Febbraio 28th, 2014 Riccardo Fucile
UNO RELATORE DELLA LEGGE BAVAGLIO, L’ALTRO GIA’ NEL GOVERNO LETTA IN QUOTA FORZA ITALIA
Ritardi, discussioni e vertici notturni.
L’esecutivo di Matteo Renzi ha finalmente la sua squadra completa.
Il Consiglio dei ministri ha approvato la nomina di 44 tra sottosegretari e viceministri. La spartizione manuale Cencelli alla mano ha avuto luogo e tra i nomi ci sono anche alcune nomine che certo non faranno dispiacere a Silvio Berlusconi.
C’è Cosimo Ferri (confermato), magistrato prodigio più volte ritrovato in diverse intercettazioni telefoniche da P3 a Agcom-Annozero (senza mai essere indagato) e commissario della Figc che scelse le dimissioni dopo Calciopoli.
Ma anche Enrico Costa, pasdaran di Berlusconi (ora fedelissimo di Alfano) già primo firmatario nel 2012 di un emendamento che prevedeva la drastica limitazione della divulgazione delle intercettazioni.
E’ colui che propose la rivisitazione al ribasso dei termini di prescrizione e fu relatore del lodo Alfano. Di lui si ricorda anche il volta faccia sulla legge Severino, prima entusiasta e poi sbottò: “E’ una legge contro Berlusconi”.
Alle Telecomunicazioni, l’altro settore da sempre nel cuore del Cavaliere, va come viceministro Antonello Giacomelli (areadem). Cosa che dovrebbe risolvere il possibile conflitto del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, in buoni rapporti con Berlusconi.
Nelle altre posizioni chiave, da segnalare il liberal Pd Morando come viceministro dell’Economia, mentre la new entry Ivan Scalfarotto è sottosegretario alle riforme. Sottosegretari alla presidenza del Consiglio il renziano Luca Lotti e Marco Minniti, anche lui Pd, a cui è stata confermata la delega ai servizi segreti. Nessun incarico per il sindaco di Bari Michele Emiliano, che però scrive su Twitter: “Bella chiacchierata telefonica con Matteo che mi ha chiesto di fare capolista a Sud per le elezioni europee. Ho risposto: obbedisco. Con gioia!”.
L’incontro è cominciato con un’ora di ritardo forse a causa di un vertice tra il Presidente del Consiglio e Angelino Alfano, anche se gli interessati hanno smentito sia mai avvenuto.
All’ordine del giorno dell’incontro, c’erano anche un decreto e un ddl che recepiscono le norme del Salva Roma bis (approvato) e 16 decreti legislativi che attuano alcune direttive Ue.
Il Governo Renzi avrà in tutto 62 membri: oltre ai 16 ministri ci saranno 35 sottosegretari (invece dei 47 del vecchio governo) e 9 viceministri (invece di 10).
A comunicarlo è stato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio. Dopo la fiducia all’esecutivo del nuovo premier a inizio settimana, si aspettava da alcuni giorni l’approvazione della lista che, manuale Cencelli alla mano, avrebbe dovuto accontentare tutte le parti del governo delle larghe intese.
Per tre volte il consiglio dei ministri è stato rinviato. Prima da martedì a mercoledì (dopo la visita di Renzi a Treviso) e poi a giovedì, e infine a venerdì mattina.
Chi ha deciso subito di tirarsi fuori dalle dispute di spartizione posti è il deputato della minoranza Pd Giuseppe Civati che su Facebook ha scritto: “Prima che escano le liste con le nomine dei sottosegretari, ci teniamo a precisare che abbiamo scelto di non partecipare al solito walzer delle correnti e non abbiamo avuto alcun contatto con il Governo”.
Lascia il ministero delle Infrastrutture e Trasporti Erasmo D’Angelis, dove era stato nominato sottosegretario da Enrico Letta. A quanto si apprende da fonti ministeriali, a D’Angelis è stato affidato il ruolo di capo segreteria di Matteo Renzi a palazzo Chigi.
La lista (in aggiornamento):
Sottosegretari:- Presidenza del Consiglio: Luca Lotti (Pd); Marco Minniti (Pd)
– Interno: Giampiero Bocci (Pd), Domenico Manzione (tecnico)
-Istruzione: Angela D’Onghia (Popolari per l’Italia); Gabriele Toccafondi: Roberto Reggi (Pd).
– Lavoro: Teresa Bellanova (Pd), Franca Biondelli (Pd), Luigi Bobba (Pd) e Massimo Cassano (Ncd).
-Esteri: Mario Giro (Popolari per l’Italia) e Della Vedova (Ncd);
-Difesa: il generale Domenico Rossi (Popolari per l’Italia); Gioacchino Alfano (Ncd)
-Economia: conferma per Pier Paolo Baretta, al quale si aggiungono Giovanni Legnini (Pd) e Enrico Zanetti (Sc).
-Giustizia: Cosimo Ferri (tecnico);
– Affari regionali: Gianclaudio Bressa (Pd).
– Riforme e rapporti con il Parlamento: Ivan Scalfarotto (Pd).
– Ambiente: Silvia Velo (Pd), Barbara Degani (Ncd)
– Funzione pubblica: Angelo Rughetti (Pd)
– Politiche agricole: Giuseppe Castiglione (Ncd)
Viceministri:
– Difesa: Lapo Pistelli (Pd);
– Economia: Enrico Morando (Pd) e Luigi Casero(Ncd);
– Telecomunicazioni e frequenze: Antonello Giacomelli, areadem.
– Infrastrutture: Riccardo Nencini (Psi)
– Interno: Filippo Bubbico (Pd);
– Giustizia: Enrico Costa (Ncd);
– Infrastrutture: Riccardo Nencini;
– Politiche agricole: Andrea Olivero;
– Sviluppo economico: Carlo Calenda e Claudio De Vincenti.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 28th, 2014 Riccardo Fucile
IL FALLIMENTO DI UNA CLASSE DIRIGENTE PER LA SECONDA VOLTA IN SEI ANNI
A Roma si sta consumando il fallimento di una intera classe dirigente, per non dire di tutti gli italiani.
Tanto sconcertante è la superficialità con cui la capitale di una delle prime dieci potenze economiche ha rischiato il fallimento per la seconda volta in sei anni.
Già al tempo del primo crac, nel 2008, un Paese serio avrebbe imposto un rigoroso piano di risanamento strutturale dei conti comunali. Ma qui non è avvenuto.
Le cronache ci hanno anzi raccontato, dagli scandali di parentopoli in poi, di un progressivo decadimento finanziario, qualitativo e persino morale.
Fino al capolavoro di questi giorni, quando il Palazzo si è mostrato di nuovo incapace di porre rimedio all’emergenza dei conti del Campidoglio.
Le colpe sono equamente distribuite fra un governo pasticcione e un Parlamento con scarso senso di responsabilità , ma anche una amministrazione debole e frastornata. Nessun sindaco al mondo avrebbe minacciato di bloccare la città per ritorsione, e bene ha fatto Renzi, sindaco pure lui fino a ieri, a mostrargli i denti.
Questa clamorosa dèbà¢cle collettiva trova raffigurazione plastica nello stato di degrado in cui versa un luogo simbolo dell’unità nazionale.
Nell’indifferenza generale la Breccia di Porta Pia è assediata dai rifiuti, ridotta a rifugio notturno dei senza tetto.
Un trattamento inconcepibile in qualunque altro Paese civile. Il fatto è che Roma non è Parigi, non è Londra, nè Berlino, perchè l’Italia non è la Francia, non è la Gran Bretagna, nè tantomeno la Germania.
Roma non rappresenta l’identità nazionale per il semplice fatto che l’Italia, a 153 anni dalla sua unità , non vive se stessa alla stregua di un Paese unito: concetto che negli ultimi vent’anni si è ulteriormente sbiadito, fra le urla padane e i rancori di certi pseudomeridionalisti.
Dunque i problemi di Roma non sono altro che i problemi dei romani, certo non degli italiani.
Una visione ottusa e provinciale che spiega i cronici mali di una città mai affermatasi come il vero baricentro culturale del Paese.
Del resto, con rare e ben note eccezioni, nel dopoguerra non sempre Roma è stata guidata da personalità di spessore adeguato. Sulla poltrona di sindaco si sono seduti anche palazzinari, piccoli funzionari di partito, autentiche macchiette dei potentati locali.
Quella zona grigia dove la politica si mischia agli affari ha sfregiato la città con speculazioni inenarrabili e inquinato l’amministrazione con un coacervo di interessi privati e clientelari: il risultato è che il Comune di Roma oggi paga oltre 60 mila stipendi, più del doppio dei dipendenti italiani del gruppo Fiat, offrendo ai cittadini servizi scadenti. E pure le speranze di un cambio di passo giustamente generate dall’elezione diretta del primo cittadino sono via via naufragate.
Gli ultimi due sindaci lo sono diventati quasi per caso.
Nel 2008 Gianni Alemanno ha vinto le Comunali contro ogni pronostico. E cinque anni più tardi Marino si è ritrovato al Campidoglio al posto del predestinato Nicola Zingaretti, dirottato alla Regione Lazio.
Amministra la città insieme a 48 consiglieri comunali che si fregiano addirittura del titolo di «onorevoli», come fossero i continuatori ideali dell’antico Senato romano. Altri tempi, altra Roma: quando era capitale del mondo.
Questa, invece…
Paolo Conti e Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Febbraio 28th, 2014 Riccardo Fucile
AL CARTELLO DELL’ALDE POTREBBE ADERIRE ANCHE IL MOVIMENTO DI PASSERA: TUTTI PER IL BELGA VERHOFSTADT A PRESIDENTE UE
Cosa hanno in comune Bruno Tabacci e Marco Pannella, Pino Pisicchio e Michele Boldrin, Oscar Giannino e Emma Bonino?
Una lista per le prossime elezioni europee.
Un vertice, domani sera a Roma (ma tanti saranno i collegati in videoconferenza), stabilità il nome e il simbolo.
Ma è quasi tutto pronto per la lista italiana che guarda al gruppo dei liberali europei (Alde) e sostiene la candidatura alla presidenza della Commissione di Guy Verhofstadt, già premier belga e attuale capogruppo a Strasburgo.
Ancora 24 ore per i dettagli. Il nome sulla scheda sarà “La mia Europa”, o una variazione sul tema, il simbolo conterrà la scritta “Liberaldemocratici e federalisti” e i loghi delle principali formazioni italiane che vi confluiranno.
La lista è lunga. E comprende Centro democratico, Fare per Fermare il declino, Radicali italiani, il Partito liberale italiano, Ali (la nuova associazione benedetta da Giannino), il Partito federalista europeo, la Fondazione La Malfa oltre a una lunga serie di amministratori locali, principalmente fuoriusciti dall’Italia dei Valori.
Un progetto che verrà presentato il 4 marzo a Roma proprio da Verhofstadt, che sta per convocare un incontro con i giornalisti presso la sede della stampa estera. Si presentano come “una lista di rottura contro l’immobilismo dei finti europeisti intergovernativi della coalizione al potere a Berlino e dei suoi alleati, e contro il facile gioco anti-europeo di chi vuole solo passi indietro”.
Due le architravi sulle quali si fonda la proposta politica de La mia Europa: la critica alla gestione tedesca dell’Ue, e la contrarietà all'”inciucio” tra Popolari e Socialisti in scena a Strasburgo e a Bruxelles.
“Non è stato difficile mettere insieme forze apparentemente così distanti – racconta Niccolò Rinaldi, vicepresidente dell’Alde e tra i principali organizzatori della lista – hanno tutte la stessa visione federalista e costruttivamente critica dell’Europa”. Non farà parte della squadra l’Idv: “Ho provato a convincerli – continua Rinaldi, un trascorso nel partito di Di Pietro – ma il segretario Ignazio Messina non era dell’idea”.
Contatti sono avvenuti anche con Corrado Passera, che di recente ha presentato il proprio progetto politico. Ma ancora non è chiaro se l’ex ministro dello Sviluppo vorrà scendere in campo già a partire da maggio.
I promotori ci sperano, e gli ottimi rapporti tra l’ex Intesa San Paolo e il leader di Fare, Boldrin, fanno ben sperare.
Anche Scelta Civica avrebbe dato l’ok alla partecipazione ad una lista italiana facente riferimento all’Alde. Rimangono da definire le modalità .
“Il 4 marzo noi presenteremo un progetto aperto – conclude Rinaldi – chiunque voglia partecipare sarà bene accetto”.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 28th, 2014 Riccardo Fucile
IL PROGRAMMA ECONOMICO DEL PREMIER RESTA VAGO E DALLE COPERTURE MOLTO INCERTE
Chissà se è una promozione o una minaccia: il Fondo monetario internazionale dice che il governo Renzi sta andando nella direzione giusta. “Diamo il benvenuto ad alcune delle misure che ha toccato nel suo intervento in Parlamento”, ha detto il portavoce del Fmi Gerry Rice.
Beati loro che hanno capito. Col passare dei giorni la proposta economica di Matteo Renzi diventa sempre più difficile da decifrare.
Le domande sono sempre le stesse: cosa vuole fare esattamente? Dove trova i soldi? (la terza sarebbe: il premier improvvisa o segue i piani elaborati dal responsabile economico del Pd Filippo Taddei?).
Ecco lo stato dell’arte sui temi principali che ha evocato.
“Lo sblocco totale dei debiti delle pubbliche amministrazioni deve costituire uno choc”.
Dei 90 miliardi circa di debiti arretrati della Pubblica amministrazione con i fornitori, il ministero del Tesoro ha stanziato per il 2013 24,3 miliardi di euro e ne ha pagati 22,8 (una parte non sono ancora arrivati alle imprese perchè le amministrazioni regionali non ritirano le somme causa lentezze burocratiche).
Altri 20 miliardi sono già previsti per il 2014. Renzi pare voglia pagare anche i rimanenti 50-60.
Molti di questi non sono neppure certificati perchè “fuori bilancio”, cioè mai contabilizzati correttamente. Come fare? Renzi vuole ricorrere al piano elaborato da Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti: lo Stato mette una garanzia su tutti i crediti, le banche li rimborsano subito trattenendo una percentuale e poi si fanno a loro volta rimborsare dalla Cassa depositi e prestiti in più tranche (la Cdp, una controllata del Tesoro che gestisce il risparmio postale, dovrebbe poi riavere le somme spese dal Tesoro che a sua volta si rifarebbe sugli enti pubblici titolari del debito).
Metodo rapido, ma dalle molte incognite: c’è una remota possibilità che Eurostat, l’agenzia statistica dell’Unione europea, arrivi a “riclassificare” il debito della Cdp nel debito pubblico dello Stato, con un’impennata contabile di decine di miliardi. Eventualità troppo traumatica per essere credibile.
Ma soprattutto c’è il rischio che si combinino pasticci colossali pagando crediti di dubbia natura, facendo arrivare soldi a chi non li meriterebbe, se prima non c’è una certificazione.
Pare abbastanza improbabile che un’operazione così complessa si possa fare nei 15 giorni promessi dal premier.
“Ridurremo di almeno 10 miliardi il cuneo fiscale”.
Secondo quanto spiegato dal responsabile economico del Pd Taddei, l’idea è di tagliare il 10 per cento dell’Irap pagata dalle aziende (2,3-2,5 miliardi) e di 5 miliardi l’Irpef dei lavoratori fino a 55 mila euro di reddito lordo annuo.
Un lavoratore che prende 1.600 euro al mese lordi, stima Taddei, avrebbe un beneficio di 500 euro all’anno (41 al mese).
Dove trovare i 7,5-8 miliardi necessari? Tre quarti della copertura dovrebbero arrivare dai tagli di spesa del commissario Carlo Cottarelli (il piano ancora non è stato presentato), il resto da un aumento delle aliquote sulle cosiddette rendite finanziarie, che salirebbe dal 20 al 21 o al 23, senza più distinzioni.
Cioè anche per i titoli di Stato (Bot, Btp, ecc) i cui rendimenti oggi sono tassati al 12,5 per cento.
Queste coperture, però, al momento non sono mai state esplicitate da Renzi.
“Serve una gigantesca battaglia perchè la stabilità della sicurezza scolastica sia più importante della stabilità dei conti”.
Renzi ha promesso un piano di edilizia scolastica i cui dettagli sono oscuri.
Secondo quanto chiarito dal responsabile Scuola del Pd Davide Faraone, non ci sarebbe bisogno di copertura specifica perchè esistono 1-2 miliardi di fondi già stanziati e mai spesi dai precedenti governi, oltre ai 450 milioni approntati da Enrico Letta.
Serve anche una modifica del patto di stabilità dei Comuni così da permettere loro di usare risorse che hanno in cassa. Ma è tutto da dimostrare che i fondi su cui conta Renzi siano così facilmente spendibili.
“Non ci faremo dettare la linea dall’Europa”.
Renzi ha abbandonato i proclami bellicosi sulla necessità di sfondare il tetto del 3 per cento al rapporto tra deficit e Pil, prima di sfidare Bruxelles vuole avere qualche riforma avviata.
Ma non ha mai chiarito se pensa di fare la riduzione strutturale del debito pubblico che la Commissione europea aveva chiesto — senza risultati — al governo Letta.
à‰ un intervento da 7,5 miliardi di euro che dovrebbe assorbire i primi risparmi della spending review di Cottarelli.
“Andremo al bilaterale del 17 marzo con Angela Merkel con le idee chiare sul piano del lavoro e con il jobs act sostanzialmente pronto”.
Il Jobs Act, finora, non è mai andato oltre una prima bozza. E anche in quel documento il Pd renziano si limitava a promettere la presentazione di un piano complessivo sul lavoro di cui mai si sono avuti dettagli.
L’introduzione di un contratto unico di inserimento, con tutele basse all’inizio e poi crescenti, pare essere la prospettiva.
Ma non si è mai capito come si adegueranno gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, Aspi ecc.) e quanto costerà l’eventuale modifica.
Nell’ipotesi massima l’estensione a tutti di un assegno da 500 euro al mese costerebbe 18 miliardi.
E, come ha notato ieri il Corriere della Sera nell’editoriale di prima pagina, questo sarebbe un po’ troppo anche per uno che ama pensare in grande come Renzi.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 28th, 2014 Riccardo Fucile
UN EMENDAMENTO DI CIVATI PROVA A INTRODURRE IL REATO DECISIVO CONTRO GLI EVASORI CHE FAREBBE RECUPERARE UN TESORO: DA CHE PARTE STARà€ MATTEO?.
Il Parlamento si prepara a discutere l’introduzione di due norme che qualche soldo potrebbe farlo entrare nelle casse dello Stato, per realizzare le mirabolanti promesse annunciate da Matteo Renzi.
La prima è quella sulla voluntary disclosure, cioè sulla collaborazione volontaria per far rientrare in Italia i capitali nascosti all’estero.
La seconda è quella che introduce il reato di autoriciclaggio, cioè la possibilità di punire anche in Italia il riciclaggio di denaro di provenienza illecita, compiuto dalla stessa persona che ha ottenuto il denaro in maniera illecita.
Ma c’è un però, anzi due.
Le due norme erano contenute insieme in un decreto del governo Letta che ora dovrà essere convertito in legge dal Parlamento.
Prima della caduta, però, il governo Letta ha sfilato dal decreto la parte sull’autoriciclaggio, con il proposito di inserirla in un contenitore diverso.
Non ha fatto in tempo a farlo, perchè Renzi ha decretato il tutti a casa.
Così ora l’autoriciclaggio rischia di rimanere confinato nella casella dei buoni propositi non realizzati.
Per questo il deputato Pippo Civati e la senatrice Lucrezia Ricchiuti, del Pd, hanno chiesto ai loro compagni di partito di ripescare l’autoriciclaggio e inserirlo di nuovo nel decreto sul rientro dei capitali.
Si può farlo già da settimana prossima, quando il decreto sulla voluntary disclosure comincerà il suo viaggio in Parlamento per essere convertito in legge, alla commissione Finanze della Camera.
La proposta di Civati e Ricchiuti è che il Pd presenti un emendamento che reinserisca la norma sull’autoriciclaggio.
Sarà il banco di prova per verificare se tutto il Pd vorrà impegnarsi in questa direzione, ma anche se vorrà puntarci Renzi, finora silenzioso sui temi dell’evasione fiscale e della criminalità economica.
Civati è pronto a presentare l’emendamento, ma vorrebbe che la sua non fosse una scelta individuale o, al massimo, del gruppo di parlamentari che fanno riferimento a lui, ma una scelta dell’intero Partito democratico.
Intanto approderà in commissione Finanze almeno la parte del decreto sul rientro dei capitali. Una norma pensata per funzionare in modo diverso dai condoni o dallo scudo fiscale del passato.
Quelli garantivano l’anonimato degli evasori e “sbiancavano” i capitali nascosti all’estero in cambio di una modesta quota da pagare all’erario.
Questo impone l’autodenuncia di chi ha nascosto capitali all’estero, affinchè su questi vengano calcolate le tasse da pagare, con la riemersione dei conti esteri da sottoporre da qui in avanti al monitoraggio fiscale.
I costi potrebbero essere alti: regolarizzare un milione di euro frutto di evasione potrebbe costare tra l’80 e il 90 per cento del malloppo, quindi tra gli 800 e i 900 mila euro.
Ma per gli evasori con capitali in fuga dovrebbe essere l’ultima occasione per chiudere i conti con il fisco.
Non aderire potrebbe costare molto di più: nel caso del milione di euro, considerando tasse e sanzioni, potrebbe costare più del doppio. Del resto, nel luglio 2015 scatterà lo scambio automatico delle informazioni tra Paesi.
Quelli che vorranno uscire dalla black list internazionale (come la Svizzera) dovranno mettere a disposizione dell’Italia i dati bancari in loro possesso e a quel punto i costi dell’evasione saranno davvero pesanti. Inoltre — come ha sottolineato il procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco in un recente convegno a Lugano, davanti a una platea di intermediari e bancari ticinesi — dei reati finanziari contestati agli evasori potranno essere chiamati a rispondere anche gli intermediari “agevolatori” e le società per cui lavorano, le fiduciarie e le banche.
Greco ha presieduto la commissione di esperti che ha contribuito a formulare le proposte di legge su rientro dei capitali e autoriciclaggio.
Naturalmente, però, dipende da quello che succederà da settimana prossima in Parlamento, cioè da come sarà eventualmente modificato il decreto sulla voluntary disclosure.
Dall’inserimento o meno nel decreto del reato di autoriciclaggio.
E dall’atteggiamento del governo su questa materia. Renzi non ha detto finora una parola su evasione e reati economici: da settimana prossima il silenzio sarà impossibile.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 28th, 2014 Riccardo Fucile
“UN SISTEMA CHIUSO E CHE FA TUTTO IN CASA E’ INAFFIDABILE”
Che beffa per il guru. Quello che a Cernobbio sfidava la platea: «Mostratemi un politico moderno che non capisce internet e vi mostrerò un perdente».
Che delusione per gli attivisti, devoti della democrazia diretta, trasparente.
È bastata un’incursione notturna nell’account twitter di Gianroberto Casaleggio — «Questa notte è stato violato dagli hacker», ha denunciato Grillo, che ha avvisato la Polizia Postale — per sollevare tutti i problemi sulla sicurezza delle votazioni online, quelle che decidono il futuro dei parlamentari, o i parlamentari del futuro.
«E’ una vicenda surreale», dice Andrea Draghetti, ricercatore, tra i massimi esperti italiani di tecnologie.
Surreale perchè, secondo le prime informazioni, la password usata per entrare nel profilo di Casaleggio — «santorsola», come la via milanese in cui si trova la società — era la stessa per tutti gli account del gruppo.
«Una password debole per una azienda che crea il suo business attraverso la rete» ragiona Draghetti, che rilancia: «La Casaleggio e Associati gestisce il portale web del Movimento 5 Stelle e il blog di Beppe Grillo. Le votazione online del Movimento a 5 Stelle sono sicure?».
Si risponde da solo: no.
«Non serve un hacker per lasciar votare mille volte la stessa persona» spiega Fabio Ghioni, hacker.
Il problema, quello vero, è «la non possibilità del sistema dei 5 Stelle di certificare la corrispondenza tra voti e persone: sul loro sito si può votare più di una volta, anche mille, con accorgimenti banali come il cambio del browser o la navigazione anonima.
Non hanno insomma un sistema di sicurezza adeguato. Ma questo accade con qualsiasi voto telematico “popolare”».
Su questo Draghetti non è d’accordo. «Il vero nodo è: chi verifica che io non crei dieci profili, anche falsi, e voti più volte?».
La fiducia cieca nella base può tradire. «I sistemi di raccolta del consenso popolare sono di grandissimo interesse e utilità ma devono rispettare alcuni requisiti di sicurezza» ragiona Giovanni Ziccardi, professore di Informatica Giuridica all’Università Statale di Milano, che teme la mancanza di certificazioni.
Insomma, chi controlla i voti arrivati sul blog?
«Accanto a requisiti di sicurezza “tecnici”, a mio avviso vi sono requisiti più importanti che sono la certificazione dei risultati da parte di una terza parte indipendente e la trasparenza assoluta di tutto il procedimento». Cosa che, spiega, in questo momento il sito di Grillo non garantisce.
«E’ un punto essenziale: un sistema chiuso che fa tutto in casa — attiva la piattaforma, raccoglie i voti e comunica l’esito — è di per sè inaffidabile perchè nel segreto delle operazioni può capitare qualsiasi cosa e la delega di fiducia che il votante dà all’amministratore è troppo ampia. A maggior ragione ciò dovrebbe avvenire per votazioni o scelte che incidono direttamente sulla vita politica del Paese».
Giuseppe Bottero
(da “La Stampa”)
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Febbraio 28th, 2014 Riccardo Fucile
LA PRESA PER I FONDELLI: AVEVA DETTO CHE AVREBBE RINUNCIATO ALLA PRESCRIZIONE, MA QUANDO ERA IL MOMENTO DI RIFIUTARLA NON SI PRESENTO’ IN AULA
La conferma, inevitabile, è arrivata ieri.
La sesta sezione penale della Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui Filippo Penati chiedeva di annullare la sentenza di prescrizione del Tribunale di Monza, pronunciata lo scorso 22 maggio.
Quel giorno, l’ex presidente Pd della Provincia di Milano ed ex braccio destro di Pierluigi Bersani, non si presentò in aula per rinunciare alla prescrizione e «difendersi nel processo», come ripeteva spesso nelle interviste, e i giudici non hanno potuto far altro che dichiarare l’estinzione del reato.
Anche il procuratore generale Giuseppe Volpe, ieri, nel chiedere di «rigettare la richiesta del ricorrente», ha ricordato quell’udienza, l’unico luogo in cui il politico avrebbe dovuto dichiarare di volere il processo.
«Anche nel momento clou – ha ricordato Volpe – quando si doveva dichiarare cosa manifestare al tribunale, la difesa non ha espresso la sua decisione».
Così la Suprema Corte si è limitata a condannare Penati al pagamento delle spese processuali
«Celebrare il processo mi avrebbe consentito di difendermi e dimostrare la mia innocenza – ha commentato ieri Penati – Contro di me ci sono solo menzogne, e io non intendo fermarmi. Non rinuncio comunque a dimostrare la mia totale estraneità ai fatti che mi sono stati contestati».
Ma il tempo processuale è ormai scaduto, ponendo fine a uno dei filoni d’inchiesta dei pm di Monza, Walter Mapelli e Franca Macchia, che indagano sul “Sistema Sesto”: i presunti appalti truccati e le tangenti relativi alla riqualificazione delle ex aree industriali Falck e Marelli a Sesto San Giovanni, comune a nord di Milano.
Già il “decreto anticorruzione” dell’allora ministro della Giustizia, Paola Severino, aveva abbattuto i tempi di prescrizione per la concussione, salvando Penati ma anche gli uomini delle coop rosse indagati a Monza.
Poi, lo scorso 22 maggio, Penati non si è presentato in udienza.
Quando il presidente del tribunale, Letizia Brambilla, ha chiesto al suo legale, Matteo Calori, se il politico intendesse presentarsi per dichiarare un’eventuale rinuncia, l’avvocato tentò di contattare l’ex presidente, senza riuscirci. «Penati non verrà , non posso dire altro sulla sua volontà » rispose Calori, che non aveva una procura per pronunciarsi sulla prescrizione.
Evaporarono così i tre capi d’imputazione sulle presunte tangenti per le Falck e le Marelli di Sesto, dove Penati è stato sindaco dal 1994 al 2001, il filone più corposo dell’inchiesta di Monza.
È invece ancora in corso il processo per i finanziamenti ricevuti dalla fondazione di Penati, “Fare Metropoli”; per l’appalto per i lavori della terza corsia della A7; e per la finta compravendita di un immobile tra i Gavio e il grande accusatore di Penati, l’imprenditore Piero Di Caterina, con una caparra da due milioni che per i pm serviva a «restituire i prestiti» in contanti che Di Caterina aveva fatto negli anni al politico.
Sandro de Riccardis
(da La Repubblica)
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Febbraio 28th, 2014 Riccardo Fucile
IL BRACCIO DESTRO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, NEL 2009, È SINDACO DI REGGIO EMILIA E LA SOCIETà€ DEL PARENTE SI AGGIUDICA I LAVORI DI AMPLIAMENTO DI UNA SCUOLA
Nel 2009 Graziano Del Rio, oggi sottosegretario alla presidenza al fianco di Renzi, era sindaco di Reggio Emilia.
Nel giugno di quell’anno una società edilizia di Reggio si aggiudica un appalto che le offre l’ultima boccata d’ossigeno prima di chiudere.
La società partecipa con molte altre alla selezione per la ristrutturazione della scuola dell’infanzia Allende, importo di 152 mila e 583 euro.
La “procedura negoziata”, cioè una gara con partecipazione ristretta alle società invitate è aggiudicata “con il criterio del prezzo più basso, inferiore a quello posto a base di gara”, alla Del Rio Bonfiglio & figli di Del Rio Paolo S.A.S. per 140 mila e 941 euro.
La società è del cugino del sindaco Del Rio, Paolo Del Rio, che ne controlla il 99 per cento in qualità di socio accomandatario con poteri di amministrazione.
Nel verbale di determinazione del 22 aprile 2010 nel quale Paolo alza bandiera bianca e presenta richiesta di concordato per evitare il fallimento, il cugino dichiara di risiedere al civico 40 di una via di Reggio Emilia, che non indichiamo per ragioni di privacy.
La società ha sede al numero 16 della stessa via e anche il sottosegretario Del Rio è comproprietario con la sorella (i figli hanno l’usufrutto della sua quota) di metà di 2 appartamenti da 4 vani, un appartamento da 7 vani e mezzo e tre box da 13 metri quadrati nella stessa strada, al civico 40.
Probabilmente si tratterà delle case ereditate da Achille e Firmino Del Rio, padri rispettivamente di Graziano e Paolo.
I due cugini conservano anche le quote di 4 magazzini, sempre a Reggio Emilia, per un centinaio di metri quadrati complessivi, ereditati in comunione tra cugini. Anche la restante quota dell’uno per cento della società in accomandita di Paolo Del Rio vanta un socio interessante: socio accomandante è Rita Enrica Montanari, moglie di Paolo Del Rio e funzionaria (non è il dirigente ma è definita ‘responsabile’) dell’ufficio gare e contratti del comune di Reggio Emilia.
Stando al rapporto annuale dei contratti pubblici pubblicato dalla Regione quell’anno la società del cugino del sindaco e della moglie ha vinto un solo appalto pubblico in Emilia Romagna: quello della scuola Allende di Reggio.
Stando ai rapporti annuali, la società di Paolo Del Rio si aggiudica il primo appalto da 122 mila euro nel 2004.
Nel 2005 fa due lavori per complessivi 994 mila euro. Nel 2006 nulla. Nel 2007 altri 2 appalti per 429 mila euro complessivi, nel 2008 nulla e nel 2009 solo l’appalto da 140 mila euro della scuola Allende. Nell’aprile 2010 arriva il concordato.
Eppure nel giugno 2003 Paolo Del Rio era entrato nel grande giro: l’Acer di Reggio Emilia, ente pubblico che si occupa dell’edilizia popolare (ex IACP) fa un bando per individuare tre società partner della sua controllata Acer Iniziative Immobiliari (poi sciolta nel 2009) a cui affidare la costruzione e ristrutturazione delle case popolari.
Ci sono 43 milioni di euro in ballo e l’Ance, cioè l’associazione dei costruttori, presenta un ricorso al Tar, poi ritirato, perchè non accetta la procedura seguita: Acer Iniziative Immobiliare fa entrare con tre quote uguali, di circa il 16 per cento ciascuna, le tre società private scelte con il bando e lascia ad Acer la maggioranza.
Una delle tre partner prescelte è la Consacer, creata a febbraio 2004, nella quale troviamo socio (con il 3 per cento) la solita accomandita di Paolo Del Rio.
Acer è un ente controllato da tutti gli enti locali e il comune di Reggio Emilia è il primo socio con il 25 per cento delle quote.
Graziano Del Rio quando l’operazione parte è un consigliere regionale della Margherita in Emilia.
Diverrà sindaco solo a giugno del 2004, un anno dopo il bando, tre mesi dopo la creazione di Consacer.
I soci di suo cugino comunque sono ben messi con la politica. Nel consorzio troviamo la Cooperativa Muratori di Reggiolo, aderente alle Lega Coop allora guidata dal ministro Giuliano Poletti, finita poi in concordato nel 2012, con il 30 per cento; segue un altro socio di Lega Coop: il CIE di Modena con il 25 per cento, poi la Cooperativa Artigiani Muratori Appennino Reggiano con il 20 per cento e a sorpresa la Italcantieri Spa con il 15 per cento.
La società di Lacchiarella è appartenuta per decenni alla famiglia Berlusconi.
Nel 1973 se ne occupava Silvio poi passò al fratello Paolo che la cedette alla fine degli anni novanta all’ex presidente della Spezia Calcio Giuseppe Ruggieri, arrestato nel 2009 per altre vicende e che racconterà come testimone di avere consegnato 50 mila euro a un suo socio a Reggio Emilia nell’agosto del 2003 per pagare alcuni amministratori , in relazione ad affari liguri.
I soci più piccoli del consorzio Consacer sono la Poledil di Montanari Vanna (non parente di Enrica) con il 7 per cento e la società di Paolo Del Rio, con il 3 per cento. Consacer fattura 1 milione e 157 mila euro nel 2004, 4 milioni e 898 euro nel 2005, un milione e 615 mila nel 2006, 1 milione e 49 mila nel 2007.
Sono circa 9 milioni di euro, concentrati nel 2005, anno in cui secondo i bilanci solo 63 mila euro sarebbero ricavi di Del Rio Paolo per manutenzione strade a Reggio Emilia.
Rita Enrica Montanari spiega: “Sono stata assunta nel 1993 dal comune e dal 1995 sono all’ufficio gare. Graziano Del Rio non faceva nemmeno politica. Nella gara che è stata vinta dalla società di mio marito il criterio di aggiudicazione era il massimo ribasso e dunque non era possibile favorirlo. Io non mi occupo della scelta dei partecipanti. La mia quota è davvero minima e serve per evitare il socio unico. Non mi sono mai occupata di nulla. La società non esiste dal 2010 per il concordato. Le sue cose sono state messe all’asta. Questo mi pare dimostri quanto sia insensato pensare che il sindaco Del Rio possa avere aiutato suo cugino”.
L’avvocato Santo Gnoni, dirigente dell’ufficio legale del comune di Reggio Emilia sulla gara vinta dal cugino del sindaco precisa: “Era una procedura negoziata con invito di alcune società e una gara con l’aggiudicazione al massimo ribasso. Ovviamente il sindaco non si occupa e non ha alcuna competenza su queste materie. Non vedo nessun problema legale nella partecipazione minima della dottoressa Montanari”.
Paolo Del Rio, contattato tramite la moglie, non ci ha ricontattati. E anche il sottosegretario Graziano Del Rio, contattato tramite il suo ufficio stampa, non si è fatto vivo.
La sua portavoce però precisa che “non c’è niente di irregolare”.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 28th, 2014 Riccardo Fucile
META’ DEGI ELETTORI GRILLINI CONTRARI ALL’ESPULSIONE, DUE TERZI VOGLIONO UN DIALOGO CON LE ALTRE FORZE POLITICHE: BOCCIATA LA LINEA DI GRILLO E CASALEGGIO
Il Movimento Cinque Stelle paga le vicende dei giorni scorsi, tra scissioni, espulsioni e sedute di autocoscienza.
Secondo gli ultimi sondaggi realizzati da Ixè per Agorà , infatti, nell’ultima settimana il Movimento ha perso quasi due punti percentuali, unico a calare rispetto agli altri due maggiori partiti.
Le intenzioni di voto per il Pd, infatti, salgono al 30,3%, in crescita dello 0,9% rispetto a una settimana fa; sale anche Forza Italia (22,5 rispetto ai 21,7 di una settimana fa); perde invece quasi due punti il Movimento 5 Stelle, che dal 23,7% scende al 21,8.
A giudicare dai sondaggi di Agorà , la presa di Palazzo Chigi non ha scalfito la fiducia degli elettori in Matteo Renzi.
Se una settimana fa si “fidava di lui” il 52% degli intervistati, oggi questa percentuale è salita al 62%, con un aumento tondo tondo del 10%.
Il 56% dei partecipanti al sondaggio afferma di avere fiducia nel governo guidato da Renzi.
Quanto ai ministri, a godere di maggiore fiducia (rispettivamente 44% e 42%) sono Delrio e Franceschini, seguiti da Lupi (41%), Boschi, Padoan e Poletti (40%).
Se si andasse a votare oggi, la coalizione vincente sarebbe quella di centrosinistra (36,2%), ma di poco, perchè il centrodestra segue al 35,8%.
Continua a crescere il cosiddetto “partito del non voto”, superando la metà degli intervistati (50,7%). Dal 31 gennaio a oggi è aumentato di quasi 10 punti percentuali.
(da Huffingtonpost“)
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