Febbraio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
LO STANZIAMENTO DEL GOVERNO BERLUSCONI FU POI BOCCIATO DALLA CORTE DEI CONTI
La commistione fra sfera pubblica e privata, il potenziale conflitto d’interessi che il governatore
Gianni Chiodi ha coltivato e tenuto nascosto per anni, si riassume nelle poche righe di un atto ufficiale.“La dottoressa Letizia Marinelli, consigliera di Parità della Regione Abruzzo, trasmette al Commissario delegato per la Ricostruzione un progetto di massima per la realizzazione di quanto previsto…”. Firmato — il 14 agosto 2012 — dal commissario delegato per la ricostruzione e presidente della Regione Abruzzo: Gianni Chiodi.
Il punto è che Chiodi e Letizia Marinelli — per loro stessa ammissione, dopo i documenti emersi dalle indagini sui rimborsi — sono stati amanti.
Di certo hanno dormito insieme, la notte del 15 marzo 2011, nella stanza 114 dell’hotel Del Sole di Roma, zona Pantheon, a spese dei contribuenti, stando alle accuse della procura e ai controlli dei carabinieri.
E quindi: l’amante consigliera Letizia Marinelli — o ex amante, poichè non abbiamo contezza delle evoluzioni del rapporto — avrebbe dovuto presentare, all’amato governatore Chiodi, un “progetto di massima”.
Il suo valore: 1,5 milioni di euro. Soldi stanziati dal governo Berlusconi per l’emergenza post sisma.
Progetto destinato alla realizzazione di un “centro poliedrico per le donne”.
Il 18 febbraio Letizia Marinelli spedisce in Regione Abruzzo la sua lettera raccomandata: aspira —con altre 22 candidate—a essere nominata consigliera di parità .
Il 9 marzo la Regione costituisce il “gruppo di lavoro” che valuterà le istanze.
Il 15 marzo — appena sei giorni dopo l’istituzione del gruppo di lavoro regionale — la Marinelli trascorre una notte con Chiodi nell’hotel con vista Pantheon.
Il 16 maggio la giunta designa Letizia Marinelli per il ruolo di consigliera di parità .
Parliamo di un ruolo “unico”: c’è soltanto lei (accompagnata da una consigliera supplente).
Il 22 luglio, il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, “ratifica” la nomina di Marinelli.
“È un incarico da appena 200 euro al mese” commentano entrambi. Ma avrebbe dovuto gestire almeno 1,5 milioni. Non è poco.
“Non mi ha mai chiesto niente, nè un aiuto, nè una protezione”, come vedremo, però, l’amante Letizia Marinelli, in qualità di consigliera di parità , avrebbe dovuto chiedere all’amante Gianni Chiodi, in qualità di presidente e commissario delegato per l’emergenza, di pronunciarsi su un progetto da 1,5 milioni di euro.
Un progetto che nasce appena sei mesi dopo la nomina.
Leggiamo l’articolo 10 del decreto firmato — si badi: d’intesa con la Regione — dalla Presidenza del Consiglio: “Il commissario delegato (Chiodi, ndr) provvede a realizzare un centro poliedrico per le donne… avvalendosi della consigliera di parità dell’Abruzzo come soggetto attuatore… nel limite massimo di 1,5 milioni di euro”.
E il soggetto attuatore è responsabile della spesa. Firmato, l’8 novembre 2011, da Silvio Berlusconi.
A nove mesi da quella notte da amanti, i due si ritrovano a gestire, insieme, 1,5 milioni di euro. Non è un reato. Ma c’è una questione d’opportunità .
Il 14 agosto 2012 Chiodi verga il decreto 134: “Realizzazione dei centri antiviolenza e aggregazione per le donne”.
Deve attuare il decreto firmato Berlusconi. E scrive: “La dottoressa Marinelli… entro trenta giorni … trasmette al commissario (cioè Chiodi, ndr) un progetto di massima per quanto previsto”.
C’è un punto però: bisogna aspettare il vaglio della Corte dei Conti.
E la Corte dei Conti, il 17 settembre, boccia il progetto. Che resta però nel dossier, datato 15 settembre, che viene consegnato al ministero della Coesione, quando termina la gestione del commissario Chiodi.
A pagina 28 si legge: “Centro poliedrico per le donne, 1,5 milioni, soggetto attuatore: consigliera regionale di Parità ”.
Nonostante la bocciatura della Corte, insomma, l’impegno di spesa finisce comunque nei cassetti del ministero.
Finchè, pochi mesi fa, la senatrice Pd Stefania Pezzopane non ribalta la situazione con un emendamento, approvato, alla legge di stabilità : “Le risorse vengono assegnate alla Provincia dell’Aquila per provvedere, d’intesa con il Comune, alla realizzazione di un Centro poliedrico”.
Antonio Massari
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
L’AMICO DI RENZI SI MANGIA SIENA: DA PIAZZA DELLA CULTURA A SUPERMERCATO
E ora tocca a Siena. Dopo aver accompagnato Oscar Farinetti in giro per la città , il sindaco di Siena Bruno Valentini (Pd, di osservanza renziana) ha detto che il complesso monumentale del Santa Maria della Scala potrebbe diventare un mega-supermercato di Eataly.
E ora si aspetta che il sindaco risponda a una interrogazione, dei consiglieri comunali Andrea Corsi e Massimo Bianchini, che lo invita a render pubblico il progetto e ad aprire “una discussione sulla politica culturale del Comune di Siena con particolare riferimento al ruolo da assegnare all’antico Spedale senese”.
Dare un senso ai duecentomila metri cubi dell’ospizio che nel Medioevo accoglieva i pellegrini che percorrevano la Francigena, e che oggi occupa l’ “acropoli” senese è una delle sfide del governo di una Siena orfana del Monte dei Paschi.
Il progetto più sensato sarebbe trasformare la Scala nel Museo di Siena per eccellenza, portandoci la Pinacoteca Nazionale e altri musei, il dipartimento di storia dell’arte dell’Università insieme a varie biblioteche, da unire a quella di uno dei più importanti storici dell’arte italiani, Giuliano Briganti.
Un progetto che non esclude certo spazi espositivi, caffè e altri luoghi pubblici.
Un progetto capace di trasmettere un’idea forte di cittadinanza basata sulla cultura.
Ma fin dagli scorsi mesi ha preso quota un’alternativa commerciale.
Molti segnali lasciavano pensare che anche la Scala sarebbe finita in mano a Civita, la più grande concessionaria nazionale di patrimonio culturale, presieduta da Gianni Letta. Attraverso una sua controllata, Civita gestisce già il Duomo e la Torre del Mangia, e mira a conquistare i musei delle contrade e l’assai discutibile Museo del Palio da costruire nell’ambito della candidatura di Siena a capitale europea della cultura 2019.
Ma ora le cose sembrano cambiare: un po’ perchè la Procura di Siena ha aperto un’inchiesta sulla gestione del Duomo, un po’ perchè il vento renziano favolare la soluzione Farinetti.
Se Eataly riuscisse ad aprire dentro uno dei più importanti spazi storici italiani, si tratterebbe di una importate svolta simbolica nel processo di mercificazione di quello che la Costituzione chiama “il patrimonio storico e artistico della nazione”.
Il nuovo negozio fiorentino di Eataly viene reclamizzato sui giornali locali con intere pagine come questa: “Eataly Firenze merita una visita anche solo per gustare … il Rinascimento. Antonio Scurati, celebre scrittore e professore universitario, ha curato in esclusiva per Eataly un percorso museale che racconta i luoghi, i valori e le figure storiche che hanno contribuito al periodo artistico e culturale più fulgido di sempre. Chiedi l’audioguida al box informazioni”.
Ma se il progetto del sindaco di Siena andasse in porto, Eataly non avrebbe più bisogno di mascherare un supermercato dietro un museo inesistente: sarebbe il museo a trasformarsi in supermercato. E possiamo solo immaginare cosa ne verrebbe fuori: una specie di Mall del Gotico, una Gardaland di Duccio, una Las Vegas di Simone Martini.
Ora Siena è a un bivio, deve decidersi: i suoi straordinari beni comuni monumentali possono ancora servire a formare cittadini, o devono trasformarsi in una fabbrica di clienti?
Il Santa Maria della Scala sarà una ‘piazza’ della cultura o sarà un supermercato?
Se Eataly aprirà un negozio a Siena, i senesi avranno un altro posto in cui poter andare a mangiare.
Ma se a Farinetti verrà consegnato il Santa Maria della Scala, allora sarà Eataly a essersi mangiato Siena, e i senesi.
Tomaso Montanari
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Febbraio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
IL CRITICO D’ARTE FINISCE ALLA GOGNA E SOMMERSO DI CONTUMELIE PERCHE’ IN TV AVEVA CRITICATO GRILLO E DEFINITO “INQUIETANTE” LA FIGURA DI CASALEGGIO
Questa volta tocca a Philippe Daverio finire nel mirino del Movimento 5 Stelle. ![](https://scontent-a-mxp.xx.fbcdn.net/hphotos-prn1/t1/1622627_10202010942527741_2127774181_n.jpg)
E’ lui infatti il protagonista de “il giornalista del giorno”, rubrica del blog di Beppe Grillo, in cui i grillini “impallinano” i critici del movimento.
Ospite della trasmissione Otto e mezzo di Lilli Gruber, il critico d’arte commenta così le esternazione del leader 5 Stelle: “Continua il percorso inarrestabile verso la trashologia. Grillo già un po’ mi spaventa, per un certo verso”.
Ancora più duro nei confronti di Casaleggio: “Quello che veramente mi inquieta è il socio, quello travestito da cieco di Sorrento, quello con gli occhialini scuri. Casaleggio, io lo pronuncio con un certo riserbo quel nome lì”.
Ma l’affondo più duro Philippe Daverio lo riserva alla fine dell’intervento quando commenta il video “Gaia – The future of politics”, il corto sperimentale del 2008 che ipotizza possibili scenari del futuro caricato su Youtube dalla CasaleggioAssociati: “Ho visto quel suo video, Gaia, e mi ricorda una certa propaganda degli anni ’30 che preferisco dimenticare e questo mi mette un po’… Quel video lì è una roba che sarebbe piaciuta molto a Goebbels, anzi se avesse potuto farlo lo avrebbe fatto lui. Siccome io vengo da quel mondo lì e conosco un po’ più di altri quanto è stato drammatico, in questo momento non lo auguro ai miei concittadini italiani.”
E sul blog di Beppe Grillo si scatenano i commenti: durissime le parole indirizzate a Daverio.
Tra quelle meno censurabili. “Squallido analista politico, uno dei più indegni giudizi sul movimento di Grillo che abbia mai ascoltato o letto, fiancheggiato dall’inguardabile (anche dal punto di vista fisico, oramai) conduttrice Gruber” scrive Giorgio.
E ancora “I media e la strategia del terrore”.
E anche : “Un altro buffone da circo pseudo critico d’arte parassita dei cittadini e stipendiato rai che ha dato il meglio di se in un programma a senso unico.Basta è ora di finirla. Sparite.”
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
BOLOGNA REGALA A FARINETTI UNA DISNEYLAND IN CAMPAGNA, 72 ETTARI A 10 KM DALLA CITTA’… IL COMUNE CI HA MESSO 55 MILIONI, COOP E FONDAZIONI ALTRI 45
La chiamano esperienza sensoriale. Non materiale.
E sarà un olezzo di vacche, un profumo di mandarini, un impasto di pizza. E la mungitura farà il latte e il latte sarà mozzarella e la mozzarella sarà capricciosa e la capricciosa sarà fatturato.
Un monumento a Eataly, in mezzo a svincoli e viadotti, a una radura larga e lunga 72 ettari, due volte il Vaticano.
E il Colosseo sarà invidioso, Venezia e Firenze creperanno.
E otto o nove, chissà dieci milioni di italiani e stranieri verranno qui. Dove la pianura bolognese s’ingrossa per i capannoni e le vetrate; la campagna sventrata ansima per il cemento, il legname, i pannelli fotovoltaici e d’acciaio.
Ma Natale detto Oscar Farinetti, imprenditore con la passione per Renzi e il biologico di lusso, ha giurato: sarà la Disneyland per il cibo tricolore, datemi 100 milioni di euro, un treno veloce e vi porto 10 milioni di donne, bambini e uomini.
E Bologna, la signora rossa sbiadita, s’è consegnata, disarmata, forse disperata.
La sigla Caab suona anonima. La politica l’ha creata vent’anni fa. E ci ha speso oltre 100 miliardi di lire.
Caab è un mercato di proprietà pubblica, primo azionista il Comune (80%), che vive di notte e dorme di giorno, che distribuisce frutta e verdura, che incassa centinaia di milioni di euro, che fa lavorare 2000 persone, che sta a Bologna eppure non vicino a Bologna.
La stazione centrale è lontana dieci chilometri e un binario morente è ficcato in qualche anfratto. Bob Dylan ha cantato qui per Giovanni Paolo II, era il ’97. Anno 2012. I limoni e la bietola sono affari precari.
E così Andrea Segrè, presidente di Caab, ambizioso e renziano, fustigatore di sprechi alimentari (teorizza e pratica il consumo di yogurt scaduti), s’è inventato un acronimo più affascinante, doppio senso, doppio scopo: Fico, fabbrica italiana contadina, dove vendere e mostrare i prodotti. E Farinetti non c’era.
Il sindaco Virgilio Merola, candidato da Pier Luigi Bersani e presto convertito a Matteo Renzi, osserva con l’entusiasmo di un vigile che incanala il traffico. E Farinetti non c’era.
Il professor Segrè, che insegna Agraria e frequenta la Leopolda di Renzi e che gestisce con profitto il Caab, fa un giretto che a Bologna è convenzionale: cooperative, fondazioni, mecenati, cattolici, agnostici.
Ci vogliono dei milioni, non pochi, non troppi. Un mese di attesa, un anno e giorni, un anno e mezzo.
E appare Natale detto Oscar Farinetti. Ovazione bolognese.
Il padrone di Eataly fa un paio di visite e spiega come va il mondo: va verso Eataly. Distribuisce consigli non richiesti, calcola il flusso economico e occupazionale, invoca il piano di trasporto pubblico, pretende un convoglio per il Caab, promette, ringrazia e arrivederci.
E il progetto di Fico diventa Eataly World: il Consiglio di amministrazione approva, il Comune di Merola ratifica.
E quei giretti bolognesi, cooperative, fondazioni e l’ex massone Fabio Alberto Roversi Monaco, vanno in estasi. Plasmano una società e sganciano 45 milioni di euro.
E annunciano contributi asiatici: Giappone, Azerbaigian, Cina.
Il Comune, pronto, regala 55 milioni di patrimonio immobiliare. Ecco i 100 milioni che voleva Farinetti. Il vecchio mercato verrà dimezzato, stalle e serre saranno le trincee di protezione e il marchio di Eataly World avrà uno spazio equivalente a 50 campi da calcio, sarà maestoso e luminoso al centro di un parco agroalimentare da 80.000 metri quadri.
Farinetti ha già previsto 30 ristoranti, 40 laboratori e 50 punti vendita. E ha garantito al notaio che ha officiato al concepimento di Fico che, non tardi, verserà la quota nominale di un milione di euro .
Ma quel che incasserà Eataly World, fra tagliate di manzo e olive impanate, va a Eataly. Farinetti ha fretta. Vuole inaugurare il 1 novembre 2015, appena finisce l’Expo di Milano. Perchè il modello contrattuale che verrà sperimentato per i sei mesi milanesi — fra tempi determinati, stagisti e volontari — sarebbe perfetto per il Fico, ovvero Eataly World.
Natale detto Oscar non è più ospite di Bologna: il capoluogo emiliano è ospite di Farinetti.
Ha convocato una conferenza stampa a Milano, l’11 di febbraio, e gli intrusi saranno Segrè e forse Merola.
Le ruspe stanno per cominciare a smontare il Caab e i milioni pubblici e privati costruiranno Eataly World.
Se va male, Farinetti se ne torna a Firenze. Se va bene, ci guadagna un sacco di denaro. Per pareggiare il bilancio ci vorranno almeno 5,5 milioni di visitatori, che comprano, che mangiano, che vanno e vengono in automobile
Il padre nobile di Bologna, Romano Prodi, ha posto una semplice domanda: “E con i trasporti come farete, voi dispersi in campagna?”.
Il dubbio di Prodi non ha contagiato il sindaco Merola, nè la Confindustria locale, nè Provincia nè Regione. Peggio.
È vietato criticare Farinetti e Eataly World. Soltanto Alberto Ronchi, assessore alla Cultura, s’è permesso di suggerire un po’ di riflessione. Per Farinetti è l’investimento perfetto: rischio d’impresa zero contro un sostegno pubblico che vale 55 milioni e una superficie da base aerospaziale.
E mentre un dirigente ti indica dove fiorirà la zucca e dove toseranno le pecore, proprio lì, fra le prossime piante di peperoncino e di finocchio, scoloriscono una ventina di Filobus Civis.
Dovevano salvare i pendolari bolognesi, non dovevano inquinare e neanche fare rumore. Straordinari.
Poi un giorno Bologna s’è accorta che questi Filobus non potevano circolare.
E li hanno buttati qui.
Prima di un monumento a Eataly World, c’è un monumento alla memoria.
Ma non è Fico.
Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
“CI SONO LE RIFORME, NON PENSO SIANO POSSIBILE ELEZIONI ANTICIPATE, SI ANDRA’ ALLE URNE TRA OLTRE UN ANNO”
Pochi minuti prima di mezzogiorno, arrivo in via del Plebiscito, entro nel cortile di Palazzo
Grazioli e un uomo della scorta mi porta in ascensore al piano nobile, che qui è il secondo, visto che il primo è un ammezzato.
Mentre la mia troupe televisiva allestisce per le riprese l’ufficio di Silvio Berlusconi (sto girando una puntata per Corriere TV della nuova web serie basata sul mio nuovo libro, che esce tra pochi giorni con Rizzoli) io aspetto nel salotto.
Mi guardo intorno, nelle stanze affrescate dell’imponente palazzo seicentesco, oggetti e mobili preziosi grondano sfarzo e magnificenza.
Consolle bombate dorate con superfici in marmo. Posto su uno dei mobili con decorazioni in oro e intarsi pregiati c’è un modellino settecentesco del Colosseo, con una targhetta in granito su cui spicca la scritta, in stile romano, «La storia la scrive chi vince».
Sento un cagnolino che abbaia, e intravedo alla fine del corridoio una porta che apre dall’appartamento privato del presidente.
L’oramai immancabile Dudù fa una brevissima apparizione e poi viene riportato dentro.
Io intanto arrivo nell’ufficio di Berlusconi e il mio sguardo corre alle pareti damascate giallo oro, alle tende abbinate, e si ferma su una consolle bombata sulla quale poggiano delle cornici piene di foto di Berlusconi con Bush, con Putin, con papa Ratzinger, con i figli, con la mamma Rosa.
E poi arriva il Cavaliere, dimagrito dopo il soggiorno in beauty farm, sorridente e nel suo solito abito scuro a doppiopetto.
Si siede dietro la sua scrivania e cominciamo un’intervista a tutto campo.
Presidente, dopo lo storico incontro che lei ha avuto con Matteo Renzi alla sede del Pd e l’accordo sulla legge elettorale, qual è il suo parere sul segretario democratico?
«Renzi è un nuovo protagonista che è entrato di slancio nel panorama politico italiano e ha rinnovato il Partito democratico, che è sempre l’antico Partito comunista italiano, che ha cambiato tanti nomi ma è rimasto con le stesse persone, con le stesse sedi. Ha annunciato con coraggio e anche con un filo di arroganza, di voler rottamare tutti i vecchi campioni del partito. E l’ha fatto: uno dopo l’altro sono stati costretti, non per una sua azione diretta ma per il procedere della sua salita all’interno del partito, molti sono veramente ai lati, addirittura non in Parlamento. Quindi io spero che lui continui in questa direzione».
Le faccio notare comunque, presidente, che Renzi ha di fatto conquistato due terzi del partito e chi ha perso sono D’Alema, Cuperlo e il vecchio, quindi in un certo modo lui rappresenta un nuovo Pd, almeno agli occhi di un giornalista straniero.
«Io convengo e sono assolutamente contento che questo sia accaduto. Gli auguro di procedere affinchè anche il residuo terzo venga mandato negli spogliatoi».
Ma parliamo adesso della sostanza, perchè l’accordo annunciato da lei e Renzi era su tre questioni: legge elettorale, riforme istituzionali, Titolo V. Cominciamo con la legge elettorale.
«Io credo che continuerà il suo percorso e che sarà approvata dai due rami del Parlamento. Questa legge elettorale non è il meglio che si potesse fare, perchè ancora una volta abbiamo dovuto fare i conti qui in Italia con i piccoli partiti, e questo è un fatto molto negativo che ci perseguita dal 1948. Ma oggi con l’ingresso di una terza forza tra destra e sinistra, una forza che ha messo insieme tutta l’antipolitica, tutti gli italiani disgustati da questa politica, quella portata avanti da Grillo, i numeri sia di destra che di sinistra si sono abbassati, e quindi siamo arrivati a dei numeri molto bassi come coalizione. Vede, io ho sempre ritenuto che noi dovessimo insegnare agli italiani a cominciare a capire come si deve votare. Abbiamo sempre guardato ai paesi meglio governati, Francia, Gran Bretagna e, soprattutto, Stati Uniti d’America: repubblicani e democratici, democratici e repubblicani».
Il bipolarismo…
«Il bipolarismo secondo noi è il miglior sistema per dare un governo efficiente ad una nazione. Purtroppo anche dopo la Prima Repubblica, con la legge elettorale che è in vigore ancora adesso, il voto frazionato è continuato».
Però lei non esclude che la Lega e Alfano possano in futuro far parte di una coalizione di centrodestra?
«No. Ma guardi, le dico, io ho una speranza, soprattutto se il voto arriverà tra oltre un anno, che da un lato il Partito democratico a guida Renzi, da un lato Forza Italia, possano operare in maniera tale da poter arrivare all’appuntamento della prossima campagna elettorale così forti da poter pensare di superare da soli la soglia del 37% che abbiamo messo per poter godere del premio di governabilità che aggiunge un 15% al 37 per arrivare a un 52%, che rende possibile governare. Questo dipende da molte cose, ma io per esempio ho un progetto che deriva da quello che successe a me nel ’94 e da tutte le esperienze di questi anni. Sarà una follia, ma io penso di poter arrivare a superare il 37. Ho già avuto un risultato del genere nel 2008, perchè nella coalizione raggiungemmo un 46 e passa, e il mio partito arrivò al 37 e passa. Però da allora è successo questo fatto, che Grillo è arrivato con il Movimento Cinque Stelle e, avendo raggiunto un risultato importante, il 25%, e oggi essendo ancora nei sondaggi intorno al 20- 21%, ha naturalmente abbassato i voti a disposizione di destra e sinistra. Quindi quel 37 già raggiunto, oggi diventa molto più difficile da raggiungere da parte di un solo partito. Ma io sono un ottimista e ho messo su un piano, forse un piano un po’ pazzo, ma io sono un cultore di Erasmo da Rotterdam…».
Ma questo piano lo vuole rivelare oggi?
«No, è prematuro. Ma io finisco con questa frase che Erasmo da Rotterdam ripeteva sempre: “Le decisioni migliori e più sagge non derivano dalla ragione ma nascono da una visionaria lungimirante follia”».
Cambiamo argomento e parliamo del vincolo europeo del 3%.
«È un vincolo che non ha nessun senso».
E il Fiscal Compact che richiede la riduzione del debito. Lei che proporrebbe?
«Io propongo che il Pil sia calcolato aggiungendo al Pil emerso il Pil sommerso. In questo modo noi andiamo sotto il 100% nel rapporto debito Pil. Cioè ci avviciniamo a quel 93% che è la media dei paesi dell’Euro. Aggiungo che quando c’è una economia che ristagna, non è assolutamente pensabile di togliere dall’economia dei soldi per ridurre il debito».
Ma nel Pil l’Istat già stima il sommerso al 17%.
«Ma è molto di più».
Qual è la sua previsione per l’economia italiana quest’anno?
«Non è una previsione positiva perchè noi tentiamo di infondere coraggio, ottimismo, di dare speranze eccetera, ma la situazione in cui ci troviamo noi oggi è particolarmente precaria. Abbiamo degli svantaggi competitivi con le altre economie dell’Europa, e insieme all’Europa abbiamo da fare i conti con la competizione delle economie orientali, lei ha visto che la Cina ha superato nelle esportazioni l’America, sta diventando la fabbrica del mondo. Quali sono le cose insuperabili? Soprattutto due: il costo del lavoro e le imposte sugli utili. I paragoni non reggono e quindi io credo che sarà molto difficile per noi come Europa di reggere questa competizione».
Presidente, lei ha fiducia nella capacità del governo Letta di lanciare la riforma del mercato del lavoro, di avviare le misure adeguate per agganciare la ripresa e stimolare la crescita?
«Mi spiace di dover rispondere negativamente, ma purtroppo abbiamo ormai l’esperienza di questa prima sessione di governo che è durata molti mesi in cui addirittura non sono state mantenute le promesse che erano intercorse tra noi e loro quando abbiamo con molta responsabilità detto sì a un governo di Grosse Koalition , di larghe intese. Le ricordo anzi che dopo il risultato delle elezioni che appunto era stato determinato da Grillo, noi abbiamo subito offerto al Partito democratico di fare un governo insieme. Il Partito democratico, che ha contro di noi una antica avversione che deriva dall’ideologia comunista, ha invece tentato di fare il governo col partito di Grillo, con i Cinque Stelle, e per due mesi il segretario…».
Quello, scusi se la interrompo, era il vecchio Pd guidato da Bersani.
«Era il vecchio Pd, assolutamente. E Bersani ha battuto per due mesi alla porta di Grillo ricevendo sberleffi e anche insulti. Finalmente dopo due mesi si è rassegnato, è venuto da noi e ci ha proposto di fare un governo, a condizioni quasi inaccettabili, cioè una rappresentanza parlamentare di soli 5 ministri su 23, ma soprattutto non ha aderito alla nostra sacrosanta richiesta di sederci a un tavolo e di scrivere un programma preciso. Hanno detto no, nessun programma preciso, ci diamo la mano, e voi ci dite i punti su cui dobbiamo impegnarci. Vista la malaparata, noi decidemmo di accettare anche questa situazione che era veramente al di fuori della logica. Allora noi abbiamo preso i tre punti su cui avevamo battuto durante la nostra campagna elettorale: punto primo, abolire l’imposta sulla casa, l’Imu; punto secondo non aumentare l’Iva, dal 21 al 22%, perchè è un fatto anche psicologico, che deprime la voglia di spendere da parte dei cittadini, anzi di abbassare l’Iva dal 21 al 20. E la terza cosa era cambiare i modi di approccio di Equitalia e dei suo funzionari con i contribuenti. Sull’Imu, ha visto che cosa è successo, un pasticcio incredibile che ha fatto diminuire dal 6 al 10% il valore di tutti gli immobili, di tutte le case in Italia. Per quanto riguarda l’Iva, è stata portata addirittura al 22%, il contrario di quello su cui Letta si era impegnato. Ma siamo riusciti a cambiare qualcosa nei sistemi di Equitalia grazie alla nostra capacità di agire in Parlamento».
Quindi per lei sarebbe meglio tornare alle urne? E se sì, quando?
«Io non penso sinceramente che sia possibile tornare alle urne in un election day insieme con le elezioni per il Parlamento europeo e con 18 milioni di italiani chiamati alle Amministrative. Se si riuscisse ad arrivare in tempo con la legge elettorale noi saremmo d’accordo di andare il 25 di maggio. Ma se intanto si comincia a lavorare sui cambiamenti della Costituzione nelle due direzioni che abbiamo ricordato, dato che per questi cambiamenti ci vogliono non due ma quattro votazioni a distanza di tre mesi l’una dall’altra, si va avanti di un anno o anche più di un anno. In quel caso si andrà a votare tra un anno e qualche mese e per noi, questa cosa credo che funzioni molto bene».
Alan Friedman
(da “il Corriere della Sera“)
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Febbraio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
MA I CENTRISTI SI DIVIDONO SULLA SVOLTA
Alfano lo accoglie a braccia aperte: «Bentornato nel centrodestra, insieme batteremo la sinistra».
Pier Ferdinando Casini, che dichiara chiusa la stagione del centrismo e nell’intervista a “Repubblica” dichiara la sua scelta bipolarista, ritrova i compagni di strada di un tempo ma rompe del tutto con gli ex di Scelta Civica («il solito trasformista ») e non convince nemmeno tutti i “suoi” Popolari per l’Italia.
Che infatti al momento non lo seguono, «per ora restiamo dove siamo – dichiarano Olivero e Dellai – e comunque poniamo un confine invalicabile a destra».
Gelide le reazioni di chi invece al progetto centrista ancora crede, come Enzo Carra, «Casini cerca solo un posto da Berlusconi».
L’annuncio che il vecchio sogno di rifare la Dc è andato in frantumi, e che se ne torna perciò nel campo del Nuovo centrodestra e di Forza Italia, viene salutato con grande entusiasmo dai forzisti.
Con il “Mattinale” (la rassegna stampa curata dal gruppo parlamentare) che già fa i conti e prevede con il ritorno di Pier di raggiungere la soglia per il premio di maggioranza: «Il centrodestra così prenderà il 38 per cento e vincerà le elezioni».
Ma il centrosinistra non teme alcun effetto Casini, nè sulla tenuta della coalizione di governo nè sulle future elezioni, tanto che per il segretario pd Renzi è «positivo» che evapori il terzo polo centrista in nome del bipolarismo e della nuova legge elettorale.
Angelino Alfano dà un un benvenuto di cuore all’ex presidente della Camera «tra le forze politiche alternative al centrosinistra ».
Insieme potranno «rafforzare il centrodestra italiano e portarlo a vincere contro la sinistra alle prossime elezioni politiche». Gli fa eco Renato Schifani: «Noi non abbiamo mai cambiato idea, e forse è lui che l’ha cambiata e per questo lo accogliamo con piacere».
Terremoto invece nello schieramento di cui Casini ha fatto parte.
«La sua decisione non è una novità ma una svolta annunciata da mesi ed è la vera ragione della separazione di Scelta Civica», punta il dito Linda Lanzillotta, vice presidente del Senato. Che aspetta di sapere se «i nostri amici Dellai, Marazziti, Olivero si ritrovano oggi portati per mano da Casini sotto la protettiva ala berlusconiana».
Pronta la risposta dei deputati dei Popolari per l’Italia chiamati in causa, che aspettano di conoscere le «intenzioni definitive» di Casini, ma intanto spiegano di voler rimanere dove stanno, «nello spazio, piccolo o grande che sia lo vedremo, del popolarismo»
L’annuncio dell’ex pupillo di Forlani naturalmente non piace ai nostalgici democristiani come Gianni Fontana (associazione Dc) ma nemmeno a quanti ancora vedono uno spazio per un’operazione di centro rispetto ai due poli.
Bruno Tabacci, leader di Centro Democratico, chiama a raccolta i moderati in contrapposizione al capo di Forza Italia.
«Mi auguro – spiega – che l’annuncio del ritorno di Casini con Berlusconi faccia
aprire gli occhi a quanti, nel sempre più frastagliato arcipelago del centro, finora non si sono posti il problema».
Perchè, come sostiene il presidente del gruppo misto della Camera Pino Pisicchio, «c’è ancora spazio per un centro riformista».
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
A CAGLIARI PER UN COMIZIO, BERLUSCONI ATTACCA NAPOLITANO: “NON LO RIVOTEREI, FU COMPLICE NEL COLPO DI STATO CONTRO DI ME”… POI UNA SERIE DI GAFFE
Il vecchio marpione torna sulla pista — due mesi dopo la decadenza — ma dei suoi vecchi numeri
di successo non gliene riesce nemmeno uno.
I duemila tifosi irriducibili che lo aspettano per oltre due ore alla Fiera di Cagliari – ingannando l’attesa con le prove dei cori e dei calorosi applausi per la degna accoglienza — vengono travolti da una raffica di gaffe che stringono il cuore anche al più spietato antiberlusconiano.
Per non parlare dello scivolone prettamente politico: non si sa se per calcolo o per distrazione, B. molla uno schiaffone a Giorgio Napolitano, dicendo a chiare lettere, in un’intervista pomeridiana alla tv cagliaritana Videolina, che oggi non lo rivoterebbe.
Poi spiega: “La storia giudicherà quella che è stata la parte del presidente della Repubblica in questo colpo di Stato del 2011, che è stato lungamente preparato a partire dal 2010 e anche per quanto riguarda l’ultimo, altrettanto negativo colpo di Stato, quello di condannare ingiustamente, con una sentenza lontana dal vero e scandalosa, il leader del centrodestra”.
Il presunto colpo di Stato del 2011 (con la nascita del governo Monti) avviene però un anno e mezzo prima della decisione di B. di rieleggere Napolitano.
E la riapertura delle ostilità — condita con l’accusa al Colle di aver interferito nella trattativa con Matteo Renzi sulla nuova legge elettorale per aiutare i “partitini” a ottenere l’innalzamento dal 35 al 37 per cento della soglia per il premio di maggioranza — mette in imbarazzo il leader del Pd, Matteo Renzi, strenuamente impegnato nella rilegittimazione di B.
Il fatto è che la domanda delle domande (“ci fa o ci è?”) non attraversa solo le attonite schiere renziane ma anche la platea dei suoi ultras cagliaritani.
La cui pazienza è stata messa a dura prova da oltre due ore di attesa seguite da 75 minuti di discorso monocorde che si è concluso alle 14,40, ma anche dagli infortuni del capo.
È bastato il primo a stendere sulla platea un gelo irrimediabile.
Per giustificare le due ore di ritardo B. dà la colpa alla Capitale alluvionata: “Oggi Roma sembrava la Sardegna, ho impiegato più di un’ora per raggiungere l’aeroporto di Fiumicino”.
Poi umilia il presunto astro nascente di Forza Italia presentandolo per quello che è, un illustre sconosciuto: “Si chiama Giovanni Toti, dai, alzati, fatti vedere”.
Il poveretto, in platea, si tira in piedi per salutare con qualche imbarazzo la folla festante, quando il capo gli dà il colpo di grazia, giusto per rassicurare i maggiorenti del partito ingelositi dal nuovo pupillo: “Io non rottamo nessuno. Toti è solo uno che ha rinunciato a uno stipendio altissimo in Mediaset per venire a collaborare con me. L’ha fatto per amor mio, ma voglio precisare che non siamo due gay”.
Il governatore sardo Ugo Cappellacci, in piedi accanto a B., ma giù dalla pedana per attenuare quei trenta centimetri di statura che li separano, sente il bisogno irrefreneabile di dire la prima frase della giornata: “Non avevo dubbi”.
E mentre il Toti, frantumato dalla presentazione, esce rapido dalla sala per andare ad accendersi una sigaretta , il Cappellacci non sa che, a dispetto del tempestivo omaggio alla virilità del capo, adesso tocca a lui.
B. prima insiste per un po’ sulla gag stucchevole di chiamarlo Franco, per poi spiegare che non sta sbagliando ma gli viene di chiamarlo per l’ossessione del governatore uscente e aspirante rientrante per l’ideona della “zona franca integrale” (la Sardegna che viene risollevata dalla sua crisi drammatica ottenendo l’esenzione dal pagamento delle tasse di ogni ordine e grado). Anzichè provare a spiegare alla tifoseria speranzosa se tale strampalata proposta ha un minimo grado di realizzabilità , B. decide di raccontare una barzelletta che chiunque ha già sentito alle elementari o al più tardi alle medie.
E dunque c’è un signore che va da B. presidente del Consiglio (tutta la narrazione berlusconiana è ormai segnata da queste senili nostalgie di quando eravamo giovani e potenti) e chiede di poter cambiare il suo nome, visto che si chiama Giancarlo Merda.
Il potente e sensibile politico fa tutto quello che sa e deve fino a che il buon signor Merda risolve il suo problema.
Soddisfatto, B. lo chiama per sapere quale nuovo nome si è scelto. E indovinate qual è stata la scelta? “Ugo Merda”, grida trionfante il vecchio comico.
La sala ammutolisce. Sbianca addirittura l’Ugo originale, che al capo deve tutto, ma ancora si ricorda che cinque anni fa, quando lo lanciò contro Renato Soru, lo presentò con un discorso fluviale che terminò con il fulminante: “Ugo, dì qualcosa anche tu”.
Ora Cappellacci avrà di che rimpiangere il soprannome di allora, “Ugo-dì-qualcosa-anche tu”, se nelle due settimane di campagna elettorale che lo separano dal voto regionale del 16 febbraio gli toccherà — come pare ormai inevitabile — qualche dose di “Ugo-Merda”.
B. invece va avanti come un treno. Snocciola i suoi ricordi, rimpianti e nostalgie, tiene una interminabile lezione di diritto costituzionale per spiegare ciò che Renzi dice in tre parole (“il Senato si leva”), finisce per annoiare i tifosi al punto che, alle 14,25, una voce si leva dalla platea: “Silvio, parla della Sardegna!”.
Silvio rimane per un momento immobile, come se gli avessero dato un pugno.
Non se l’aspettava la rivolta del fan affamato e irritato. È un attimo.
Poi si riprende: “Ti invito a pranzo, così ne parliamo dall’antipasto al gelato”.
Ma nessuno gli crede.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
ELICOTTERI, MAZZETTE E MARà’ “LA TRATTATIVA ESISTE” … “SONIA GANDHI DEVE TESTIMONIARE”
“La pena di morte per i due marò? È un ricatto”. A sostenerlo è Subramanian Swamy, ex ministro al Commercio e alla Giustizia e uno dei colonnelli del principale partito di opposizione indiano, il Bjp.
L’obiettivo del ricatto è chiaro: il governo indiano starebbe tentando di legare la sorte dei due marò al processo di Busto Arsizio, quello che vede imputati i vertici di Finmeccanica per una presunta tangente da 51 milioni di euro, soldi che sarebbero serviti a convincere Nuova Delhi ad acquistare una nuova flotta di elicotteri Agusta.
I destinatari della maxi mazzetta sarebbero le più alte sfere della politica indiana e il potente segretario di Sonia Gandhi, Ahmed Patel.
Come raccontato dal Fatto due giorni fa, qualcuno nell’esecutivo indiano vorrebbe giocare entrambe le partite — marò e Finmeccanica — sullo stesso tavolo.
Un’ipotesi che non sorprende l’opposizione locale: “Già quando il governo italiano ha tentato di impedire il ritorno in India dei marò, qui di trattativa si è parlato molto”. Questi i termini: “gli italiani avrebbero lasciato Sonia Gandhi fuori dal caso Agusta in cambio della liberazione dei fucilieri”, aggiunge Swamy.
In quell’occasione però una sollevazione popolare ha costretto il Partito del Congresso (quello di Gandhi, attualmente al governo) a tornare sui propri passi e a costringere l’allora ministro degli Esteri Terzi a restituire i militari.
Dopo quello che è successo un anno fa, “il governo sa che deve fare attenzione”, aggiunge Swamy.
La cautela è venuta meno il 10 gennaio: mentre la stampa indiana raccontava del coinvolgimento di Patel nel processo di Busto Arsizio, il ministro dell’Interno Sushilkumar Shinde ha cancellato due anni di rassicurazioni sul destino dei marò e ha minacciato il ricorso al “Sua Act”, la legislazione contro il terrorismo, che renderebbe possibile il ricorso alla pena capitale.
“No, non è una coincidenza. È un ricatto”, attacca Swamy.
Anche sul coinvolgimento di Ahmed Patel tra i vertici Agusta e il governo indiano il leader del Bjp ha pochi dubbi. Il nome del plenipotenziario di Sonia Gandhi compare per esteso in una lettera e, con le sole iniziali AP, in una nota (in possesso della procura di Busto) dove sono elencati i pagamenti illeciti alle controparti indiane.
Ora Swamy vuole portare i documenti, pubblicati in Italia da il Fatto e in India dal-l’Indian Express, al Cbi, la commissione indiana che si sta occupando della super-mazzetta: “Se non chiameranno Sonia Gandhi a riferire, mi rivolgerò alla magistratura ordinaria” .
Nonostante i bellicosi segnali da parte del ministero dell’Interno, non è affatto scontato che il governo di Delhi abbia la forza sufficiente per determinare le sorti dei due militari , in un senso o nell’altro.
In primavera sono previste nuove elezioni e gli exit poll danno il partito di Gandhi e del premier Manmohan Singh dietro al Pjb.
E la vittoria dell’opposizione potrebbe non essere una buona notizia per i due fucilieri. Uno snodo importante è previsto per domani, quando la Corte Suprema di Nuova Delhi dovrebbe esprimersi sulla possibilità di utilizzare la legge anti-terrorismo per incriminare Latorre e Girone.
Il ministro degli Esteri, Emma Bonino, ostenta ottimismo e ieri, dalla conferenza di Monaco, si è detta sicura che il Sua Act (che prevede la pena di morte), “non si può applicare”.
La titolare della Farnesina ha anche ripreso le parole di Giorgio Napolitano, definendo “sconcertante” la gestione indiana del caso.
A due anni dall’arresto infatti non è stato definito nemmeno il capo d’imputazione e le indagini devono ancora concludersi.
“Non è normale per una vicenda di questo tipo”, aggiunge Swamy. Il portavoce del ministero degli Esteri di Delhi però rimanda al mittente le accuse italiane: “Questo non è un caso normale. E dovreste ricordarvi che è stato il vostro governo a bloccare il processo. In ogni caso, presto si arriverà a una svolta”.
Alessio Schiesari
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
UN EMENDAMENTO VOTATO SOLO DAL CENTRODESTRA PERMETTERA’ AI CONSIGLIERI DI RISCATTARE SUBITO I CONTRIBUTI VERSATI, RUNUNCIANDO AI VITALIZI FUTURI NEL TIMORE CHE POSSANO ESSERE ABOLITI
La maggioranza guidata da Roberto Cota ha rischiato di non riuscire ad approvare il bilancio
preventivo 2014 della Regione.
Ma, prima di votare il documento contabile, ha pensato bene di mettere innanzitutto al sicuro i “propri” soldi.
Si tratta dei vitalizi, ovvero delle “pensioni”, dei consiglieri (40 dei quali, tutti della maggioranza, indagati nell’inchiesta “spese pazze”), oggetto dell’unico emendamento presentato dal centrodestra, che è stato immediatamente approvato: una norma che permetterà , a chi lo vorrà , di riprendersi subito i contributi versati rinunciando al vitalizio futuro che scatterebbe al compimento dell’età pensionabile.
Insomma una sorta di “prendi i soldi e scappa” che peserà non poco sulle casse della Regione: calcolando poco più di 100mila euro a consigliere (questo nel caso la legislatura finisca con un anno di anticipo, se no sarebbero 130mila) e altrettanti ad assessore, si arriva a 7 milioni: una cifra, però, destinata ad aumentare notevolmente visto che diversi consiglieri hanno al loro attivo più di una legislatura.
Se tutti decideranno di incassare i loro contributi la Regione dovrà sborsare bel 15 milioni di euro.
Il bilancio approvato nella notte. E che, ovviamente, è stato approvato con i voti di una parte della maggioranza.
Ncd e Lega si sono astenuti ma hanno garantito il numero legale e ha votato contro il Pd.
Il provvedimento è ovviamente legato al timore che tra inchieste penali sulle spese pazze e nuove norme nazionali e regionali quei vitalizi potessero essere aboliti.
Insomma meglio, “pochi, ma subito”.
Un gesto, questo, che scatenerà nuove polemiche sul Consiglio regionale già nella bufera per l’inchiesta “spese pazze”, per ‘annullamento delle elezioni deciso dal Tar, per le risse e gli insulti in aula.
Sara Strippoli
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