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IL GRUPPO FIAT SBARACCA, MARCHIONNE PAGHERÀ LE TASSE A SUA MAESTÀ

Gennaio 30th, 2014 Riccardo Fucile

SEDE FISCALE A LONDRA, LEGALE IN OLANDA, QUOTAZIONE PRINCIPALE A WALL STREET… E NUOVO MARCHIO

Ovunque tranne che in Italia. La nuova strategia Fiat potrebbe essere sintetizzata da questo slogan dopo che il Consiglio di amministrazione del Lingotto ha deciso di spostare all’estero sia la quotazione sia la sede legale e la sede fiscale della nuova società  frutto della fusione con Chrysler.
Si chiamera Fiat-Chrysler-Automobiles (Fca), un acronimo che sembra non aver pensato alle ironie italiane che già  ieri circolavano sul web.
La sede legale sarà  in Olanda, quella fiscale in Gran Bretagna, dove si pagano le tasse più basse d’Europa.
La quotazione del nuovo titolo, che Marchionne si augura avvenga entro il 1 ottobre di quest’anno, sarà  nel mercato più liquido del mondo, a New York, mentre Milano resta per la seconda quotazione.
Il cambiamento è storico e apre “un nuovo capitolo” nella storia dell’azienda come ha sottolineato Marchionne.
Agli azionisti, per ogni azione Fiat verrà  corrisposta un’azione Fca di nuova emissione.
Quelli che rimarranno azionisti fino al completamento dell’operazione, “riceveranno un ulteriore numero di azioni speciale con diritto di voto”.
Marchionne ha celebrato la giornata come una delle più importanti della sua carriera annunciando nuovi investimenti, 8 miliardi, e l’obiettivo di vendere più di un milione di Jeep nel 2014.
Per quanto riguarda l’Italia, ha solo sottolineato la positività  della nuova strategia Premium, cioè i prodotti di fascia alta.
Le reazioni sono sostanzialmente di due tipi.
La stragrande maggioranza plaude alla bravura dell’ad della Fiat e minimizza lo spostamento all’estero dell’azienda.
Il presidente del Consiglio, Letta, la definisce “secondaria”. I sindacati, invece, che in serata hanno incontrato lo stesso Marchionne, si sono detti rassicurati dalle parole del manager anche se Bonanni, segretario della Cisl, continua a chiedere maggiori garanzie per Mirafiori e Cassino.
Nessuna preoccupazione sullo spostamento della testa: “L’importante — sottolinea il segretario Ugl, Centrella, è che braccia e gambe restino in Italia”.
Critica la Fiom che parla di “disimpegno” dall’Italia e chiede al governo di fare di più. Preoccupato, per l’occupazione e lo sviluppo torinese, anche l’arcivescovo di Torino, monsignor Nosiglia.
La novità  di ieri, per quanto annunciata, è dunque rilevante e ha un’evidente implicazione fiscale.
La Fiat assicura che “tutte le attività  che confluiranno in Fca proseguiranno la loro missione compresi gli impianti produttivi in Italia” e non ci sarà  “nessun impatto sui livelli occupazionali”.
Ma la scelta della Gran Bretagna è troppo evidente per poter negare un vantaggio puramente fiscale.
Nel 2012 l’azienda ha iscritto a bilancio 625 milioni di imposte di cui 420 pagate da Fiat e 205 da Chrysler nonostante quest’ultima abbia registrato ricavi una volta e mezza più grandi di quella.
La Chrysler paga le imposte nel Delaware, uno stato che negli Usa è ritenuto alla stregua di un paradiso fiscale.
Il vantaggio potrebbe essere di oltre 200 milioni.
L’azienda precisa che un problema di tassazione può riguardare solo i dividendi incassati dalla holding: ieri la Fiat Spa, domani la Fca N.V. Nel 2012 i dividendi della Spa ammontavano a oltre 1 miliardo anche se, per effetto di 962 milioni di “svalutazioni” e di altri meccanismi fiscali, le imposte pagate si sono limitate a 31 milioni.
Su quella cifra, un risparmio ci sarà . Di quanto?
Una stima effettiva dipenderà  da più fattori.
Può essere utile rilevare che nel 2012 la Fiat ha pagato, come un’aliquota fiscale media del 27,5% esclusa l’Irap italiana (al 3,9%) mentre in Gran Bretagna l’aliquota di base è del 22% (e non c’è nessuna Irap).
La Gran Bretagna è stimata dall’Ocse al livello di tassazione aziendale più basso fra i paesi del G7 ed è al quarto posto nel G20, dopo Turchia, Arabia Saudita e Russia.
Una concorrenza difficile da battere. Benefici importanti anche in Olanda.
Il primo riguarda la possibilità  per gli azionisti di avere più voti per ogni azione attribuita.
Il secondo attiene alla possibilità  di collocare una società  holding-madre nelle Antille olandesi, con un beneficio da paradiso fiscale.
Il terzo vantaggio riguarda la tassazione, inesistente, dei dividendi.
Il mercato, però, ieri è rimasto deluso per i dati del 2013. Gli analisti si aspettavano di più e la Fiat è stata, a un certo punto, sospesa dal listino per eccesso di ribasso.
I numeri parlano di ricavi a 86,8 miliardi, di un utile netto a 943 milioni ma che per il 2014 non dovrebbe superare gli 800 milioni e soprattutto della decisione del Cda di non proporre la distribuzione di dividendi per mantenere un livello adeguato di liquidità  dopo l’acquisizione di Chrysler.
La scommessa globale di Marchionne è appena cominciata.

Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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ORA MANCA SOLO LA BEGAN: ANCHE BOCCHINO ENTRA NEL CDA DELLA FONDAZIONE AN

Gennaio 30th, 2014 Riccardo Fucile

ALEMANNO FA ENTRARE L’EX FLI E PUNTA A VINCERE LE PRIMARIE DI CASEGGIATO DI FDI CON LA MELONI… SE MAI LE PRIMARIE SI TERRANNO

Italo Bocchino verso l’ingresso nel cda della Fondazione Alleanza Nazionale. L’approdo dell’ex colonnello finiano nell’organo che gestisce il patrimonio del partito di Fiuggi sarebbe stato caldeggiato da Gianni Alemanno e non avrebbe trovato particolari opposizioni in altri esponenti come Ignazio La Russa.
Peraltro, l’allargamento del consiglio di amministrazione era già  nell’aria dopo che lo stesso cda aveva licenziato una delibera, lo scorso ottobre, nella quale si prevedeva l’innalzamento dei membri dai 14 «storici» a un massimo di 21. La prima a beneficiarne fu Giorgia Meloni, il cui ingresso fu ufficializzato alla vigilia dell’assemblea dell’Ergife che avrebbe concesso l’utilizzo del contrassegno elettorale di An a Fratelli d’Italia per gli appuntamenti con le urne che si sarebbero tenuti nel corso del 2014.
Ora toccherebbe a Bocchino, anche se l’ufficialità  non dovrebbe arrivare prima di qualche settimana.
E questo spiegherebbe anche l’attivismo dell’ex colonnello finiano, che il prossimo 5 febbraio introdurrà  il convegno «Il Centrodestra nella Terza Repubblica» organizzato dalla Fondazione Alleanza Nazionale e dalla Fondazione Tatarella.
Circostanza peraltro già  criticata da Francesco Storace che, dalle colonne del suo Giornale d’Italia , aveva ironizzato sui «volti nuovi» del prossimo centrodestra in Italia.
Sempre sul fronte più propriamente politico, le primarie per la leadership e il simbolo di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale stanno registrando qualche frenata.
Dovrebbero tenersi il 22 e il 23 febbraio e inizialmente i nomi dei candidati avrebbero dovuto essere ufficializzati lo scorso sabato 25 gennaio, nel corso di un comizio a Cagliari per le Regionali sarde.
All’ultimo momento, però, il termine per la presentazione delle candidature è stato posticipato di una settimana.
Tra le motivazioni, anche il dibattito sulla legge elettorale che, se dovesse essere approvata nella formula immaginata da Berlusconi e Renzi, costituirebbe una vera e propria ghigliottina per i piccoli partiti.
Anche in virtù di questo si era registrato un riavvicinamento tra Francesco Storace e Giorgia Meloni, culminato in un incontro nel quale i due si erano dati appuntamento a dopo le primarie per discutere di un eventuale percorso congiunto di Fratelli d’Italia e il Movimento per An.
Il riavvicinamento, però, avrebbe spostato l’asse della formazione più a destra e non sarebbe graditissimo all’anima centrista della Officina per l’Italia, capeggiato da Luciano Ciocchetti, che a sua volta starebbe riflettendo su un’ipotetica candidatura in prima persona.
Riflessioni che starebbe facendo anche Gianni Alemanno, che nelle ultime ore sembra essere diventato lo sfidante più accreditato di Giorgia Meloni.
Resta in piedi, infine, l’ipotesi di un ulteriore rinvio della consultazione, che inizialmente era prevista a fine gennaio.
E c’è anche chi parla di annullamento. Tanta confusione. Forse troppa per un progetto che si proponeva l’obiettivo ecumenico di riunire sotto un’unica bandiera tutti gli esponenti della destra italiana dopo la diaspora causata dall’annessione dell’An finiana al Popolo della Libertà .

(da “il Tempo”)

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“SI DEVE ARRIVARE AL 40%, COSI’ LA COSTITUZIONE E’ LONTANA”: IL COSTITUZIONALISTA PACE BOCCIA LA LEGGE TRUFFA

Gennaio 30th, 2014 Riccardo Fucile

“SE NON SI METTE UN LIVELLO PIU’ ALTO SI PASSI ALLORA A UN ALTRO SISTEMA”… “UNA PREFERENZA E’ INDISPENSABILE”

Metterebbe un timbro di costituzionalità  sull’Italicum di Renzi e Berlusconi? «Proprio no».
Il costituzionalista Alessandro Pace risponde così a Repubblica.
Siamo dentro o fuori la Costituzione?
«Siamo molto fuori».
La principale anomalia?
«La soglia prevista per beneficiare del premio di maggioranza è troppo lontana dal 50,1% per potersi chiamare così».
La correzione necessaria?
«Un premio di maggioranza degno di tal nome dovrebbe spettare solo al partito o alla coalizione che superasse il 45. Data l’attuale situazione politica una soglia “ragionevole” potrebbe essere, a tutto concedere, anche quella del 40. Ma, a stretto rigore, anche questa sarebbe criticabile»
Un consiglio ai parlamentari?
«Se non ci si accorda su una soglia superiore al 40, si deve passare a un altro sistema. Preferibilmente all’uninominale a doppio turno, che garantisce la governabilità  senza creare diseguaglianze nel voto. Il ballottaggio dovrebbe essere tra candidati singoli, non tra liste o, peggio, tra coalizioni».
La Consulta ha fissato paletti su premio e preferenze. Può scattare un nuovo ricorso?
«Il tetto al 37% è sicuramente in contrasto con la Corte, e mi meraviglia che il segretario del Pd non se ne sia reso conto. Un premio pari a quasi la metà  dei voti ottenuti in sede elettorale non fa che reiterare la violazione del principio d’eguaglianza già  censurata dalla Corte nel Porcellum. Anche la mancanza delle preferenze solleva gravi problemi di costituzionalità »
È positivo che un partito non possa superare il 55%?
«Posto che la Carta prevede 630 deputati, il premio di 31 seggi alla coalizione di maggioranza è francamente eccessivo: garantirebbe la governabilità  a troppo caro prezzo “per la rappresentatività  dell’assemblea parlamentare”. E cito la Corte»
Le preferenze restano un punto chiave. Averle escluse viola il diritto di voto dei cittadini?
«Certamente sì. La Corte ha bocciato il Porcellum per questo e per l’eccessivo premio di maggioranza. Però, nel referendum del ’91, gli italiani hanno votato per la preferenza unica, essendo note le irregolarità  sottese alle preferenze multiple. Ma tuttora non è assicurata la segretezza del voto nelle circoscrizioni estere, come risultò nel caso Di Girolamo. Nè le cose sono cambiate. Quindi, sia in Italia che all’estero, preferenza unica è garanzia della libertà  del voto e della sua assoluta segretezza »
Le liste corte non bastano?
«Certo che no».
Le primarie possono sostituire le preferenze?
«Sì. Non si può dimenticare però che i partiti sono associazioni private. Bisognerebbe prima dettare regole sulla democrazia interna. Pertanto, campa cavallo…».
Piccoli partiti. È accettabile lo sbarramento al 4,5%?
«È eccessivo, soprattutto senza il finanziamento pubblico. Che dovrebbe essere legislativamente previsto, ma la cui spettanza va condizionata all’effettiva esistenza di un’organizzazione interna democratica».

(da “La Repubblica”)

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LA MINORANZA PD NON ARRETRA: “QUESTA LEGGE NON VA, LA CAMBIEREMO”

Gennaio 30th, 2014 Riccardo Fucile

CUPERLO:” OBIEZIONI SULLA COSTITUZIONALITA'”… SEL E PICCOLI PARTITI SULLE BARRICATE

«Nessuno capirebbe se ci mettessimo contro». Gianni Cuperlo cerca di convincere la sinistra democratica a muoversi su un sentiero stretto: non boicottare l’Italicum, però fare tutto il possibile per cambiarlo.
La battaglia si sposterà  in aula, perchè il “correntino” non arretra, soprattutto sulle liste bloccate che «non possono restare».
«Lo dico così – ribadisce Cuperlo in una delle tante riunioni della minoranza – Votare una nuova legge è vitale per la credibilità  della politica. Farla bene è una necessità  per la democrazia italiana»
Tracimano i malumori nel Pd, i sospetti, e i dubbi sulla «costituzionalità  di alcune norme ».
Cuperlo rincara: «Obiezioni sulla costituzionalità  sono state sollevate da più parti, se non vogliamo che questa legge come già  il Porcellum incorra nella scure dei ricorsi… non possiamo immaginare un accordo blindato».
Molto più duri sono i bersaniani. «Sembra disegnata apposta per Berlusconi, a vantaggio di Forza Italia», si sfoga Alfredo D’Attorre.
Una legge sbilanciata. «Questa non è una valutazione politica – avverte Stefano Fassina – ma un dato oggettivo: la potenzialità  della coalizione del centrodestra è più ampia, dopo avere inserito la norma “salva Lega”».
Il centrosinistra invece avrà  davanti a sè una strada in salita.
Perchè Sel dovrebbe fare da portatore d’acqua? Remare cioè per il Pd e non essere rappresentata in Parlamento, poichè difficilmente riuscirà  a raggiungere il 4,5% che è la soglia leggermente modificata (era il 5) nel patto definitivo tra il segretario democratico e il Cavaliere.
Nichi Vendola, appena lette le novità , twitta: «Ecco la nuova legge elettorale: dal Porcellum al Caimanum»
«Una cosa fuori dal mondo – si indigna D’Attorre – che ad esempio una forza che raggiunga i 3 milioni e sfiori l’8%, resti fuori dal Parlamento solo perchè non si è alleato».
Cuperlo invita a rivendicare i miglioramenti ottenuti grazie anche alla testardaggine della minoranza dem. Riconosce il «merito della trattativa condotta da Renzi».
Altra strada va fatta. Sulla soglia per i piccoli partiti. Sulle liste bloccate.
Fassina insiste: «È un punto non marginale, da cambiare».
Cuperlo chiarisce: «Non pianto la bandiera delle preferenze, però non si possono riproporre le liste bloccate perchè quella è stata per noi una battaglia di principio». Elenca le alternative possibili.
Per Davide Zoggia non si può favorire la Lega e penalizzare Sel. C’è poi un emendamento che da Cesare Damiano a Rosy Bindi tutti vorrebbero riproporre in aula: è quello che subordina l’entrata in vigore dell’Italicum al via libera alla trasformazione del Senato in Camera delle Regioni.
Ma i cambiamenti preannunciati portano a trappoloni sulla legge? La sinistra nega. Cuperlo garantisce: «A questo punto tagliare il traguardo è interesse di tutti. Non ci sarà  nessuno sgambetto, nè voglia di rallentare il passo»
Se non si trova un punto di equilibrio nelle file democratiche, però in aula si potrebbero creare maggioranze trasversali su singole modifiche. Il Nuovo centro destra di Alfano non intende ad esempio rinunciare alla battaglia sulle preferenze. Ne fa una bandiera.
Alfano ha chiamato i deputati del suo partito: «Manteniamo i nostri emendamenti ». Agli alfaniani tra l’altro, non va giù la norma Salva-Lega, ritenendo che ci siano profili di dubbia costituzionalità .
E a presentare in aula domani le pregiudiziali di costituzionalità  sull’Italicum sono Sel e i Popolari per l’Italia e anche Fratelli d’Italia sta valutando se sottoscriverle.
Renzi è certo di avere alla fine tutto il Pd dalla sua, senza giochetti nè franchi tiratori. Pippo Civati, dissidente per definizione, spiega che su una riforma elettorale attesa da decenni non si possono fare scherzi.
È una di quelle occasioni in cui bisogna andare in porto a tutti i costi.

Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)

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“RENZUSCONI”: C’È L’ACCORDO, ORA SI ASPETTA L’INGANNO

Gennaio 30th, 2014 Riccardo Fucile

IL FORZAITALICUM: PREMIO DI MAGGIORANZA AL 37%, SALVA-LEGA, CANDIDATURE MULTIPLE, SBARRAMENTO AL 4,5%: IL SEGRETARIO SODDISFATTO, MA CON CAUTELA

Siamo a una svolta storica, bisogna capire a quale velocità  ne usciamo”. Dario Parrini, candidato unico alla segreteria della Toscana e fedelissimo di Matteo Renzi, l’accordo sulla legge elettorale lo commenta così.
“In positivo, eh”, aggiunge, con sorriso a 360 gradi. Ma con la consapevolezza che, stretto il patto, cominciano le forche caudine che dovranno tradurlo in legge, a partire dal voto segreto a Montecitorio chiesto dai grillini, che potrebbe far emergere lo scontento di piccoli partiti e minoranza dem.
Lo stesso segretario sa benissimo che l’iter parlamentare è pieno di incognite.
Per questo non usa toni trionfali nè privatamente, nè pubblicamente.
“Prudenza” per una volta è la parola d’ordine. Non è stata una giornata facile quella del segretario Pd, che è passato dalla preoccupazione alla soddisfazione.
Stringere il patto avviato con l’ingresso del Cavaliere nella sede del Pd ha richiesto tutta la sua capacità  di trattativa. La notizia che il traguardo è raggiunto si diffonde qualche minuto prima delle 14. Lo stesso segretario su Twitter lo annuncia così: “Adesso sotto con il Senato, le Province, il titolo V. E soprattutto con il Jobs act”.
Quando appare al Tg1 delle 20 per dire che bisognerà  approvare la legge “rapidissimamente” e che i “tranelli in aula” sarebbero “il colmo”, ha la barba non fatta e la camicia (rigorosamente) bianca un po’ stropicciata.
A Roma è arrivato ieri mattina presto ed è andato direttamente nella sede del Pd.
La nottata, con tutti gli ambasciatori renziani al lavoro, non lasciava presagire nulla di buono, con Forza Italia che continuava a non cedere sulla soglia per accedere al premio di maggioranza al 37%.
Al partito il segretario ha allestito una vera e propria war room, con la Boschi, Guerini, Luca Lotti e Roberto Speranza (nelle vesti di capogruppo a Montecitorio, ma anche di rappresentante della minoranza).
Passano i ministri Franceschini e Delrio, il capogruppo in Prima Commissione, Emanuele Fiano. È una girandola di telefonate e messaggi. Renzi parla ripetutamente con Berlusconi, Verdini, Alfano, Lupi, Gianni Letta.
E per garantirsi la copertura sul 37% anche con Napolitano. Il Cavaliere fino all’ultimo ha cercato di strappare il 36%. Tanto è vero che alle 12 Matteo era atteso all’Anci, al Quirino: non è mai arrivato, troppo delicata la fase finale della trattativa.
Che si è stretta poco prima delle 13. La soglia per ottenere il premio di maggioranza al primo turno, dunque, viene portata al 37%, la soglia di sbarramento dei piccoli in coalizione passa dal 5% al 4,5%.
Avrebbero voluto il 4%, ma Ncd incassa comunque la possibilità  di presentare candidature multiple in più regioni. Entra il salva-Lega, su richiesta di Fi (una clausola di salvaguardia per quei partiti che nel caso ottengano il 9% in tre regioni, potranno ignorare la soglia di sbarramento nazionale).
Nessuna modifica sul fronte delle preferenze, nel nome delle quali Cuperlo si è dimesso dalla presidenza del Pd. E richieste da Ncd. “Alfano ha dovuto ingoiare un mattone”, commentava Franceschini con alcuni dei suoi.
Nell’accordo finale non entrano neanche le primarie “istituzionalizzate”, ovvero facoltative, ma non per legge. Quelle che il segretario aveva prefigurato ai membri della commissione Affari costituzionali lunedì, quando con una durezza mai vista aveva chiesto il pieno mandato a trattare.
Dunque , tutto a posto? Non esattamente.
Alle 16:30, Alfredo D’Attorre, uno degli esponenti di spicco della minoranza divisa annuncia lo scontento: “Resta la preoccupazione per una serie di nodi irrisolti, a iniziare dalle liste bloccate”. Poi, annuncia possibili emendamenti in aula.
La minoranza Pd a mettere qualche ostacolo ci proverà , anche se non ha la forza politica per far saltare tutto, Ncd non ritira i suoi emendamenti e Sel presenta le prerogative di incostituzionalità . La prima vittima di questa bozza di legge è proprio il partito di Vendola, che al 4,5% non ci arriverà  mai.
Oggi pomeriggio la riforma viene incardinata in aula. La Commissione convocata ieri notte viene occupata dai grillini. Riconvocata stamattina licenzierà  il testo base: gli emendamenti saranno votati dall’Assemblea.
Peraltro quelli che devono recepire l’accordo ieri non erano ancora pronti: tradurre “tecnicamente” il patto è piuttosto complicato.
Si inizia a votare martedì e si conta di approvare l’Italicum a Montecitorio per la metà  di febbraio. I guai veri si presenteranno in Senato.
Tra le clausole dell’accordo c’è anche quella che dà  al governo il compito di ridisegnare i collegi entro 45 giorni dall’approvazione della legge.
Questo potrebbe chiudere la finestra elettorale di maggio. Lo scenario in questo momento dato per più probabile, sia dalla minoranza dem (che lo formula come accusa al sindaco), sia da alcuni dei più vicini al segretario è un Renzi premier a legge fatta.
Questo il ragionamento dei più vicini: “Il governo così non si tiene più, non riesce più a far nulla. Letta è praticamente sparito. La soluzione più naturale sarebbe Matteo a Palazzo Chigi. E magari Enrico ministro degli Esteri”.
L’interessato smentisce. E dopo aver lavorato tutto il pomeriggio alle riforme successive resta a Roma a vegliare sul Parlamento.

Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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I GRILLINI PASSANO ALLE MINACCE: “NON TORNEREMO IN AULA PACIFICAMENTE”, MA IL PARLAMENTO NON PUO’ ESSERE MONOPOLIO DI BULLI DI PERIFERIA

Gennaio 30th, 2014 Riccardo Fucile

LE REGOLE GARANTISCONO TUTTI E VANNO FATTE RISPETTARE… UNA MINORANZA HA DIRITTO A FARE UNA DURA OPPOSIZIONE MA NEI LIMITI CONSENTITI DAL REGOLAMENTO.. LA BOLDRINI E’ STATA FIN TROPPO TOLLERANTE, CHI MINACCIA VA CACCIATO

L’indegna gazzarra che si è scatenata dopo l’applicazione della “ghigliottina” da parte della Boldrini   è lo specchio di come si sono ridotte le istituzioni del nostro paese: tutti che danno del “fascista” agli altri.
I deputati M5S che occupano i banchi del governo urlando “fascisti”, i colleghi di Fdi che lanciano monetine di cioccolata (anticipo della fondazione An?) , quelli del Pd che urlano «fascisti» ai grillini, quelli di Sel che cantano «Bella Ciao».
Una scena di protesta violenta da piazza quella che si è consumata all’ora di cena nell’Emiciclo di Montecitorio, con una virulenza che ha sorpreso anche i commessi ed i funzionari più anziani.
«Da domani è escluso che torneremo in Aula a discutere pacificamente», annunciano i Cinque Stelle in preda al delirio.
La Boldrini aveva provato in ogni modo ad esercitare una «moral suasion» sui M5S appellandosi al loro «senso di responsabilità » perchè desistessero dall’ostruzionismo.
Una volta consentito a tutti i gruppi parlamentari di tenere una dichiarazione di voto, a sera la presidente della Camera ha convocato i capigruppo e, dopo un dibattito acceso a porte chiuse, ha deciso di applicare la “ghigliottina”: per la prima volta nella storia repubblicana, norma peraltro approvata e pienamente legittima.
Lei si sente la coscienza a posto: «Tutte le fasi del procedimento si sono svolte, e tutti i gruppi hanno potuto esprimersi», dice.
Parte la votazione, e in un attimo è putiferio.
I M5S prima urlano; poi indossano dei bavagli improvvisati, si fiondano come treni sui banchi del governo e li occupano nella bagarre più assoluta, con spintoni e qualche pugno per i commessi.
Alla protesta si associa Fdi: pure Fabio Rampelli occupa i banchi del governo sventolando il tricolore in dotazione per far notare che esiste, mentre i suoi colleghi lanciano monetine di cioccolata e pesanti fascicoli degli emendamenti che per fortuna non colpiscono nessuno.   E’ la destra del senso delle istituzioni…
Alcuni commessi vanno a farsi medicare in infermeria.
«Una violenza così qui non l’ho vista in 30 anni», racconta uno dei più anziani assistenti parlamentari, da sempre in Aula.
Il decreto passa. M5S la preparato la sceneggiata e chiede, tanto per essere originale,   le dimissioni di Laura Boldrini da presidente della Camera rea di aver applicato la legge e annuncia un Vietnam parlamentare.
«Da domani è escluso che torneremo in Aula a discutere pacificamente”.
Nel frattempo il Tesoro smentisce che con il decreto sia stato fatto un «regalo» alle banche : la rivalutazione del capitale di Bankitalia, sottolineano a via Venti Settembre, non comporterà  alcun onere per lo Stato.
La protesta dei grillini si è poi spostata in Commissione.
I deputati hanno occupato la Commissione Affari costituzionali della Camera, bloccando di fatto i lavori.
«Oggi, con il precedente della “tagliola” da parte della presidente della Camera, è morta la democrazia e non c’è più motivo di proseguire con i lavori parlamentari. Blocchiamo il Parlamento», le parole del grillino Riccardo Nuti.
Sarebbe il caso che qualcuno gli ricordasse che la “tagliola” non era mai stata applicata perchè mai ci si era trovati di fronte a un gruppo di bulli di periferia fino ad oggi.
Se poi vuole “bloccare il Parlamento” valuterà  la magistratura le ipotesi di reato.
Perchè il punto è un altro: le regole parlamentari garantiscono maggioranza e opposizione se vengono applicate, non si può cedere all’arroganza di nessuna parte politica.
La Boldrini ha tollerato fin troppo: atteggiamenti bullisti tipo “che paura mi fa” di un deputato Cinquestelle non possono passare senza censura.
Se la Boldrini cominciasse a espellere tutti quelli che pensano di essere in curva, i lavori parlamentari me guadagnerebbero.
E ancora di più l’immagine del nostro Paese all’estero.
Se questa è l’alternativa al governo degli inciucisti …

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SONDAGGIO ISPO: PD E FORZA ITALIA COSTRETTI AL BALLOTTAGGIO

Gennaio 30th, 2014 Riccardo Fucile

MA GLI ITALIANI VOGLIONO LE PREFERENZE

Se si andasse a votare domani nessuna coalizione vincerebbe al primo turno, nè il centrosinistra nè il centrodestra sarebbero in grado di superare la soglia del 37%, necessaria per conquistare subito il premio di maggioranza e governare.
Sarebbe così necessario il “ballottaggio” (previsto nella nuova legge) tra i primi due. Questo quanto emerge dalle ultime rilevazioni (effettuate prima delle decisione della commissione affari costituzionali della Camera di alzare la soglia del premio dal 35 al 37 per cento) dell’istituto di sondaggi Ispo.
Guardiamo nel dettaglio le intenzioni di voto.
Una delle prime conseguenze della nuova legge elettorale sarebbe il consolidamento di un sistema tripolare senza partitini: il Pd primo (32,6 %), seguito da Forza Italia e M5s (fermi al 21,2).
Il Nuovo centro destra (sia se coalizzato con Berlusconi che eventualmente con il centro ex montiano) sarebbe l’unico altro partito in grado di superare lo scoglio dello sbarramento al 4,5.
Fuori tutti gli altri da Scelta Civica a Sel.
Stando a questi dati anche la Lega rimarrebbe fuori da Montecitorio.
In attesa ovviamente della definizione del “salva Lega” che, secondo le intenzioni, dovrebbe stabilire una soglia tra il 7 e l’8 per cento da superare per lo meno in tre regioni del paese per un partito che si sia presentato in non più di 7.
Nello stesso sondaggio Ipso ha anche monitorato l’umore degli italiani nei confronti dell’Italicum.
Viene fuori una approvazione condizionata nei confronti della legge elettorale renzian berlusconiana: “è una buona norma ma necessita di alcune modifiche”.
Nodo aperto è quello legato alle preferenze, su questo gli italiani hanno pochi dubbi: bisogna dare agli elettori la possibilità  di indicare i candidati.

(da “Huffingtonpost“).

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PENSIONI MINIME “INADEGUATE”: IL CONSIGLIO D’EUROPA BACCHETTA L’ITALIA SULLE VIOLAZIONI DELLA CARTA SOCIALE EUROPEA

Gennaio 30th, 2014 Riccardo Fucile

ALTRO CHE LEGGE ELETTORALE, I PROBLEMI VERI DEGLI ITALIANI   SONO ALTRI

In Italia l’ammontare delle pensioni minime è “inadeguato” e non c’è una legislazione in grado di garantire alle persone anziane lo stesso livello di vita del resto della popolazione.
Queste 2 delle 7 violazioni della Carta sociale europea evidenziate nel rapporto del Comitato per i diritti sociali del Consiglio d’Europa.
Il documento reso noto oggi è composto da 50 pagine e prende in esame il periodo che va dal primo gennaio 2008 al 31 dicembre 2011.
L’analisi condotta dal Comitato ha riguardato anche le politiche per la lotta alla povertà  e all’esclusione sociale, le norme che devono garantire il diritto alla sicurezza sui luoghi di lavoro e quelle relative all’accesso ai servizi sanitari e all’assistenza sociale.
La Carta sociale europea, firmata a Torino nel 1961 e rivista nel 1996, è una delle convenzioni internazionali alla base dell’attività  del Consiglio d’Europa, l’organismo paneuropeo a cui aderiscono 47 Paesi.
Naturale complemento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo che tutela i diritti civili e politici degli individui, la Carta garantisce i diritti sociali ed economici in materia di alloggio, salute, istruzione, occupazione, circolazione delle persone, non discriminazione e tutela giuridica.
Il Comitato per i diritti sociali ha il compito di verificare la compatibilità  delle situazioni nazionali con quanto indicato nella Carta.

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ELECTROLUX: CORRERE DIETRO AI POLACCHI NON CI RENDE MENO ITALIANI

Gennaio 30th, 2014 Riccardo Fucile

CI SARA’ SEMPRE QUALCUNO PIU’ POLACCO DEI POLACCHI

È vero che se corri dietro al tram risparmi un euro e mezzo, ma se corri dietro a un taxi riesci a risparmiare molto di più.
Che questa scemenza sia applicabile all’economia, e quindi alla vita delle persone, non fa ridere per niente.
Eppure è quello che ci sentiremmo di suggerire alla Electrolux, la multinazionale degli elettrodomestici che ha proposto ai suoi lavoratori un accordo che suona più o meno così: noi vi molliamo qui e andiamo a fare le nostre lavatrici in Polonia, a meno che voi non accettiate di prendere salari polacchi.
In pratica si tratta di una riduzione di stipendio di quasi il 50 per cento: quello che prima facevi per 1.400 euro, domani potresti farlo per 700. Se no a casa.
Prendere o lasciare che si direbbe, dall’economia, alla politica, alle riforme, pare la moda del momento.
Vedete anche voi che la formuletta del tram e del taxi è una metafora perfetta: perchè diavolo inseguire stipendi polacchi quando si potrebbero rincorrere addirittura quelli cinesi?
E perchè limitarsi agli stipendi cinesi quando si potrebbero pagare stipendi cambogiani?
Il fatto è che c’è sempre qualcuno che è il polacco di qualcun altro (o il cinese, o il cambogiano…) e quindi non si finisce più: la corsa al ribasso è una specie di toboga insaponato dove si prende velocità  e non si riesce a frenare.
Ma certo, certo, non c’è dubbio che la faccenda non sia così semplice.
Non c’è dubbio che sul costo del lavoro alla Electolux (come ovunque in Italia) pesino anche altri fattori.
Le tasse sul lavoro, i costi, il famoso cuneo fiscale eccetera eccetera. Bene.
Ridurre, tagliare lì e non dalle tasche dei lavoratori, tutto giusto, tutto bello e assai riformista. Però. Però non c’è niente da fare: se costruire una lavatrice in Italia costa 24 euro all’ora e in Polonia costa 8, non bastano nè i tagli al costo del lavoro, nè i tagli al cuneo fiscale, nè riti propiziatori, nè mani benedette, nè ometti della provvidenza. Restano i sacrifici umani, quelli sì: sui lavoratori.
E in più, della proposta Electrolux non si calcola un piccolo dettaglio.
Che i lavoratori prenderebbero stipendi polacchi, ma non abiterebbero in Polonia. Continuerebbero a pagare affitti o mutui italiani, a comprare cibo nei supermercati italiani e a far benzina in Italia, chè Varsavia gli viene un po’ scomoda.
Dunque, non per tirare in ballo il vecchio maestro Keynes (ma anche il signor Ford, che fece il botto vendendo le Ford agli operai della Ford), se ne deduce che oggi, con il suo stipendio, un lavoratore dell’Elecrolux potrebbe forse permettersi di comprare una lavatrice Electrolux, ma domani, con il suo stipendio polacco, non potrà  più.
Meno soldi in tasca a chi lavora, quindi meno consumi interni, quindi nuovi lavoratori in esubero, quindi nuove riduzioni di salario.
È la famosa manina magica del mercato che sistema tutto, a favore del mercato, naturalmente.
Ecco: per portarsi avanti col lavoro, meglio forse cominciare a studiare la piantina di Pechino o cercare un bilocale a Phnom Penh.
Certo, urge un taglio delle tasse sul lavoro, non c’è dubbio, e dei costi dell’energia, non c’è dubbio, e una politica industriale, non c’è dubbio.
Nel frattempo, sarebbe bello non diventare troppo polacchi, troppo cinesi o troppo cambogiani, continuando a fare la spesa qui.
Potendo ancora sognare in italiano e non in polacco, sarebbe bello avere uno Stato che offra buone condizioni a chi viene a investire e a produrre, ovvio, giusto, ma anche che chieda garanzie e imponga qualche obbligo.

Alessandro Robecchi

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