevato tra i principali Paesi avanzati. “Per preparare i documenti necessari ed eseguire materialmente i pagamenti delle imposte sul reddito d’impresa, dei contributi sociali e dell’Iva”, spiegano dal Centro studi, “occorrono 269 ore l’anno”, più del doppio del tempo richiesto nel Regno Unito (110), in Francia (132) e inferiore solo a quello necessario in Giappone (330) e Portogallo (275).
“In Italia – aggiunge il Csc – non sono soltanto l’evasione e l’alta tassazione a frenare la competitività ” ma “queste si associano a un’accentuata incertezza normativa che rende difficile assolvere gli obblighi fiscali e contributivi”.
La complessità normativa – ricorda Confindustria – è riconducibile all’eccessivo numero di regole che spesso sono confuse e contraddittorie.
“Inoltre, le norme vengono cambiate frequentemente e spesso applicate retroattivamente” e ciò, evidenzia lo studio “rende particolarmente onerosi gli adempimenti. Perciò – è la conclusione del Centro Studi – “occorre intervenire urgentemente per semplificare la normativa e alleggerire il carico di adempimenti, che si aggiunge a quello della pressione fiscale nel penalizzare la competitività delle imprese che operano in Italia”.
Carlo Clericetti
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Gennaio 5th, 2014 Riccardo Fucile
LO SPAURACCHIO DEL 4%
Il congresso semi-clandestino vale come uno snodo. Perchè il partito della sinistra ancora rossa deve
liberarsi delle scorie di un lunghissimo 2013, capire come parlare al Pd dell’era Renzi e come giocarsela alle Europee in primavera, con quello sbarramento del 4 per cento alto come una montagna.
Sel si avvicina al congresso nazionale, previsto a Riccione tra il 24 e il 26 gennaio, con tanti dubbi da risolvere e il peso dei congressi locali, svolti tra novembre e dicembre.
Non facilissimi, tra polemiche sulle regole e qualche caso.
Il più rilevante a Roma, roccaforte del partito con i quasi 7000 iscritti in città e provincia, a fronte degli oltre 31 mila a livello nazionale.
Proprio il lievitare dei tesserati (erano 3800 nel 2012) è stato la miccia, con la consigliera comunale Gemma Azuni, parlamentari e dirigenti vari a invocare il rinvio del congresso romano dello scorso dicembre, causa sospetti “sul tesseramento anomalo”, la “scarsa informazione” e la “confusione” su seggi e sedi dove votare.
La commissione nazionale sul congresso però “non ha rilevato irregolarità ” nella Capitale e ha garantito che tutti gli iscritti “avevano fornito un indirizzo fisico” (non erano fantasmi, insomma).
Tensioni diffuse anche nella Puglia di Nichi Vendola, dove l’epopea dell’Ilva ha avuto i suoi ricaschi: ovviamente a Taranto, ma anche a Lecce e cittadine varie.
Ora è tempo di congressi regionali, con cui si completerà la platea dei 900 delegati per Riccione. Un “esercito” che confermerà Vendola come presidente. Ma c’è tanto di cui discutere.
Uno dei problemi è di queste settimane: dell’assise nazionale di Sel non parla quasi nessuno. E in diversi si sono lamentati (preoccupati) per il congresso “clandestino”. Intervistato dal Manifesto, Vendola ha replicato: “Clandestino? Perchè è meno attento alla ribalta mediatica?”. Per poi ammettere che per Sel “il 2013 è stato duro, perchè è fallita l’ipotesi di rimettere in pista una sinistra di governo”.
Quindi “c’è l’esigenza di una discussione interna”.
Primo punto, le Europee. Arrivare al 4 per cento per Sel, soglia che vale l’approdo a Bruxelles, è complicato.
Alle scorse Politiche il partito ha preso il 3,2 alla Camera e il 3 in Senato. Ed è sempre il 3 per cento la quota raccontata dagli ultimi sondaggi.
Bisogna migliorare e chiarire la rotta. Va deciso se collegarsi o meno al Partito socialista europeo, sostenendo l’elezione a commissario europeo di Martin Schulz (Spd), attuale presidente del Parlamento Ue. Sul punto le varie anime del partito (dagli ex di Rifondazione agli ambientalisti, fino ai più “movimentisti”) sono piuttosto divise.
Decisamente pro-Schulz è Gennaro Migliore, capogruppo alla Camera, ex Rifondazione: “Sarebbe il giusto antidoto alle politiche della Merkel”.
Migliore è ottimista sulle urne prossime: “Raggiungeremo il 4 per cento, a patto di definire con chiarezza chi siamo e cosa proponiamo. Nell’Italia dove dilagano le diseguaglianze e imperano queste disastrose larghe intese, ci sono le condizioni per farcela”.
Ma per guadagnare voti pensate a liste con altri partiti? “Per ora non vedo questa possibilità ”.
L’altro tema forte a Riccione sarà il rapporto con il Pd.
Migliore: “L’impianto di Renzi è utile, finalmente si è tornati a discutere di politica e non di concetti astratti. Con lui si può avviare un buon confronto”.
Un altro ex Rifondazione è Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio: “Dobbiamo cambiare atteggiamento verso il Pd, non può più essere il fratello maggiore. Per ora il partito di Renzi è un oggetto misterioso: dobbiamo sfidarlo sui contenuti”.
E le Europee? “Fare sommatorie per inseguire voti non servirebbe: piuttosto, dobbiamo sfruttare il nostro patrimonio di sindaci e amministratori. E cambiare qualcosa: per esempio, penso a una segreteria più ristretta”.
Paolo Cento, ex Verdi, è uno degli Ecologisti: “Al partito serve una svolta ambientalista, certi temi non sono trattabili. Se qualcuno pensa a un partitino, magari satellite del Pd, sbaglia di grosso. Qualcuno ha la tentazione di andare in questa direzione”.
Cento dice no al matrimonio con il Pse: “Sarebbe contrario alla nostra natura, Sel è una miscela di culture diverse. E poi va ridefinito tutto il concetto di Europa”
Luca De Carolis
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Gennaio 5th, 2014 Riccardo Fucile
ACCUSAVA ATTACCHI DI VOMITO, RICOVERATO A PARMA
L’ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani è stato colpito da un grave malore questa mattina.
Intorno alle 11 è arrivato al Pronto Soccorso di Piacenza accompagnato dalla moglie e dal fratello.
Accusava un malessere e attacchi di vomito.
I sanitari lo hanno sottoposto ad accertamenti e dall’esame della Tac è emerso un problema cerebrale grave.
Sembrerebbe che si tratti di un problema neurologico, in particolare di un attacco ischemico transitorio.
Secondo alcune fonti le sue condizioni non desterebbero preoccupazioni.
Bersani, che non ha perso conoscenza, è stato immediatamente trasferito all’ospedale Maggiore di Parma, nel reparto di neurochirurgia, a bordo di un mezzo del 118.
Dopo la notizia del malore, numerosi i messaggi di incoraggiamento a cui ci uniamo.
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