Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile TUTTE LE CONTRADDIZIONI: ORARIO, LUOGO DELL’INCIDENTE, MANIPOLAZIONE DEL RAPPOTO DELL’AUTOPSIA DELLE VITTIME
Un caso montato ad arte. E neppure tanto bene. 
Il caso di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre ha assunto tutti i toni di un girone infernale degno della penna di Kafka.
Le divisioni e le contrapposizioni tra le divese autorità indiane che si stanno occupando della vicenda sono così evidenti da far dire al ministro degli esteri indiano Salmar Khurshid «mi sento imbarazzato a sapere che dopo due anni non c’è un capo di accusa contro i due soldati italiani», e ha incolpato l’ex sottosegretario all’interno R.K.Shinde di quello che ha definito «il disastro provocato», sulla vicenda.
Due anni di tira e molla tra cambi di competenze tra i diversi tribunali regionali e federali, vacanze di giudici, feste nazionali e inchieste affidate ora alla polizia locale alla Nia, l’agenzia investigativa che si occupa di antiterrorismo.
Ma sin dalle prima battute è stata un’inchiesta piena di contraddizioni con perizie che hanno compromesso eventuali verifiche e prove andate distrutte.
Autopsia e perizia balistica .
Il 15 febbraio 2012 la Marina Militare informa che il nucleo di protezione a bordo dell’Enrica Lexie ha sventato un attacco di pirati nell’Oceano Indiano. La nave ha continuato la navigazione senza conseguenze.
Il giorno dopo la Guardia costiera indiana fa ritornare nel porto di Kochi la nave italiana.
Sono quindi gli investigatori della guardia costiera i primi a raccogliere prove e testimonianze. Il giorno dopo i due pescatori che secondo le autorità indiane sono stati uccisi dai soldati italiani a bordo della Lexie sono sepolti.
E questa è la prima incongruenza che impedisce di eseguire un’autospia alla presenza di periti di parte.
L’anatopatologo indiano infatti ha redatto un rapporto pieno di contradizioni. Il professor Sisikala, che ha recuperato il proiettile dal corpo di uno dei due pescatori uccisi, nel suo rapporto lo definisce calibro 0,54 pollici, pari a 13 millimetri cioè un calibro inesistente.
«Il proiettile è stato repertato con misure indicate in modo criptico e furbesco» sostiene l’ingener Luigi Di Stefano, perito tecnico che ha lavorato per alcuni tribunali italiani e consulente di società per cause legate a incidenti aerei.
«Se Sisikala avesse espresso le misure del proiettile in forma canonica, cioè con calibro e lunghezza in millimetri, avrebbe scritto calibro 7,62 e lunghezza 31 millimetri. Il caso sarebbe già chiuso dal 16 febbraio, giorno successivo al fatto e giorno dell’autopsia. Invece del diametro ha reso nota la «circonferenza» (credo sia la prima volta al mondo) e invece dei millimetri ha usato i centimetri».
I dati indicati confermano che si tratta della cartuccia 7,62x54R ex sovietica, sparata dalla mitragliatrice russa PK che nulla ha a che vedere con la cartuccia 5,56×45 di unica dotazione ai nostri marò e utilizzabile sia con i fucili Beretta AR 70/90 sia con le mitragliatrici Minimi in dotazione.
Risulta evidente che il calibro non è quello delle armi dei marò ma allo stesso tempo i carabinieri del Ris inviato da Roma per supportare l’inchiesta non vengono neppure ammessi agli uffici dove sono conservate le prove.
La differenza non è sfuggita ai detective della Nia, la polizia antiterrorismo di Nuova Delhi.
Quelli estratti dalla testa di Jalastine e dal torace di Pink, i due pescatori morti, erano calibro 7 e 62, ossia molto più grandi dei proiettili calibro 5 e 56 in dotazione ai due fucilieri del Reggimento San Marco.
Anche la barca, Saint Antony, è stata distrutta cancellando così qualsiasi prova della traiettoria dei proteittili che hanno colpito il peschereccio. Non solo.
Anche il rapporto dell’autospia è stato manipolato.
Grazie a un fermo immagine ingrandito dei filmati trasmessi dal Tg 1 e dal Tg 2 si è visto che i due passaggi del documento che indicano il mese dell’accertamento e associano i proiettili repertati ai nomi delle due vittime, Ajish Pink, 25 anni, colpito al torace, e Valentine Jalastine, 45 anni, fulminato con un colpo alla testa, sono stati redatti con una seconda macchina per scrivere dopo aver cancellato il testo originale. Nel passaggio che cita Binki si vedono addirittura due residui dello scritto precedente. L’indicazione del mese e il nome sono sulla destra, mentre il resto del documento è ordinatamente allineato a sinistra.
La stessa anomalia si ripete quando viene citato il reperto estratto dal cervello di Jalastine.
L’ingrandimento documenta le sbavature di una macchina da scrivere diversa e imprecisa. Perfino il modo di indicare il mese si trasforma. Nell’originale è Cr No.02/12 nella manipolazione è Cr. No: 02/12.
Ora e luogo dell’incidente.
Il proprietario e comandante del Saint Antony Freddy Bosco ha dichiarato un orario dell’incidente che non c’entra nulla con quello dell’abbordaggio fallito alla Enrica Lexie.
La prova è un filmato di «Venad News», una tv del Kerala, un minuto e 31 secondi di dichiarazioni. Dice Freddy Bosco, datore di lavoro dei due pescatori uccisi: «Erano le 9 e 30 della sera. Ho sentito un grande rumore».
Peccato che l’assalto abortito alla petroliera italiana sia avvenuto alle 16 e 30 indiane, come risulta da tutti i documenti, ossia 5 ore prima dell’orario rivelato a caldo da Bosco.
La spiegazione possibile è solo una. L’armatore del Saint Antony si riferiva al giorno precedente e il peschereccio colpito veniva da lontano.
E che possa trattarsi di due episodi diversi in acque lontane e che la morte dei due pescatori non abbia nulla a che vedere con l’attacco di pirati subìto dalla petroliera italiana.
A conferma vengono i dati dell’ l’International Maritime Bureau dell’Icc (la Camera di commercio internazionale),che si occuopa di raccogliere tutti gli episodi di pirateria. L’organismo internazionale segnala in quello stesso mercoledì un altro attacco fallito ad una petroliera da parte di 20 pirati a bordo di due imbarcazioni: sarebbe avvenuto a due miglia e mezzo dal porto indiano di Kochi alle 21.50 locali, dunque oltre 5 ore dopo e molto più a nord di dove sarebbe avvenuto l’episodio riferito dai militari italiani.
Proprio l’orario e il luogo sono due delle contraddizioni emerse tra le diverse testimonianze, così come sono diversi la forma e il colore del peschereccio visto da bordo della nave italiana e quello dei pescatori uccisi.
A questo si aggiunga che i militari italiani ribadiscono di aver visto delle persone armate a bordo (circostanza che mal si concilia con la pesca) e di non aver sparato in modo diretto contro il motopesca, ma di essersi rigorosamente attenuti alle regole d’ingaggio che prevedono dei segnali d’avvertimento e poi l’esplosione di warning shots, cioè delle raffiche in aria a scopo dissuasivo.
A complicare ulteriormente la vicenda c’è la questione della giurisdizione: secondo gli italiani il fatto sarebbe avvenuto in acque internazionali, dove è piena la giurisdizione dello stato di bandiera della nave, cioè l’Italia; inoltre, il nucleo militare di protezione imbarcato è un organo dello Stato, soggetto ad immunità giurisdizionale assoluta rispetto ad autorità straniere.
Un principio al quale l’India si è sempre attenuta quando erano coinvolti suoi militari all’estero.
Maurizio Piccirilli
(da “il Tempo“)
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Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile VERDINI TENTA DI BLOCCARE LA NOMINA DI TOTI, FITTO LA CONTESTA, IL CAVALIERE TIENE DURO
«Lo capite o no che sto tentando di salvare anche voi, anche te Denis?» Silvio Berlusconi perde la pazienza, sta urlando.
Di fronte a lui, tra gli altri, il braccio destro di sempre, Verdini. Ormai in rotta.
È con lui che si consuma lo strappo forse finale, di sicuro senza precedenti.
Una lacerazione che attraversa tutto il gruppo dirigente di falchi e lealisti scesi in guerra contro la nomina «dall’alto » di Giovanni Toti.
È martedì notte, alla tavola di Palazzo Grazioli siedono anche Sandro Bondi, Gianni Letta, Deborah Bergamini, Rocco Crimi, ma soprattutto lo stesso direttore di Tg4 e Studio Aperto e il responsabile dei club Marcello Fiori.
È Verdini ad aprire le danze. «Presidente, tu non puoi pensare di rottamare un’intera classe dirigente, noi che ti stiamo accanto dal primo momento, per imporre una figura pur autorevole come Giovanni qui presente» è stato il suo incipit.
E giù con le critiche che sono poi quelle mosse due giorni fa anche da Raffaele Fitto nell’intervista al Corriere.
Raccontano i presenti che Berlusconi a un certo punto rompe gli indugi e si infuria. «Io non voglio rottamare nessuno, ma vi rendete conto o no che siamo gli stessi da vent’anni? Sempre le stesse facce» è il j’accuse.
«Fuori da qui, c’è un signore con meno di quarant’anni che a Largo del Nazareno ha nominato una segreteria in cui l’età media è 35: giornali e tv non parlano d’altro. Grillo appare nuovo?» Una filippica aspra come non ne sentivano da tempo, a Grazioli. «Vi è chiaro che così sembriamo vecchi e rischiamo di essere travolti alle prossime elezioni?».
I presenti, Verdini in testa, in silenzio, annichiliti.
«Io non voglio sostituire nessuno, ricandiderò tutti gli attuali parlamentari, ma ho il bisogno di aggiungere. Di affiancare a tutti voi, gente dal volto nuovo da Toti a Fiori e i club devono diventare la seconda gamba del partito, magari anche per Statuto ». Verdini incassa. Ma non si arrende.
Ieri mattina è tornato nella residenza per rilanciare: «Potremmo pensare a due coordinatori, uno organizzativo che sarei io e uno politico, Toti».
Ma non sembra abbia sfondato col Cavaliere. Il direttore del Tg4 l’altra sera a cena ha fatto da osservatore, parte in causa.
Una cosa però l’ha detta: «Qui il problema non sono io, che posso benissimo continuare a fare quel che faccio, ma bisogna rendersi conto che fuori da qui il mondo è cambiato».
Berlusconi rinvia alla settimana prossima la nomina del comitato di presidenza dei 36, per adesso quello. Ma, raccontano, resta convinto che a Toti andrà riconosciuto un ruolo che sia un gradino sopra quella sorta di segreteria in «stile Renzi», sebbene in Transatlantico ieri falchi e lealisti si dicessero certi che il direttore sarà al più un «portavoce».
Con Berlusconi ha voluto pranzare ieri quasi da solo (presenti Gianni Letta e Nicolò Ghedini) Raffaele Fitto.
Rifiuta incarichi da responsabile enti locali a membro del comitato ristretto. «Non voglio nulla, ma ti ripeto che non ci puoi commissariare con un pur rispettabile giornalista» ha ripetuto.
Gelo rotto tra i due, ma il clima nel partito resta quello.
In serata il direttore del tg La7, Enrico Mentana, spara a sorpresa: «Si può essere contemporaneamente direttore di un telegiornale e coordinatore di un partito? Sarebbe il caso di dare anche adesso un piccolo stacco, in favore di quella credibilità giornalistica nella quale noi ci ostiniamo a credere».
Immediata la replica del direttore Mediaset, che contiene anche un avvertimento ai riottosi del partito: «Se Mentana leggesse i quotidiani saprebbe che non ricopro ancora alcun incarico. Continuo e con soddisfazione a dirigere i tg che Mediaset mi ha affidato. Cosa che potrei continuare a fare anche nei prossimi mesi. Nel momento in cui dovessi decidere di scendere in politica, certamente mi dimetterei. Quanto ai rapporti tra politica e giornalismo, voci più autorevoli della mia per esperienza Mentana può trovarle sulla sua rete, da Gruber a Santoro già parlamentari».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile LEGGE ELETTORALE QUASI PRONTA… I BERSANIANI: “MAI COL PREGIUDICATO”. .. LA REPLICA: “CI AVETE FATTO UN GOVERNO”.. NAPOLITANO AL PREMIER: RIMPASTO? QUELLO CACCIA TUTTI”
Quella di ieri è stata la giornata dei due gemelli terrorizzati. 
Angelino Alfano esce sconvolto dall’incontro con Matteo Renzi, Enrico Letta da quello con Giorgio Napolitano.
Il coro greco del lato perdente del Pd, terrorizzato anch’esso, aggiunge pathos alla scena. Cominciamo col leader degli scissionisti berlusconiani.
Il vicepremier, ieri mattina, s’è ritrovato davanti alla sua nemesi: il sindaco di Firenze, infatti, gli ha servito come antipasto il possibile patto sulla legge elettorale con Silvio Berlusconi.
Legge che, ovviamente, non sarebbe granchè favorevole ai piccoli partiti come Ncd. Tanto, ha candidamente spiegato Renzi all’interlocutore, “voi nascete per fare una battaglia per l’egemonia all’interno del centrodestra, no?”.
Non solo. Il sindaco ha confermato ad Alfano che si appresta a incontrare il Cavaliere: lo farà al Nazareno, sede del Pd, seduto alla sua scrivania, davanti a telecamere e taccuini. Nessun segreto.
A Denis Verdini — che ieri sera, secondo le agenzie, ha avuto una riunione tecnica col politologo Roberto D’Alimonte – ha spiegato che l’offerta è per un pacchetto unico: legge elettorale, abolizione del Senato, riforma del Titolo V e riduzione dei compensi ai consiglieri regionali al livello dei sindaci.
Berlusconi ha detto sì a tutto, ma Renzi — con ottime ragioni — continua a non fidarsi molto: “Se ci vediamo è per chiudere”, ha insistito ieri.
Questa faccenda del Cavaliere, peraltro, ha innescato una polemica all’interno dello stesso Pd che oggi tiene la prima direzione post-primarie: “Sento dire di incontri con Silvio Berlusconi al Nazareno — ha spiegato Alfredo D’Attorre, deputato assai vicino a Pierluigi Bersani — Immagino che Renzi sarà cauto su mosse che possano resuscitare politicamente Berlusconi”. E, comunque, il segretario non può incontrare “un pregiudicato alla sede del Pd”.
La risposta vera del sindaco è quella di Paolo Gentiloni su Twitter: “Chi ha perso le elezioni e con Berlusconi ha fatto un governo ora dice a Renzi che non deve parlarci di legge elettorale #dachepulpito”.
In realtà Berlusconi e la sua condanna c’entrano poco: il problema sono le liste bloccate del modello spagnolo o il collegio unico del Mattarellum, con cui Renzi si troverebbe a scegliere quasi tutti i candidati, mentre gli sconfitti del congresso — oggi in maggioranza nei gruppi parlamentari — guarderebbero le elezioni da casa.
Alla fine trova il modo di ammetterlo anche il bersaniano D’Attorre (“Berlusconi e Renzi non possono nominare l’intero Parlamento”), che si scopre addirittura proporzionalista dopo una vita passata a sognare il doppio turno: “Il proporzionale disegnato dalla Consulta va migliorato, certo, ma ora c’è ed è giusto che la discussione ne tenga conto”.
Tutto qui: se la legge elettorale non terrà conto della voglia di sopravvivere di un ceto politico ancora in sella, il Pd perderà dei pezzi durante il voto parlamentare e il governo rimarrà sotto le macerie.
In serata — dopo che Renzi ha trovato il modo di pranzare pure con Nichi Vendola e garantirgli qualche strapuntino quando sarà — Enrico Letta arriva al Quirinale.
Ufficialmente il premier, appena tornato dal Messico, ha illustrato a Napolitano “alcuni elementi del prossimo patto di coalizione”, ufficiosamente il capo dello Stato gli ha raccontato del suo incontro con Renzi di lunedì: è andato malissimo, il riassunto, e la partita del governo ora è bloccata.
L’inquilino del Colle ha invitato il sindaco a promuovere Graziano Delrio, solo che Renzi – raccontano fonti parlamentari – ha risposto che se si mette mano al rimpasto lui, più che promuovere uno dei suoi, proporrà l’azzeramento del governo: De Girolamo, Cancellieri, Trigilia, Lupi, Alfano…
La lista non finiva più e comportava, chiaramente, la fine dell’esecutivo più che la sua rifondazione.
Letta, invece, è disponibile solo a un’operazione di facciata: un giro di valzer, qualche generoso passo indietro per il bene del paese, niente dimissioni, tutto tra amici.
Insomma la situazione è nera e infatti Letta ha preferito restare in silenzio per tutto il giorno. Assente dal dibattito, di nuovo, il Movimento 5 Stelle: ieri Gianroberto Casaleggio è arrivato a Roma per discutere coi parlamentari — tra le altre cose — proprio di legge elettorale.
Ne viene fuori che il cofondatore del movimento considera “astratte e incostituzionali” tutte e tre le proposte di Renzi, che sul ddl dei 5 Stelle deciderà la rete coi suoi tempi (cioè verso fine febbraio al più presto), che alla fine a Grillo e soci non dispiace il proporzionale puro venuto fuori dalla sentenza della Consulta.
“Questo Parlamento è illegittimo e non può scrivere la legge elettorale. Andiamo a votare con la legge attuale”. Lo scrive su Facebook Danilo Toninelli, curiosamente lo stesso deputato che ha firmato la proposta di legge del M5S, una sorta di modello spagnolo corretto.
Marco Palombi
(da Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile IMMUNITA’ A LARA COMI NEL CONTENZIOSO CON L’EX SINDACO DI FERRARA: DISSE CHE ERA CONDANNATO, MENTRE ERA INCENSURATO…PER IL PARLAMENTO EUROPEO SI PUO’
La plenaria del Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza per alzata di mano la richiesta di garantire l’immunità a Lara Comi, eurodeputata di Forza Italia che circa un anno fa è stata querelata dall’ex sindaco di Ferrara, Roberto Soffritti.
Secondo la relatrice al dossier, l’ambientalista austriaca Eva Lichtenberger, ««il principio sotteso all’immunità parlamentare (…) è la libertà dei membri di discutere su materie di interesse pubblico senza essere obbligati a modellare le loro opinioni in modo da renderle accettabili o inoffensive per chi le ascolta, senza temere, in caso contrario, di essere citato in giudizio».
Se valesse anche per i giornalisti, consentirebbe di dire cose inaccettabili e improponibili per chi le ascolta senza il rischio di querele. Grazie al cielo, la legge non lo consente. E’ giusto e bello così.
Ecco i fatti. Durante una puntata di “Servizio Pubblico” del gennaio 2013, l’onorevole Comi, fedelissima berlusconiana, paladina degli stabilimenti balneari, ha rilasciato delle dichiarazioni ritenute diffamatorie dall’ex sindaco di Ferrara, Roberto Soffritti, candidato alle ultime elezioni nella lista Ingroia.
La Comi disse che Soffritti non era presentabile poichè sarebbe stato coinvolto in vicende legate alla Mafia e aveva fatto fallire la Coopcostruttori.
Soffritti venne indicato dalla Comi, come riportato nel capo di imputazione deciso dal pm Nicola Proto, come «persona poco limpida», «con un background di tipo mafioso», «che ha fatto fallire la Coopcostruzioni… imputato per questi fatti e condannato».
Le affermazioni risultano essere del tutto infondate — si leggeva sui giornali pubblicati in quei giorni – poichè sulla vicenda ferrarese del Palaspecchi di Gaetano Graci, e il crac Coopcostruttori, Soffritti non ebbe mai nessun ruolo giudiziario, tuttalpiù di testimone.
Roberto Soffritti era incensurato. Lara Comi ne parlò apertamente come condannato.
In seguito si è scusata, il che può essere letto come l’ammissione di essere andata un po’ troppo in là . Davanti alla richiesta di risarcimento, tuttavia, ha chiesto l’immunità europea.
L’ha avuta. Ora il Parlamento europeo stabilisce che un deputato può esprimere valutazioni azzardate o mendaci se nell’esercizio della sua attività . Stucchevole.
Si legge nelle motivazioni. “La logica alla base di questo orientamento si ritrova nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha esteso la tutela del discorso politico persino a discorsi offensivi o oltraggiosi, i quali possiedono molto spesso “una capacità unica di focalizzare l’attenzione, di smontare i preconcetti e di colpire il pubblico presentandogli aspetti della vita insoliti””.
Ancora: “L’articolo …, dunque, deve essere interpretato in modo tale da includere non soltanto dichiarazioni di opinioni e giudizi di valore su materie di interesse pubblico e/o di rilevanza politica, ma anche dichiarazioni che, per i contenuti o le modalità , possono irritare od offendere il pubblico in generale o singoli che ne siano i destinatari diretti o indiretti, se tali dichiarazioni sono funzionalmente legate all’esercizio dell’attività parlamentare”.
In detto contesto, “la commissione giuridica ritiene che i fatti inerenti alla causa, come si evince dall’atto di querela e dall’audizione di Lara Comi, indicano che le dichiarazioni formulate dalla stessa non soltanto riguardano materie di autentico interesse pubblico – appalti pubblici e criminalità organizzata – ma presentano anche un nesso diretto ed evidente con l’esercizio delle sue funzioni di deputato al Parlamento europeo”.
Vanno anche tenute in “debita considerazione le scuse personali prontamente presentate dall’on. Comi nei confronti del querelante, ribadite successivamente anche in un’altra trasmissione televisiva nazionale”.
Morale. Un deputato europeo può dire in televisione che un rivale politico è pregiudicato quando non lo è, poi scusarsi, e non incorrere in conseguenze perchè stava esercitando il suo lavoro di politico.
Così è, anche se non vi piace.
Marco Zatterin
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Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile NELL’INCHIESTA SU AMBROSIO, L’EX CAPO DI GABINETTO DI GALAN, I CONTATTI PER AVERE LA NOMINA AL MINISTERO
Nunzia De Girolamo, prima di essere nominata ministro il 28 aprile del 2013, le aveva tentate tutte per
inserirsi nelle stanze del Ministero dell’Agricoltura.
E lo testimoniano i contatti avuti con l’ex capo di gabinetto di Galan, Giuseppe Ambrosio, arrestato a dicembre del 2012, difeso dall’avvocato Paola Balducci e scarcerato tre mesi dopo, nell’ambito di un’inchiesta della procura di Roma su episodi di corruzioni sugli appalti al Ministero.
Il Fatto, mesi fa, aveva già pubblicato un’intercettazione del 6 ottobre 2010 tra Ambrosio e la De Girolamo, che sponsorizzava se stessa inviando il curriculum.
E mentre Galan è ministro, la De Girolamo ottiene la nomina — firmata grazie ad Ambrosio su un volo Tel Aviv-Venezia — a consigliere delle relazioni internazionali.
Incarico a titolo gratuito, che tuttavia le ha consentito di avere un ufficio al Ministero con tanto di rapporti istituzionali.
Le intercettazioni riportate nelle carte dell’inchiesta su Ambrosio — chiamato negli ambienti del ministero il “Centurione” — partono proprio da quella pubblicata già integralmente sul Fatto del 6 ottobre 2010.
Nunzia De Girolamo: Senti Giuseppe, ti mando oggi il curriculum per quella cosa
Giuseppe Ambrosio: Sì, sì.
Ndg: Ma mi ha chiamato la stampa dicendomi: “Volevo sapere se sa qualcosa dei sottosegretari”, ho detto: “Non so niente” perchè dice: “Ma lei dovrebbe essere nominata”. Dico: “Io non so nulla”, dice: “Ma è vero che lei andrà a curare le relazioni internazionali per Galan ?”, “No, guardi non è vero niente”, ma chi glielo ha detto?
G.A.: Il mio Ministro che non si tiene un cecio in bocca.
L’attuale ministro dell’Agricoltura aveva detto di non ricordare quella telefonata: “Penso di aver parlato con Ambrosio diverse volte, poichè era capo di gabinetto dell’allora ministro dell’agricoltura, quindi rappresentava un’istituzione, e io ero un parlamentare membro della commissione agricoltura della Camera dei deputati”.
Nei brogliacci della Procura, questa telefonata però viene così interpretata: “Parlano del ministro (Galan, ndr) che non si tiene un cecio in bocca sul fatto che lei andrà a curare le relazioni internazionali per il ministro Galan”.
E sarà proprio per il ruolo “istituzionale” di Ambrosio che a questa telefonata seguono, fino all’11 novembre del 2010, altri 25 contatti, tra sms e telefonate , che si concludono con l’ottenimento per la De Girolamo di quell’incarico, firmato su un volo di linea.
Il 7 ottobre 2010, il ministro manda un sms ad Ambrosio: “Tutti i giornalisti sanno di questa nomina, incredibile! Se dovesse cambiare idea fare una figuraccia, pertanto continuo a negare”. Seguono altri contatti in cui i due stabiliscono degli incontri.
Come quello del 12 ottobre 2010 in cui Ambrosio invia il seguente sms — che spiega anche il tono confidenziale tra i due — alla De Girolamo: “Scusami della fretta, avevo riunione al tesoro”. E lei risponde: “Figurati, con me non devi farti questi problemi”.
Il 27 ottobre la De Girolamo scrive ancora ad Ambrosio: “Non solo impediscono la nomina ma diffondono anche la notizia della nomina!”.
E infine il 9 novembre 2011, dalle intercettazioni emerge che l’incarico era stato conferito. Ambrosio entusiasta chiama subito la De Girolamo: “Ha firmato! Non ci credo! Si, sono a Venezia… sono riuscito a fargli firmare il decreto durante il volo da Tel Aviv a Venezia… a un certo punto gli dicevo… vabbè lo vuoi firmare, me lo hai fatto portare qui, alla fine ha fatto: hai ragione tu ci vuole coraggio nelle cose… firmo! Sei terribile, certo è chiaro che era la sig. di Brescia (Viviana Beccalossi, ex capogruppo Pdl in commissione agricoltura, ndr), è certo che era lei, me lo ha detto lui, questa è solo invidia, ma su che cosa?! Che poi sei capogruppo in commissione, non è che sei l’ultima. È veramente deprimente quando donna su donna, eh si noi donne non riusciamo a fare gruppo, se ne accorgerà , è gelosia. Sai quando ho avuto un po’ di difficoltà con Galan, dei parlamentari! L’unica è stata lei che mi voleva sostituire, ma che problema ha.”
Poco dopo Ambrosio si complimenta per la nomina e scrive un sms alla De Girolamo: “Complimenti consigliere, un grande bacio”.
Lei risponde: “Grazie mille per tutta la fatica.”
L’ufficio ottenuto con questo incarico, piace alla De Girolamo e lo comunica ad Ambrosio. L’sms è del 24 novembre 2010: “Grande l’ho incontrato e mi ha insultato per l’ufficio. Mi ha detto di venire lunedì e martedì.”
Valeria Pacelli
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile IL DISCORSO CHE LA DE GIROLAMO DOVREBBE FARE DOMANI IN PARLAMENTO
Nunzia De Girolamo potrebbe non essere soltanto la donna spregiudicata e proterva che abbiamo descritto, usando le sue stesse parole rubate da un funzionario dell’Asl di Benevento che stava per essere epurato.
Potrebbe essere anche una politica a suo modo in buona fede, intelligente, determinata e desiderosa di fare qualcosa di buono, anche se le idee, il curriculum, le compagnie e i comportamenti non ci piacciono.
Se è così, domani ha un’occasione imperdibile per dimostrarlo.
Nel riferire alla Camera sullo scandalo che la vede coinvolta replicando alla mozione di sfiducia individuale dei 5Stelle, potrebbe evitare le solite geremiadi sul non essere indagata (e chi se ne frega), sulla “privacy violata” e sulle “intercettazioni abusive”: se qualcuno fosse entrato di soppiatto in casa sua per registrare le sue conversazioni, avrebbe ragione di lamentarsi; ma è stata lei a convocare in casa sua i dirigenti dell’Asl per discutere di appalti, presìdi ospedalieri e favori a parenti e amici, trasformando la sua privata abitazione in un luogo pubblico e le conversazioni in affari pubblici; e registrare di nascosto i propri colloqui con altri è lecito.
Cosa potrebbe dire allora la De Girolamo ai deputati, e dunque ai cittadini? La verità . Tutta la verità . Nient’altro che la verità .
E cioè che in Italia, con questa classe politica, questi partiti e questa Pubblica Amministrazione, un giovane che voglia emergere in un partito e conquistare un posto di governo non deve dimostrare di essere bravo, competente e onesto: queste non sono qualità , sono ostacoli e fonti di sospetto.
Deve invece crearsi una rete di potere, clientele e voti di scambio, cominciando dal proprio terreno di caccia elettorale, scalzandone gli altri concorrenti e sistemando fedelissimi (meglio se parenti o amici) nei posti chiave, a partire dalla più grande mangiatoia sopravvissuta a tutti i tagli e le spending rewiev: la sanità pubblica e/o convenzionata.
Cioè usando gli stessi sistemi dei vecchi ras della Prima e della Seconda Repubblica (semprechè esista una differenza).
A Benevento il centrodestra coincide da tempo immemorabile con la famiglia Mastella, dunque bisogna annientare i mastelliani con metodi mastelliani.
Che sono comunque meno persuasivi di quelli dei padroni del centrodestra campano: Nicola Cosentino detto Nick ‘o Mericano e Luigi Cesaro detto Giggino ‘a Purpetta.
L’alternativa è restare gregari a vita, o abbandonare la politica, o aderire ai 5Stelle sperando di non essere riconosciuti.
Sarebbe, questo, un discorso di verità . Purchè non si concluda col classico, farabuttesco “così fan tutti”, che punta all’autoassoluzione e alla perpetuazione del sistema marcio in saecula saeculorum.
Ma con un discorso serio e onesto: “Ho sbagliato, dunque mi dimetto e me ne sto buona buona in quarantena fino al prossimo giro di giostra, se mai mi ricapiterà . Però intanto vi dico che così non si può andare avanti. E anche le mie dimissioni, senza un discorso di verità da parte di tutti, resteranno inutili. Perchè al mio posto arriverà qualcun altro che le cose che ho fatto io le fa da sempre, ma è stato più fortunato a non farsi beccare. Finchè le Asl e tutte le società pubbliche, dagli acquedotti ai rifiuti, resteranno nelle mani dei partiti che le spremono come limoni per finanziare se stessi e il loro indotto clientelare in cambio di voti, si passerà dal sistema Mastella al sistema De Girolamo al sistema Tizio, Caio e Sempronio. Voglio usare la mia breve esperienza e i miei molti errori per raccontarvi senza ipocrisie come funziona la politica in Italia e cosa si può fare per cambiarla, riformando i partiti (che devono smettere di essere strutture elefantiache sempre a caccia di soldi) e del settore pubblico (che oggi è privato, perchè non appartiene ai cittadini, ma ai politici)”.
Se domani dirà così, Nunzia De Girolamo renderà un buon servizio alla politica, all’Italia e soprattutto a se stessa.
Altrimenti resterà uno dei tanti militi ignoti, caduti sull’eterno campo di battaglia del magnamagna.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile NON C’E’ LIMITE ALL’INDECENZA: I LEGHISTI AUMENTANO LE TARIFFE FINO AL 7% E POI MANIFESTANO CONTRO IL SALASSO DI “ROMA LADRONA”
Nei giorni scorsi i leghisti hanno manifestato contro l’aumento dei pedaggi autostradali, bloccando per
qualche minuto alcune corsie del casello di Gallarate. Strappando il biglietto del pedaggio, Salvini ha bonfonchiato: “E’ un Italia razzista contro il Nord”.
A forza di bere l’acqua inquinata del Po o il pitale della sorgente del Monviso, qualche padagno forse accusa vuoti di memoria.
Vediamo di fargliela tornare: chi sono i responsabili della maggiorazione dei pedaggi dei tratti autostradali del Nord? Chi presiede queste società autostradali?
Il presidente della “Brescia- Verona- Padova” (tariffe + 1,4% dal 1 gennaio) è un tal Flavio Tosi, il sindaco leghista di Verona.
Alla presidenza della holding che controlla la concessionaria della Bs-Pd A4 (+ 5,7% l’aumento) siede, guarda il caso, un altro leghista, il signor Attilio Schneck.
Le “Autovie Venete”, invece, hanno rincarato il pedaggio del 7%. Sapete da chi sono presiedute? Il Presidente è il leghista Matteo Piasente. Alla vicepresidenza c’è il suo collega di partito, Ivano Faoro.
A guida leghista anche il passante di Mestre (+6,2% il salasso), dove spicca sior Tiziano Bembo.
Perchè l’indignato Salvini non ha chiesto le loro dimissioni ?
Sono loro i razzisti contro il Nord contro i quali si scaglia la Lega?
Altro che prendere per il culo i cittadini del Nord: abbassate le tariffe e rinunciate agli stipendi.
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Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile SE NON RAGGIUNGERA’ IL 4% SALVINI PASSERA’ ALLA STORIA COME IL BECCHINO DELLA PADAGNA… MARINE LE PEN PRENDE LE DISTANZE: “NOI SIAMO CONTRO L’IMMIGRAZIONE INCONTROLLATA, MA NON SIAMO RAZZISTI”
L’estrema destra francese ha «inquietudini in comune» con la Lega Nord.
Lo dice all’Ansa la leader del Front National, Marine Le Pen, dopo il pranzo avuto con il segretario del Carroccio, Matteo Salvini, durante il quale si è valutata l’ipotesi di fare «eventualmente» un gruppo comune al Parlamento europeo dopo le elezioni di maggio.
Solo ipotesi perchè i sondaggi danno la Lega gestione Salvini al minimo storico, ben sotto il 4% che costituisce lo sbarramento per aver diritto a rappresentanti a Strasburgo.
“Con Salvini abbiamo un certo numero di inquietudini comuni – ha sottolineato Le Pen – che riguardano l’Unione europea, l’euro, il funzionamento anti-democratico della Ue, l’immigrazione massiccia subita dai nostri paesi. Perciò discutiamo per vedere se, partendo da questi punti in comune, potrà uscire un giorno una lotta politica al Parlamento europeo, eventualmente nel quadro di un gruppo parlamentare».
Preoccupa la deriva razzista della Lega Nord? «Non sono aggiornata giorno per giorno sull’attualità politica della Lega Nord – risponde Le Pen – Per quanti ci riguarda Il Front National ha sempre detto che difendiamo i francesi di qualsiasi razza, religione e origine. Non accettiamo l’immigrazione di massa, l’apertura generale delle frontiere, l’arrivo massiccio di altri popoli che non possiamo più accogliere perchè non ne abbiamo più i mezzi, ma non siamo certo xenofobi”.
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