Febbraio 10th, 2014 Riccardo Fucile
L’INCOGNITA DEI CENTO VOTI SEGRETI
La settimana cruciale per la maggioranza comincia alle 16.15 di oggi, quando, trascorso da circa due ore il termine di presentazione, il «comitato dei nove» presso la commissione Affari costituzionali comincerà l’esame degli oltre 400 emendamenti della riforma elettorale, ormai nota come Italicum.
A guidare i lavori sarà il presidente dell’organismo parlamentare, il forzista Francesco Paolo Sisto che è anche il relatore.
I nove dovranno dare un parere e stabilire la compatibilità delle modifiche rispetto al testo base che approderà domani nell’aula di Montecitorio, dove sono previste 24-25 ore di discussione. «La legge è solida e ha un suo perchè», dice con convinzione Sisto.
Tuttavia il vero problema è tutto politico, al di là degli aggiustamenti tecnici sul meccanismo di trasformazione dei voti in seggi sul quale stanno lavorando da giorni gli esperti.
Reggerà l’accordo tra Matteo Renzi, Silvio Berlusconi e Angelino Alfano?
Reggerà alla prova dei voti segreti (potrebbero essere un centinaio se non bloccati da un maxiemendamento) che alla Camera è possibile chiedere sulla materia elettorale?
A quanti fanno notare questo pericolo, chi segue il dossier per conto del Pd replica obiettando che un primo esame, quella sulle eccezioni di costituzionalità , è stato superato con il 92% di voti a favore da parte del gruppo, e che le preoccupazioni al riguardo appaiono eccessive.
Del resto nega propositi guerreschi anche Gianni Cuperlo, che è il punto di riferimento delle minoranze interne del Pd, quelle stesse indiziate di volersi prendere una rivincita e assai critiche con Renzi per avere scelto come interlocutore Berlusconi.
«Nessun cecchinaggio, nessuna trappola contro questa riforma. Stiamo parlando della tenuta del nostro Paese e sentiamo un profondo senso di responsabilità », garantisce l’ex presidente del Pd.
«Nessuna trappola – insiste Cuperlo – ma bisogna ragionare su alcuni miglioramenti che non debbono mettere in discussione l’impianto: servono migliorie sulla rappresentanza delle donne e sulle liste bloccate».
L’esponente del Pd propone anche, per rendere applicabile l’Italicum, il superamento del bicameralismo paritario perchè, in caso di elezioni, argomenta, «senza quella riforma il rischio è di avere una legge incostituzionale».
Al riguardo un altro esponente del Pd, Giuseppe Lauricella, ha scritto e già depositato una modifica che va proprio nella direzione auspicata da Cuperlo.
E cioè lega l’entrata in vigore del nuovo sistema di voto all’approvazione del Senato delle autonomie.
Una modifica questa che, riferiscono dall’entourage dei renziani, «è fuori dell’accordo». «Sospendere l’applicazione dell’Italicum in attesa dell’altra riforma significa bloccare tutto», concorda Sisto.
In questo quadro di tensione si colloca l’incontro che si terrà in serata tra lo stesso Renzi e i deputati proprio alla vigilia del passaggio in Aula della riforma.
Al momento, un punto di equilibrio che raccolga le varie richieste e che le traduca in norme non è stato ancora trovato.
Anche se, come riferisce il ministro Gaetano Quagliariello, è probabile che nel primo pomeriggio venga presentato dallo stesso relatore un maxiemendamento che tenga conto di tutto.
Pertanto, in linea di massima, lo schema sarebbe questo: la soglia di accesso di una lista coalizzata scenderebbe dal 5 al 4,5%, sarebbe dell’8 per quelle non coalizzate, mentre lo sbarramento per le coalizioni è al 12.
Per accedere al premio di governabilità è necessario raggiungere il 37%, verrebbe cioè ritoccato all’insù per evitare il rischio di incostituzionalità . La lista o la coalizione che lo supera al primo turno si aggiudica 340 seggi.
Qualora nessuno raggiungesse tale soglia si va al ballottaggio al quale accedono i primi due.
Al secondo turno non sono ammessi apparentamenti. Chi arriva primo si aggiudica 327 seggi.
È inoltre previsto il cosiddetto «salva Lega», ovvero una norma che consente a chi raggiunga il 9% in almeno tre circoscrizioni di potere accedere al riparto dei seggi.
Lorenzo Fuccar
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 10th, 2014 Riccardo Fucile
RENZI E BERLUSCONI REAGIREBBERO CONTRO UN PARLAMENTO FUORI CONTROLLO
Domani la legge elettorale arriva in aula alla Camera. 
Ma nei palazzi della politica nessuno si agita piuÌ€ di tanto, poicheÌ l’attenzione adesso eÌ€ concentrata sul duello Renzi-Letta.
Si parlava di «franchi tiratori» in agguato, di emendamenti-trabocchetto per far cadere l’«Italicum» nel voto segreto, dei piccoli partiti pronti all’ultimo disperato assalto…
E invece, alla vigilia delle votazioni l’aria eÌ€ quella di un passaggio parlamentare alquanto scontato, dove l’unica vera incognita la rappresentano i grillini, casomai volessero mettere Montecitorio a ferro e a fuoco per impedire che il testo venga licenziato entro venerdiÌ€.
Cinque stelle a parte, nessuno più contesta la sostanza della riforma
La minoranza Pd, fino all’altro giorno molto sofferente, per bocca di Cuperlo lancia messaggi flautati: «Da parte nostra nessun cecchinaggio, tutto si puoÌ€ dire di noi tranne che manchi il senso di responsabilitaÌ€».
Nemmeno i partiti che rischiano l’estinzione, dai montiani agli alfaniani, pare vogliano sabotare. Fa testo la riflessione a voce alta del ministro Quagliariello (Nuovo centrodestra): «Fin dall’inizio di questa partita il nostro ruolo eÌ€ stato di correzione e di coesione al tempo stesso. Ci siamo battuti per aggiustare un impianto di legge elettorale quantomeno fragile, ma pure per evitare che il tentativo di riforma fallisse creando un alibi per il partito dello sfascio e delle elezioni anticipate».
Esattamente questo eÌ€ il punto: se nei prossimi giorni i «franchi tiratori» riuscissero a stravolgere il famoso patto Berlusconi-Renzi, la gioia durerebbe poco in quanto l’effetto inevitabile sarebbe di scatenare la reazione dei due nei confronti di un Parlamento fuori controllo.
Tornerebbe a riaffacciarsi lo spettro di elezioni immediate, che consentirebbero al segretario Pd (al Cav, a Grillo) di rimodellare le Camere a loro immagine e somiglianza.
Insomma, prima di pigiare il pulsante dell’autodistruzione, gli eventuali «cecchini» ci penseranno bene
E poi ci sono tutti coloro che tifano per un «Letta-bis»: nel mezzo delle trattative, si guarderanno bene dal provocare incidenti di percorso.
Magari vorrebbero le preferenze, oppure gradirebbero alzare la soglia del premio di maggioranza dal 37 per cento al 40.
Però poi ne farebbe le spese Letta, meglio non insistere.
Dunque niente emendamenti al testo base su cui il relatore Sisto (Forza Italia) sta portando le ultime limature?
La previsione è che qualche tentativo di modifica ci sarà.
PeroÌ€ senza mettere in discussione i pilastri della riforma. Piuttosto, cercando di ritardarne l’attuazione nel tempo.
Ad esempio, eÌ€ pronto un emendamento trasversale per rinviare l’entrata in vigore della legge al giorno in cui chiuderaÌ€ il Senato.
La speranza dei proponenti, inutile dire, eÌ€ che quel giorno non arrivi mai…
Ugo Magri
(da “La Stampa“)
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Febbraio 10th, 2014 Riccardo Fucile
SPECULARE VA BENE, MA L’OBIETTIVO SONO LE ELEZIONI CON LA NUOVA LEGGE
Alzare la temperatura contro il “golpe”, mettendo nel mirino Giorgio Napolitano.
Ma evitando di andare fino in fondo sull’impeachment. Perchè l’obiettivo è arrivare al voto, appena approvata la legge elettorale, non far saltare il tavolo sulle riforme con Renzi.
Per una volta Silvio Berlusconi non cede all’istinto di urlare quelle che considera le sue sacrosante ragioni contro Napolitano sulla manovra che lo costrinse a mollare palazzo Chigi.
Tanto che evita di dichiarare sul “complotto” raccontato da Friedman. E opta per un gelido silenzio, lasciando ai suoi il compito di scaldare il clima.
Sceglie una calma molto “politica” il Cavaliere. Perchè considera iper politico il segnale. Non è un caso, ragiona con suoi complottologi, che la ricostruzione di Friedman compaia, nello stesso giorno, su un giornale dell’establishment italiano come il Corriere e su un giornale dell’establishment internazionale come il Financial Times.
Paradossalmente, due giornali che, nel novembre nero dell’era berlusconiana, suonarono, eccome, le fanfare per l’arrivo di Monti.
Il secondo segnale è che, come testimoni della “verità ”, escano allo scoperto Romano Prodi, Carlo De Benedetti, e la ricostruzione è confermata dallo stesso Monti.
Prodi, De Benedetti e Monti. Tre figure ostili che nella prospettiva del Cavaliere rappresentano uno che vorrebbe fare il capo dello Stato della sinistra (Prodi), il nemico economico e politico per definizione, nonchè tessera “numero 1” del Pd di Matteo Renzi (De Benedetti), e uno che cerca incarichi in Europa dopo aver stretto con Renzi un patto di ferro (Monti).
E allora si capisce l’analisi che l’ex premier consegna ai suoi dopo aver chiuso i giornali: “Stanno cambiando cavallo”.
I fantini in questione sarebbero i poteri forti.
Il cavallo scelto sarebbe Renzi.
Una gara che passa attraverso l’indebolimento di Giorgio Napolitano, il grande tutore del governo Letta.
Delegittimare Napolitano per archiviare il suo governo e aprire l’era Renzi, questa l’operazione secondo l’analisi del Cavaliere. Che però resta oscura sul “come”, se cioè attraverso le urne o attraverso un manovrone di Palazzo.
È sulla base di questa analisi che si capisce la regola di ingaggio di alzare i toni, ma senza arrivare fino in fondo sulla richiesta di impeachment.
Forza Italia, annuncia Lucio Malan, si opporrà al voto sulla “manifesta infondatezza” della richiesta di impeachment.
Ma si limiterà a una gazzarra sulle procedure preliminari. Evitando una saldatura con Grillo. Non è un caso che solo Minzolini pronunci la parola “impeachment” mentre tutto lo stato maggiore di Forza Italia si limiti alla richiesta di chiarire i punti oscuri. La evita pure una pasionaria come Daniela Santanchè, spedita da Berlusconi a Piazza Pulita a difendere l’onore della casa: “Quello che è emerso — dice — dimostra che aveva ragione Berlusconi a denunciare il complotto”.
Epperò qui si ferma l’arsenale polemico del Cavaliere.
Perchè l’obiettivo è il voto. Sondaggi alla mano, da giorni l’ex premier ha cambiato di nuovo idea.
Ritenendo che, con la nuova legge elettorale, le elezioni tornano a essere la best option. E — paradossalmente ma non troppo — le dimissioni del capo dello Stato sarebbero controproducenti: “Il nuovo presidente — è il ragionamento dell’ex premier — lo deve eleggere il nuovo Parlamento, non questo”.
Da cui uscirebbe una figura ostile, alla Prodi. Non è un caso che una vecchia volpe come Giuliano Ferrara, ascoltato consigliere nei momenti difficili, si affretti a registrare un video sul Foglio per spiegare che chiedere l’impeachment di Napolitano è un errore perchè rischia di rianimare un governo morente.
Tenere sulla corda il capo dello Stato, ma senza affondare è proprio l’ordine che dirama Berlusconi da Arcore.
Convinto, anche in questo modo, di giocare di sponda con Renzi che non vuole andare a palazzo Chigi senza elezioni.
Ma che vuole il voto una volta approvata la nuova legge elettorale.
E chissà se è una coincidenza, ma la dichiarazione più importante a difesa del capo dello Stato, quella di Renzi, arriva per ultima.
Come fosse un atto dovuto.
Segnali, appunto.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 10th, 2014 Riccardo Fucile
LA RISPOSTA DI NAPOLITANO AL “CORRIERE DELLA SERA” SULLA PATACCA GOLPISTA DEI DUE COMICI DI ARCORE E SANT’ILARIO, APPOGGIATA ANCHE DAI SERVI D’ITALIA
Gentile Direttore,
posso comprendere che l’idea di «riscrivere», o di contribuire a riscrivere, «la storia recente del nostro Paese» possa sedurre grandemente un brillante pubblicista come Alain Friedman. Ma mi sembra sia davvero troppo poco per potervi riuscire l’aver raccolto le confidenze di alcune personalità (Carlo De Benedetti, Romano Prodi) sui colloqui avuti dall’uno e dall’altro — nell’estate 2011 — con Mario Monti, ed egualmente l’avere intervistato, chiedendo conferma, lo stesso Monti.
Naturalmente non poteva abbandonarsi ad analoghe confidenze (anche se sollecitate dal signor Friedman), il Presidente della Repubblica, che «deve poter contare sulla riservatezza assoluta» delle sue attività formali ed egualmente di quelle informali, «contatti», «colloqui con le forze politiche» e «con altri soggetti, esponenti della società civile e delle istituzioni» (vedi la sentenza n. 1 del 2013 della Corte Costituzionale).
Nessuna difficoltà , certo, a ricordare di aver ricevuto nel mio studio il professor Monti più volte nel corso del 2011, e non solo in estate : conoscendolo da molti anni (già prima che nell’autunno 1994 egli fosse nominato Commissario europeo su designazione del governo Berlusconi), e apprezzando in particolare il suo impegno europeistico che seguii da vicino quando fui deputato al Parlamento di Strasburgo. Nel corso del così difficile — per l’Italia e per l’Europa — anno 2011, Monti era inoltre un prezioso punto di riferimento per le sue analisi e i suoi commenti di politica economico-finanziaria sulle colonne del Corriere della Sera. Egli appariva allora — e di certo non solo a me — una risorsa da tener presente e, se necessario, da acquisire al governo del paese.
Ma i veri fatti, i soli della storia reale del paese nel 2011, sono noti e incontrovertibili. Ed essi si riassumono in un sempre più evidente logoramento della maggioranza di governo uscita vincente dalle elezioni del 2008.
Basti ricordare innanzitutto la rottura intervenuta tra il PdL e il suo cofondatore, già leader di Alleanza Nazionale, il successivo distacco dal partito di maggioranza di numerosi parlamentari, il manifestarsi di dissensi e tensioni nel governo (tra il Presidente del Consiglio, il ministro dell’economia ed altri ministri), le dure sollecitazioni critiche delle autorità europee verso il governo Berlusconi che culminarono dell’agosto 2011 nella lettera inviata al governo dal Presidente della Banca Centrale Europea Trichet e dal governatore di Bankitalia Draghi.
L’8 novembre la Camera respinse il rendiconto generale dell’Amministrazione dello Stato, e la sera stessa il Presidente del Consiglio da me ricevuto al Quirinale convenne sulla necessità di rassegnare il suo mandato una volta approvata in Parlamento la legge di stabilità .
Fu nelle consultazioni successive a quelle dimissioni annunciate che potei riscontrare una larga convergenza sul conferimento a Mario Monti — da me già nominato, senza alcuna obiezione, senatore a vita — dell’incarico di formare il nuovo governo.
Mi scuso per aver assorbito spazio prezioso sul giornale da lei diretto per richiamare quel che tutti dovrebbero ricordare circa i fatti reali che costituiscono la sostanza della storia di un anno tormentato, mentre le confidenze personali e l’interpretazione che si pretende di darne in termini di «complotto» sono fumo, soltanto fumo.
Con un cordiale saluto.
Giorgio Napolitano
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Febbraio 10th, 2014 Riccardo Fucile
ALLORA TITOLAVANO SUL “BLITZ DEI POTERI FORTI”: ORA LA COMPAGNIA DI COMICI GRILLINI E FORZISTI ATTACCANO PRETESTUOSAMENTE IL COLLE
Altro che golpe, già nel 2011 i giornali parlavano di “blitz dei poteri forti”. Ecco le prove .
Attorno alla ricostruzione del libro di Alan Friedman (“Ammazziamo il gattopardo”) – secondo cui Giorgio Napolitano avrebbe contattato per la carica di premier Mario Monti già nell’estate del 2011 – si sta scatenando il putiferio.
Eppure, come fa notare su Twitter Concetto Vecchio di Repubblica, nell’agosto del 2011 tutti sapevano che sarebbe toccato a Monti, “basta sfogliare le raccolte dei giornali, specialmente quelli della destra”.
Detto fatto: in data 8 agosto 2011, il Giornale titolava sul “blitz dei poteri forti”, portando il nome di Mario Monti in prima pagina.
Il libro di Friedman, insomma, non aggiunge nulla di nuovo a quanto già si sapeva. Nulla di segreto, dunque, si trattò di “un golpe in chiaro”.
“Di “mistificazione della realtà ” parla il premier Enrico Letta.
“Nei confronti delle funzioni di garanzia che il Quirinale ha svolto nel nostro Paese in questi anni, in particolare nel 2011, è in atto un vergognoso tentativo di mistificazione della realtà “, afferma Letta.
“Le strumentalizzazioni in corso – aggiunge – tentano infatti di rovesciare ruoli e responsabilità in una crisi i cui contorni sono invece ben evidenti e chiari agli occhi dell’opinione pubblica italiana ed europea. Il Quirinale, di fronte a una situazione fuori controllo, si attivò con efficacia e tempestività per salvare il Paese ed evitare quel baratro verso il quale lo stavano conducendo le scelte di coloro che in queste ore si scagliano contro il presidente Napolitano. Stupisce la contemporaneità di queste insinuazioni con il tentativo in corso da tempo da parte del M5S di delegittimare il ruolo di garanzia della Presidenza della Repubblica. A questi attacchi si deve reagire con fermezza. E si devono semmai ricordare agli smemorati le vere responsabilità della crisi del 2011, i cui danni economici, finanziari e sociali sono ancora una zavorra che mette a repentaglio la possibilità di aggancio della auspicata ripresa economica”.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 10th, 2014 Riccardo Fucile
“RINVIARE I DUE FUCILIERI IN INDIA FU UN ERRORE DETTATO DA RAGIONI ECONOMICHE”…LA PIETOSA BUGIA DI PASSERA “NO, BISOGNAVA MANTENERE LA PAROLA DATA”
Giulio Terzi di Sant’Agata torna ad accusare il governo di cui faceva parte, come ministro degli
Esteri, per la decisione di rimandare in India i due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, dopo che erano rientrati in Italia per il Natale.
Decisione che vide il suo fermo dissenso e per la quale decise di rassegnare le dimissioni dalla guida della Farnesina.
E che fu dettata da “considerazioni economiche”.
“Fu un vergognoso errore di Monti su istigazione di Passara”, ha detto l’ex ministro degli Esteri.
“Quando i due marò vennero rinviati in Italia, il governo aveva avuto rassicurazioni da parte dell’India sulla non applicazione della legislazione antiterrorismo. Rassicurazioni puntualmente smentite oggi a Nuova Delhi, dove la pubblica accusa indiana ha ribadito la richiesta di applicazione della legge anti-pirateria (Sua Act), anche se senza la clausola della pena di morte. Latorre e Girone rischiano ora fino a 10 anni di carcere”.
“La notizia di ribaltare la decisione di adottare la procedura di arbitrato – ha detto Terzi – fu avallata sulla base di considerazioni economiche, addotte sia da Monti che da Passera, e dal danno che le imprese italiane avrebbero avuto con l’India se i due fucilieri fossero rimasti in Italia”.
Terzi ha spiegato che quando lasciò l’esecutivo era stata avviata la procedura di arbitrato internazionale che poi fu “inspiegabilmente” lasciata cadere.
“Ci si è affidati interamente agli indiani e questa decisione è stata confermata dal governo Letta”
Non si è fatta attendere la risposta del diretto interessato.
“Il ministro Terzi ha rischiato di far perdere ogni valore agli impegni internazionali del nostro Paese. Dopo aver ottenuto dalle Autorità indiane il rientro natalizio dei nostri fucilieri sulla base di un formale impegno al loro ritorno in India, l’allora ministro degli Esteri cercò di impedire che rientrassero nelle scadenze concordate, venendo così clamorosamente meno alla parola data”, ha detto Corrado Passera.
“Il disagio di molta parte del governo – ha aggiunto – fu enorme e io fui tra coloro che si dichiararono non disponibili ad avallare un comportamento tanto lesivo della dignità e del ruolo del nostro Paese. Il governo italiano ottenne in quella occasione precise garanzie dal governo indiano e la decisione di far rientrare i nostri fucilieri in India fu sottoscritta all’unanimità da tutti i ministri coinvolti”.
(da “il Tempo“)
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Febbraio 10th, 2014 Riccardo Fucile
“BALLETTO PERICOLOSO, OCCORRE UN PIANO CONTRO LA DISOCCUPAZIONE, MA VEDO SOLO UN DIALOGO TRA SORDI”
«Semplicemente inaudito».
Che cosa, professor Cacciari?
«Con questi chiari di luna, con il Paese sprofondato in una crisi senza precedenti, ci si diletta a parlare di rimpasti, staffette, elezioni anticipate: ma siamo matti?».
Vede delle alternative?
«Le forze di governo definiscano al più presto un programma decente per affrontare l’emergenza occupazione e favorire la ripresa industriale. Ma basta con questi balletti tra sordi: io faccio molta fatica a capire Renzi».
Il segretario del Pd sta sbagliando le sue mosse?
«Non da solo. Per quel che lo riguarda, davvero non capisco quale convenienza possa avere a tenere accesa l’attenzione su questa cosa della staffetta: se la fa, Renzi si disfa».
Però in tv il leader del Pd l’ha appena esclusa, con quel «chi ce lo fa fare?» ad andare al governo senza passare attraverso il voto.
«E allora deve spiegare perchè continua a tenere sotto stress l’esecutivo. Solo per tenere viva la sua immagine? E poi: quand’anche arrivasse a Palazzo Chigi, che cosa potrebbe mai combinare Renzi di diverso da Letta? Il presidente del Consiglio fa quel che può, e anche maluccio, se si considerano le enormi difficoltà del Paese. Ma lui farebbe meglio? E con chi, poi?».
Un consiglio a Renzi?
«Eviti la staffetta, e anche la tentazione di andare al voto anticipato prima dei famosi diciotto mesi. In entrambi i casi si rovina, questo è sicuro. Potrebbe e dovrebbe, invece, svolgere un ruolo determinante nel dettare una nuova agenda al governo. Magari ci mandi dentro due o tre dei suoi uomini, ma si tolga dalla testa l’idea suicida di un suo coinvolgimento diretto».
Tutti appesi alla data del 20 febbraio, quando ci sarà la direzione del Pd…
«Tutto tempo sprecato. È un’attesa inutile e dannosa, se si continua con questo balletto va a finire che anche Renzi viene risucchiato nella morta gora della politica. Stia molto attento, lui e tutti gli altri del Pd: sarebbe un disastro».
Perchè?
«Se ci giochiamo anche Renzi, non resta più niente. Alle prossime elezioni mica si può tornare con Prodi o Berlusconi. Cerchiamo di salvaguardare quel piccolo patrimonio che il sindaco di Firenze senza dubbio rappresenta: è giovane, è un animale politico, ha dimostrato indubbie capacità . E secondo me può anche avere la stoffa, se solo si sottrae a questi balletti risibili. Legga Machiavelli…».
Prego, professore?
«Lo legga quando descrive la “virtù ordinata”. Lo vedo un po’ bulimico, ma non c’è dubbio che sia virtuoso. Ecco, si dia una regolata, metta un po’ d’ordine in questa sua virtù».
Rodolfo Sala
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 10th, 2014 Riccardo Fucile
BERLUSCONI LASCIO’ A NOVEMBRE… I SONDAGGI ERANO NORMALI IN UN PAESE SULL’ORLO DEL BARATRO
La torrida estate del 2011 è un momento molto importante e storico per l’Italia.
Il capo dello Stato è preoccupato per le sorti del Paese. La crisi della zona euro è in pieno svolgimento.
Le conseguenze del salvataggio della Grecia portano la speculazione a puntare sui debiti sovrani dei Paesi in difficoltà : inzia a essere minacciata anche l’Italia. In agosto arriverà la famosa lettera della Banca centrale europea che chiede – ma assomiglia più a un’imposizione — misure drastiche di finanza pubblica.
La Germania della Merkel non ama il primo ministro in carica, Silvio Berlusconi.
Lo spread tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi punta pericolosamente verso l’alto. Sui mercati finanziari le operazioni spregiudicate si moltiplicano.
Ma tra giugno e settembre di quella drammatica estate accadono molte cose che finora non sono state rivelate.
E questo riguarda soprattutto le conversazioni tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e Mario Monti, che precedono di quattro o cinque mesi la nomina dell’allora presidente della Bocconi a Palazzo Chigi il 13 novembre 2011.
Per il grande pubblico Monti è quasi uno sconosciuto all’epoca.
L’èlite politico-economica lo stima, è un economista, un editorialista del Corriere della Sera, un ex-commissario europeo, e in quel momento guida una delle più prestigiose università italiane.
Per gli annali della storia il presidente Napolitano accetta le dimissioni di Berlusconi il 12 novembre e avvia, come si conviene, le consultazioni con i gruppi parlamentari e politici. Poi, ventiquattro ore dopo, Monti viene indicato come premier al posto di Berlusconi.
Proprio mercoledì scorso, Napolitano, durante un incontro con gli eurodeputati italiani al Parlamento europeo di Strasburgo, e riferendosi ai governi Monti e Letta, ha detto che «sono stati presentati quasi come inventati per capriccio dalla persona del presidente della Repubblica».
Questo, ha tenuto a precisare il presidente della Repubblica, non è vero perchè non si tratta di nomi diversi da quelli indicati nel corso delle «consultazioni con tutti i gruppi politici e parlamentari, come si conviene».
Stando alle parole di Carlo De Benedetti e Romano Prodi, entrambi amici di Monti, e per ammissione dello stesso ex premier, in una serie di video interviste rilasciate per il libro «Ammazziamo il Gattopardo» (in uscita per Rizzoli il 12 febbraio) le cose sono andate diversamente.
De Benedetti dice che in quell’estate del 2011 Monti, in vacanza vicino casa sua a St. Moritz, è andato a chiedergli un consiglio, se accettare o meno la proposta di Napolitano sulla sua disponibilità a sostituire Berlusconi a Palazzo Chigi, in caso fosse stato necessario.
Romano Prodi ricorda una lunga conversazione con Monti sullo stesso tema, ben due mesi prima, a giugno 2011.
«Il succo della mia posizione è stato molto semplice: “Mario, non puoi fare nulla per diventare presidente del Consiglio, ma se te lo offrono non puoi dire di no. Quindi non ci può essere al mondo una persona più felice di te”».
Durante oltre un’ora di domande e risposte sotto il calore insistente delle luci allestite nel suo ufficio alla Bocconi per la registrazione video dell’intervista, Monti conferma di aver parlato con Prodi (nel suo ufficio alla Bocconi a fine giugno 2011) e con De Benedetti (nella sua casa di St. Moritz nell’agosto 2011) della sua possibile nomina. Ammette anche di aver discusso con Napolitano un documento programmatico per il rilancio dell’economia, preparato per il capo dello Stato dall’allora banchiere Corrado Passera tra l’estate e l’autunno del 2011.
E quando chiedo e insisto: «Con rispetto, e per la cronaca, lei non smentisce che, nel giugno-luglio 2011, il presidente della Repubblica le ha fatto capire o le ha chiesto esplicitamente di essere disponibile se fosse stato necessario?», Monti ascolta con la faccia dei momenti solenni, e, con un’espressione contrita, e con la rassegnazione di uno che capisce che è davanti a una domanda che non lascia scampo al non detto, risponde: «Sì, mi ha, mi ha dato segnali in quel senso».
Parole che cambiano il segno di quell’estate che per l’Italia si stava facendo sempre più drammatica.
E che probabilmente porteranno a riscrivere la storia recente del nostro Paese.
Alan Friedman
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 10th, 2014 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE VUOLE IL SUO COGNOME NEL SIMBOLO E PENSA DI PRESENTARLA IN TUTTE LE CIRCOSCRIZIONI
Il Cavaliere vuole il suo cognome nel simbolo e pensa di candidarla come capolista FI in tutte le circoscrizioni
Per ora è solo un’ipotesi ma secondo uomini vicini a Berlusconi potrebbe diventare realtà : Barbara, la figlia del Cav, in lista per le prossime elezioni europee.
Lo racconta il Messaggero secondo cui la giovane ad del Milan si sarebbe detta disponibile, garantendo al padre il cognome Berlusconi nel simbolo.
Un cognome che, soprattutto i fedelissimi del Cav, vorrebbero invece fosse rappresentato dalla figlia maggiore Marina che però pare non essere intenzionata. L’altro giorno le immagini di lei con il padre in un manifesto di Forza Italia avevano fatto pensare al preludio di qualcosa di serio e si è invece scoperto essere l’iniziativa singola del circolo azzurro di Cellino San Marco.
Stesso discorso vale per un altro candidato dal cognome forte: Pier Silvio.
Anche lui pare non essere assolutamente intenzionato a fare alcun passo, l’altro giorno uscendo dall’udienza del processo Mediatrade aveva escluso anche quello della sorella Marina: “Candidature in famiglia? Non penso proprio”.
Barbara vs Galliani
Il Messaggero spiega come la candidatura di Barbara potrebbe creare qualche problema ad Adriano Galliani al quale Berlusconi ha promesso un posto in Europa. Gli altri candidati che vengono dati per certi sono Giovanni Toti il responsabile dei Club Forza Italia, Marcello Fiori e il creatore dell’Esercito di Silvio, Simone Furlan anche se non tutti dentro il partito del Cav sembrano convinti..
Altro dubbio è quello su Raffaele Fitto. Non corre rischi invece Iva Zanicchi.
(da “Huffingtonpost“)
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