Gennaio 21st, 2014 Riccardo Fucile LA TENTAZIONE DI UN ASSE IN PARLAMENTO CON CHI DISSENTE: L’ARROGANZA DI RENZI NON PAGA… E’ COMICO CHE PROPRIO NARCISO-RENZI ACCUSI GLI ALTRI DI CERCARE RILIEVO MEDIATICO
«È stato un attacco grave e personale, ma io non mi dimetto». Per uno solitamente dialogante e dai modi gentili come Gianni Cuperlo, l’uscita di scena mentre parla il leader equivale alla celeberrima scarpa sbattuta da Nikita Kruscev sul tavolo dell’Onu: facendo le debite proporzioni, è comunque la massima espressione di dissenso.
Lo strappo della minoranza era annunciato, ma l’epilogo della direzione pd è l’inizio di una battaglia inevitabile.
Si giocherà voto per voto, magari in asse con Ncd e centristi, per modificare in Parlamento l’Italicum di Renzi e Berlusconi.
L’annuncio della rottura è tutto nei gesti di Cuperlo, che all’improvviso si alza dal tavolo della presidenza, volta le spalle a Renzi e fila via verso l’uscita, mentre il segretario «con amicizia» lo bacchetta: «Gianni, avrei voluto sentirti parlare di preferenze quando vi siete candidati nel listino senza fare le primarie…».
Un affondo che scatena la rabbia di cuperliani e bersaniani, fa scattare dalla seggiola anche l’ex viceministro Stefano Fassina («Inaccettabile!») e chiude in un ristorante del centro amato da Bersani la metà dei 34 che si erano astenuti sulla relazione.
Una cena di crisi dove Zoggia, D’Attorre e gli altri discutono fino a notte per convincere Cuperlo a far rientrare l’ipotesi di dimissioni del presidente del Pd.
«Ne stiamo ragionando tutti insieme», conferma Fassina alle 20.28 e smentisce come «assolutamente infondata» la voce che sia stato lui a pressare il presidente perchè si dimettesse.
I cuperliani pensano che Renzi lo abbia «provocato» proprio per spingerlo a mollare l’incarico, per questo l’idea del passo indietro rientra che è notte.
«Cuperlo lasci la presidenza del Pd – attaccava nel pomeriggio la senatrice Rosa Maria Di Giorgi -. Il livore e l’astio che hanno caratterizzato il suo intervento contro il segretario rendono evidente che non è in grado di garantire la terzietà di un ruolo di garanzia». Una posizione che Pina Picierno, a nome della segreteria, dirà a sera di non condividere.
La scelta dell’ala sinistra di astenersi non dice quanto alto sia il livello dell’arrabbiatura e si spiega con le divisioni della minoranza: se Cuperlo avesse scelto di votare contro la relazione del leader, i Giovani turchi di Matteo Orfini non lo avrebbero seguito.
E però la contrarietà è forte. Alla sinistra non è piaciuto il metodo, è dispiaciuto (molto) il fatto che Silvio Berlusconi abbia varcato la soglia del Nazareno e, soprattutto, non è andato giù il contenuto della bozza di legge elettorale.
All’ora di pranzo gli animi nella sala Berlinguer della Camera, dove si è riunito il «correntino» di minoranza, erano parecchio infuocati.
L’intenzione è quella di non andare alla guerra, ma di discutere nel merito, per ottenere (dopo il doppio turno) anche le preferenze.
Per contenere i toni si decide di non far parlare i più duri come Fassina, lasciando la parola davanti al parlamentino al solo Gianni Cuperlo.
Ma in direzione Renzi va giù duro, insinua che la minoranza si prepari a usare «strumentalmente» l’argomento delle preferenze per ottenere «un’eco mediatica», esprime «gratitudine» al Cavaliere e ammonisce con forza Cuperlo e compagni, per la «subalternità culturale» e la «ostilità pregiudiziale» verso l’ex premier.
Argomento, quest’ultimo, che infastidisce i bersaniani quanto un dito nell’occhio, prova ne siano gli hashtag coniati dalla pasionaria Chiara Geloni durante la direzione, da #primarieteetuasorella a #volevoignorarlomanonciriesco.
La premessa di Cuperlo è che la minoranza non vuole restare «ferma immobile sulle gambe», nè intralciare la riforma.
Anzi, vuole essere «protagonista» della nuova Repubblica: «Ma la proposta non è ancora convincente, non garantisce rappresentanza adeguata nè ragionevole governabilità , con le liste bloccate non permette agli elettori di scegliersi i parlamentari…».
E poi, cala l’asso l’ex sfidante delle primarie, «temo che sussistano profili di dubbia costituzionalità e farsi riscrivere per la seconda volta la legge dalla Corte è uno scenario non auspicabile, nè ragionevole».
Massimo D’Alema sceglie di non parlare dal palco, Veltroni media tra Renzi e Letta e Franco Marini, che pure alle primarie aveva sostenuto Cuperlo, apre alla riforma di Renzi.
Cuperlo, invece, ha da eccepire anche sulla soglia del 35 per cento per accedere al premio di maggioranza, «troppo bassa». E non accetta che Renzi abbia impugnato i tre milioni di voti delle primarie per affermare, in sostanza, che la legge elettorale si farà come dice lui: «Bene, allora è inutile convocare la direzione… Funziona così un partito? Io temo di no, credo di no, spero di no!».
Ora l’opposizione vuole un referendum tra gli iscritti e si prepara a lanciare una campagna di comunicazione, per chiedere primarie per legge e spiegare agli elettori che la nuova legge gli impedirà di scegliersi i rappresentanti.
«La replica di Renzi è stata ingenerosa – commenta l’ex ministro Cesare Damiano -. Il nostro atteggiamento è costruttivo, mi pare non si possa dire altrettanto del segretario. Il suo modello elettorale apre una grave ferita e in Parlamento bisognerà fare una battaglia».
Tra di voi si teme che il leader voglia spingervi alla scissione, è così? «Io non so quale sia il suo obiettivo -risponde Damiano – ma una minoranza quando non è d’accordo lo dice, si vuol negare anche questo?».
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 21st, 2014 Riccardo Fucile RENZI: “INTANTO SOSTITUISCA CANCELLIERI E DE GIROLAMO”
«Ora mi aspetto che Renzi, se vuole essere coerente con la promessa di sostenere lealmente il governo
fino al 2015, mi indichi i nomi di chi deve entrare». Enrico Letta resta ufficialmente silente di fronte all’accordo sulle riforme portato a casa dal segretario democratico, ma nelle numerose conversazioni con alleati e compagni di partito batte sempre sullo stesso tasto: «Renzi deve iniziare a sporcarsi le mani».
Da Palazzo Chigi filtra un accenno di soddisfazione per un’intesa, quella sul doppio turno di coalizione, che «almeno ha il merito di tenere unita la maggioranza pur aprendosi alle opposizioni».
Ma quello della legge elettorale era solo il primo scoglio da superare.
Resta ancora senza risposta la domanda di Letta su cosa voglia davvero fare il sindaco di Firenze rispetto all’esecutivo.
Non rassicura di certo il premier la vaghezza dimostrata dal leader democratico ogni volta che, nei loro faccia a faccia, il discorso è caduto sul rinnovamento della squadra di governo. «L’esecutivo è una tua responsabilità e una tua prerogativa», gli ha sempre ripetuto Renzi.
Cercare di stanare il sindaco di Firenze, affinchè cessi la tattica “di lotta e di governo”, è diventato anche interesse comune degli alleati della maggioranza.
Per questo Angelino Alfano, ancora prima di ricevere ieri Renzi al Viminale, ha provveduto a lanciare la sua richiesta di un Letta bis.
Una mossa se non concordata, di certo discussa nei giorni scorsi a palazzo Chigi con il premier: «Ci vuole anche più di un rimpasto. Secondo me ci vuole un nuovo governo a guida Letta – ha detto il leader Ncd a Radio24 – che abbia un reshuffling delle competenze, dei ministri. Una vera nuova vita di un governo attraverso un nuovo governo». Una richiesta analoga a quella avanzata dal segretario di Scelta civica Stefania Giannini.
Nei piani di Letta il “reshuffling”, il rimescolamento, dovrebbe procedere di pari passo con la firma del nuovo contratto di coalizione, ormai arrivato a uno stadio di stesura quasi definitivo.
In questo modo si potrebbe vincolare Renzi per i mesi a venire.
Il senatore lettiano Francesco Russo usa la metafora ciclistica di Coppi e Bartali per indicare la necessaria collaborazione tra i due leader: «Questo è il momento di mettere da parte le rivalità e pedalare l’uno al servizio dell’altro. Caro Matteo, la salita dura fino ad adesso è stata tutta nelle gambe di Enrico: da qui in poi per far sì che il governo risolva davvero i problemi degli italiani c’è bisogno del tuo aiuto, di una borraccia d’acqua fresca e del tuo talento».
Ma è inutile chiedere a Renzi di impegnarsi su questo. «Vorrebbero cacciare i bersaniani e metterci i renziani – ha spiegato il Fiorentino ai suoi – ma io a questi giochini di palazzo non ci sto. Intanto Letta inizi a sostituire Cancellieri e De Girolamo. Poi vediamo».
Al massimo il segretario del Pd potrebbe dare via libera a una promozione di Graziano Del Rio, la sua “sentinella” nel consiglio dei ministri. Si parla per lui di un passaggio allo Sviluppo economico, al posto di Flavio Zanonato.
O, persino, di una nomina al Viminale, dato che Alfano potrebbe mantenere solo la carica di vicepremier per concentrarsi sul partito.
Altri cambiamenti in vista sono l’ingresso dei montiano Benedetto Della Vedova al posto di Stefano Fassina e l’uscita di scena del tecnico Enrico Giovannini, ex presidente Istat, reo di essersi opposto al Job act di Renzi.
Ma siamo appena agli inizi di una discussione che impegnerà tutta la settimana. Intanto ieri Letta si è rincuorato con i dati della produzione industriale e degli ordinativi, per la prima in crescita dopo 22 mesi di rosso.
Ora l’attenzione è tutta puntata ai primi di febbraio, quando uscirà dall’Istat il dato sul prodotto interno lordo.
E a palazzo Chigi hanno già messo le bottiglie in frigo per festeggiare. Ci sono tutte le premesse per un’inversione di rotta: «Aspettiamo con ansia i dati sul Pil dell’ultimo trimestre del 2013. Potrebbe essere l’uscita della crisi».
Sempre che Renzi lo permetta.
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Gennaio 21st, 2014 Riccardo Fucile LA BATTAGLIA CHE SI ANNUNCIA È TRA CHI RIMPIANGE LA PRIMA REPUBBLICA E CHI VORREBBE TORNARE A UN “PORCELLUM” SENZA BADARE ALLA CONSULTA
Restaurare il sistema delle preferenze avrebbe fatto la felicità di gente come Fiorito, vero.
Ma lasciare a un padrone solo la gestione della vita di ciascun eletto e finanche delle sue presenze in tv conferma che non ci sarà scelta malgrado la richiesta della Consulta: in Parlamento si entra per nomina.
E da deputato si trasformerà in pigiabottoni. Ciò che ordina il capo si vota. Ciò che lo turba si respinge.
O sei cooptato oppure pedalare.
Per arrivare a questo risultato Matteo Renzi ha dovuto stringere un patto d’acciaio con Silvio Berlusconi (e forse anche con Dudù).
Riesumarlo, restituirgli il cavalierato, l’onore perduto, il vestito da statista e l’opportunità di divenire in zona Cesarini, quando tutte le stelle sotto il suo cielo si erano offuscate, il nuovo padre della Patria.
Immaginiamo lo sforzo che ha dovuto fare B. nell’accettare la dura proposta di far vergare da Denis Verdini (in linea retta quarto padre della Patria) la lista dei candidabili del centrodestra.
Tu entri e tu no. Tu vai in Liguria e tu in Piemonte.
“Intanto però noi cambiamo l’Italia”, ha detto Renzi alla riunione della direzione del Partito democratico.
Chi meglio di lui conosce il suo partito? Nessuno. Perciò ha zittito il dissenso, dissoltosi in un pugno di voti di astensione, quando ha offerto la chiave della pacificazione: “Noi faremo le primarie per la selezione dei candidati. Le ho trovate già , le ha inventate Bersani, non è certo merito mio, e vi garantisco fin quando ci sarò io qua che confermerò questo sistema”.
Per magia tutte le rimostranze sulla restrizione della principale libertà elettorale, indicare con un voto il candidato che ci dà fiducia o respingerlo se quella fiducia viene meno, si sono appannate, affievolite e fatalmente ripulite.
Renzi ha offerto ai maggiorenti del Pd, non all’Italia, un papocchio a uso interno, una corrida selezionatrice per criterio correntizio nella quale sviluppare la contesa.
La selezione dei candidati al Parlamento attraverso le cosiddette “parlamentarie”. Si sono effettivamente svolte nel gennaio dello scorso anno.
Doveva essere un libero esercizio di democrazia, si è rivelato, nella maggioranza dei casi, una nomination con esito pregiudicato.
Si sapeva chi vinceva e nella maggioranza dei casi chi perdeva. Il capocordata investiva i suoi voti (filiazione verticale della dotazione interna del segretario) sul volto di questo o di quello, meglio se giovane.
E il giovanotto prescelto dall’alto, magicamente, si è trovata spalancata la porta di Montecitorio.
Belle queste primarie! E infatti in sala è calata improvvisa la timidezza degli annunciati oppositori, mentre ad avanzare in grande stile la prossima battaglia sulla restituzione delle preferenze è rimasto solo Angelino Alfano e il suo Ncd, partito di macinatori di tessere dal curriculum specchiatamente democristiano.
E se è vero, perchè è vero, che la riforma elettorale risulta un elemento significativo di una più generale riforma della Costituzione (riduzione del Senato ad assembnlea consultiva, taglio dei costi della politica attraverso l’eliminazione delle indennità dei nuovi senatori) è certo che Renzi rinuncia nei fatti a ogni elemento di democratizzazione del mercato politico.
Le primarie sono apparse come una concessione ai capicorrente del Pd e non un impegno, un criterio di selezione a cui tutti i partiti, di destra come di sinistra, in alto e in basso, avrebbero dovuto ubbidire per legge.
Ma era questo l’obiettivo di Renzi? Pare di no, e permette perfino al leghista Calderoli, il patron del Porcellum, di gigioneggiare: “La montagna ha partorito un Porcellinum”.
Un po’ è così, ed è fuori dal conto un’altra domanda a cui Renzi non ha risposto.
Non l’aveva in mente, vero, ma nessuno neanche l’ha interrogato.
Si parla di legge elettorale: ma chi potrà candidarsi?
Il conflitto d’interessi, urgenza democratica sulla quale il segretario del Pd ha da subito convenuto, è nei fatti restituita alla selezione che ne farà Silvio Berlusconi, l’altro grande attuatore della riforma.
Si presume che B. rifletterà mentre sarà ai servizi sociali (il prossimo 10 aprile i giudici dell’esecuzione si ritroveranno per decidere) su chi potrà candidarsi.
Possibile che scelga la figlia Marina, e dunque?E niente.
Alla spicciolata, cinque minuti per ciascuno, i maggiorenti di largo del Nazareno hanno tributato a Renzi le loro perplessità che nel corso della seduta si sono affievolite fino quasi a divenire un romantico coro d’amore.
Tutti insieme e (quasi) appasionatamente verso l’Italicum, un sistema che salva i nuovi potenti e i vecchi perdenti.
Antonello Caporale
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 21st, 2014 Riccardo Fucile CHI AMMAZZA UN BAMBINO DI TRE ANNI NON E’ UN EROE
La mattina di Capodanno del 1926, al comando di ottocento guardie a cavallo, il prefetto Cesare Mori
cinge d’assedio Gangi, che in quel momento è la cittadella riconosciuta dei mafiosi.
Mori, non per nulla detto “il prefetto di ferro”, procede al rastrellamento casa per casa e sequestra tutte le donne e i bambini, raggruppandoli al centro della piazza principale. Concede ai mafiosi un ultimatum di 12 ore.
Non sapremo mai cosa avrebbe fatto davvero di quelle donne e di quei bambini perchè allo scoccare dell’undicesima ora Gaetano Ferrarello, il “capo dei capi” dell’epoca, esce a braccia alzate dal suo nascondiglio, che manco a farlo apposta si trova nel sottotetto della stazione locale dei carabinieri.
Se il prefetto Mori era arrivato a usare i bambini di un paese intero come arma di ricatto è perchè sapeva che per la mafia del 1926, certo non meno crudele di quella di oggi, esistevano limiti invalicabili, legati a concetti come l’onore, che impedivano di torcere anche solo un capello a un minorenne.
Questa mattina all’alba, nella campagna di Cassano allo Ionio in provincia di Cosenza, alcuni cacciatori hanno trovato nascosta dietro un casale in rovina una station wagon incendiata. Dentro c’erano i cadaveri carbonizzati di due adulti e un altro scheletro più piccolo. Molto più piccolo.
Si chiamava Nicola Campolongo, detto Cocò.
Aveva tre anni e il destino di essere nato in una famiglia di spacciatori di droga. Il padre è in carcere, e così la madre.
Per qualche tempo Cocò ha abitato dietro le sbarre con lei, ma poi si pensò che era una follia farlo vivere lì.
Si pensò bene, intendiamoci, ma il pensiero successivo fu forse meno geniale: affidare Cocò alle cure del nonno Giuseppe Iannicelli, un sorvegliato speciale con precedenti di sequestro di persona, violenza sessuale e associazione per delinquere di stampo mafioso.
Spacciava droga anche lui e probabilmente avrà pestato i piedi a qualche clan più potente che ha decretato, insieme con la sua, la morte della compagna di 27 anni e quella ancora più inconcepibile di Cocò.
Dai primi accertamenti delle forze dell’ordine le esecuzioni sarebbero avvenute altrove.
Poi, qualcuno che si arroga la pretesa di considerarsi un essere umano ha preso il corpo del bambino, lo ha adagiato accanto agli altri nell’auto del nonno, lo ha cosparso di benzina e gli ha dato fuoco.
Il nome di Cocò va ad aggiungersi a quelli di Valentina, Raffaella, Angelica e Santino, e ad altri ancora, nella lista dei piccoli uccisi dalle mafie senza altra colpa che quella di essere parenti di qualcuno o anche solo testimoni di un delitto.
Ai tempi di Mori, mafiosi camorristi e ndranghetisti avrebbero considerato questo tipo di crimine una macchia indelebile alla loro onorabilità .
Ora non è più così e questa certezza, insieme con un grande dolore, ci dà anche una piccola speranza.
Una mafia che ammazza impunemente i bambini non potrà mai più essere circondata da quell’alone di rispettabilità e persino di fascino che ha fatto per secoli la sua fortuna tra la gente comune.
Chi ammazza bambini non è un eroe, un avventuriero e nemmeno un protettore credibile. Chi ammazza bambini è solo un assassino da assicurare alla giustizia. Ed è questo messaggio, per fortuna, che sta passando con forza nelle nuove generazioni.
Ci spiace solo che Cocò se ne sia andato all’alba di un mondo che ci auguriamo migliore. Buonanotte.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Gennaio 21st, 2014 Riccardo Fucile NCD DA SOLO ALLE EUROPEE: “DETERMINANTI AL BALLOTTAGGIO”… PER LE POLITICHE UN NUOVO CENTRODESTRA CON PPE, LEGA E FDI O ALLEANZA CON BERLUSCONI… I MONTIANI CON FARE, ALI E TABACCI…MAURO E CASINI LAVORANO PER IL PPE
«Dovete mettermi nelle condizioni di non tornare tra le braccia di Berlusconi». Questo il leit motiv che Angelino Alfano ha ripetuto agli altri leader di maggioranza, Renzi in testa, nelle trattative bollenti sulla legge elettorale.
Con l’Italicum uno spiraglio di salvezza dal rientro “con il cappello in mano” in Forza Italia per Angelino e i suoi c’è, ma la via per arrivarci prevede scossoni al centro.
Già , perchè per i piccoli entrare in Parlamento con lo sbarramento al 8% sarà dura, ma l’aver evitato il bipartitismo del sistema spagnolo uno spiraglio di potersi alleare con il Cavaliere pur mantenendo la propria autonomia c’è.
«In fondo il doppio turno a noi giova perchè Berlusconi alle politiche avrà bisogno di noi per andare al ballottaggio», confidava ieri il vicepremier ai collaboratori al termine di una giornata segnata dall’incontro con Renzi al Viminale.
Ma la via è stretta.
I contatti, frenetici, al centro sono già partiti.
Mario Mauro, leader dei popolari che si sono staccati da Monti, ha aperto i canali ufficiosi con Alfano.
Il ministro della Difesa vorrebbe creare un listone targato Ppe già alle prossime europee, come ha detto allo stesso Renzi in un breve incontro ieri pomeriggio al Nazareno: «Non torniamo con Berlusconi, vogliamo un soggetto unico con Casini e Alfano a maggio, sarebbe la prova generale per le prossime politiche».
E i popolari assicurano che è in corso un dialogo anche con i civici di Mario Monti. Che però, freschi di divorzio, non ne vogliono sapere, come spiega il capogruppo a Montecitorio Andrea Romano: «Noi alle europee faremo una squadra liberaldemocratica con Fare, con il nuovo movimento liberal di Oscar Giannino (Ali) e con Tabacci.
Per le politiche — aggiunge vedremo i programmi, ma è plausibile che guarderemo al Pd di Renzi del quale potremmo essere l’ala liberaldemocratica».
Il campo centrista dunque è quello di Alfano, Mauro e Casini. Con diverse variabili. Primo, se Mauro e i suoi vorrebbero lanciare il nuovo rassemblement per le europee, l’Ncd invece alle elezioni per Strasburgo ci vuole andare da solo.
Come spiegava ieri un ministro alfaniano lontano dai mircrofoni: «Non ci conviene annacquarci alle europee, abbiamo appena fatto il nostro simbolo e dobbiamo prendere forza e identità ».
Dunque per Alfano se ne parla per le politiche che al più tardi si dovrebbero tenere nel 2015. Lo schema di partenza prevede l’incontro al centro con Casini e Mauro, magari, pur restando autonomi, per fare da alleati di Berlusconi che avrà bisogno di loro per giocarsi l’accesso al secondo turno.
Ma lo schema potrebbe clamorosamente cambiare.
I ministri del Nuovo Centrodestra sono infatti infuriati con Berlusconi perchè, spiega uno di loro, «lo sbarramento del 5% a Renzi lo ha chiesto Verdini proprio per danneggiare noi e gli altri piccoli e ad essere neri con il Cavaliere sono anche Fratelli d’Italia e Lega».
Il che, vaticinava ieri il capogruppo di Ndc Enrico Costa, «avrà conseguenze sulla formazione della coalizione di centrodestra ». E lo schema alternativo che prende forma nei dibattiti tra Quagliariello, Lupi e Alfano, racconta un big dell’Ncd, è questo: «O costruiamo il Nuovo Centrodestra o “un altro centrodestra”. Nel primo caso possiamo allearci con Berlusconi mantenendo però la nostra autonomia, altrimenti si può pensare a una coalizione del tutto nuova senza Forza Italia che parta dal centro dei popolari, passi da noi per arrivare alla Lega e a Fratelli d’Italia. Così andremmo immediatamente a doppia cifra e usciremmo dalla logica padronale di Berlusconi».
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Gennaio 21st, 2014 Riccardo Fucile ACCUSARE CUPERLO DI INCOERENZA QUANDO FINO A POCO TEMPO FA RENZI ERA IL PIU’ ACCESO SOSTENITORE DELLE PREFERENZE E DELL’ISOLAMENTO DEL CAVALIERE E’ DAVVERO L’EMBLEMA DI UN VOLTAGABBANA
Matteo Renzi presenta alla direzione Pd la sua proposta di legge elettorale rettificata, con il doppio turno
anti-larghe intese. Ma la minoranza non ci sta e si apre lo scontro. “Il modello non convince e presenta dubbi di costituzionalita”, dice il numero uno dell’opposizione interna, il presidente Gianni Cuperlo.
Poco prima delle 20 la relazione di Renzi viene messa ai voti: i botta e risposta di fuoco non scalfiscono il risultato.
La proposta passa con 111 placet e 34 astenuti.
Il presidente Cuperolo, in realtà , lascia la direzione prima del voto mentre Renzi esterna la propria critica poco rispettosa rispetto ad alcune considerazioni espresse da Cuperlo poco prima: “Se Gianni vuole replicare, per correttezza”, ha detto il segretario, ma Cuperlo sta già lasciando da sala.
“Mi dispiace che Cuperlo vada via”, aggiunge Renzi ma ormai la frittata è fatta.
Tutto avviene a cavallo dell’intervento di chiusura di Renzi.
Dopo le durissime parole di Cuperlo, esponenti dei ‘giovani turchi’ e dell’area dalemiana si riuniscono e concordano di chiedere non un voto contrario ma solo l’astensione, più in linea con la riunione che l’area aveva tenuto a Montecitorio nel primo pomeriggio.
A mediare con il presidente dell’assemblea va Davide Zoggia.
Dopo il voto, testimoni riferiscono che Stefano Fassina, furente, avrebbe chiesto a gran voce le dimissioni di Cuperlo: “Ora si deve dimettere”.
Qualche minuti più tardi, però, lo stesso Fassina smentisce “categoricamente” (anzi, dice di essere uscito dalla sala prima del voto), e punta il dito contro l’attacco “inaccettabile” di Renzi a Cuperlo.
A seguire, però, la minoranza si riunisce: bersaniani e ‘giovani turchi’ vogliono valutare assieme la situazione dopo “l’attacco personale” rivolto dal segretario al presidente del partito e l’ipotesi di dimissioni circola tra i cuperliani.
Secondo quanto riferito, nessuna decisione dovrebbe essere presa stasera, si attende forse un chiarimento con lo stesso Renzi, ma molti starebbero ragionando sull’opportunità di mantenere un incarico di vertice di fronte all’atteggiamento avuto dal segretario.
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Gennaio 21st, 2014 Riccardo Fucile “AVEVAMO PROMESSO AGLI ITALIANI CHE AVREMMO RIDATO LORO LA POSSIBILITA’ DI INDICARE LE PREFERENZE, NON CHE AVREMMO FATTO LE PRIMARIE”
Parte col piede sbagliato la proposta di Matteo Renzi sulla legge elettorale.
“Non convince” per vari aspetti: è questo il messaggio che la minoranza Pd ha lanciato durante la direzione del Partito democratico.
Il primo a parlare è il presidente dell’assemblea dei democratici Gianni Cuperlo, che rileva possibili “profili di dubbia costituzionalità “, in particolare sul premio di maggioranza.
Dubbi solo in parte fugati dall’introduzione del doppio turno: “Alzare quella soglia e portarla al 40%, secondo me è un tema da porre”.
Ma i rilievi di Cuperlo sono anche sulla questione preferenze: “Le primarie le abbiamo già fatte alla vigilia delle ultime elezioni. Ma avevamo promesso, anche con qualche solennità , che avremmo restituito a milioni di italiani la facoltà di scegliere con le preferenze e non che avremmo nuovamente fatto le primarie. Tra le due cose c’è una certa differenza, a meno che non si stabilisca per legge che tutti siano tenuti a fare le primarie”
Con l’Italicum, aggiunge il presidente del Partito democratico, “non è risolto il tema delle segreterie che decidono la composizione del Parlamento”. Soprattutto, “dobbiamo essere animati da una seria disponibilità all’ascolto. Dobbiamo farlo qui e fuori di qui e penso sia saggio accelerare una forma di consultazione degli iscritti”.
Quanto all’incontro tra Renzi e il Cav, Cuperlo parla di “piena rilegittimazione politica del capo della destra” Silvio Berlusconi: “Una cosa è discutere con un leader di una forza politica, altro è stringere un patto politico su questioni di rilevanza costituzionale con un esponente che non era più egemone nel suo campo”.
Infine lancia una stoccata al segretario sul suo modo di guidare il partito: “Si dice che è tutto deciso con il voto delle primarie dell’8 dicembre? che altrimenti è come fare esplodere la macchina e boicottare la storica riforma istituzionale? se si dice questo è inutile convocare la direzione tra quindici giorni. Andate spediti e ci rivediamo a una nuova direzione che riconvoca le primarie la prossima volta. Funziona così un partito? io spero di no. E credo di no”.
Critiche arrivano anche dal bersaniano Alfredo D’Attorre: “Se l’accordo Berlusconi resta sulle liste bloccate, la mia previsione è che il gruppo rischia di spaccarsi”.
Intervistato per Piazzapulita, annuncia che presenterà un emendamento “per sostituire le liste bloccate con le preferenze e i collegi”, anticipa che “una parte voterà a favore, una parte voterà contro” ma soprattutto il deputato bersaniano descrive così il campo in casa Pd: “Su questa cosa delle liste bloccate, detto tra noi, sono d’accordo soltanto i renziani del cerchio stretto, che pensano di essere tutti tutelati dalle liste bloccate, e un nucleo ristretto di franceschiniani. Franceschini pensa di fare l’accordo con Renzi e di tutelare i suoi. Tutti gli altri, non sono d’accordo. Io – conclude – non credo che si possa votare una legge elettorale che restituisce un parlamento fatto tutto di nominati” e su questo “stiamo facendo una battaglia a viso aperto, vigliaccate ne abbiamo avute fin troppe”.
(da “Huffington Post“)
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