Febbraio 8th, 2014 Riccardo Fucile IL PREMIER ACCETTA LE DIMISSIONI DI MARK HARPER: LA DOMESTICA NON AVEVA IL PERMESSO DI LAVORO, AVREBBE FORNITO DOCUMENTI FALSI
Brutta tegola per il permier britannico David Cameron. 
Il suo ministro dell’Immigrazione, Mark Harper, si è dimesso dopo che si è scoperto che la sua domestica, di nazionalità straniera, lavorava senza il permesso di lavoro.
La notizia, annunciata dal sito della Bbc, è stata confermata da una nota ufficiale di Downing Street con la quale si afferma che le dimissioni di Harper sono state accettate da Cameron.
La nota precisa che non ci sono evidenze del fatto che Harper fosse a conoscenza della condizione irregolare della sua colf (la quale avrebbe fornito dei documenti falsi al suo datore di lavoro) e aggiunge, però, che il premier ne ha accettato le dimissioni seppure con “rammarico”.
Il posto di Harper, che resterà deputato, sarà preso dal conservatore James Brokenshire.
Il tema dell’immigrazione illegale, d’altra parte, oltre a essere stato uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale del premier, resta un nervo scoperto per Cameron, tenuto sotto pressione dall’ala più conservatrice del suo partito che, sventolando i dati sulla disoccupazione, continua a chiedere una stretta sugli ingressi anche di cittadini comunitari e sui sostegni pubblici agli immigrati, anche per non lasciare la ‘battaglia’ in esclusiva ai movimenti nazionalisti in crescita.
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Febbraio 8th, 2014 Riccardo Fucile CHE SI VEDESSERO PER COMMENTARE LE PARTITE DELLA FIORENTINA?
I don’t like mondays, non amo i lunedì, cantavano i Boomtown Rats di Bob Geldof nel 1979.
Matteo Renzi era troppo giovane anche per fare il boy scout e Denis Verdini non era ancora il plenipotenziario berlusconiano che è ora.
Uno è spigliato, dicono simpatico, con quell’apparente franchezza da maledetto toscano; l’altro fa il sindaco di Firenze.
Chi l’avrebbe mai detto che avrebbero finito per vedersi spesso e, a dar retta a certe voci, proprio al lunedì
Non è una frequentazione recente, certo, dato che entrambi rappresentano diversi poteri in città : il Comune (e prima la Provincia) da una parte; qualche banca e qualche giornale dall’altra, e in una città che non è esattamente una metropoli prima o poi ci si incontra.
Ma le parole di Silvio Berlusconi stupiscono lo stesso: “Matteo e Denis si vedono da anni ogni lunedì a Firenze”, ha detto Silvio.
E va notato quel “da anni”, che getta una luce inquietante sia sul nuovo che avanza, sia sul vecchio che avanza anche lui.
Un avanzamento incrociato, insomma.
Può essere l’età , chissà , oppure la confusione del momento, e l’anziano leader di Palazzo Grazioli potrebbe anche confondersi: magari con quei lunedì di Arcore che lui stesso passava con Bossi e il gotha della Lega, quando ancora non si sapeva di ragazzine, lauree albanesi, compravendite di diamanti e senatori.
Lunedì tristanzuoli, quelli.
Mentre sui lunedì di Renzi e Verdini nulla si sa e nulla trapela. Certo è che tra i due la conoscenza non è di oggi.
Molti dicono che la scelta di candidare per la destra Giovanni Galli a sindaco di Firenze, nel 2009, fu tutta di Verdini, e fu un aiutino mica male per il giovane rampante Renzi, che vinse a man bassa contro un candidato inconsistente.
Poi ci sono, per nulla negati nè da una parte nè dall’altra, i contatti per mettere a punto l’Italicum, affinare dettagli, limare accordi, stabilire paletti nella trattativa, con Renzi che fa Renzi e Verdini fa la controfigura di Berlusconi.
Rimane il mistero su quel “da anni”, che, se vera, sarebbe una rivelazione non da poco. E poi, magari anche sulla scelta del giorno.
Perchè il lunedì: per iniziare bene la settimana? Per commentare le partite della Fiorentina? Per ricordare gli anni dorati di Aldo Biscardi e del suo “Processo”? Difficile: perchè Verdini, pluri-indagato, alla parola “processo” è piuttosto allergico.
E perchè Renzi con i suoi tre incarichi (sindaco, segretario del Pd e capo dell’opposizione al governo Letta) dev’essere molto occupato.
Anche al lunedì.
Alessandro Robecchi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 8th, 2014 Riccardo Fucile IL TRIBUNALE DI FIRENZE AZZERA “IL GIORNALE DELLA TOSCANA”: BUCO DI MILIONI NONOSTANTE I 12 RICEVUTI DAL FINANZIAMENTO PUBBLICO ALL’EDITORIA
Dopo la banca, il giornale. 
Nuovo fallimento per Denis Verdini, l’uomo dell’Italicum, che per conto di Silvio Berlusconi media con Elena Maria Boschi, riferimento per la legge elettorale di Matteo Renzi.
Dopo l’accusa di bancarotta fraudolenta per la gestione del Credito Cooperativo Fiorentino, portato a un deficit di 14 milioni di euro in appena tre anni e costretto alla liquidazione coatta, mercoledì il tribunale di Firenze ha dichiarato il fallimento della Società Toscana Edizioni (Ste) che pubblicava Il Giornale della Toscana, inserto locale del quotidiano Il Giornale della famiglia Berlusconi.
La Ste era stata creata da Verdini ed era amministrata da Pierluigi Picerno marito di Emma Verdini, nipote del coordinatore berlusconiano.
A fronte di 12 milioni di euro ricevuti dallo Stato come contributi all’editoria, la società ha interrotto le pubblicazioni con circa due milioni di debiti verso creditori. Particolare la situazione di sei giornalisti, alcuni dei quali non hanno ricevuto lo stipendio per diciotto mensilità , nonostante il denaro che da Roma arrivavano alle casse della Ste, e ora vedono svanire la possibilità di ricevere quanto gli spetta
A decidere in via definitiva del destino della Ste è stato mercoledì il tribunale fallimentare che ha rigettato la richiesta di concordato preventivo presentato dalla società . La sentenza sarà depositata a giorni.
La cancelleria ne ha dato notizia alle parti via fax trasmettendo il dispositivo di una pagina.
Il Giornale della Toscana ha interrotto le pubblicazioni il 17 ottobre 2012 con una decisione unilaterale raggiunta senza alcun confronto neanche con il comitato di redazione.
Soltanto due mesi dopo si è appreso che da ormai un anno erano in corso delle indagini da parte della Procura di Firenze sulla gestione dei fondi per l’editoria ricevuti dalla Set.
Indagini accelerate anche dalla contemporanea inchiesta sul Credito Fiorentino di cui l’allora coordinatore del Pdl era presidente.
Il 6 dicembre 2012 a Verdini, Picerno e altre 23 persone tra cui l’onorevole Massimo Parisi e il principe Girolamo Strozzi, i pm fiorentini Giuseppina Mione e Luca Turco hanno notificato l’avviso di garanzia con l’accusa di truffa aggravata allo Stato per i contributi pubblici ricevuti negli anni tra il 2002 e il 2012.
Il processo è ancora in corso e al momento le udienze sono fissate fino a Marzo. Per tutti tranne che per Verdini. Per lui non è ancora cominciato.
L’uomo che con Renzi e Berlusconi sta scrivendo la legge elettorale si è presentato in aula lo scorso novembre, convocato dal giudice.
Verdini ha chiesto di esser interrogato dicendosi disponibile a rispondere a tutte le domande del pm, anche sulle conversazioni registrate dagli inquirenti, così da chiarire la sua posizione.
Ma purtroppo l’interrogatorio poteva avvenire solo previa autorizzazione del Senato alla Procura e al giudice di utilizzare le intercettazioni.
Peccato che il tribunale abbia chiesto l’autorizzazione nel maggio 2013 e da allora Palazzo Madama non ha ancora dato una risposta.
Così a dicembre il Gup Fabio Frangini ha dovuto stralciare la posizione di Verdini. Si attende l’autorizzazione del Senato per interrogare un parlamentare accusato di truffa aggravata allo Stato.
Truffa, hanno ricostruito gli inquirenti, che ammonta a oltre 22 milioni di euro. 12 per il quotidiano e 10 per il settimanale Metropoli, dello stesso gruppo editoriale di Verdini, periodico che è però escluso dalla sentenza del tribunale fallimentare.
I Pm fiorentini hanno ricostruito come i soldi venissero dirottati attraverso la Nuova Editoriale Scarl (società cooperativa a responsabilità limitata) verso altre iniziative non legate all’editoria, inoltre secondo l’accusa la cooperativa era “fittizia”, costituita anche da società private, e aveva tratto in inganno la Presidenza del Consiglio chiedendo fondi per testate che non ne avevano diritto.
Per questo nell’aprile 2013 la procura di Firenze ha sequestrato 11 milioni di euro a Verdini e ai soci, oltre ai 10 milioni e 800 mila già sequestrati nell’ottobre precedente : complessivamente 22 milioni.
Nel procedimento Verdini è indagato come socio di maggioranza e amministratore di fatto della Ste e della Nuova Editoriale, nonchè come dominus del Gruppo Ste, cui fanno capo altre 10 società del settore editoriale di cui rimaste in vita solamente due radio e una concessionaria pubblicitaria.
Come finanziatore delle attività , insieme a Verdini, è indagato per truffa aggravata anche il costruttore Roberto Bartolomei, socio al 50% con Riccardo Fusi nella società Btp, e con Fusi condannato per bancarotta fraudolenta e bancarotta per distrazione proprio per il fallimento della società di costruzioni.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 8th, 2014 Riccardo Fucile DEL RIO AGLI INTERNI E ALTRI TRE SUBENTRI, MA RENZI (CHE NOTORIAMENTE PRIMA PENSA ALL’ITALIA CHE A SE STESSO) PONE IL VETO AI SUOI: “GUAI A VOI”
Il blitz è annunciato da Sochi: “Lunedì, dopo aver consultato il capo dello Stato prenderò un’iniziativa per sbloccare la situazione”.
Sarà l’aria agonistica delle Olimpiadi, sarà che vive la data del 20 febbraio come il vero inizio della fine, per una volta Enrico Letta sceglie di giocare d’anticipo rispetto alla direzione del Pd.
E, di fatto, fa intendere che la prossima settimana ci sarà il “rilancio” su programma di cui si parla da mesi — doveva essere pronto il 21 gennaio — e, soprattutto, il rimpasto.
È il giro di poltrone provando a coinvolgere qualche renziano la “mossa” pensata e studiata da Letta per provare a disinnescare il “manovrone” che porti Renzi a palazzo Chigi. E quantomento per durare qualche altro mese. Non è un caso che Letta potrebbe salire al Colle già martedì, a discussione in corso sulla legge elettorale, per un primo confronto sulla lista di ministri. Per poi tornarci in settimana e “chiudere” il rimpasto.
Un timing pensato non solo in relazione alla direzione del Pd. Ma anche in relazione al calendario della Camera, dove l’Incidente è dietro l’angolo. Su legge elettorale e salva Roma.
In caso di incidente sarebbe ineludibile un nuovo governo che passi attraverso le sue dimissioni. Ma ormai Letta è consapevole che se scende dal Colle dimissionario, non risale più. E allora meglio provare a gestire distribuendo poltrone. Ecco perchè l’operazione rimpasto è già in fase avanzata.
C’è già stato un confronto col Colle, sia pur coperto e “informale”. Quantomeno su quello che a palazzo Chigi chiamano “metodo”. Non è un caso che il punto dell’operazione sia che “non si può superare il numero di 4 ministri da cambiare”.
È questo il responso del confronto tra uffici giuridici di palazzo Chigi e quelli del Quirinale, analizzando i precedenti dal dopoguerra a oggi.
Altrimenti, se la riorganizzazione è più profonda, occorre una “crisi pilotata” che porti a un Letta bis. Ipotesi che a Letta fa venire le “bolle” come a Renzi il “rimpasto”.
È in questa cornice che prende forma il nuovo organigramma. Che ha già delle caselle occupate. Altre soggette ad alcune variabili.
La certezza, se di certezze si può parlare in questi casi, è la promozione agli Interni di Graziano Delrio, l’unico ministro renziano e molto stimato dal Quirinale, per dare l’idea di un coinvolgimento di Renzi nel governo.
Mentre Alfano ha già dato disponibilità a lasciare il Viminale, tenendo solo l’incarico di vicepremier e capo della delegazione di Ncd al governo.
Tra le certezza c’è anche l’intoccabilità dei ministri in quota Colle sin dal primo minuto, come Saccomanni e la Bonino.
Mentre assai meno intoccabile è Anna Maria Cancellieri che potrebbe essere verrebbe sostituita con una figura sempre di “alto profilo”.
È a questo punto che subentrano le variabili su cui Letta si confronterà col Colle per sostituire gli altri posti: quello di Zanonato allo Sviluppo, quello di Giovannini al Lavoro, l’Agricoltura lasciata vacante dalla De Girolamo, gli Affari Regionali liberati dal passaggio di Delrio agli Interni, più il viceministero dell’Economia che fu di Fassina e il viceministero degli Esteri lasciato da Bruno Archi quando Forza Italia uscì dal governo.
Il tentativo che Letta farà fino all’ultimo è quello di convincere ad accettare i renziani puri, da Nardella a Maria Elena Boschi a Simona Bonafè.
Per loro sacrificherebbe chiunque: se entra la Boschi, via Quagliariello. Se entra Nardella via D’Alia. E qualcosa dell’operazione deve essere arrivata anche all’orecchio del sindaco-segretario se tra i suoi si parla di operazione “cavallo di Troia”. Renzi ha già detto “guai a voi”.
La sua linea è: “Il rimpasto è un problema di Letta. Sarà lui ad assumersi la responsabilità delle scelte”.
Perchè basta che uno tra i suoi uomini “simbolo” e il premier si giocherà la carta del coinvolgimento pieno del Pd
Nell’inner circle del segretario aleggia anche il sospetto che Letta già sa che nessuno dei renziani veri entrerà , ma fa circolare i nomi ad arte, “così sui giornali sarà evidente che sta provando a coinvolgere tutti, ma è Matteo che vuole sabotare”.
E allora si capisce su questi presupposti perchè il rimpasto che Letta considera certo non è un “governo Renzi senza Renzi” ma un’operazione molto più soft.
Che consiste nel coinvolgere “personalità di area”.
Già contattato Enrico Morando, uno dei principali collaboratori di Veltroni ai tempi del Lingotto, ora renziano ma soprattutto uno con una decennale consuetudine con Giorgio Napolitano. Sondato Yoram Gutgeld.
Un rimpastino, insomma. E nella partita a scacchi con Renzi al Nazareno c’è già chi scommette che la reazione di Renzi sarà dolcemente perfida: “Bene, abbiamo detto che il rimpasto spettava a Letta. Ha fatto quello che ritiene opportuno per un governo che doveva durare 18 mesi. Ne sono passati dieci… Ora ne mancano otto”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 8th, 2014 Riccardo Fucile LA MINORANZA PD: “SE HA CAMBIATO IDEA ALLORA VIA LE LISTE BLOCCATE DALL’ITALICUM”
Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, punta il dito contro il Porcellum – e le sue liste bloccate
– alla vigilia di una settimana che si annuncia cruciale: martedì prossimo, infatti, la riforma della legge elettorale approderà alla Camera.
Proprio il nodo delle preferenze, che non sono contemplate nell’accordo Pd-Fi sull’Italicum, ha scatenato, nelle scorse settimane, parecchia animosità sia dentro alla maggioranza di governo sia all’interno del Partito democratico (con la minoranza cuperliana che sulla questione ha dato battaglia).
Al risultato del voto sulla nuova legge, peraltro, è legato il futuro del governo stesso, visto che un varo condiviso dell’Italicum – senza franchi tiratori nè sorprese dentro il gruppo parlamentare dem – potrebbe indurre Matteo Renzi a prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di una staffetta col premier Enrico Letta a Palazzo Chigi.
Intervenendo telefonicamente a una manifestazione elettorale in Sardegna, dunque, Berlusconi è arrivato a criticare quel Porcellum che, nel 2005, è stato partorito da un ministro del suo stesso governo, vale a dire Roberto Calderoli, titolare del dicastero per le Riforme.
“Avevamo perso il rapporto con le persone – ha detto il Cavaliere, che stamani ha confuso il collegamento telefonico col comizio organizzato ad Alghero, in Sardegna, pensando di parlare con il club Fi di Aquileia, in Friuli Venezia Giulia – e in parlamento c’erano i nominati. Questo fatto ha prodotto che i parlamentari non dovevano tornare a casa e occuparsi dei problemi locali e occuparsi degli amici che dovevano votarli la prossima volta. E questo ha fatto perdere il contatto con i cittadini. Ci siamo sclerotizzati, chiusi in noi stessi”.
Nella minoranza Pd la reazione è immediata: “È un’ottima notizia la clamorosa autocritica di Berlusconi sul Porcellum – dice Alfredo D’Attorre, deputato Pd – e sul parlamento dei nominati. A questo punto, se le parole hanno un senso, immagino che finalmente non ci saranno più ostacoli a cancellare le liste bloccate dall’Italicum e a restituire ai cittadini la scelta dei parlamentari.”
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Febbraio 8th, 2014 Riccardo Fucile IL CAPO DELLO STAFF DI FORZA ITALIA, DETTA “LA BADANTE”, E’ PRESENZA FISSA A PALAZZO GRAZIOLI
Per i deferenti commessi di Palazzo Madama è la senatrice Rossi, per l’inner circle di Palazzo Grazioli è Mery, per gli avversari e i maliziosi è semplicemente ‘la badante’. Mariarosaria Rossi viene da Piedimonte matese, 11mila abitanti in provincia di Caserta, e arriva in Senato.
Per un soffio: dal basso dei suoi 41 anni è una ventata di gioventù tra gli arazzi e i busti di un luogo che sprizza antichità da tutti i pori.
Per mesi tra i corridoi della Camera alta la si è vista poco. Di più da quando Silvio Berlusconi è decaduto.
Rimarrà alla storia la sua mise nera, a nasconderne le forme generose, e il suo volto tirato mentre Pd e M5s bocciavano a ripetizione i documenti avanzati dal centrodestra che avrebbero potuto salvarlo.
Un momento che, se ce ne fosse stato bisogno, ha rinsaldato ancor più la sua vicinanza al Cavaliere.
È presenza fissa a Palazzo Grazioli, unica altra donna autorizzata ad aggirarsi in pianta stabile nella residenza romana di Silvio da Francesca Pascale.
Con la premiere dame condivide un amore canino. Lei coccola Babù, il cugino di Dudù, il barboncino della coppia reale.
Lei minimizza, per non scalfire la regalità del cane più famoso d’Italia: “Ma no, sono solo cugini e non si assomigliano per niente. Il mio è un semplice barboncino, Dudù è Dudù”.
Lei è stata nominata “Capo dello staff presidenziale”. Una sorta di capo di gabinetto del leader.
Non un vero e proprio incarico di partito, quanto più il compito, gravoso, di selezionare accuratamente nomi, modi e tempi per l’accesso al focolare del presidente. Un compito formale, nel quale affiancherà la sempre più potente Pascale.
“Francesca è la compagna di vita di Berlusconi – spiega la Rossi al Corriere della Sera – e l’unico potere vero che c’è tra loro è la forza dell’amore, che ogni giorno mi sorprende di più per la complicità e l’affiatamento”.
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Febbraio 8th, 2014 Riccardo Fucile LO SCONTRO TRA RENZI E LETTA E I TENTATIVI DI MEDIAZIONI
«Non c’è Enrico asserragliato a Palazzo Chigi e qualcuno che vuole fargli le scarpe…». 
A mandare su tutte le furie Matteo Renzi è il paragone che accompagna il tam tam sulla staffetta tra lui e Enrico Letta a Palazzo Chigi: il segretario vuole scalzare Letta come D’Alema fece con Prodi nel 1998.
Lo considera il marchio che il Palazzo sta affibbiando al confronto in corso.
Ma Prodi, ragionano i renziani, era stato eletto nelle urne.
Letta è stato indicato da Berlusconi e Bersani e scelto da Napolitano per creare l’unico governo in quel momento possibile: le larghe intese.
Graziano Delrio, ministro e suo consigliere, si irrita. «Il riferimento a D’Alema e Prodi è davvero improprio sbotta — Noi ci indignammo allora perchè un uomo eletto dal popolo, Romano Prodi, fu mandato via per una trama dei partiti».
Ora siamo a un giro di boa del tutto diverso, è il ragionamento del segretario. «Si vuole una ripartenza? Sì. Non sono stato io a voler far crescere la possibilità di una staffetta tra me e Enrico alla premiership», va ripetendo Renzi.
Il segretario democratico poi conosce bene gli ostacoli che sono su questa strada: «So quali sono le controindicazioni, ma so anche che nessuno si può sottrarre alle responsabilità , benchè un’avventura a così alto rischio a me non piaccia».
Tuttavia le cose si stanno mettendo su un piano inclinato, alla fine del quale restano solo due opzioni possibili: un governo Renzi oppure le elezioni anticipate.
E un governo del leader democratico — l’ipotesi più scabrosa e improbabile fino a qualche settimana fa — è oggi la più concreta.
Delrio gli ha consigliato di procedere con cautela: «Aspetta con tranquillità ».
Per questo, nella direzione del partito di giovedì scorso, Matteo ha chiesto al premier di fare la prima mossa: «Decidi tu se te la senti di andare avanti. Se non te la senti, allora ragioniamone ». Letta l’ha presa malissimo.
Tra i due la tensione è massima, i rapporti sono pessimi. Il premier per ora non ci pensa nemmeno a dimettersi: «Voglio andare avanti e nella prossima settimana lavorerò per un nuovo governo, per un bis».
Una linea che ovviamente porterà ad un ulteriore conflitto.
A tentare la mediazione, infatti, ci stanno provando da un lato Dario Franceschini, il ministro dei Rapporti con il Parlamento, dall’altro lo stesso Delrio.
Al primo spetta temperare le rigidità di Letta, al secondo ammorbidire le asperità di Renzi. L’obiettivo è trovare una soluzione senza uno scontro all’O.K. Corrall e individuare una via d’uscita soft.
In altri tempi, in casa Dc, ci si sarebbe accordati per un cambio di mano in cui uno andava a fare il premier e l’altro si spostava agli Esteri.
Ma siamo alla vigilia della Terza Repubblica, sempre che le riforme istituzionali e la nuova legge elettorale vadano in porto. E il premier non ne vuole sapere di fare il ministro in un esecutivo Renzi, e quest’ultimo non intende averlo come presenza ingombrante nel consiglio dei ministri.
Per questo le due “colombe” hanno iniziato a volteggiare: per evitare che i contendenti evitino una guerra senza quartiere e dall’esito dannoso per il paese e perentrambi.
Prospettando un bis con un programma stringato per il 2014 oppure, appunto, una staffetta ma non cruenta. A difendere Letta in questo momento è Napolitano.
Il capo dello Stato è ancora convinto che la continuità debba essere garantita.
Tutto si gioca nei 13 giorni che mancano alla direzione dem del 20 febbraio.
Per Renzi ci sono colloqui, uno probabilmente anche con Napolitano, e valutazioni attente in agenda. Letta sarà alla prese con il terreno minato e incerto in cui si muove l’azione del governo, tra i tanti decreti da convertire.
E poi c’è la partita delle partite: il voto sulla legge elettorale che entro venerdì prossimo dovrebbe avere il via libera alla Camera.
Renzi la considera decisiva e in direzione stava per prendere la rincorsa e fare fuoco quando la minoranza cuperliana ha avvertito: «O c’è stabilità e rilancio del governo, oppure anche la riforma elettorale rischia».
Delrio ha faticato un bel po’ per trattenerlo.
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 8th, 2014 Riccardo Fucile I FALCHI VORREBBERO I DOMICILIARI, PER LORO VALGONO TRE PUNTI IN PIU’ ALLE URNE
Le due Quaresime del Cavaliere. Lunghissime. Gonfie di timori, ragionamenti, ipotesi, faide di corte.
Da qui al 10 aprile e poi da quel giorno alla campagna di primavera per le Europee del 25 maggio.
Poco più di cento giorni modello Napoleone in esilio per conoscere il suo destino in una fase che vede Forza Italia stra-favorita dai sondaggi delle ultime settimane. Silvio Berlusconi sente o vede quotidianamente i suoi legali (Ghedini e Coppi, il primo da 15 anni ha uno studio anche ad Arcore) per tentare di mettere a punto la strategia in vista dell’udienza del tribunale di sorveglianza di Milano, fissata appunto per il 10 aprile, che cade di giovedì.
I magistrati dovranno decidere sull’attuazione della pena per la condanna definitiva diritti tv Mediaset.
Il tormentone: servizi sociali o domiciliari? Sarà il tribunale a sciogliere il dilemma e la strada dei servizi sociali sembra scontata, anche alla luce della celebre nota di Napolitano dopo la condanna, nell’agosto scorso, in cui “va innanzitutto ribadito che la normativa vigente esclude che Silvio Berlusconi debba espiare in carcere la pena detentiva irrogatagli e sancisce precise alternative, che possono essere modulate tenendo conto delle esigenze del caso concreto”.
A corte, però, tra Palazzo Grazioli e Arcore, il dibattito ferve come non mai.
Ad alimentarlo i soliti falchi che descrivono un Berlusconi per nulla “intenzionato a farsi umiliare dai servizi sociali”.
Stavolta c’è un motivo in più per “sperare nei domiciliari”: la campagna elettorale per le Europee. L’effetto martirio, secondo l’ala militare di Forza Italia, “varrebbe almeno tre punti in più”, a garanzia ulteriore di un successo che alcuni già pregustano.
Ad altri interlocutori, nei giorni scorsi, Berlusconi ha fornito però un’impressione decisamente diversa: è apparso consapevole della soluzione dei servizi sociali e per di più si è sbilanciato su una lista possibile di associazioni dove andare.
Posti e luoghi sicuri. Magari dai bambini, visto che la Mediafriends Onlus, presieduta dal figlio Pier Silvio, ha finanziato una quarantina di organizzazioni. Soprattutto dedite ai bambini.
E l’immagine , in campagna elettorale, di Berlusconi che alterna comizi a visite strappalacrime è un’altra opzione allo studio.
L’unica certezza è che tutto si svolgerà ad Arcore (dove c’è il domicilio per le notifiche giudiziarie) e non a Roma, dove è comunque residente.
Rispetto a Palazzo Grazioli, Villa San Martino offre più sicurezza.
Poi tutto è rinviato al tribunale.
L’udienza sarà a porte chiuse e sarà , come specificano fonti berlusconiane, “di natura colloquiale”.
In pratica, in caso di servizi sociali, il magistrato chiederà a Berlusconi dove vorrebbe andare e a quel punto i suoi avvocati indicheranno le soluzioni migliori per il loro assistito.
La discrezionalità del tribunale investe anche eventuali restrizioni, tipo il divieto di andare fuori provincia oppure la cadenza della rieducazione ai servizi sociali (potrebbe essere anche una volta a settimana).
La decisione dovrebbe essere “commisurata” alla personalità della persona, in quel periodo già impegnata nella campagna elettorale per il 25 maggio.
Decisione soft, senza grandi limiti, oppure uno slittamento dell’applicazione. Quest’ultima strategia sta prendendo forma in questi giorni.
Spiega una fonte: “Il tribunale si riunirà il 10 aprile e avrà cinque giorni per decidere. Dopodichè può anche stabilire che i servizi sociali inizino a partire dal 26 maggio”. Cioè dal giorno successivo alle elezioni.
L’ipotesi è la più gettonata al momento ad Arcore, dove ieri B. è tornato ieri in treno, a bordo di un Frecciarossa, insieme con la fidanzata Francesca, il barboncino Dudù e la scorta, secondo Dagospia pretendendo una carrozza intera, poi solo parzialmente concessa.
Chi parla di uno slittamento post-elettorale fa riferimento a un clamoroso precedente che porta la firma del capo dello Stato.
Era il marzo dello scorso anno e Napolitano intimò di sospendere i processi di B. per consentirgli di partecipare alla fase di trattative e consultazioni.
Nero su bianco: “È comprensibile la preoccupazione dello schieramento che è risultato secondo, a breve distanza dal primo, nelle elezioni del 24 febbraio, di veder garantito che il suo leader possa partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale già in pieno svolgimento, che si proietterà fino alla seconda metà del prossimo mese di aprile. Rivolgo perciò con grande forza un appello affinchè in occasione dei processi si manifesti da ogni parte ‘freddezza ed equilibrio’ e affinchè da tutte le parti in conflitto si osservi quel senso del limite e della misura, il cui venir meno esporrebbe la Repubblica a gravi incognite e rischi”.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 8th, 2014 Riccardo Fucile UNDERGROUND, COME SI TOGLIE L’EBREZZA DELLA SORPRESA
Il direttore della metropolitana di Londra ha spedito una mail personalizzata a tutti gli
abbonati per ringraziarli della pazienza con cui hanno sopportato lo sciopero dei giorni scorsi e informarli delle prossime agitazioni decise dai sindacati, fornendo una lista dettagliata degli orari di chiusura, dello stato delle trattative e delle linee che verranno comunque garantite.
Quanta ipocrisia, in queste memorie dal sottosuolo. E quale mancanza di tatto. Seminare il panico tra decine di migliaia di persone con l’annuncio di disagi futuri che impediranno loro di godersi il fine settimana in relax.
Ben altrimenti vanno le cose nei Paesi di più antica tradizione e cultura.
A Torino, Milano e Roma nessun manager di autobus o metropolitana si sognerebbe mai di togliere all’utente l’ebbrezza della sorpresa.
Stamattina i mezzi pubblici funzioneranno?
Andranno a singhiozzo con pause riflessive di un’ora tra una corsa e l’altra? Salteranno le fermate dispari, costringendoci a camminare per un quarto d’ora sotto la pioggia?
Sono questi i dilemmi che danno un senso alle nostre giornate.
I manager italici lo sanno e, resistendo alla naturale pulsione del loro animo gentile che li spingerebbe a portare parole di conforto casa per casa, si trincerano dietro un apparente menefreghismo per lasciare ai cittadini il piacere di condurre un’esistenza improvvisata e spontanea.
Senza quelle certezze educatamente british che la renderebbero così prevedibile, lineare, noiosa.
In una parola: civile.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa“)
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