Febbraio 7th, 2014 Riccardo Fucile
IL CASO DI ROMA: 74 MILIONI OGNI ANNO PER LE LOCAZIONI PASSIVE
Cinquantadue euro e 46 centesimi al mese.
È la pigione media che il Comune di Roma incassa da ciascuno dei suoi 43.053 alloggi: moltissimi dei quali, ed è comprensibile, affittati a prezzo politico ai cittadini meno abbienti.
Ma pur tenendo conto di questo non trascurabile dettaglio, è una miseria.
Tanto più scandalosi, quei 27,1 milioni l’anno, al confronto con la somma che lo stesso Campidoglio tira fuori per affittare da costruttori e immobiliaristi privati 4.801 appartamenti da assegnare agli sfrattati o alle famiglie in difficoltà : 21 milioni 349.652 euro.
Di questi 21, 3 milioni, per inciso, 4 milioni 242 mila finiscono nelle tasche di una società che si chiama Moreno Estate srl.
Che fa capo ad Angiola Armellini, figlia dell’ex re dei palazzinari romani Renato Armellini, una signora che ha guadagnato qualche giorno fa l’onoredelle cronache dopo che le hanno fatto tana: ha 1.243 appartamenti sui quali secondo la Guardia di Finanza non pagava Ici e Imu.
Il bello è che l’hanno scoperto le Fiamme gialle e non il Comune di Roma, che da lei ha in affitto quasi tutti quegli appartamenti.
Esattamente, 1.042.
Ma in quanto a immobili affittati al Campidoglio non è da meno sua sorella Francesca Armellini, cui sono riconducibili alcune società proprietarie di altre 388 case e vari stabili a uso commerciale che fruttano complessivamente, tenetevi forte, 9 milioni 922.374 euro l’anno. Pagati sempre dal Comune di Roma.
Perchè l’amministrazione capitolina, che oltre a 43.053 appartamenti è proprietario di altri 16.413 beni immobili con diversa destinazione d’uso (!) debba spendere tutti quei soldi per affittare uffici dai privati, sembra incomprensibile.
Anche se forse la spiegazione è nell’elenco dei beneficiari.
Un paio di casi?
Il sempre citato immobiliarista Sergio Scarpellini incassa 15 milioni 594.841 euro l’anno: 9 e mezzo per il solo immobile che ospita le commissioni del Consiglio comunale, a sua volta preso in affitto dall’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti, per poco più di 2 milioni.
Domenico Bonifaci, proprietario del quotidiano romano «Il Tempo», intasca invece un milione 89 mila euro per i locali del Municipio XIV.
E ci fermiamo qui, non senza chiudere questo capitolo con un numero: 74.063.805.
È la cifra che il Comune di Roma, pur essendo proprietario di 59.466 beni, paga ogni anno per le locazioni passive.
Questo dato sconcertante oggi lo conosciamo grazie a una norma di tre righe sfornata dal governo di Mario Monti appena prima di andarsene.
Articolo 30 del decreto 14 marzo 2013, numero 33: «Le pubbliche amministrazioni pubblicano le informazioni identificative degli immobili posseduti, nonchè i canoni di locazione o di affitto versati o percepiti».
Ed è la dimostrazione del potere devastante della trasparenza.
Certo, in un Paese come l’Italia nel quale prima di essere applicate le leggi si interpretano, dipende molto proprio dall’interpretazione.
C’è chi lo fa in senso estensivo, come il Comune di Roma che accanto ai canoni pagati pubblica diligentemente i nomi dei beneficiari. E chi, invece, visto che la norma di cui abbiamo parlato non lo prevede esplicitamente, semplicemente li omette.
Come sa bene Giuseppe Valditara, ex senatore di An animatore del forum Crescita & Libertà , che ha avviato una battaglia civile contro gli sprechi, di cui le locazioni passive sono una delle manifestazioni più lampanti, scontrandosi con l’ottusità di certe amministrazioni.
Difficoltà , peraltro, che siamo sicuri abbia incontrato anche il commissario alla spending review, Carlo Cottarelli.
Sul suo tavolo c’è la tabella che dice quanto l’amministrazione centrale spende per gli affitti passivi.
La somma è enorme: 730,6 milioni, per un totale di 8.652 contratti di locazione, che si portano dietro 27 mila atti. E senza contare le agenzie fiscali, che non scherzano.
La sola Agenzia delle entrate dichiara nel proprio sito circa 480 contratti, per un totale di 178,6 milioni.
Il che già la dice abbastanza lunga sui problemi che deve affrontare chi ha il compito di disboscare questa giungla. Se non fosse, poi, che ai dati dello Stato centrale bisogna aggiungere quelli, ben più numerosi, di enti pubblici, Regioni, Province, Comuni nonchè società controllate e altri soggetti quali fondazioni, consorzi…
Le scuole, per esempio. Ce ne sono affittate 1.567, pari al 4,2 per cento degli edifici scolastici censiti. E sono quasi tutti contratti stipulati dalle Province.
Nella sola Sicilia ce ne sono 338, e poi 295 in Campania, 163 in Puglia, 120 nel Lazio, 119 in Calabria.
«Da parlamentare – ricorda Valditara – denunciai il caso di Reggio Calabria, dove si affittavano edifici fatiscenti dai privati mentre una scuola nuova, mai inaugurata, stava andando in rovina. C’era costata 8 milioni».
Una massa di cui nessuno conosce i confini esatti, che spinge il costo (e lo spreco) degli affitti passivi a livelli inimmaginabili. Secondo l’ex ministro Corrado Passera non lontani da una dozzina di miliardi l’anno.
Con la particolarità che mentre i dati dello Stato si possono conoscere, sia pure con qualche problema, le difficoltà per avere gli altri risultano talvolta letteralmente insormontabili. Già . Intanto la legge che obbliga alla trasparenza non prescrive che le informazioni debbano essere pubblicate in un unico sito.
Cosicchè, se pure l’agenzia del Demanio decide volontariamente di mettere a disposizione dei cittadini l’elenco delle locazioni passive (245 pagine che si possono consultare sul suo web) dell’amministrazione centrale, accanto a ogni voce non figura il canone pagato, nè il proprietario dell’immobile. Non tocca a loro
Ma c’è di più. Il ministero dell’Interno, per esempio, pubblica solo la lista delle prefetture prese in affitto: non ci sono nè le stazioni di polizia nè le caserme dei carabinieri e dei vigili del fuoco. Eppure sono le voci più consistenti: 275 milioni sui 381 totali.
Con situazioni che non ha mancato di sottolineare il documento sulla spending review messo a punto da Piero Giarda nel marzo 2013, citando il caso di Crotone, dove il costo degli immobili affittati per la locale polizia stradale risulta di 44.961 euro per addetto, contro una media nazionale di 2.547.
Nel sito del ministero del Lavoro, a quasi un anno dall’entrata in vigore dell’obbligo di trasparenza, la lista non c’è: la pagina risulta ancora «in allestimento».
Eppure Cottarelli sa che hanno 133 immobili affittati per 23,1 milioni. Mica bruscolini. Il ministero della Difesa, invece, espone un solo contratto: 210 mila euro per il tribunale militare di Napoli. Però nella tabella di Cottarelli di contratti ne figurano 30. Ancora.
Il sito del ministero dell’Ambiente cita due immobili in locazione, per circa 5 milioni l’anno relativi alla sede centrale del ministero, senza specificare la proprietà . Il secondo immobile è un appartamento nel centro di Roma concesso in comodato gratuito dalla Regione Lazio: sede di rappresentanza.
Mentre in realtà di locazioni passive ne risultano 34, per un totale di 13,2 milioni. Il sito delle Infrastrutture, poi, specifica i nomi dei proprietari con dovizia di particolari: l’Immobiliare Marinella, l’Immobiliare Tiziana, l’Immobiliare Valentina, il fondo Idea Fimit (quello presieduto da Antonio Mastrapasqua)….
Il ministero della Giustizia, al contrario, no.
Fa persino sorridere la frase che compare nella stessa pagina web: «Percorsi chiari e precisi, un tuo diritto».
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 7th, 2014 Riccardo Fucile
LA SFIDA DI SINISTRA ALLA UE: “CERCO ALLEATI IN ITALIA”
È la stella della sinistra radicale europea.
Neanche 40 anni, Alexis Tsipras è riuscito a trasformare la litigiosa e minoritaria area greca neo-post comunista in un unico soggetto (Syriza) diventato – secondo i sondaggi – il primo partito.
È all’opposizione del governo di larghe intese, e più passano mesi e più i suoi consensi aumentano.
La prossima sfida è però continentale: per questo la sinistra europea (Gue) lo ha candidato alla presidenza della Commissione.
Un po’ Davide contro Golia: la cenerentola greca contro la Germania.
In Italia un gruppo di intellettuali (tra cui Barbara Spinelli e Luciano Gallino) sta varando una lista a suo sostegno in vista delle europee, con l’appoggio di Sel e Rifondazione.
Oggi Tsipras era a Roma: debutto al Teatro Valle. Un luogo simbolico. “Com’è triste la prudenza”, recita un gigantesco striscione nello spazio occupato nel centro della Capitale: un motto in cui si ritrova molto.
Der Spiegel l’ha definita “il nemico numero uno dell’Europa”. Si sente davvero una minaccia?
«Certo, sono il rivale dell’Europa dei mercati e delle disuguaglianze sociali. Ma siamo anche l’unica speranza per quella solidale, dei popoli, della democrazia, della dignità ».
Tra i “cattivi” ci mette anche i socialdemocratici?
«Le politiche neoliberiste stanno disgregando la Ue. E finora conservatori e riformisti sono andati entrambi in questa direzione».
Angela Merkel e il candidato presidente dei socialdemocratici Martin Schulz sono la stessa cosa?
«A me Schulz sta simpatico. Ma da venti anni la socialdemocrazia si è tagliata fuori dalla sua tradizionale base politica e sociale. Spero nella loro svolta a sinistra. Non puoi sostenere una prospettiva diversa da quella dell’austerità e poi andare a braccetto con la signora Merkel».
Ovvero?
«Quanto fatto dal 2008 ad oggi verrà insegnato nelle facoltà di Economia, ma come esempio da evitare. La crisi è figlia delle asimmetrie dell’unione monetaria. E l’establishment politico europeo sorretto da popolari e socialisti con l’austerità ha peggiorato la situazione. Per cosa, poi? Per salvare le banche che avevano titoli di Stato dei paesi altamente indebitati. Jà¼rgen Habermas ha dettoche la gestione della crisi “non solo non affronta le cause che l’hanno provocata, ma nasconde anche il pericolo di andare verso un’Europa tedesca”. La vedo così».
Cosa si dovrebbe fare allora?
«Una conferenza europea per il debito, sul modello di quella del ’53 che cancellò gran parte del debito della Germania postbellica, dandole la spinta necessaria per il miracolo economico. La Bce dovrebbe funzionare come una vera banca centrale, simile a quella americana, che presti agli Stati e non solo alle banche. Poi legiferare affinchè si separino attività commerciali e quelle di investimento delle banche. È urgente varare unNew Dealeuropeo, un piano di investimenti pubblici per lo sviluppo. Gli attuali vertici della Ue hanno utilizzato la crisi per imporre il modello del capitalismo neoliberista, scatenando un attacco senza precedenti al mondo dellavoro».
Wolfgang Schà¤uble spiega che la cura greca sta funzionando. Le previsioni del Pil greco per il 2014 sono positive. C’è stato un avanzo primario della spesa.
«A quale prezzo? Una disastro mai visto: disoccupazione al 30 per cento, il 35 per cento della popolazione a ridosso della povertà . Chiusura di ospedali, fusioni di scuole. Ad Atene giri per strada e trovi gente ben vestita che rovista nella spazzatura. Tutto questo è insostenibile. Quanto al Pil, lo dice latroika:l’Ocse rileva invece che la recessione continuerà ».
I movimenti populisti crescono ovunque. Da voi i fascisti di Alba Dorata sono il terzo partito, nonostante l’arresto del suo leader e l’omicidio di un vostro militante. Come si ferma la loro avanzata?
«Sono il prodotto politico del liberismo. Alba Dorata è passata dallo 0,3 al 7 per cento proprio negli anni dell’austerità . Fomentano rabbia e disperazione, ma verso i più deboli, gli immigrati. Sono falsi nemici del sistema: non se la prendono con i forti, ma con i debolissimi».
Cosa pensa della lista italiana a suo sostegno?
«Credo vada costruita dal basso, con i movimenti, gli intellettuali, la società civile. Come sta avvenendo. Cittadini che si auto-organizzano insieme alle associazioni e alle altre forze che vogliono partecipare. Mettendo le differenze da parte: fare un passo indietro tutti per farne molti in avanti, insieme».
Conosce Matteo Renzi e Beppe Grillo?
«So che a Renzi sembrano andar bene gli attuali equilibri europei, mentre a Grillo sembra importare poco e basta: risposte che trovo sbagliate e inadeguate. Ma non esiterò a chiedere loro una mano se da primo ministro greco mi metterò a capo di un duro processo di rinegoziazione nella Ue per conto di tutta l’Europa del Sud».
Se diventerà premier nel suo paese, quale sarà il primo provvedimento?
«Rivedere con la Ue non solo il fallimentare memorandum impostoci, ma tutta la politica europea per affrontare la crisi».
È favorevole o no al ritorno della dracma? Un pezzo di Syriza sì.
«L’abbandono della moneta unita non è la via d’uscita. Lavoriamo piuttosto a un nuovo patto sociale continentale per l’occupazione e lo sviluppo».
Ettore Livini e Matteo Pucciarelli
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 7th, 2014 Riccardo Fucile
LA PRIMA UDIENZA MARTEDI’, DEPORRANNO ANCHE PRODI E DI PIETRO… MA I TRE GRADI DI GIUDIZIO DOVREBBERO CHIUDERSI ENTRO OTTOBRE DEL 2015
Inizia martedì 11 febbraio il processo della discordia, quello sulla compravendita di senatori
che ha visto Palazzo Madama costituirsi parte civile contro Silvio Berlusconi, accusato di corruzione.
Mentre a Roma tiene banco la bagarre sulla decisione del presidente del Senato Piero Grasso, a Napoli i magistrati stanno lavorando alla lista dei testimoni che dovranno sfilare in aula
Un lungo elenco, approntato dai pm Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock.
Ci saranno sicuramente l’ex premier Romano Prodi, il cui governo doveva essere vittima della manovra, poi Antonio Di Pietro, l’ex capogruppo pd Anna Finocchiaro, gli altri due senatori Giuseppe Caforio e Paolo Rossi, all’epoca avvicinati per convincerli a cambiare schieramento.
Sarà chiamato a deporre anche l’uomo d’affari italo-argentino Carmelo Pintabona, per riferire della lettera di minacce indirizzata a Berlusconi, e mai spedita, da parte dell’ex direttore dell’Avanti Valter Lavitola.
E non si esclude che all’elenco possa essere aggiunto anche Niccolò Ghedini, che all’epoca ebbe dei colloqui col grande accusatore Sergio De Gregorio.
Una mossa quest’ultima di cui però ancora non si hanno conferme ufficiali, e che sarebbe certamente clamorosa.
Ghedini è infatti anche avvocato di Berlusconi nello stesso processo. E infatti sarà lui, insieme all’altro legale del Cavaliere, Michele Cerabona, a far entrare nel vivo il processo, probabilmente nella udienza del 12 febbraio, con il deposito dell’altra lista di testimoni, quelli a difesa, e delle due eccezioni preliminari, una sulla insindacabilità e una sulla incompatibilità territoriale, cui si aggiungerà la costituzione di parte civile del Senato.
L’udienza del’11 invece durerà solo il tempo necessario per prendere atto del cambio di collegio giudicante.
La presidente della quarta sezione del Tribunale, Loredana Acierno, si è infatti astenuta per motivi di opportunità , essendo moglie dell’ex procuratore di Bari Antonio Laudati, al centro di polemiche e di un procedimento del Csm per la gestione dell’inchiesta Tarantini escort in cui è coinvolto pure Berlusconi.
La rinuncia della Acierno ha indotto il presidente del Tribunale di Napoli, Carlo Alemi, a assegnare il processo a un’altra sezione, la prima, con collegio presieduto da Nicola Russo e con i consiglieri Antonio Baldassarre e Tiziana D’Amato.
Sull’intero processo pende comunque il rischio della prescrizione.
Nel peggiore dei casi dovrebbe scattare nell’autunno del 2015, la previsione è che oltre un giudizio di primo grado sarà difficile andare.
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 7th, 2014 Riccardo Fucile
“AMO NAPOLI MA ADESSO HO PAURA: TANTA GENTE STAVA CON IL RAPINATORE”
«Perchè ho reagito? L’ho fatto per istinto, perchè sono un cristiano. E voglio bene a Napoli, i love them, questi cittadini mi danno da mangiare, da anni».
Benjamin è un fantasma, apparentemente. Uno di quelli che attraversano la città da invisibili, addossati contro l’angolo di un vicolo o il sagrato di una chiesa.
Nigeriano, rifugiato politico, sposato con una connazionale, trentacinque anni, da cinque in Italia e ormai residente in una piccola comunità di Caserta, Benjamin O. è il giovane africano che è stato l’unico a fermare il rapinatore e a difendere un’anziana vittima nel video choc diffuso ieri da Repubblica.
Custodisce un passato con sofferenza e, forse, ombre.
E al sole di mezzogiorno, sotto il monumentale bugnato della basilica del Gesù Nuovo, si guarda intorno sorpreso. Si scusa.
«Mi lasci lavorare, poi parliamo», stende il cappellino per l’elemosina.
Ti fissa negli occhi per capire come mai proprio lui, perchè ora all’improvviso – lo dice tra stupore e disincanto – sarebbe diventato un “hero”, l’eroe.
Mescola più lingue: un inglese concitato che è stato il ponte per la salvezza, il francese con cui si esprime con la moglie Cinthia, il napoletano imparato dai ragazzi di strada, l’italiano a tratti.
Benjamin, sapeva che c’era un video col suo intervento a favore della donna scippata? E che il rapinatore è in carcere?
Si avvicina all’Ipad, segue il video. «No, non lo immaginavo. però è giusto. Io non l’ho chiamata la polizia. Io ho solo cercato di fermare il bandito perchè se il male avviene proprio sotto i miei occhi non posso stare fermo, non posso girarmi».
Sua moglie dice che ha paura, adesso. È così?
«Sì, ho un po’ di paura. È vero. Ma io lo so che Dio sta con me, io credo e sono sicuro che mi protegge. Difatti oggi sono tornato qui, sullo stesso posto. Chi fa del bene è protetto dall’Alto. Io stesso prego per quelli che mi aiutano qui, per quelli che sono cittadini normali, come quella signora scippata, che ogni giorno si fermano, mi danno quello che possono».
Com’è andata quel pomeriggio? Era il primo febbraio.
«Ho sentito e ho visto. La donna urlava “Ci sono i documenti!”, non voleva perdere le sue cose, e intanto quello la buttava giù col motorino. Mi sono piegato a raccogliere la borsa, la signora era molto stordita, diceva “Quello mi poteva uccidere”. Poi dicevo: “questo roba”, voglio dire “ruba”. Ma alcuni mi credevano, altri no. Ho cercato di fermarlo, ma lui voleva andare via, scappare».
Si è chiesto perchè era solo a cercare di fermare il rapinatore? Secondo lei, quella folla non ha capito com’erano andati i fatti? Oppure non voleva rischiare?
«Io ho visto questo: alcuni la pensavano come me, erano dispiaciuti per la signora, forse avevano paura. Ma altri, secondo me, erano d’accordo con lui, col ladro. Perchè gli dicevano di andare, di stare attento, facevano quella faccia che significa “è andata così, andiamocene tutti a casa”».
Chi le ha detto “grazie”, dopo quell’episodio?
«Alcune persone sono state buone con me, mi hanno fatto i complimenti. La signora che è stata scippata, io non so neanchecome si chiama o dove abiti, ma lo sa?, mi ha dato 20 euro. Non me l’aspettavo».
Lei, ventiquattro ore dopo il clamore di quel video choc, è ancora al suo solito posto di “lavoro”. Questa storia non ha mutato la sua visione di Napoli?
«No, difatti. Voglio bene a questa città . Mi sento vicino a questi cittadini,i love them.I ladri ci sono ovunque. Qui però vedo anchepersone che mi fanno un regalo o mi stanno vicino. Le confesso una cosa. C’è una signora che abita qui nei paraggi che ogni dieci giorni, esattamente ogni dieci giorni, mi regala una bellissima colazione: venti euro. La paga al bar, mi fa fare caffè, cornetto, e poi ricevo il panino, o la pizza».
Benjamin, quando comincia il suo pezzo di vita italiana?
«Quasi sei anni fa. Sono andato via dalla Nigeria perchè lì c’è la guerra. Mi hanno ucciso mio padre, hanno ucciso altri miei parenti. Sono un rifugiato politico, anche se non sono riuscito ad ottenere quel certificato. Ora ho un permesso di soggiorno, ma non ho più un lavoro. Non è che io non voglia lavorare, lo dica. Non lo trovo, lo scriva».
Com’è arrivato in Italia? È passato da Lampedusa, e magari per uno dei nostri Cie, i centri di identificazione ed espulsione?
«Ho preso una nave, poi sì, sono passato per Lampedusa. Ho lasciato in Nigeria due figli. Poi sono stato nel Centro di Caltanisetta (poi chiuso, dopo un rogo e una rivolta ndr). Oggi vivo a Caserta».
Che ricordo ha della permanenza nel centro?
«Non voglio ricordare nulla. Perchè altrimenti ricordo anche la fuga dalla Nigeria, quello che mi hanno fatto e che ho lasciato».
Tutti i giorni viene da Caserta a Napoli in treno per stare nel centro antico? E racimolare questi spiccioli?
«Every day, sì».
Ti saluta con un mezzo sorriso, l’abito di eroe non gli piace, sembra stia più a suo agio in quello di fantasma.
Conchita Sannino
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 7th, 2014 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DEL SENATO RESPINGE LE ACCUSE DI FORZA ITALIA
Lo rifarebbe? «Certo». È pentito? «No». Decisione tecnica o politica? «Istituzionale». Ora che
accadrà della riforma elettorale? «Andrà avanti».
Pietro Grasso parla mentre la sua auto sfreccia verso l’aeroporto dove l’attende un volo per la Tunisia.
Dice: «Come si potrebbe non seguire un processo del genere? È doveroso e necessario».
E ancora: «Revocare la costituzione? Io non ne vedo il motivo»
La giornata peggiore dall’inizio del suo mandato?
«Assolutamente no, ce ne sono state altre. Per me le peggiori sono tutte quelle in cui non si riesce a fare nulla di concreto per risolvere i problemi dei cittadini, che sono molti e gravi».
I berlusconiani la rimproverano di non aver mai smesso la toga… È un’offesa?
«Intanto ho cambiato funzione, mi sono dimesso dalla magistratura e so ben distinguere la differenza dei ruoli. Ciò detto, l’aver mantenuto la capacità di essere autonomo, indipendente e super partes non mi costa fatica, è quello che ho fatto per 43 anni da magistrato, e credo che questi valori possano essere utili anche alla politica».
Fazioso, persecutorio, perfino cattivo, grida Forza Italia. L’aveva messo nel conto?
«Avevo previsto una comprensibile reazione, ma non questi toni così aggressivi».
Le rivolgono un’accusa grave per un presidente, di non rappresentare tutti…
«In questa situazione le parti erano divise: ho ascoltato tutti e deciso autonomamente, con grande senso di responsabilità ».
Dicono che dietro di lei c’è Napolitano. Gli ha parlato?
«Alla fine del consiglio di presidenza, con una battuta, ho comunicato che “mi sarei ritirato in camera di consiglio per deliberare”, e così ho fatto. Non ho seguito le agenzie ne avuto contatti con alcuno prima della decisione».
«Sono coerente con la mia storia», dice lei. Ma la coerenza da magistrato non cozza con il Grasso ormai politico del Pd che deve farsi carico delle riforme? Non rischia di rompere il feeling Renzi-Berlusconi?
«Come presidente ho anteposto la difesa della dignità e dell’immagine dell’istituzione che rappresento. Sono convinto che questa dovrebbe essere la normalità e che non dovrebbe inficiare in alcun modo la spinta riformatrice condivisa dalle forzepolitiche».
Ne ha parlato con Renzi?
«Ho deciso da solo».
Ha chiamato prima Berlusconi?
«Ho chiamato tutti i capigruppo 48 ore prima del consiglio di presidenza, in modo da dare a tutti la possibilità di valutare laportata politica del tema e di condividere con i propri rappresentanti ogni valutazione in vista della riunione».
Il merito della decisione. È giusto che il presidente del Senato si assuma da solo la responsabilità ?
«Fa parte del ruolo, ed è stato unanimemente riconosciuto anche durante l’acceso dibattito inaula. Al contrario di quanto mi viene contestato io non ho voluto umiliare il consiglio di presidenza, piuttosto valorizzarlo, chiedendo a ciascuno le proprie argomentazioni. Non c’è stata una richiesta di parere, e non si è arrivati a nessun voto. Questo era chiaro a tutti. Prima della riunione ero aperto a ogni soluzione. Ho fatto tesoro delle argomentazioni di tutti, poi ho deciso».
Decisione tecnica o politica? C’erano gli estremi per non costituire parte civile il Senato?
«La costituzione di parte civile è una facoltà . Mi sono convinto che essere presenti al processo tramite l’Avvocatura era non solo doveroso, ma necessario. Non ho trascurato che vengono citate nel capo d’imputazione sedute specifiche del Senato nel corso delle quali si sarebbero commessi i fatti e che alcuni senatori sono chiamati come testimoni. Come si potrebbe non seguire un processo del genere? Circa l’effettiva qualità di persona offesa del Senato sarà il tribunale a decidere sull’ammissibilità ».
Non c’erano precedenti, dicono i suoi detrattori…
«È vero, ma non c’erano nemmeno precedenti di un processo in cui degli imputati venivano tratti a giudizio per la compravendita di senatori e per aver alterato il rapporto di rappresentatività tra parlamentari ed elettori».
In aula ha detto che la costituzione si può revocare. Lo pensa davvero?
«Se non ci fossimo costituiti parte civile entro l’11 febbraio non avremmo più potuto farlo, ma si può revocare in ogni momento. Io non ne vedo il motivo, per me rimane ferma la necessità di seguire l’iter processuale e l’accertamento di una verità che riguarda il Senato come istituzione».
Dicono che parlando di «dovere morale» lei abbia qualificato come immorali coloro che non erano d’accordo…
«Non ho inteso in alcun modo tacciare di immoralità chi si è espresso contro la costituzione. Si è trattato solo di una mia personale e ulteriore motivazione rispetto a quelle giuridico-politiche prospettate nella riunione».
Per chi era la battuta «senatore, ex per fortuna»?
«Non era una battuta: era una constatazione sull’ex senatore De Gregorio, che ha ammesso di aver venduto il proprio voto per denaro. Si può restare indifferenti ed estranei a tutto questo?».
Prima la decadenza di Berlusconi, ora la costituzione. I suoi detrattori dicono che è più antiberlusconiano ora di quando era magistrato…
«Non ho mai avuto sentimenti persecutori contro nessuno. Ricordo la pioggia di critiche per aver riconosciuto i meriti di alcuni ministri di un suo governo, a riprova che ho sempre affrontato con obiettività i temi che riguardavano lui come chiunque altro. Spero che si ritorni presto alla normalità e alla tranquillità nei rapporti tra i senatori e il loro presidente. Sono sempre stato e resto sopra le parti in questo ruolo istituzionale, sereno per la decisione che ho preso e che avrei preso nei confronti di chiunque».
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 7th, 2014 Riccardo Fucile
“ALLE EUROPEE NON MI PRESENTO, NCD SARA’ CON NOI”…. VERDINI, RENZI E QUEGLI INCONTRI FISSI DEL LUNEDI
A Palazzo Madama, per un giorno, si ricrea lo schema del centrodestra d’antan: Forza Italia con Ncd, Lega e Udc.
Nei suoi ragionamenti, Berlusconi è convinto che la nuova federazione sarà battezzata già alle elezioni europee, complice lo sbarramento del 4 per cento.
Il colpo grosso sarebbe il ritorno di Alfano: “I sondaggi veri danno il Nuovo Centrodestra a non più del 3,6 per cento. Non vanno da nessuna parte e Angelino sa meglio di ogni altro che io sui sondaggi non bluffo. Alla fine verrà con noi, se vuol portare i suoi a Strasburgo, non ha alternative, e vinceremo con il nostro rassemblement in modo schiacciante, raggiungeremo quota 37, sarà l’antipasto delle politiche. Sarà il nostro grande rilancio e mio personale. Dimostrerò che sono ancora vivo”.
Sempre ieri, Fabrizio Cicchitto, tra gli alfieri di Ncd, ha ribadito: “Alle europee andremo da soli”. Questione di tempo e di sondaggi e qualcosa cambier�
Il nome nel simbolo
Altra smentita, quasi in diretta, arriva da B. all’annuncio di Renato Brunetta al Financial Times: “Berlusconi si candiderà alle europee, se non glielo permettono farà ricorso”.
Il Cavaliere, in cuor suo, già è rassegnato: “Questi ricorsi non portano da alcuna parte. Il mio nome non sarà in lista ma nel simbolo della federazione sì. Il mio vero problema sarà l’ultimo mese e mezzo di campagna elettorale. Dal 10 aprile sarò ai domiciliari o ai servizi sociali, come spero. I miei avvocati hanno presentato una lista di onlus al tribunale, spero di farli a Milano, abitando ad Arcore”.
Per la precisione si tratta di onlus tutte ampiamente beneficiate dal munifico B.
I caveau ad Arcore e Grazioli
Sulle residenze di B. è in arrivo un’altra sorpresa. Per evitare “intrusioni giudiziarie” Palazzo Grazioli e Arcore diventeranno anche sede degli uffici di due senatori: Niccolò Ghedini, in Lombardia, e Mariarosaria Rossi, a Roma, peraltro nominata ieri capo dello staff della presidenza berlusconiana.
Tutti i documenti, on line e cartacei, del Cavaliere saranno trasferiti in questi uffici. Come fossero caveau di una banca.
“Grasso prende ordini dal Quirinale”
Mentre parla, Berlusconi viene informato degli sviluppi roventi al Senato sulla costituzione di parte civile, ma non è sorpreso: “Me l’aspettavo, Grasso prende ordini da quello lì, non fa un passo se non lo consulta”. “Quello lì” è Giorgio Napolitano.
Dopo mesi di sfoghi in privato, solo qualche giorno fa B. si è lasciato andare in pubblico: “Non lo rieleggerei più”.
“Toti? Non c’era di meglio”
Con Berlusconi ai servizi sociali e non candidato, dal 10 aprile sarà cruciale il ruolo di Giovanni Toti, per ora consigliere politico di B.
Ai suoi interlocutori, scettici sulle qualità mostrate sinora dall’ex direttore della galassia Mediaset. il Condannato ha opposto le sue ragioni: “Voi mi dite che è moscio, che non sfonda, che è grasso. Tutto vero, ma dopo il tradimento di Angelino ho bisogno di una persona di fedeltà totale. Giovanni non ha ambizioni e non ha una forza politica alle spalle. Per me è l’ideale e per questo, vedrete, diventerà coordinatore nazionale di Forza Italia. E con tutta onestà vi dico anche che intorno a me non ho visto di meglio. Giovanni non farà il furbo”.
“Se quelli non fanno casini”
Tutto questo ragionamento ha come sfondo implicito una certezza di B.: il 25 maggio non si voterà anche per le politiche: “Le elezioni nazionali non ci saranno a meno che Renzi non combini casini. Ma io di lui mi fido, Matteo e Denis (Verdini, sherpa di B., ndr) si vedono da anni ogni lunedì a Firenze. Adesso la priorità è portare a casa la legge elettorale, su questo sono inflessibile, e fare la riforma del Senato. Vedrete non voteremo per le politiche”.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 7th, 2014 Riccardo Fucile
RESIDENCE “FRATELLI D’ITALIA”: CAMBIA L’ORDINE DEL GIORNO DELLA RIUNIONE DI CONDOMINIO PER ASSENZA DI CANDIDATURE, PROROGATIO PER L’AMMINISTRATORE, SI CERCANO TAPPEZZIERI PER ABBELLIRE GLI INTERNI, PASTI CALDI AI QUESTUANTI, POLTRONE ESAURITE, LA SEDIA VA PORTATA DA CASA
Il 22 e il 23 febbraio Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale svolgerà regolarmente le sue primarie. Ma
i militanti saranno chiamati a esprimersi solo sul simbolo e sui primi capitoli del programma da presentare alle Europee.
La sfida per la leadership, invece, si terrà (forse) a ottobre.
Per ora, a guidare il partito nei prossimi mesi, sarà Giorgia Meloni, l’unica esponente che aveva avanzato una candidatura.
Anche se la sua nomina sarà ufficializzata solo nella due giorni dell’8 e 9 marzo, quando a Fiuggi il congresso nazionale del partito ratificherà il risultato della consultazione.
«Speravo che si potesse dare vita a una competizione avvincente – ha spiegato l’ex ministro della Gioventù – ma i tempi stretti non hanno aiutato. In questi momenti siamo tutti proiettati verso le Europee e le elezioni nei Comuni. Mi aspetto comunque una grande partecipazione alle primarie su simbolo e contenuti. Rimettere gli italiani al centro delle scelte fa parte del nostro dna».
Ai «gazebo» i militanti saranno chiamati ad eleggere i 3.150 grandi elettori che celebreranno il congresso di marzo e, soprattutto, a decidere nome e simbolo della nuova creatura che spera di riportare sotto un’unica casa la destra italiana.
In «gara» ci saranno 5-6 loghi collegati a diverse sigle.
Il nome Fratelli d’Italia è destinato a rimanere nella dicitura, ma sarà affiancato da un’altra sigla che, stando a quanto si vocifera, potrebbe essere «Partito della Nazione» piuttosto che «Alleanza nazionalpopolare» o la classica «Alleanza Nazionale».
Per quanto riguarda il simbolo, invece, la scelta sarà sul dare maggior spazio al logo di Fdi piuttosto che a quello di An ma anche sul mantenere o meno la storica Fiamma tricolore del Movimento sociale.
A deciderlo, in ogni caso, saranno gli elettori. Che saranno chiamati anche a esprimersi su alcuni punti cardine del programma.
Martedì dovrebbe riunirsi il Consiglio direttivo del partito per definire le aree tematiche da sottoporre al vaglio dei militanti ma, visto l’approssimarsi delle Europee, tra gli argomenti «caldi» ci sarà sicuramente anche la permanenza dell’Italia nella moneta unica.
Nel frattempo, Giorgia Meloni proverà ad allargare il più possibile i confini di una aggregazione che, già prima del 25 maggio, potrebbe comprendere anche gli esponenti del Movimento per An, capeggiati da Francesco Storace e Adriana Poli Bortone.
Poi, nel prossimo autunno, presumibilmente a ottobre, si aprirà una nuova fase. «L’onorevole Giorgia Meloni – è scritto nel comunicato di Fdi-An – ha chiesto al consiglio direttivo di organizzare entro l’autunno una nuova edizione del congresso a candidature plurime».
(da “il Tempo“)
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Febbraio 7th, 2014 Riccardo Fucile
ASSISTIAMO A UN REVIVAL DI ANTICHE LOTTE DI POTERE CHE HANNO CONTRASSEGNATO LA STORIA DELLA DC
Quando Matteo Renzi è un po’ stanco, come ieri sera, sembra molto più democristiano di quello che è — e lo è davvero parecchio, essendo non solo figlio di un democristiano, ma dallo stesso babbo addestrato fin dalla più tenera età , povero innocente, a decifrare anche i pur minimi slittamenti che si andavano registrando attorno a De Mita, dalle parti di Forlani e perfino ai margini della corrente del Golfo.
Quando Enrico Letta, d’altra parte, si sforza di apparire più tranquillo di quanto sia realmente, come ad esempio nel momento in cui si è materializzato al Nazareno, l’innata sua democristianità è tale da conformare l’andatura con cui si è avvicinato al podietto, la postura presidenziale che ha assunto, nonchè la sorvegliata disinvoltura con cui quest’altro «nipote d’arte» ha espresso pacatamente le sue considerazioni così sfumate, come ovvio, da rasentare la più naturale reticenza.
Purtroppo le riprese in streaming non hanno consentito al gentile pubblico di osservare in che modo, o meglio con quale simulata e/o dissimulata espressione del volto il segretario del partito ascoltava l’intervento del presidente del Consiglio.
Ma certo la situazione, almeno per i più attempati osservatori della politica, era tutto fuorchè inedita.
C’è tutta un’affollata iconografia e sequenziale: Fanfani che guarda De Gasperi, Moro che guarda Fanfani, Andreotti che guarda chiunque altro e così via, per un quarantennio circa.
Il fatto che l’uno volesse soffiare la poltrona all’altro era perfettamente e sistematicamente nella norma dello scudo crociato.
Un dualismo così codificato che qualche settimana fa un illustre funzionario e competente studioso del potere che su Europa si firma con il nom de plume di Montesquieu ha rinverdito lo schema applicandolo con i dovuti e maliziosi aggiornamenti ai post-democristiani Renzi e Letta: là dove al reciproco «sostegno formale» corrisponde un «sostanziale lavorio di segno opposto».
Ecco. Tra una verifichetta e un rimpastino la vecchia e cara ipocrisia è ricomparsa ieri in forma smagliante.
I due rivali fanno finta di non esserlo, anzi una persona normale direbbe che vanno d’accordo. Ma la «staffetta» in realtà è già dietro l’angolo; così come per Letta è prevista una poltrona «in Europa» come si ventila con formula anch’essa tanto obliqua e generica quanto ostinata e minatoria.
Insomma, meglio che si tolga di mezzo. E il bello, o il brutto, dipende, è che a spingere Renzi verso Palazzo Chigi è al momento chi non gli vuole tanto bene, e lui lo sa benissimo.
Come del resto alla fine degli anni 80 lo sapeva benissimo De Mita e infatti resistette per quasi un anno, ma alla fine Forlani e quegli altri del Golfo ce lo spedirono lo stesso per cucinarselo meglio.
Bene. L’intera direzione di ieri è stata dominata dalla più criptica ambiguità di ordine iniziatico.
I profani, cioè i cittadini comuni, non hanno afferrato niente di ciò che ieri era in ballo dietro le apparenze. Il tutto aggravato dalla vistosa fuffa che la Seconda Repubblica,con la sua attitudine a macroscopiche e megalomani strategie, ha introdotto nel discorso pubblico.
A un certo punto l’ex ghost-writer di Veltroni, il senatore Tonini, ai tempi assimilato per il suo aspetto a un barbuto frate cappuccino, se n’è uscito con una formula di natura ossimorica, «temperato dissenso», che ha suscitato il sincero ancorchè ironico entusiasmo di Renzi, che di quel mondo antico, crudele e sapiente coltiva le raffinatezze fino a punto da ribattezzare i suoi collaboratori «Arnaldo» (come Forlani) e «Mariano » (come Rumor).
Così ieri se n’è uscito: «Debbo dire che nel Pd è in corso un processo di democristianizzazione» ha scherzato, ma fino a un certo punto.
Tanto da sentirsi in dovere di aggiungere: «Anch’io ho cercato di contenermi, riuscendoci con difficoltà , com’è noto».
Peccato per quel piccolo sbocco di narcisismo racchiuso nella compiaciuta espressione «com’è noto».
I capi dc di una volta, che avevano paura di far peccato, non se la sarebbero fatta scappare.
Ma il tempo sciagurato del turbo-ego non passa invano. E se solo si pensa che il Pd doveva o rischiava di essere l’erede e magari il continuatore del Partito comunista, beh, evidentemente la storia si diverte un sacco e l’unione di due democristoidi non fa mai somma intera.
Filippo Ceccarelli
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 7th, 2014 Riccardo Fucile
ARRIVA L’APPOGGIO DI CONFINDUSTRIA E DEGLI USA… BERLUSCONI SARA’ PADRE DELLA PATRIA
Il piano A è sempre quello del voto in primavera, dopo l’approvazione della legge elettorale. Per
essere legittimato non solo dalle primarie ma dal voto popolare, per non fare lo stesso errore di Massimo D’Alema, arrivato Palazzo Chigi senza passare delle urne e bruciato nell’arco di un anno e mezzo.
Matteo Renzi però tiene in mano l’altra carta, il piano B, la sostituzione in corsa di Enrico Letta, il «cambio di schema» di cui ha parlato ieri in direzione, la possibilità di «rivoltare lo Stato, di fare tutte le riforme, di arrivare fino al 2018».
L’autostima non difetta al sindaco di Firenze, convinto di poter realizzare i suoi obbiettivi e di superare facilmente la resistenza di Letta e le ultime perplessità di Giorgio Napolitano. «Non possiamo più escluderlo», confida ai fedelissimi.
Sono i soli due inciampi sul sentiero che porta il segretario del Pd alla presidenza del Consiglio dei ministri.
Il resto è un’autostrada e non solo nei palazzi della politica, ovvero nel gioco degli alleati: Alfano, Scelta civica, la minoranza del Pd.
C’è molto di più. L’ambasciatore americano John Phillips ha incontrato il sindaco di Firenze e con i suoi interlocutori scommette sulla rapida ascesa di “Matteo” a Palazzo Chigi.
È uno scommettitore che conta.
Il violento attacco di Giorgio Squinzi al governo Letta non è certo sganciato dalla prossima gigantesca partita, quella delle nomine nelle aziende pubbliche molte delle quali siedono in Confindustria.
Gli imprenditori puntano le loro fiche su Renzi perchè è dal governo, in aprile, che si gestisce il grande risiko dei manager di Stato.
Ed in quel campo che si stringono alleanze, si coltivano amicizie nei gruppi di interesse, ci si affaccia sul palcoscenico internazionale attraverso lo strumento delle partnership di affari.
È un argomento che nei pensieri di Renzi fa pendere la bilancia sul piano B, la staffetta o meglio lo sfratto a Enrico Letta.
C’è anche il terreno politico. L’interlocuzione con Nichi Vendola è quotidiana, la visita di Maurizio Landini alla sede del Pd molto più di un gesto di cortesia.
Il leader in pectore di Sel Nicola Fratoianni esclude un ingresso del suo partito in un nuovo esecutivo a guida Renzi. «Non possiamo stare con Alfano, questo no», dice.
Ma può bastare un ministro della società civile, dell’area di sinistra, per avere la non belligeranza di Sel.
Dall’opposizione è evidente la spinta di Berlusconi alla staffetta.
Lo renderebbe ancora più protagonista della scena con le riforme e gli permetterebbe di preparare la competizione elettorale. Ma la grande paura del segretario è che Forza Italia gli chieda un ritorno in pompa magna nell’esecutivo. Richiesta che avrebbe una sola risposta: no.
Si comprendono quindi i sospetti degli amici del segretario che sconsigliano le scorciatoie, i piani B.
Lo ha fatto platealmente Paolo Gentiloni, nella direzione, suggerendo la soluzione persino troppo comoda di abbandonare al suo destino il governo Letta fino a una lenta agonia.
Però Renzi tiene conto di tutto quello che si muove intorno a lui. Ha fissato i paletti temporali di una decisione convocando una nuova riunione del Pd il 20 febbraio. In queste due settimane possono accadere molte cose, tali da indicare con chiarezza come si scioglie l’alternativa che ha in testa: o il voto con l’Italicum o il governo del sindaco.
La prossima settimana sarà decisiva per capire se il patto sulla riforma elettorale regge o vincono le trappole.
Il 16, una prima indicazione sulla segreteria Renzi arriverà dalla Sardegna dove si vota per la Regione. Il 18 e 19 il segretario vola a Bruxelles per preparare il congresso del Partito socialista europea, ma naturalmente i suoi incontri avranno al centro il futuro dell’Italia.
E fra le pieghe di questi appuntamenti pubblici, si vedono già le conseguenze pratiche dell’instabilità di Letta.
A febbraio scadono ben sei decreti legge. La lezione di Natale sul salva-Roma, il provvedimento inzeppato di mance ai partiti e ai territori, insegna che l’incidente può capitare, eccome.
Sarebbe il colpo finale per l’esecutivo. Ad esempio, proprio il salva-Roma riscritto è in discussione alla commissione Bilancio del Senato presieduta dall’alfaniano Antonio Azzolini.
Un pezzo della maggioranza, Scelta civica, ha avvertito: è irricevibile, noi non lo votiamo.
I governi possono cadere anche così.
Goffredo De Marchis
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