Febbraio 5th, 2014 Riccardo Fucile
“IL MURO SUBITO, DA MODENA IN GIU'”…E LA DOTTA ANALISI DI SALVINI
E come se la sono presa, i lombardi. Sono tre giorni che sui social network vomitano sfoghi (al solito) antimeridionali.
Per via del naso (una testa d’aglio) della mascotte dell’Expo di Milano (una composizione antropomorfa di frutta e ortaggi alla Arcimboldo) che un concorso di idee destinato ai bambini ha deciso debba chiamarsi Guaglio’, alla napoletana.
Il giornalista Mario Giordano, su Libero, ha masticato amarissimo: «Al concorso hanno partecipato in tantissimi, è stato detto, in tutta Italia, dal Nord al Sud. Un po’ di più al Sud, evidentemente, ma che ci volete fare? Al Nord sono sempre così sgobboni che non hanno mai tempo per divertirsi».
E ovviamente quello che scippo non è, ma semplicemente una sorta di referendum popolare tra bambini, ha scatenato le ire dei crociati padani.
Matteo Salvini, quello che a partire dal nome di battesimo vorrebbe proporsi come il Renzi della Lega, ha immediatamente reagito per solleticare il ventre dei suoi militanti con una delle sue dotte analisi: «Mavadaviaiciapp!!!».
E il suo profilo Facebook è diventato una sorta di sputacchiera dove raccogliere epiteti, imprecazioni e rutti.
Emiliana Carletti scrive: «La mente eccelsa (quella che ha vinto il concorso, ndr) sarà di Napoli». Chiara Parise incalza: «La prossima mascotte: Pummarola».
La presunta padana Katrina Selkis si interroga inquieta: «A Milano? Vergognoso … nemmeno lo capiamo il napoletano… ma la mente superiore che ha pensato ‘sta trovata a dir poco fuori luogo sarebbe chi??? Voglio Il nome di ‘sto violentatore beffardo della nostra tradizione e identità culturale… ci saremmo accontentati anche di una mascotte in italiano, (che tristezza…)». Giuliana Minello non transige: «Ma scusa, l’Expo si trova al Sud? E ora di finirla non vogliamo più avere comandi dai terroni!!!!!».
La patriottica difesa di Paola Gandolfi è ancora più irritata: «Sì, ci identificano sempre con Napoli, sono stufa degli spaghetti, camorra e mandolino. L’Italia è ben altro ed è ora di farlo capire a tutto il mondo». Andy Branca commenta con storica rassegnazione: «Il Nord è in mano alla camorra ed alla ‘ndrangheta dagli anni ’50 del ‘900 grazie al confino ideato dai giudici. L’Expo è il risultato di loschi appalti arraffati dalle mafie. È normale che al suo interno ci siano i simboli di tali influenze».
E Valerio Mercati suggerisce la soluzione più immediata: «Il muro subito… da Modena in giù».
Ora, Guaglio’ non sembra essere una offesa.
Come non è ingiurioso constatare che ‘O sole mio sia la canzone più famosa al mondo, molto di più di O mia bela Madunina.
Così il Vesuvio, che al di sopra del Garigliano viene invocato per la sua energia sterminatrice, mentre per il resto del pianeta resta una icona che identifica l’Italia intera, come la Torre di Pisa. Tra i contestatori lumbard c’è pure chi ha azzardato un suggerimento arabo al posto del Guaglio’ napoletano, e non certo per una sorta di indulgente vertigine esotica, quanto per l’omologante atteggiamento di discriminazione verso tutti i Sud del mondo.
Tuttavia, la cosa che davvero non si capisce è un’altra: perchè mai non debbano essere i napoletani ad arrabbiarsi, dato che è dal loro dialetto che è stato scelto il nome della mascotte senza ricavarne alcun beneficio.
Certo, si sarebbe potuto riparare ad ogni torto invertendo i ruoli: a Napoli l’Expo e alla mascotte il nome di Ambroeus.
Ma a questo, evidentemente, gli arrabbiati lumbard non ci hanno ancora pensato.
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Febbraio 5th, 2014 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE HA RIBALTATO LA DECISIONE NON VINCOLANTE DELL’UFFICIO DI PRESIDENZA: A RISCHIO IL TAVOLO DELLE RIFORME?
È sera quando Pietro Grasso scioglie la riserva: il Senato si costituirà parte civile nel processo di compravendita dei senatori che vede imputato Silvio Berlusconi. Nonostante la decisione possa mettere in pericolo il processo riformatore che il Cavaliere sta portando avanti con Matteo Renzi.
Nonostante nella tarda mattinata l’ufficio di presidenza avesse offerto un parere contrario. Ma quei dieci voti a otto non hanno pesato nella scelta del presidente del Senato.
“Non c’è stata una valutazione politica degli effetti della scelta – spiegano fonti vicine a Grasso – si tratta di una decisione istituzionale. Si è scelto di consultare l’ufficio di presidenza per avere un quadro completo, molti l’hanno ringraziato, in primis Maurizio Gasparri. Ma la decisione finale era nelle sue mani”.
Che l’ex procuratore antimafia potesse avere in mente una scelta diversa da quella emersa qualche ora prima lo si respirava già nel primo pomeriggio nei corridoi di Palazzo Madama.
Nessuna comunicazione sulla tempistica, risposte decisamente elusive da parte di tutto l’entourage.
Grasso si è chiuso tutto il pomeriggio nel suo studio al secondo piano di Palazzo Madama. Un lungo pomeriggio di sofferto silenzio.
Poi, intorno alle 20.00, il comunicato, piovuto come una bomba nei corridoi ormai deserti della Camera alta.
Al piano di sotto la scena è surreale. Nitto Palma, falco berlusconiano, è appoggiato allo stipite di una porta.
Al di là del legno, i senatori del Pd sono riuniti per discutere di riforme in vista della direzione del partito. Quando sugli smatphone arrivano i primi sms, esplode un applauso.
Palma si fa scuro in viso, ha un attimo di esitazione. Poi: “Ma allora che l’ha convocato a fare quell’ufficio di presidenza?”.
“Questa è una decisione politica, non tecnica – contrattacca l’ex Guardasigilli – di cui si assume le responsabilità . Vedremo se influirà sul proseguo delle riforme”.
E annuncia quella che potrebbe essere la strategia di Forza Italia: “Dovranno passare per l’aula, chiedere un voto, e lì si evidenzierà plasticamente una maggioranza diversa di quella di governo, composta da Pd e M5s, e se ne dovranno assumere le responsabilità “.
In realtà dalla presidenza sono sicuri: nessun passaggio in assemblea.
“La valutazione del presidente mira ad accertare la verità . Non c’è nessun precedente di processi per compravendita di senatori. E non c’è nemmeno nessun accanimento: quando ci chiesero la stessa cosa in fase di udienza preliminare declinammo, era troppo presto”.
I senatori del Pd escono alla spicciolata dalla sala dove sono riuniti, i volti distesi in ampi sorrisi.
Miguel Gotor è soddisfatto: “Vogliono portarci in aula con qualche cavillo? Va bene, vorrà dire che faremo l’ennesimo voto, che problema c’è. Quello che nel centrodestra devono capire è che Berlusconi è un fantasma, è politicamente morto. Devono fare pace con le sue questioni giudiziarie”.
Sui soffitti a cassettoni aleggia lo spettro che la slavina politica possa travolgere le riforme. Gotor è fatalista: “Non lo so, questo dipende da loro”.
Da lontano arrivano le aspre parole di Raffaele Fitto: “Sconcerta lo zelo giustizialista con cui il presidente Grasso ha disposto la costituzione di parte civile del senato contro Silvio Berlusconi, nonostante il parere contrario che gli era giunto in giornata dal consiglio di presidenza”.
Un’opinione condivisa dal capogruppo del Nuovo centrodestra a corso Rinascimento, Maurizio Sacconi: “Nonostante l’opinione prevalente in senso contrario del Consiglio di Presidenza, il Presidente del Senato ha deciso la costituzione di parte civile senza precedenti nella storia della repubblica conducendo la Camera alta in una vicenda giudiziaria temeraria con la quale si pretende di leggere anche le dinamiche politiche in termini criminali. E’ un brutto giorno per le nostre istituzioni”.
Quando le luci si stanno per spegnere sul Palazzo spunta il presidente dei senatori grillini, Maurizio Santangelo. È abbracciato al collega Bruno Marton, raggiante.
Il suo volto è di per sè una dichiarazione politica. Giusto il tempo di aggiungere: “Forza Italia vuole passare per un voto d’aula? Splendido, così dovranno metterci la faccia”.
Certo è che in quel caso la partita sarebbe chiusa, la maggioranza Pd-M5s inscalfibile. Sarebbe il tavolo delle riforme a franare miseramente qualora venisse a mancare la terza gamba sul quale si sorregge. Di questo, in queste ore, si sta parlando tra i colonnelli azzurri. In attesa che Silvio si pronunci.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 5th, 2014 Riccardo Fucile
SCRIVE ALLA FONDAZIONE PERTINI E CITA L’ARTICOLO DI UN SETTIMANALE CHE A SUA VOLTA CITA LA PREFAZIONE DI UN LIBRO CHE SI ERA INVENTATO LA FRASE
La polemica sulla presunta frase che il sen. Crimi ha attribuito a Sandro Pertini, rivelatasi poi vergognosamente falsa, si è arricchita oggi di un nuovo capitolo.
In linea con il proverbio “il tappullo è peggiore del buco”, Crimi, invece che prendere il primo Freccia Rossa per Brescia, dopo aver rassegnato le dimissioni dal Senato, per evidente incapacità e falsità , scrive alla Fondazione Pertini il testo che segue:
“Gentile Fondazione
la frase attribuita a Sandro Pertini è citata nella recensione al libro “Tumulti in aula – Il Presidente sospende la seduta” di Sabino Labia edito da Aliberti, pubblicata sul sito internet di Panorama in data 25/09/2009.
Non entro nel merito delle offese personali rivoltemi nell’incipit del vostro messaggio, nel rispetto della figura del Presidente Pertini, che vi onorate di tutelare.”
Da notare che ora scrive la frase diventa ATTRIBUITA a Pertini, non è più una frase CERTAMENTE di Pertini come ha lasciato credere a 30.000 pecoroni.
Come se fosse stato qualcun’altro e non lui a citarla come una frase SICURAMENTE di Pertini.
Quindi Crimi fa lo scarica barile facendoci credere che la colpa non è sua che non ha verificato le fonti ma di chi l’ha scritta.
Poi scrive “è citata nella recensione al libro “Tumulti in aula”, quindi neanche cita una frase presa da un libro che ha letto, ma solo citata nella recensione del libro di cui ha visto un articolo su un settimanale.
Per fargli un favore, così almeno per una volta la legge in originale, pubblichiamo qui accanto la pagina citata della prefazione del libro: peccato che sia un falso e che sia “citata” solo in questo libro e non nei resoconti stenografici della Camera dove invece appare la frase reale di Pertini:
“Con questo animo faccio appello alla sua alta autorità ed ai suoi poteri, signor Presidente. Qui si tratta, infatti, di far rispettare il Regolamento, per cui deve essere respinta senza esame la richiesta di urgenza avanzata. L’articolo 9 a lei, solo a lei affida questo compito. Mi auguro che la mia richiesta venga accolta, me lo auguro, signor Presidente, per l’onore e il prestigio del Senato, e per la sicurezza della democrazia in Italia.”
Che chi sbaglia pure a copiare faccia l’offeso, invece che chiedere scusa e scomparire dalla vergogna, è semplicemente penoso.
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Febbraio 5th, 2014 Riccardo Fucile
PARERE NEGATIVO DELL’UFFICIO DI PRESIDENZA, MA LA DECISIONE FINALE TOCCA A PIETRO GRASSO
Solo tre giorni fa l’Europa aveva criticato l’inefficienza dell’Italia alla lotta contro la corruzione.
Oggi di fatto il Senato della Repubblica rinuncia a un eventuale risarcimento proprio in un processo per corruzione: dove l’imputato è l’ex presidente del Consiglio, il corrotto un ex senatore e vittima l’istituzione nonchè quello che fu il governo Prodi.
E così l’occasione persa per il paese e anche un eventuale risarcimento danni arriva con il no alla costituzione di parte civile di Palazzo Madama contro l’ex senatore Silvio Berlusconi.
Con dieci voti contrari e otto a favore il Consiglio di Presidenza ha dato parere negativo alla costituzione di parte civile del Senato nel processo sulla compravendita dei senatori.
Ora il presidente Piero Grasso si è riservato di decidere.
L’11 febbraio a Napoli inizierà il processo in cui Silvio Berlusconi è accusato di aver comprato l’ex senatore IdV Sergio De Gregorio per farlo passare nella fila del centrodestra e votare contro il governo Prodi.
Oggi l’ex Camera di appartenenza dell’ex premier, decaduto per la sentenza definitiva del processo Mediaset, doveva decidere se il Senato avrebbe dovuto costituirsi parte civile nei confronti del leader di Forza Italia.
Ieri Antonio Di Pietro aveva rivolto un appello perchè i senatori decidessero la costituzione che permette in casa di condanna la richiesta di risarcimento danni.
Ma alla fine è arriva il no.
La senatrice di Scelta Civica, Linda Lanzillotta, e l’esponente del Partito Popolare per l’Italia, Antonio De Poli, hanno deciso di esprimersi insieme a Forza Italia, Gal, Ncd e Lega contro la costituzione di parte civile del Senato nel processo sulla compravendita dei senatori in cui è coinvolto Silvio Berlusconi.
Hanno dato invece parere positivo alla costituzione di parte civile i componenti del Consiglio di presidenza del Senato che fanno parte del centrosinistra: Alessia Petraglia (Sel), cinque senatori del Pd (Valeria Fedeli, Silvana Amati, Maria Rosa Di Giorgi, Angelica Saggese e Luciano Pizzetti), Laura Bottici (M5S) e Hans Berger (Gruppo Autonomie).
Per un totale di otto senatori.
Hanno detto no, invece, oltre alla Lanzillotta e a De Poli, anche quattro esponenti di Forza Italia (Maurizio Gasparri, Lucio Malan, Alessandra Mussolini e Maria Elisabetta Alberti Casellati), Lucio Barani (Gal), Antonio Gentile (Ncd) e due senatori della Lega (Roberto Calderoli e Giacomo Stucchi). Per un totale di 10.
Cuore del processo il versamento dell’ex presidente del Consiglio di 3 milioni di euro a De Gregorio perchè cambiasse schieramento e contribuisse a determinare la crisi del governo Prodi dopo le elezioni del 2006.
La procura di Napoli aveva chiesto il giudizio immediato nei confronti del leader del Pdl, dell’ex senatore dell’Idv e dell’ex direttore dell’Avanti, ma il gip aveva respinto. Per De Gregorio il giudice per l’udienza preliminare Amelia Primavera ha ratificato il patteggiamento a 20 mesi.
Con il parere contrario del Consiglio di presidenza del Senato, dunque, il presidente di Palazzo Madama, Pietro Grasso, dovrà ora decidere il da farsi.
“Ovviamente — commenta Maurizio Gasparri — confido nell’ascolto visto che abbiamo tutti dato un parere in punta di diritto. Mi sembrerebbe strano, quindi, se il presidente Grasso decidesse senza tener conto di quanto detto nella riunione del Consiglio di presidenza.
Se il Senato si costituisse parte civile nella vicenda della compravendita dei senatori, sarebbe comunque la prima volta nella storia della Repubblica che Palazzo Madama prenda parte con questo ruolo in un procedimento contro un ex parlamentare.
“Il Pd valuti la possibilità di costituirsi parte civile nel processo sulla compravendita di senatori presso il tribunale di Napoli in quanto soggetto che ha subito un danno diretto ed immediato dalla commissione del reato” afferma in una nota Danilo Leva, deputato democratico e membro della commissione Giustizia della Camera.
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Febbraio 5th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX LEADER DI AN: “NESSUNA INTENZIONE DI RICANDIDARMI”… “IL PROBLEMA E’ RICOSTRUIRE UNA DESTRA DI CONTENUTI, NON UN CARTELLO ELETTORALE”
Casini torna all’ovile berlusconiano.
E Gianfranco Fini? No, lui no, ci tiene a precisarlo: “Non ho nessuna intenzione di ricandidarmi, nè di fare un partito, nè tantomeno di correggere l’antico “Che fai mi cacci?” con un “Che fai mi riprendi?””.
L’ex leader di An è parecchio perplesso sulle mosse dell’amico Pier: “Mi chiedo cosa ci fa uno come lui in compagnia di Storace che vuol abolire l’euro, della Lega che fischia Napolitano e di parte di Forza Italia così silente nei confronti delle intemperanze dei grillini. Forse illude se stesso”.
Presidente Fini non sente anche lei il richiamo della foresta?
“No, guardi la domanda è priva di senso. Qui non si tratta di tornare ma di continuare a ragionare su cos’è il centrodestra e che cosa potrebbe essere”.
Casini ha ragionato e ha preso la sua decisione.
“Non credo che abbia agito per interesse personale, ci sentiamo spesso, me ne aveva parlato. Lui espone due dati di verità con conclusioni a mio avviso molto dubbie se non sbagliate. Pier dice: questa nuova legge elettorale rende impossibile un ruolo al di fuori dei tre schieramenti attuali. O stai con Berlusconi, o con Renzi o con Grillo. Ed è vero. Come è vera l’altra considerazione: alle prossime elezioni Berlusconi non sarà il candidato per le note ragioni. Oggettivamente è così”.
Però?
“Però faccio a Casini due obiezioni. La prima è sulla legge elettorale, che io mi auguro si faccia, con alcune modifiche. Se ne parla poco ma il vero scoglio non è l’accordo sulla riforma, bensì il passaggio successivo in cui il Senato dovrà cancellare se stesso. Su questo Berlusconi non si è speso in ragionamenti ad alta voce. E invece, attenti: la nuova legge elettorale sta in piedi, ed ha una sua logica, solo se la Camera rimane l’unica assemblea legislativa eletta dal corpo elettorale e il Senato, come propone Renzi, diventa Camera delle autonomie. Se così non fosse, se il Senato rimanesse su base nazionale, occorrerebbero per esempio due ballottaggi, in quanto le due Camere hanno elettorati diversi…”.
Questo per dire?
“Che non darei per scontato che il Senato voti per suicidare se stesso”.
E’ un fatto comunque che Berlusconi uscirà di scena. Non è più ricandidabile.
“Anche qui Pier dice il vero. Ma nel centrodestra il dominus continua ad essere lui con la sua logica di un’alleanza del “tutti contro la sinistra”. Già visto: posizionamenti elettorali e non contenuti. Cosa c’entra Casini con Storace anti-euro, Maroni che resuscita il progetto delle Macroregioni di Miglio e strizza l’occhio al grillismo, al populismo, alle contestazioni contro il capo dello Stato? Difficile con un’alleanza così rifondare la casa dei moderati. Non ci sarà Berlusconi candidato premier ma, ammesso e non concesso che si facciano le primarie, il candidato sarà l’Unto del Signore, scelto secondo i desideri di Berlusconi e dei suoi media, sarà il signor Toti di turno, un clone berlusconiano, oppure verrà fuori la soluzione dinastica. Alfano e Casini rischiano di andare incontro ad una cocente delusione”.
Chiarissimo e lei si tiene alla larga.
“Ieri, a Salerno, ho presentato il mio libro, oggi, a Roma, ricorderemo Pinuccio Tatarella, ci saranno un po’ tutti. Ma io non prenderò la parola, ci vado per ricordare l’amico. Mi sto dedicando alla preparazione di un convegno in cui sarà presentato un Job Act di destra…”.
Non pensa che tra i suoi ex ci sarà qualcuno allettato dall’idea del ritorno all’ovile?
“Non lo so. Certo ci può essere qualcuno che pensa ad una futura candidatura, vede con simpatia l’ipotesi del rientro e alla fine mangerà questa minestra. Il problema è costruire una destra di contenuti e non un cartello elettorale. Farei una certa distinzione fra le aspettative del ceto politico e quelle dell’elettore”.
L’avrebbe messa la tagliola ai grillini?
“La tagliola è prevista dal regolamento. Come presidente non l’ho mai applicata ma mi è capitato di minacciarla. Convocai Pd e Forza Italia: vorrei non doverla usare, dissi. Uomo avvisato… Certo avevo a che fare con un’opposizione molto più responsabile ma forse l’attuale presidente ha difettato di esperienza e l’esperienza conta soprattutto di fronte alla strategia dei grillini. Per la prima volta l’atto eversivo, antisistema, è dentro il Parlamento e non fuori. A questo proposito ho sentito parole molto tiepide da parte di Forza Italia”.
Alessandra Longo
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 5th, 2014 Riccardo Fucile
IL CASO NASCE DALL’ACCORDO DI RAPPRESENTANZA FIRMATO DALLA CGIL MA INVISO ALLA FIOM
Se la domanda che Maurizio Landini aveva posto a Susanna Camusso nel corso dell’ultimo direttivo nazionale della Cgil era: “Che fai mi cacci?”, la risposta è di marmo: “Sì, ci provo”.
Questo è il senso del documento che dimostra il tentativo del segretario della Cgil di sanzionare sul piano disciplinare quello che ormai è il suo nemico numero uno in Cgil, Maurizio Landini.
Camusso, infatti, in qualità di iscritta alla Cgil “con tessera n° 718519” ha inviato una lettera al Collegio Statutario della Cgil per sapere se il segretario della Fiom possa ritenersi non vincolato alle decisioni del Comitato direttivo della Cgil e quale rimedio o sanzione possa essergli comminato.
La lettera è del 22 gennaio 2014 con la firma in calce del segretario generale della più grande organizzazione sindacale in Italia.
La quale, nel vivo della crisi sociale e dello stesso congresso della sua organizzazione, si espone in prima persona nel tentativo di sanzionare uno degli esponenti più in vista del suo stesso sindacato, segretario della categoria più rappresentativa e storica della Cgil: i metalmeccanici.
Landini potrebbe vedersi comminata una sanzione che va dal “biasimo scritto” fino “all’espulsione” passando per la “sospensione della carica” da 3 a 12 mesi o per “la sospensione delle facoltà di iscritto”.
Il Collegio statutario nazionale della Cgil, formato da Wilma Casavecchia, Enza Severino e Michele Gentile, ha risposto due giorni fa ai due quesiti della Camusso. Nella Cgil, scrivono, è previsto il diritto al dissenso e “la salvaguardia della pari dignità delle opinioni a confronto prima della decisione”, ma secondo l’articolo 6 lo Statuto prescrive “l’unicità dell’organizzazione”.
Quindi, “prima delle decisioni” si può discutere liberamente in nome del diritto al dissenso, ma “dopo le decisioni degli organismi dirigenti competenti” scatta il principio della “unicità dell’Organizzazione” che, a quel punto, è rappresentata dalle decisioni assunte dall’organismo stesso.
“Ne consegue — si legge nel testo del Collegio — che comportamenti difformi o assunti in violazione di detti valori rappresentano, una volta accertati, inadempienza statutaria”.
Si fa riferimento, quindi, allo Statuto della Cgil, Titolo V, articolo 26 là dove si prescrivono le “sanzioni disciplinari” possibili per l’iscritto. Che, come abbiamo visto, sono di quattro gradi.
In quel caso a esprimersi sono i Comitati di garanzia interregionali (quello del centro per Landini) e, nel caso di ricorso avverso, il Comitato di Garanzia nazionale.
Il percorso è lungo e affonda nelle tecniche di funzionamento di un’organizzazione complessa come la Cgil.
Ma il passo di Camusso è un segnale fortissimo sul piano dei rapporti interni. Un passo “tipico del personaggio” dice chi la conosce bene e che Camusso fece già quando, da segretaria regionale in Lombardia, mosse una procedura contro la segretaria milanese della Fiom, Maria Sciancati, poi ritirata.
Il caso attuale, invece, nasce dall’accordo sulla Rappresentanza che la Cgil ha firmato insieme a Cisl, Uil e Confindustria.
Un accordo che, sostanzialmente, stabilisce dei criteri nuovi per sancire la rappresentatività di un sindacato (il 5 per cento tra consensi e iscritti); la presenza del 51 per cento dei mandati, a livello aziendale o nazionale, perchè un accordo sia valido; la sanzionabilità di scioperi da parte di strutture sindacali o di Rsu contro gli accordi siglati e, infine, l’istituzione di commissioni arbitrali formate, pariteticamente, dai sindacati confederali e dagli imprenditori, nel caso di divergenze.
Landini ha tuonato contro questo testo giudicandolo lesivo dell’autonomia della categoria e dei diritti costituzionalmente definiti di quei lavoratori.
In quell’occasione terminò il proprio intervento con queste parole: “Se si pensa che qui decidiamo tutto a me e alla Fiom non mi avete vincolato e discuterò con la Fiom e i delegati su quello che c’è da fare. Sappiatelo con precisione”.
Nelle sue conclusioni Camusso non si tirò indietro: “Sono state fatte una serie di affermazioni (…) su alcune di queste la parola spetterà ai nostri organismi di garanzia”.
Detto, fatto.
Salvatore Cannavò
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Febbraio 5th, 2014 Riccardo Fucile
IL PROFESSORE E I PERICOLI DEL SISTEMA ELETTORALE CHE RIMETTE IN PISTA L’EX PREMIER
“Si rischia non solo di resuscitare Berlusconi, ma di farlo vincere. E Matteo può fare la fine di Veltroni”.
Le parole attribuite dal Secolo XIX a Romano Prodi sono la più classica delle bombe: da giorni i sondaggi registrano un testa a testa tra centrosinistra e centrodestra, grazie al meccanismo dell’Italicum (e al ritorno a casa di Casini) e da giorni nel Pd si registra il più classico clima da manovre e anti manovre.
Alle 18 e 45, dopo che per tutto il giorno i siti hanno rilanciato le dichiarazioni del padre del Pd (lo stesso che domenica aveva invitato Letta “a non aver paura” e a “passare al contrattacco” in un’intervista al Corriere della Sera) arriva la smentita ufficiale: “Smentisco nel modo più radicale quanto a me attribuito dal Secolo XIX a firma di Marco Marozzi. Da mesi non vedo Marco Marozzi, da mesi non lo incontro e non parlo con lui. Quand’anche lo avessi incontrato mi sarei guardato dall’avere con lui conversazioni su temi politici. Questo suo presunto scoop mi indigna profondamente”.
Parole forti, fortissime. Ma a ben guardare, il Professore (che ieri è stato anche contestato dagli anarchici a Trento) non nega il contenuto delle dichiarazioni a lui attribuite, quanto il fatto di averle dette al giornalista in questione (che peraltro l’ha seguito per decenni).
Comunque sia andata, il tema esiste e l’Italicum ancora ben lontano dal vedere l’alba suscita preoccupazioni evidenti, contrattacchi e avversità palesi.
Basta leggere i Tweet di prima mattina di Dario Parrini, candidato unico alla segreteria della Toscana, vicinissimo a Renzi: “Più simboli su scheda = più voti? No. Nel 2008 centrodx 46,8% e 3 simboli (Pdl, Ln, Mpa). Nel 2013 9 simboli e 29,2%. Abbasso l’alleanzismo”.
Perchè poi la questione vera è che Berlusconi una coalizione ce l’ha, Renzi no.
Anzi, fatica a tenere insieme i pezzi di quella potenziale, con Sel (invitata cordialmente a fondersi nel Pd l’altra sera a Porta a Porta da Dario Nardella) che recalcitra, visto che sarebbe la prima vittima sacrificale di questo sistema elettorale e Scelta Civica che alza il prezzo per il suo sostegno.
Il segretario informato del pensiero del Professore pare non abbia battuto ciglio, tanto più ormai si sarebbe convinto che alle primarie abbia votato per Civati. Il quale commenta: “Non so se abbia votato per me o meno, ma è certo che il sistema elettorale in discussione favorisce Berlusconi che col proporzionale è sempre andato meglio”.
La minoranza dem sul piede di guerra esulta.
Commenta Alfredo D’Attorre con un sorriso a 360 gradi: “Mi paiono evidenti le analogie con le elezioni del 2008”. Quelle che Veltroni perse, appunto.
E Danilo Leva: “Una rivoluzione che ci riporta al ’94 non è certo tale”.
Gelido Gianni Cuperlo: “Spero sia una previsione sbagliata”. Chi alla legge ha lavorato in commissione Affari costituzionali, come Bressa, commenta: “Sono tutte valutazioni premature. Non sappiamo come si vota e quando si vota. E i sondaggi hanno sempre sbagliato”.
Dice il renziano David Ermini: “Berlusconi non è candidato, i sondaggi stanno sottovalutando questo aspetto. E poi con Renzi si vince”. Rincara Matteo Richetti: “Si sottovaluta la capacità attrattiva di Renzi”.
Ma al di là delle prese di posizione ufficiale la situazione è come si dice in movimento. È già partito da parte di alcuni renziani più “di governo” il piano per portare il segretario a Palazzo Chigi, una volta approvata la legge elettorale, senza passare per il voto.
Piano che prevede anche di staccare una parte dei Cinque Stelle da Grillo.
Lui per ora non si lascia troppo irretire da questa manovra, ma neanche esclude tale possibilità . Non a caso ieri sera è andato da Angelino Alfano: visto che il rimpasto continua a non piacergli, il Renzi uno diventa uno degli scenari più probabili.
La Boschi ieri sera a Otto e mezzo non è arrivata a dire che Renzi premier senza elezioni è una cosa che “non accadrà mai”.
Intanto Letta domani sarà alla direzione Pd: a Palazzo Chigi sottolineano che per lui è stata una settimana molto positiva e dunque la sua è una partecipazione senza ansia. Visto che di patto di governo il segretario non vuole parlare, non ci dovrebbe essere un ultimatum.
Forse un mezzo ultimatum?
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 5th, 2014 Riccardo Fucile
L’IPOTESI RENZI A PALAZZO CHIGI NON DISPIACEREBBE NEANCHE AI DALEMIANI CHE COSI’ SI RIPRENDEREBBERO IL PARTITO
Prenderà una forma visibile a tutti tra una decina di giorni. Subito dopo che la Camera avrà approvato la legge elettorale.
Una biforcazione che segnerà il destino di questa legislatura. E che determinerà una vera e propria svolta. Per il governo e per il Pd.
Si capirà se Enrico Letta potrà andare avanti o meno. Soprattutto si saprà se l’alternativa all’attuale presidente del consiglio saranno le elezioni anticipate o la formazione di un nuovo esecutivo. Guidato da Matteo Renzi.
«Non esiste, deve andare avanti Enrico», si schermisce il sindaco di Firenze.
Eppure nella maggioranza e tra i leader della futura coalizione di centrosinistra il tam tam è già partito.
Negli incontri riservati un po’ tutti danno per scontata l’opzione del leader democratico.
Anche se tutti sanno che l’operazione è contaminata da un livello di rischio molto alto. Il precedente del 1998, quello di Massimo D’Alema aleggia come un fantasma. Ne sono consapevoli Renzi e tutti gli interlocutori che negli ultimi giorni gli hanno ripetutamente chiesto di fare un passo avanti.
Il loro ragionamento è questo: se Letta non fosse in grado di compiere l’auspicato cambio di passo, sarebbe indispensabile correre ai ripari.
Il rischio è che la legislatura vada avanti senza un vero segno di cambiamento. E che si arrivi al 2015 con un centrosinistra consumato e con una leadership logorata. Sia dentro il Partito Democratico sia tra gli alleati, si mettono in evidenza i richiami dell’Unione europea ad accelerare sulle riforme, a porre l’attenzione sul riassetto della Pubblica amministrazione e sulla riduzione dei tempi della giustizia.
Questioni che marcherebbero un’inversione di tendenza.
Anche a Palazzo Chigi, poi, sono rimasti colpiti dagli attacchi sistematici mossi dalla Confindustria. L’associazione di Viale dell’Astronomia ormai quasi quotidianamente spara bordate contro il governo.
Un clima che agita i sonni del presidente del consiglio. Senza contare che il prossimo 18 febbraio si terrà pure la manifestazione nazionale di ReteItalia (l’organizzazione che riunisce tutte le associazioni di imprenditori dalla Confindustria alla Confcommercio).
L’allarme, però, coinvolge tutte le forze che sostengono l’esecutivo. «Dovete anche capire — sono ad esempio le parole del leader Ncd, Angelino Alfano, ai suoi alleati — che voi così mi rispingete tra le braccia del Cavaliere ».
Il vicepresidente del consiglio chiede ancora tempo.
L’idea di varare la legge elettorale e poi sostanzialmente andare alle urne non lo convince. Quindi — è la sua valutazione — per dare sostegno alla legislatura «serve un impegno del segretario del Pd».
Eccola dunque la “staffetta”. I “montiani” di Scelta civica sono da tempo convinti che sia quella la carta da giocare. E nonostante le scaramucce di questi giorni anche il capo di Sel, Nichi Vendola, ha ammesso che «questa può essere una possibilità ». Persino il “nemico” del Sindaco e capo della minoranza pd, Gianni Cuperlo, è ormai orientato in questa direzione.
Per un motivo molto semplice: gli ex dalemiani pensano di riprendersi così il partito.
La road map immaginata in queste ore è quindi questa: verificare domani nella riunione della direzione democratica se il premier è in grado di organizzare un «rilancio».
Aspettare il voto sulla riforma elettorale e subito dopo stabilire, davanti al bivio, quale strada imboccare. È chiaro che tutti considerano fondamentale il via libera all’Italicum.
Qualsiasi mossa ha infatti un solo paracadute: la possibilità di tornare in ogni momento al voto con la riforma già varata. Anzi, proprio l’Italicum sarebbe la giustificazione per un nuovo governo che si configurerebbe come “costituente”: uno strumento per accompagnare le riforme.
Certo, tra due settimane mancherebbe ancora il sì del Senato alla legge elettorale ma a quel punto nessuno — nemmeno Silvio Berlusconi — sarebbe interessato a far saltare un sistema che garantisce il bipolarismo e quindi la centralità di Forza Italia.
Non solo. A breve proprio il segretario pd dovrebbe schierarsi a favore di una modifica alla riforma che introduca, insieme alla norma “salva-Lega” anche una “salva-Sel”, che prevede il recupero del “miglior perdente” all’interno di una coalizione, ossia il primo partito che non supera lo sbarramento al 4,5% (e che probabilmente verrà abbassato al 4).
Questo emendamento sarebbe una sorta di wild card a disposizione di Vendola per ricomporre il dissidio con i democratici e, nel caso, per rientrare nella maggioranza appoggiando un eventuale gabinetto Renzi.
Si tratterebbe di una decina di voti in più al Senato in grado di irrobustire la maggioranza. Una pattuglia che per molti potrebbe ulteriormente infoltirsi con l’approdo di quei grillini dissidenti pronti a manifestarsi in occasione del voto sulla riforma elettorale.
Eppure, in tutti i colloqui si valutano anche i tanti ”contro” che sconsigliano la “staffetta”. In primo luogo è proprio Renzi a non volerne sapere. «Per me non esiste. Deve andare avanti Letta — ripete ad ogni piè sospinto — Deve essere lui a cambiare passo. Io resisto. E rimango dove sto».
Il secondo ostacolo riguarda il Quirinale. Un nuovo governo deve superare il check in del Colle. E fino ad ora Napolitano non ha mai nascosto la sua preferenza a favore della continuità lettiana.
Le controindicazioni, però, non sono solo queste. L’”effetto-D’Alema” potrebbe avvolgere l’intero disegno. Arrivare a Palazzo Chigi dalla porta di servizio e dopo aver fatto traslocare un esponente del proprio partito, può trasformarsi in un colpo letale.
Bruciando l’ennesima leadership del centrosinistra. Senza contare che nessuno è in grado di prevedere la reazione di Silvio Berlusconi. «È chiaro — ragionava proprio nel week end il Cavaliere — che se nasce il governo Renzi, noi chiederemo di entrare».
Un’ipotesi che fa letteralmente inorridire il sindaco. Il capo di Forza Italia però se fosse respinto, avrebbe le mani libere per far saltare il patto per abolire il Senato e rivedere il Titolo V della costituzione.
In quel caso lo show down non farebbe altro che portare al voto anticipato. Un azzardo se non si modifica il ruolo del Senato. Anche con l’Italicum, infatti, restano altissime le probabilità di dover fare i conti con aula di Palazzo Madama di nuovo ingestibile ed esposta alla rinascita delle larghe intese.
Sta di fatto che il bivio resta. Domani il premier proverà a sfidare Renzi chiedendo in direzione subito l’impegno a formare un nuovo governo.
Se Letta non convince il suo partito, dinanzi a Largo del Nazareno e a Piazza del Quirinale si ripresenterà la medesima biforcazione: voto o incarico a Renzi.
E come dice il prodiano Sandro Gozi, ex funzionario della Commissione europea, «nulla impedisce di aprire le urne durante il semestre di presidenza dell’Ue.
Da quando c’è il presidente permanente del Consiglio europeo, quello di turno è una sorta di assistente. E comunque è accaduto anche nel 1996».
Quando nella corsa a Palazzo Chigi vinse Romano Prodi.
Claudio Tito
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 5th, 2014 Riccardo Fucile
LE TENDE DEL VIMINALE SONO SOLO 50, IL QUIRINALE HA MANDATO 450 COPERTE…MANCANO ACQUA ED ELETTRICITA’: CONDIZIONI DISUMANE
Esseri umani con occhi grandi e persi, cuore dolente e dignità negata.
Questo sono i mille migranti costretti a vivere da due anni come quei sacchetti di plastica, quella carta straccia, quelle lattine arrugginite di pomodori che spuntano dalla montagna di spazzatura che circonda le loro tende.
Di tende, in verità , con la scritta ministero dell’Interno ce sono solo 50, il resto sono baracche.
Le hanno montate senza curarsi dell’acqua che manca e della luce che non c’è e non sono più tornati.
Questi uomini non servono più. Le arance che raccoglievano nelle campagne attorno a Rosarno, per pochi euro al giorno vengono pagate troppo poco, meglio lasciarle cadere e usarle per concimare il terreno.
Nessuna parola può bastare a raccontare quello che gli occhi vedono, il naso respira, le orecchie ascoltano arrivando in questa desolata periferia di San Ferdinando, a pochi chilometri da Rosarno.
Arrivano dal Burkina Faso, dal Mali, dal Congo.
Alcuni hanno il permesso di soggiorno, ci sono rifugiati, altri irregolari.
Hanno la pelle nera e la luce nello sguardo ferito a morte. Molti sono giovani altri meno.
Uomini di colore che non credono più alle promesse dei bianchi. E neppure a quelle di chi ha il loro stesso colore come la ministra Cècile Kyenge, del Pd, che quando è venuta da queste parti a ritirare un premio non ha trovato il tempo per donare un sorriso a questi fratelli; e alla richiesta di aiuto, rivoltale dal sindaco Domenico Madafferi, ha risposto con un “non posso fare nulla sono un ministro senza portafoglio”.
Senza portafoglio e senza umanità , come se fosse stata nominata solo per rompere la monotonia del bianco nella compagine di governo.
Alle promesse della presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi, candidata blindata in Calabria che qui è venuta in campagna elettorale e una volta eletta ha dimenticato i loro volti e le loro storie.
Almeno il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di promesse non ne ha fatte. Senza rispondere all’accorata lettera inviatagli, un anno fa, dal sindaco ha incaricato una ditta di Firenze di consegnare 450 coperte.
Gli altri 550 possono anche morire di freddo, chi se ne frega.
Così, mentre a Roma trascorrono il tempo a pesare sul bilancino dell’interesse personale un grammo di preferenze, due etti di soglia di sbarramento, qui a solo un’ora di volo dalla Capitale, nella bellezza struggente del Mediterraneo, mille esseri umani vivono in un lager.
Non ci sono i forni crematori, certo. Non hanno sulle braccia numeri impressi a fuoco. Ma il diritto negato alla dignità ce l’hanno tatuato nell’anima.
Non sono stati condannati da leggi razziali, ma vivono in una terra senza legge. Sono liberi ma non di vivere.
“Da poco sono riuscito a fargli arrivare la luce abusivamente”, spiega il sindaco Madafferi. Un signore di 74 anni che ha strappato la tessera del Pd, eletto con una lista civica arrivato dopo che per ben due volte il Comune (governato dalla destra e dalla sinistra) era stato sciolto per infiltrazioni mafiose.
Un rappresentante delle istituzioni costretto all’illegalità per far tacere il suo cuore che non ce la fa più a sopportare il grido d’aiuto di queste persone.
“Fai qualcosa per noi almeno tu, ti prego”, dice Akin quando vede passare davanti alla sua baracca con la bocca coperta dalla sciarpa per proteggere dal cattivo odore che sale dalle montagne di rifiuti, dalle pozzanghere putride, dai bagni biologici — anche questi allestiti dal ministero dell’Interno — che scaricano a cielo aperto.
Non sa che il mio potere sta solo nella penna, magari mi confonde con Laura Boldrini, l’ex portavoce dell’Alto commissariato per i rifugiati, come molti di loro.
Eppure basterebbe così poco per restituirgli umanità .
Poco più giù Geteye prepara il pranzo. Due pezzi di legna per riscaldare una piastra di ferro arrugginito, sopra due polli. Dentro la baracca, dove dorme, polli vivi chiusi nelle cassette della frutta.
L’odore rende l’aria irrespirabile. Nella baracca accanto pezzi di carne coperti dalle mosche. Non hanno forchette. Non hanno piatti. Mangiano con le mani seduti per terra o su sedili di macchine abbandonate.
Non hanno acqua potabile. E quella che c’è è gelida come l’aria che di notte spezza le ossa. Qualcuno lavora ogni tanto e ha bisogno di lavarsi.
A vendergli per qualche euro acqua riscaldata dentro ai bidoni provvedono i fratelli più poveri.
La povertà che aiuta la povertà più povera.
Eh sì perchè alla povertà , come alla vergogna e alla disumanità , non c’è limite.
Sandra Amurri
(da “il Fatto Quotidiano“)
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