Gennaio 7th, 2014 Riccardo Fucile
PIOGGIA DI CRITICHE SUI VERTICI REI DI NON AVER CERCATO DI RIAPPACIFICARE LE CORRENTI E DI PENSARE SOLO ALLE EUROPEE
Beppe Grillo non concede ai militanti sardi del Movimento 5 Stelle l’uso del simbolo per presentarsi alle elezioni regionali del 16 febbraio prossimo a causa delle loro divisioni interne.
Sul blog, il leader spiega: “Il M5S non si presenterà alle prossime elezioni regionali che sono state anticipate in Sardegna. Le liste presentate erano in profondo disaccordo tra loro e questa situazione perdurava da mesi nonostante i numerosi tentativi proposti di trovare una composizione”.
Le conseguenze non si fanno attendere.
Mentre c’è chi prova a spiegare e giustificare la scelta, le bacheche facebook dei parlamentari sardi M5S diventano il collettore di tante invettive ben poco virtuali.
E c’è anche chi, per tutta risposta, si inventa una nuova sigla, una lista civica e un simbolo pentastellato per correre comunque alle regionali richiamandosi al M5S.
Difende la mossa di Grillo il parlamentare del M5S Andrea Colletti, che ai microfoni di Radio Città Futura vira la marcia indietro verso tutt’altra ottica: “Si era arrivati a un punto limite in cui non si riusciva a stare insieme in uno stesso gruppo e si è preso atto. Molto meglio, quindi, non presentare una lista piuttosto che presentarne una fatta male, con persone che magari non andavano d’accordo tra di loro”.
Non si va d’accordo, inutile anche provarci.
Logica che sfugge a quanti hanno preso di mira i profili facebook dei parlamentari sardi del M5S infilandosi tra gli irriducibili della acritica fiducia nel movimento. Sintetizzando gli umori di molti commenti, proprio quei parlamentari sarebbero i veri responsabili del passo indietro rispetto alle elezioni del prossimo 16 febbraio.
Molto chiaro il messaggio rilasciato da un militante sulla bacheca del senatore Roberto Cotti: “Dovreste chiedere scusa ai sardi e informarvi su cosa pensano di ciò che è accaduto. Sono molto dispiaciuto per la Sardegna e per l’impossibilità di partecipare alle prossime regionali. Voi parlamentari che avreste dovuto fare da collante per tutti i gruppi sardi invece avete fallito. Oggi candidarsi come per gli altri partiti significa trovare occupazione e fama! Mi sento umiliato”.
Ancor più duri ed epliciti i messaggi postati sulla pagina della deputata Paola Pinna, che ieri ha criticato duramente la scelta di Beppe Grillo.
“Benvenuta tra noi miseri umani Paola, condivido ciò che scrivi ma sarebbe servito un aiutino prima! Siamo proprio alla frutta” ironizza amaramente un militante.
Nessuna ironia in chi invece denuncia la stessa Pinna: “Sei una delle principali responsabili, avresti dovuto tenere d’occhio i gruppi locali e cercare di riappacificarli invece di lasciargli fare le guerre tra poveri”.
Sulla bacheca della senatrice Emanuela Corda c’è chi ritiene “opportuno che i parlamentari sardi del M5S rimettano il loro mandato”.
Intanto i vertici del Movimento 5 Stelle provano a smentire l’ipotesi che ormai circola, avallata dalla stessa Pinna, di un passo indietro per evitare dei test locali in vista del voto di maggio per le europee.
Presentata lista civica pentastellata. E’ stata battezzata “Nuovo Movimento Sardegna” e il suo simbolo è stato depositato ieri al fotofinish, 34mo e ultimo tra quelli presentati per le regionali.
E’ iniziativa di un gruppo di attivisti del M5S delusi e amareggiati dal no di Beppe Grillo. Nel logo è raffigurata la sagoma dell’isola con sopra cinque asterischi gialli, a richiamare quello del M5S che Grillo non ha voluto concedere a causa delle divisioni fra gli attivisti in Sardegna.
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Gennaio 7th, 2014 Riccardo Fucile
“I SONDAGGI VANNO MALE E NON ABBIAMO UN CANDIDATO”…IL TIMORE PER LA SECONDA INCHIESTA SULLA COMPRAVENDITA DEI PARLAMENTARI
È nel silenzio di queste settimane festive che si è materializzata la grande paura: “Renzi – ha ripetuto Silvio Berlusconi ai suoi — vuole andare a votare, ma noi non siamo pronti per il voto. I sondaggi vanno male e non abbiamo un candidato”.
E allora si capisce perchè la manovra sulla legge elettorale più che ad una “grande offerta” al segretario del Pd assomigli a una “grande ammuina”.
E perchè al termine della riunione alla Camera con i capigruppo, i vice e gli sherpa Verdini, Paolo Sisto e Bruno venga diramato un comunicato che suona come un modo per prendere tempo: “Nel corso della riunione — è scritto nella nota – c’è stato un approfondimento delle diverse proposte di Renzi in modo da consentire al presidente Berlusconi di formulare una rapida risposta al segretario del Pd”.
La verità è che il Cavaliere teme Renzi. E ai suoi ha dato mandato di fiutare l’aria ma senza scoprirsi più di tanto: “Renzi vuole giocare su due forni — dice un big di Forza Italia — con noi e con Alfano. Ma noi non abbiamo alcun interesse oggettivo ad andare al voto per farlo vincere”.
Altro che election day: a dispetto delle esibizioni muscolari di chi si mostra pronto alle urne con le europee, l’ex premier è consapevole che rischia solo di “tirare la volata” al sindaco segretario, come dicono nell’inner circle: elezioni, Renzi a palazzo Chigi e il Cavaliere nel museo delle cere della Seconda Repubblica.
E allora un conto è dialogare sulla legge elettorale, altro è cercare le urne. Perchè stavolta è diverso. È nel calendario giudiziario che si annidano le indecisioni, i dubbi e le paure del Cavaliere.
È nel calvario delle prossime settimane che prederà forma il tentativo di impaludare la guerra lampo di Matteo. La Befana ha portato notizie di nuove, possibili inchieste a Napoli. Sulla cosiddetta “operazione libertà ” i pm Woodcock e Piscitelli hanno continuato a lavorare su un nuovo filone e non solo in merito all’inchiesta sulla famosa compravendita dei senatori ai tempi del governo Prodi attraverso De Gregorio.
È la “compravendita” sul voto di sfiducia ottenuto da Fini nel dicembre del 2010 sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti: i cambi di casacca, l’operazione “Responsabili” di Razzi e Scilipoti, le conversioni sospette.
Oltre alla deposizione di De Gregorio che alla procura ha raccontato alcune confidenze di Verdini sui mezzi da usare per convincere i parlamentari al cambio di schieramento, c’è la testimonianza di Gianfranco Fini, ascoltato poco prima di Natale. Una testimonianza su cui è filtrato davvero poco.
Ecco perchè Berlusconi non ha nascosto una certa inquietudine sul filone della “compravendita bis”.
Anche perchè, diversamente dalla “compravendita 1”, è un filone lontano dal rischio di prescrizione.
E non ha nascosto inquietudini sul ruolo di Valter Lavitola, al cui nome sono stati associati dei video vietati ai minori che il faccendiere di Finmeccanica avrebbe girato in Sudamerica nel tempo libero del Cavaliere.
Nè è da considerarsi un dettaglio l’appello su Ruby, anche se, sull’esito, nessuno ad Arcore nutre qualcosa di più di una speranza.
Ma è legato alla condanna più dura il carbone più amaro per Berlusconi.
Secondo i suoi avvocati si svolgerà a febbraio l’udienza per stabilire in che modo l’ex premier sconterà la pena dei dieci mesi prevista per il processo Mediaset.
Domiciliari, servizi sociali, sia quel che sia è la decisione più densa di implicazioni politiche.
Perchè impatta su quella che il Cavaliere chiama “agibilità politica” per dieci mesi. Ecco perchè l’election day è un bluff.
Il rischio che Berlusconi ha ben presente in questa delicata partita con Renzi è di arrivare al 25 maggio limitato nella libertà di movimento e di parola, o magari nel silenzio più assoluto, e con l’eventualità di nuove inchieste e di nuovi capi di imputazione.
E, per di più, senza un candidato per palazzo Chigi.
Meglio fare ammuina. E dialogare, certo, sul sistema elettorale.
Ma svincolandolo dalle urne. Per ora la preferenza del Cavaliere è sul modello spagnolo.
Però la parola “fretta” è scomparsa dal tavolo della trattativa.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 7th, 2014 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE DEL TG4 PRONTO A LASCIARE LA TV PER RINNOVARE IL PARTITO
È una specie di sogno americano in salsa italiana, anzi berlusconiana quello che sta vivendo Giovanni Toti, entrato nel 1996 come stagista nello Studio Aperto di Paolo Liguori e ora ospite fisso nel villone di Arcore.
Ospite di rango politico, ormai. Toti, classe 1968, non è più solo il direttore del Tg4 e del telegiornale di Italia 1 che Berlusconi consulta per qualche dritta sulla comunicazione.
È diventato l’occhio esterno al partito impantanato nelle lotte tribale.
Da lui il grande capo di Forza Italia si aspetta freschezza, un giudizio distaccato dalle contese intestine, il valore aggiunto del volto nuovo da gettare tra le gambe svelte di Renzi.
Berlusconi pensa che Toti abbia quel «quid» che aveva negato ad Alfano, ma molti nel partito scommettono che Giovanni non andrà avanti. «Il Cavaliere è fatto così: ti porta alle stelle e poi ti getta nella polvere, vedi Alfano», sputano veleno coloro che in questo momento muoiono di gelosia per questo «parvenu» della politica che sta entrando nella stanza principale di San Lorenzo in Lucina. Berlusconi lo vuole coordinatore unico oppure vicepresidente di Forza Italia. Ma dovrà passare sul cadavere di una nutrita schiera di nemici e sul battagliero Verdini.
«Ma no – minimizza Toti con gli amici – io e Denis siamo toscani, insieme ci facciamo grandi risate. Lui è un vero uomo macchina, si troverà un accordo. Ma è logico che chi prima remava in prima fila, dovrà remare in seconda, terza o quarta fila. Se tutti rimangono aggrappati alla zattera e vogliono mettersi a timone, alla fine si va tutti a fondo. Berlusconi troverà il mix giusto». Linguaggio da rottamatore gentile. «Bisognerà lavorare di fioretto non di sciabola.
È ovvio, ognuno tende a preservare la propria catena di comando – ragiona Toti con chi gli sta più vicino – ma Forza Italia deve profumare di nuovo, deve tornare a essere competitiva».
È quello che sta cercando di fare con difficoltà Berlusconi, spiazzato dalla carica innovativa di Renzi. La comunicazione è sempre stata il suo pallino.
Nuovi linguaggi politici, stili e modo di stare in tv. Renzi ormai fa da battistrada. Per il Cavaliere la ribalta di un personaggio come Toti, che viene da fuori dalla politica, è funzionale a rimanere a galla e competere.
Così il doppio direttore dei tg Mediaset è sempre presente a Villa San Martino, stimatissimo da Marina e Confalonieri, un grande feeling con Piersilvio.
Ha detto a Berlusconi di essere pronto al salto nella primissima fila di «Forza Italia veramente rinnovata, che abbia un profilo moderato, non quello dei falchi».
«Visto, si è già montato la testa», schiumano coloro che già si vedono nella sala macchina del vapore berlusconiano, sporchi di grasso e olio.
Mentre il giornalista venuto da Viareggio, che non ha mai militato in un partito, non ha fatto la gavetta nel territorio e si è intrufolato nel cuore del capo con gli abiti impeccabili e gli orologi Patek Philippe, starà sul castello di comando. E osa sfidare Verdini e Renzi.
Renzi, Verdini, Toti: è una sfida interna ed esterna tutta toscana. Denis e Matteo si parlano e ragionano di legge elettorale modello spagnolo. A Giovanni, che già si è calato perfettamente nella partita politica, non piace.
Vuole una legge elettorale che favorisca le alleanze con i Fratelli d’Italia, la Lega e il Nuovo Centrodestra di Alfano.
Con il quale Toti sembra abbia un ottimo rapporto. Verdini, i falchi e un bel pezzo dei cosiddetti «lealisti» come Fitto, non hanno intenzione di riaccogliere Alfano.
Toti scuote la testa, ricorda che il Cavaliere è sempre stato il federatore dei moderati. «Non mi interessa entrare in un partito di testimonianza con il lutto al braccio. Entro per vincere e ci vuole una grande coalizione di centrodestra».
Amedeo La Mattina
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Gennaio 7th, 2014 Riccardo Fucile
DALLA FORNITURE DI CAFFE’ AL FOOTBALL USA, UNA GIUNGLA DI SPESE
La spending review di Carlo Cottarelli è agli ultimi giri di pista.
Fra meno di due mesi il commissario chiamato da Fabrizio Saccomanni deve alzare il velo sulle prime proposte di tagli alla spesa e, per farlo, ha articolato un piano di lavoro per evitare la paralisi nella giungla di voci da analizzare.
Per dirne una: solo fra il dicembre 2012 e il dicembre 2013, Palazzo Chigi ha affidato “in house” a Formez vari contratti per “monitoraggio e controllo in materia di contrattazione collettiva”. Valore degli accordi: 250 mila euro.
Anche ammesso che davvero costi tanto caro “monitorare” dei contratti, resta da chiedersi che bisogno ce ne fosse: i contratti integrativi del pubblico impiego sono fermi da anni, sempre gli stessi.
Più volte a Cottarelli è capitato di porsi domande degne di uno che è sceso da Marte. Il commissario per la spending review viene dall’Fmi, dove si occupava di bilanci pubblici a grandi numeri aggregati come si fa nell’organismo di Washington.
Ma forse proprio lo sguardo di un uomo che non era più abituato a qualcosa del genere è ciò che serve per vedere che il re è nudo.
In altre occasioni ad esempio Cottarelli si è chiesto: “A che serve un ministero per la Coesione territoriale, se ce n’è già uno per gli Affari regionali?”.
Lo stesso interrogativo potrebbe replicarsi per le politiche antidroga, per le quali la presidenza del Consiglio spende oltre sei milioni di euro quando già il ministero per la Salute opera nello stesso ampo. E così per una miriade di altre uscite.
Per la collezione delle bizzarrie del resto basta chiedere al professor Paolo De Ioanna. A lui, ex capo di gabinetto dei ministri del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi e Tommaso Padoa-Schioppa, Cottarelli ha chiesto di dare un’occhiata più da vicino alle spese della presidenza del Consiglio. E De Ioanna ha perso ben poco tempo per capire che servono provvedimenti strutturali, che riducano le uscite con qualche automatismo.
Perchè l’esame delle spese una per una rischia di portare in un labirinto in cui orientarsi è tutt’altro che semplice.
Non solo i quasi ventimila euro in acqua minerale nei contratti di fornitura dell’ultimo anno, i 1.905 euro del 2013 in “fornitura liquidi e saponi per lavastoviglie”, i 6.221 euro in “fornitura scatole con coperchio” (il tutto in carta e cartone) o i 2.181,59 euro in “noleggio lenzuola” (sic) per Palazzo Chigi presso la Epifani Aldo srl fra il 29 gennaio e l’8 febbraio 2013.
Nè sono solo i 25.730 euro mila euro in “lavaggio tende” nella stessa settimana in cui se ne spendono 3.953 in “acquisto tende” presso lo stesso fornitore, la ditta Torrenti di Roma. Fatture del genere appaiono sì difficili da spiegare, ma sono poco più che colore.
Di questo passo la strada per arrivare ai 32 miliardi di euro di tagli previsti dal ministro Saccomanni può rivelarsi davvero un’avanzata nella giungla.
Per restare alle più banali spese di funzionamento della presidenza del Consiglio, un’attenzione già maggiore meriterebbe la genesi di certi contratti “con procedure di necessità ed urgenza”. Per esempio, viene fuori che nel dicembre del 2012 il dipartimento per gli Affari regionali, il turismo e lo sport ha concesso un contratto “mediante gara informale” da 228 mila euro “per appalto di servizi per la realizzazione di una campagna di comunicazione e di media relation internazionale e nazionale”.
Beneficiaria, un’impresa di Milano chiamata “International Strategic Communications” che non sembra avere un sito internet e, secondo la Guida Monaci, ha un capitale sociale di diecimila euro. È a un appaltatore così che Palazzo Chigi affida una campagna per il rilancio dell’immagine dell’Emilia dopo il terremoto.
Fare una operazione di spending review, in queste condizioni, rischia insomma di trascinare i suoi protagonisti in valutazioni difficili. I casi non scarseggiano.
Non ci sono solo i circa 4000 euro di spesa nel 2013 in “fornitura caffè” e “fornitura caffè per le autorità politiche” di Palazzo Chigi. O i 1.300 euro per “spostamento di n. 5 fotocopiatrici”. O i 740 euro per cambiare un doppio vetro.
E passi per certi piccoli provvedimenti, come la scelta di dare nel giugno scorso 14.374 euro alla Legio XIII American Football per la realizzazione del progetto “Latin America Stars & Stripes”.
Può trattarsi, in questo caso, di un comprensibile investimento nell’integrazione delle comunità di stranieri che, per dimensioni, sembra più adatto a una giunta locale che non all’ufficio del premier.
Ma è in dettagli così che s’intuisce quanto difficile sia il lavoro che Saccomanni, ha affidato a Cottarelli. L’obiettivo resta una riduzione della spesa di 32 miliardi di euro in un triennio, il 2% del Pil. Lo 0,65% del Pil all’anno.
Quando ancora guidava il dipartimento Politiche di bilancio del Fondo, Cottarelli ha seguito molti Paesi che hanno fatto di più in meno tempo. Ma oggi che è al Tesoro, Cottarelli sa bene che casi come quelli di Palazzo Chigi rivelano un problema. I tecnici come lui lo chiamano di “asimmetria informativa”: solo chi ha sabotato un motore sa come rimediare.
Solo i dignitari di ciascuna amministrazione possono andare a colpo sicuro là dove si annidano gli sprechi nei loro uffici e intervenire.
Cottarelli capisce di aver bisogno della collaborazione dei mandarini dello Stato, soprattutto se spendono troppo. Sa anche che è come chiedere ai tacchini di celebrare il Natale.
Ma ai suoi gruppi di lavoro nei ministeri, del resto, il commissario ha detto chiaro che si riserva il potere di respingere le loro conclusioni e imporre le proprie, se alla fine non sarà soddisfatto.
Ciò metterà forse a tacere le resistenze burocratiche, non quelle politiche. Su quelle però Cottarelli resta altrettanto pragmatico.
Fra fine febbraio e inizio marzo arriverà al dunque la prima infornata della sua spending review: si capirà allora chi faceva sul serio; e quale sarà eventualmente il prezzo politico di annunciare agli italiani che sul taglio degli sprechi (e delle tasse) si era solo scherzato.
Federico Fubini
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 7th, 2014 Riccardo Fucile
TASI, AUMENTO ALIQUOTE IN ARRIVO, LA MAZZATA POTREBBE SLITTARE A GIUGNO
La prima mossa del governo per il 2014 sarà l’aumento delle aliquote della Tasi, la parte dell’imposta sulla casa legata ai servizi.
Aumento che potrebbe essere compreso tra 0,5 e un punto, e che sarà destinato ai Comuni (cui mancano, rispetto al gettito della vecchia Imu, tra 1,3 e 1,5 miliardi di euro).
La decisione è attesa per oggi, come scrive il Corriere della Sera, mentre ci sono ancora incertezze sulla modalità : potrebbe trattarsi di un decreto apposito oppure di un emendamento al decreto Imu-Bankitalia (che sarà in discussione domani al Senato).
Novità potrebbero esserci anche sulla scadenza dei pagamenti – una revisione, va da sè, non casuale. L’idea, infatti, è di posticipare la prima rata della Tasi a giugno, ossia dopo le elezioni europee.
Allo stato attuale, infatti, la quota dell’Imu prima casa del 2013 rimasta a carico dei contribuenti si pagherà il 24 gennaio, ma la prima rata della nuova Iuc (Imposta unica comunale) su cui il governo vuole mettere le mani si dovrebbe pagare già il 16 gennaio.
Per questo è molto probabile che il decreto (o l’emendamento) in questione rivedano anche i tempi di pagamento: non più in quattro, ma in due rate semestrali, a giugno e a dicembre.
Il primo round, dunque, verrebbe posticipato a dopo il voto per le elezioni europee, domenica 25 maggio.
Alla base del ritocco delle aliquote ci sono, come si è detto, le richieste dei Comuni. L’Associazione dei sindaci sostiene che senza questo aumento non avrebbero le risorse per concedere le detrazioni fiscali che dovrebbero riconoscere ai proprietari di casa, così da limitare l’impatto della Tasi all’un per mille, come previsto dalla legge di Stabilità .
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 7th, 2014 Riccardo Fucile
L’ELENCO SCOPERTO IN UN FILE DI PAOLO OLIVERIO, ARRESTATO CON L’ACCUSA DI AVER RICICLATO SOLDI DELLA ‘NDRANGHETA
Il suo archivio svela i rapporti riservati con alti prelati, funzionari dell’ intelligence , militari della Guardia di Finanza, imprenditori e politici.
Perchè Paolo Oliverio, arrestato agli inizi di novembre con l’accusa di aver pilotato nomine e affari dell’ordine religioso dei Camilliani, era in realtà il commercialista di fiducia di esponenti delle istituzioni e uomini d’affari.
Ma anche – dice l’accusa – il «riciclatore» dei soldi della ‘ndrangheta e di alcuni esponenti della criminalità romana.
Custode di numerosi segreti, come dimostrano le migliaia di file trovati nei suoi computer e nelle chiavette Usb sequestrate al momento dell’arresto.
E adesso sono in molti a temere quello che ne verrà fuori. Anche perchè il giudice delle indagini preliminari gli ha negato la scarcerazione proprio in attesa «dell’esito delle verifiche su questi legami» affidate dal pubblico ministero Giuseppe Cascini agli investigatori delle Fiamme Gialle guidati dal colonnello Cosimo De Gesù.
Del resto lui stesso, ostentando spavalderia al momento della cattura, lo aveva anticipato ai militari che portavano via le apparecchiature informatiche: «Se li aprite viene giù l’Italia».
Da Squatriti a Finmeccanica
Ci sono nomi noti come quelli di Paolo Berlusconi e Claudio Lotito nella lista delle frequentazioni del commercialista, ma anche quello di Marco Squatriti l’avvocato di affari ex marito di Afef Jnifen, coinvolto in numerosi scandali finanziari e tuttora latitante per una bancarotta da oltre 90 milioni di euro.
Con loro Oliverio avrebbe tentato alcune operazioni finanziarie e in alcuni casi sarebbe riuscito a piazzare anche alcuni «colpi» da milioni di euro.
È lo stesso meccanismo utilizzato nei rapporti con Lorenzo Borgogni, ex manager di primo livello di Finmeccanica con il quale condivideva alcune quote societarie e sarebbe riuscito ad orientare appalti gestiti da imprese del Gruppo.
Tutto passava da decine di aziende, nella maggior parte dei casi intestate a prestanome, che il professionista avrebbe utilizzato per «ripulire» fondi di provenienza illecita.
Boss e Politici
I magistrati lo accusano di aver determinato un «forte condizionamento della Pubblica amministrazione attraverso ricatti, attività di dossieraggio e finanziamento illecito della politica, grazie alla partecipazione nelle attività criminali dell’organizzazione di esponenti della ‘ndrangheta calabrese della banda della Magliana e di personaggi facenti parte di logge massoniche coperte oltre ad autorevoli prelati».
Il riferimento è ai contatti con il faccendiere Flavio Carboni e con il boss Ernesto Diotallevi che avrebbe concluso con il commercialista affari immobiliari da centinaia di migliaia di euro.
Ma dagli atti processuali emergono pure i suoi legami con il parlamentare del Nuovo centrodestra Alessandro Pagano e con l’ex senatore Pdl Sergio De Gregorio, sotto processo a Napoli per la compravendita dei parlamentari insieme a Silvio Berlusconi. Uomo di collegamento fra i due era Giuseppe Joppolo che curava i rapporti di De Gregorio con forze dell’ordine e forze armate e proprio per questo sarebbe entrato in contatto con Oliverio.
Generali e 007
Capitolo certamente da esplorare riguarda le frequentazioni di Oliverio con esponenti dei servizi segreti, non escludendo la possibilità che il professionista possa essere stato «fonte» degli 007 in alcune occasioni.
Anche perchè, come svela proprio il gip motivando la scelta di lasciarlo in cella, «l’indagato disponeva di un sistema software per le intercettazioni illegali».
Nel suo computer sono stati trovati numerosi «report» su personalità e affari. Sono resoconti su incontri avuti con personalità e sulla gestione di affari: quanto basta per alimentare l’ipotesi che in alcuni casi Oliverio si sia prestato a svolgere il ruolo di informatore
L’inchiesta sui Camilliani che fece finire in carcere il superiore generale Renato Salvatore aveva svelato i suoi rapporti con sottufficiali della Finanza.
I documenti custoditi nell’archivio svelerebbero però che di ben altro calibro erano i suoi referenti nelle Fiamme Gialle tanto da poter orientare verifiche fiscali su imprenditori e grandi società . Ma anche poter influire sull’attività di ispettori di Equitalia.
I legami in Vaticano Dai Camilliani il professionista aveva ottenuto una procura speciale per la gestione degli appalti in Campania, Calabria e Sicilia.
Si occupava delle commesse e sarebbe riuscito a trasferire fondi all’estero, in particolare in Romania, attraverso un meccanismo che – accusa il Gico della Guardia di Finanza – prevedeva «l’effettuazione di bonifici giustificati da una causale fittizia, compatibile con il mondo camilliano, in modo che il beneficiario, ottenuta la disponibilità in conto, poteva prelevare il contante accreditato all’estero e ottenere in Italia la consegna contante di pari importo attraverso una sorta di compensazione».
Appunti e documenti contenuti nei suoi computer rivelano che non erano soltanto i vertici dell’ordine religioso i suoi referenti in Vaticano. Le informative allegate all’ordinanza rivelano che avrebbe «risolto» un caso di violenza sessuale che vedeva coinvolto un religioso convincendo la vittima a non presentare denuncia. I documenti acquisiti in seguito proverebbero che pure altre questioni delicate – economiche e personali – sarebbe riuscito a governare così favorendo alcuni alti prelati che avrebbero poi ricambiato questa disponibilità .
(da “Il Corriere della Sera“)
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Gennaio 7th, 2014 Riccardo Fucile
VENTI MILIONI IN UN ANNO PER LE SPESE DI BENZINA
Ne hanno fatta di strada i forestali siciliani.
Hanno girato l’Isola in lungo e in largo sino ad accumulare il diritto a rimborsi chilometrici da record: venti milioni di euro l’anno.
È la cifra che, l’anno scorso, la Regione ha dovuto garantire per le trasferte dell’esercito di dipendenti dell’Azienda foreste: 15 mila, cui va aggiunto il nutrito plotone degli operai antincendio, per un totale di 26 mila addetti.
Ora che, sfinita dai problemi di cassa, la giunta Crocetta sta tentando di farsi finanziare dall’Europa almeno una parte dei salari – impiegando i forestali nella realizzazione di sentieri e percorsi naturalistici –la risposta è stata inevitabile: «O tagliate la spesa per i rimborsi chilometrici o niente fondi», hanno detto i funzionari di Stato e Ue agli imbarazzati emissari dell’amministrazione di Rosario Crocetta.
Doveva per forza finire così.
Decenni di politiche clientelari, nell’Isola, hanno allargato gli organici sino a un livello che non teme confronti: in Piemonte, per dire, i forestali sono 406, meno del piccolo Comune di Solarino in provincia di Siracusa.
E alla fine la cassa della Regione siciliana si è svuotata. Anche perchè si scopre ora, con una denuncia dell’assessore alle Risorse Agricole Dario Cartabellotta, che i salari sono stati irrobustiti in virtù di benefici concessi allegramente: basti pensare che, in media, al costo di ogni lavoratore (82 euro) la Regione somma ogni giorno altri 12 euro di rimborsi chilometrici
Com’è possibile tutto ciò, alla luce dell’alto numero di addetti in servizio in ogni angolo dell’Isola?
«Cattiva organizzazione », osservano in Regione, ma il sospetto è che dietro ci sia del metodo: i forestali sarebbero inviati, in modo incrociato, in luoghi lontani dalla propria sede di lavoro per creare i bonus in busta paga.
Nugoli di forestali, per dire, avrebbero viaggiato in questi mesi sulla dorsale tirrenica del Palermitano, 70 chilometri da Pioppo sino a Cefalù, dove altri addetti non sarebbero stati utilizzati. Tutto, appunto, per accumulare rimborsi
Di “furbizie” parla proprio il governatore Crocetta che ora – davanti al disco rosso alzato da Bruxelles – ha deciso di inserire nella legge finanziaria in discussione all’Ars un taglio agli appannaggi di forestali.
Ponendo un limite di 15 chilometri alle trasferte rimborsabili, bloccando il turn-over e i rinnovi contrattuali. I sindacati sono in rivolta e oggi manifesteranno in piazza.
Ma l’opposizione più dura Crocetta l’ha trovata nel Pd. Il segretario regionale Giuseppe Lupo si è schierato a difesa dei forestali: «Se c’è una cattiva organizzazione la responsabilità è del governo. Giusto abolire i privilegi, ma se ci sono diritti contrattuali quelli vanno rispettati. Così dovrebbe ragionare un’amministrazione di sinistra».
«Essere di sinistra non significa essere illegali e parassitari», la risposta di Crocetta.
Uno scontro che scava ancor di più il solco, nell’Isola, fra il presidente e il suo partito.
Emanuele Lauria
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 7th, 2014 Riccardo Fucile
SE IL GOVERNO RESTA, RISCHIA COMUNQUE DI ANDARSENE SACCOMANNI
Paolo Naccarato è uomo dalle multiformi e sempre brillanti carriere politiche: al governo col centrosinistra, parlamentare col centrodestra, ribaltonista qualche volta (ora è alfaniano), cossighiano (nel senso di Francesco Cossiga) sempre.
Quel che non manca al nostro, insomma, è la pratica del mondo politico e dei suoi aspetti tattici.
Detto questo, la sua spiegazione della fase attuale è la seguente: il nodo è la legge elettorale e “su questo mi sia consentito di dare un suggerimento: piaccia o no bisogna attendere senza innervosirsi l’esito della trattativa Renzi-Verdini-Berlusconi e se la pregiudiziale di election day posta dal grande Silvio viene accolta o meno”.
Fino ad allora, al “governo Letta-Alfano conviene occuparsi d’altro”.
Tradotto: il governo è appeso alle discussioni già in corso tra il segretario del Pd e Denis Verdini sul cosiddetto modello spagnolo (Renato Brunetta, mediatore prima del banchiere-editore toscano, preferiva invece il Mattarellum corretto con premio di maggioranza).
Se il sindaco di Firenze e il Cavaliere di Arcore trovano un accordo lo faranno nei prossimi giorni — anche se l’agenda ufficiale non è ancora fissata — in modo da avere un primo voto in commissione entro gennaio e l’approvazione definitiva della riforma entro marzo.
Il motivo è semplice: ci sarebbe ancora il tempo per sciogliere le Camere e tenere le Politiche insieme alle Europee il 25 maggio (il tempo minimo è 45 giorni).
Enrico Letta — al contrario e non a caso — parla di un’intesa da raggiungere entro le Europee in modo proprio da impedire l’election day e rinviare il tutto a dopo il famoso — e presumibilmente inutile — semestre di presidenza italiana della Ue.
Il premier, nel frattempo, è impegnato a stringere il cosiddetto “patto di coalizione” sul governo, ma è del tutto evidente — anche se Palazzo Chigi continua a spargere ottimismo ufficiale sulle intenzioni di Renzi — che si tratta di una partita secondaria rispetto a quel che è stato messo sul fuoco nella cucina del segretario Pd.
Solo se andasse a vuoto l’intesa di quest’ultimo con Silvio Berlusconi — che infatti Letta tenta di contrastare chiedendo che tutto venga discusso nel perimetro della sua maggioranza —, il presidente del Consiglio potrebbe tornare al centro della scena ed essere sicuro di avere il suo anno alla guida del governo: “È chiaro — dice ancora Naccarato — che in quel caso bisognerà ripartire realisticamente da un altro lato dello scacchiere politico con altri interlocutori e altri modelli elettorali”.
E allora potrebbe contare qualcosa anche il patto di coalizione di Letta, anche se i temi sensibili — come unioni civili e riforma della Bossi-Fini — ne rimarranno con ogni probabilità fuori grazie alla classica formula “se ne occuperà il Parlamento”.
Nel caso il governo in carica dovesse rimanere al suo posto ancora per un anno, però, si potrebbe aprire il problema della guida del ministero dell’Economia: non tanto per la questione del rimpasto (Renzi non vuole nessuna poltrona, preferisce usare l’esecutivo come punching ball), ma per le posizioni di Saccomanni.
Ieri l’ex Bankitalia — in una fantasiosa intervista a Repubblica su azioni e risultati dell’esecutivo — ha anche liquidato in sostanza come un’uscita senza alcun legame con la realtà la proposta di Renzi di sforare il vincolo del 3 per cento sul deficit: “Le posso assicurare che non esiste una maggioranza di paesi dell’Ue che vada nella direzione di un allentamento dei vincoli del Patto di Stabilità . Ne dobbiamo prendere atto. Del resto noi stessi abbiamo introdotto in Costituzione il pareggio di bilancio”.
Come dire: altro che 3, dobbiamo arrivare a zero.
Non è detto, insomma, sempre che il governo sopravviva, che Saccomanni non debba lasciare la poltrona di via XX Settembre, visto che già ieri, pure in un giorno festivo, non gli sono mancati gli attacchi di area renziana: “La stabilità non basta — ha sostenuto Sandro Gozi —. Senza un piano serio di riforme istituzionali, economiche e sociali, la crescita non arriverà ”.
Per ora comunque, e fino alla stesura dell’Agenda 2014, è tutto fermo: pure le sostituzione di Fassina e degli altri dimissionari prima di lui.
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 7th, 2014 Riccardo Fucile
C’E’ CHI PARLA DI INTESA SEGRETA CON BERLUSCONI PER PORTARE IL PAESE ALLE URNE
Il canale con Forza Italia è aperto, apertissimo.
«A noi non interessano i litigi tra Alfano e Berlusconi – ha spiegato Renzi ai suoi – ci interessa solo portare a casa la nuova legge elettorale. Chi ci sta, ci sta».
La strategia del segretario democratico è chiara: accreditare l’idea di un asse preferenziale con il Cavaliere per tenere Letta sotto pressione e circoscrivere il potere negoziale di Alfano.
Un disegno che finora sta dando i suoi frutti e che oggi si arricchirà di un capitolo importante.
A Montecitorio infatti la squadra di negoziatori forzisti – Denis Verdini, i capigruppo e i loro vice, oltre a Donato Bruno e Francesco Paolo Sisto – si vedranno per valutare le tre pietanze del menu offerto da Renzi: Mattarellum corretto, sistema spagnolo e doppio turno di coalizione.
Un incontro ancora interlocutorio, ma a cui i renziani attribuiscono molta importanza.
Il risultato della riunione forzista è stato infatti già anticipato al segretario democratico e ai suoi sherpa in alcuni contatti informali tra capodanno e l’epifania.
Sembra che lo stesso Renzi, in Toscana, abbia parlato di persona con Denis Verdini, a sua volta reduce da un incontro ad Arcore con Berlusconi.
Da questa triangolazione è venuta fuori la netta preferenza di Forza Italia per il proporzionale corretto “all’iberica” – circoscrizioni provinciali, liste corte di 5-6 candidati, sbarramento di fatto al 10% – e un deciso non possumus per le altre due soluzioni.
E forse la novità è proprio questa. Nonostante le aperture di Brunetta e dello stesso Cavaliere sul ritorno al Mattarellum, Verdini è riuscito a convincere il leader forzista a cancellare dal tavolo questa ipotesi.
«Nemmeno con la chimera di elezioni a maggio – confida una fonte vicina alla trattativa – potremmo dire sì a un Mattarellum con premio di maggioranza. Ci ritroveremmo a fare da camerieri con un pugno di parlamentari. Non parliamo poi del doppio turno di coalizione».
Ma se Forza Italia dicesse sì al sistema spagnolo, quale sarebbe la risposta del nuovo centrodestra?
Il punto che preoccupa Enrico Letta è proprio questo. Una tenaglia fra renziani e forzisti per mettere con le spalle al muro Alfano e creare difficoltà al governo.
La contrarietà dell’Ncd al menù renziano è infatti sempre più esplicita.
«Le tre proposte di Renzi – argomenta Andrea Augello – sono o incostituzionali o impraticabili. Il Mattarellum con premio di maggioranza va contro la sentenza della Corte, la legge dei sindaci non dà garanzie di governabilità a meno di non abolire il Senato. Quanto allo spagnolo… è basato su liste bloccate, espressamente bocciate dalla Corte costituzionale».
Gli alfaniani, sentendosi in pericolo, alzano a loro volta gli aculei. E già si preparano a creare problemi ai partiti maggiori al Senato – dove la legge sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti entrerà da subito nel vivo – con un emendamento dirompente per le casse Pd e Forza Italia: abolizione dell’esenzione del pagamento Imu per le sedi di partito e immediata entrata in vigore della riforma.
In ogni caso a una legge elettorale approvata in tempo per un eventuale election day il 25 maggio non crede quasi più nessuno.
«Chi conosce il parlamento come me – nota l’Ncd Carlo Giovanardi – sa che si possono fare le cose possibili. La legge ha bisogno dei tempi tecnici per essere perfezionata».
Lo stesso Francesco Paolo Sisto, il forzista che presiede la commissione affari costituzionali della Camera, ammette che «prima della pubblicazione delle motivazioni della Corte Costituzionale non si potrà completare l’esame della riforma ».
Significa la quasi certezza di scavallare la metà di marzo, quando ufficialmente si chiuderà la finestra elettorale per votare a maggio.
Ma c’è anche il sospetto di chi teme davvero un accordo segreto tra Renzi e Berlusconi per portare subito il paese alle urne.
Come Pino Pisicchio del centro democratico: «In verità la cosa più semplice per chi vuole andare subito al voto non è il Mattarellum ma il proporzionale con sbarramento al 4% e le preferenze, quello disegnato dalla Corte.
Di certo conviene a Berlusconi e Grillo, visto che nessuno riuscirebbe a governare. Ma come farebbe Renzi ad accollarsi questa responsabilità ?».
Il segretario Pd continua comunque a tenere tesa la corda, pronto a far scattare un piano di emergenza nel caso i partiti facessero melina sulla legge elettorale.
La via d’uscita dal pantano – già discussa con Boschi, Nardella, Guerini e gli altri che seguono da vicino la partita – sarebbe quella di mandare un testo in aula senza il relatore e trovare lì una maggioranza «con chi ci sta» sul Mattarellum.
Sulla carta sarebbe una linea vincente, dando per scontato il sì di Sel, Lega e 5stelle.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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