Febbraio 11th, 2014 Riccardo Fucile LA LEGA SI LAMENTA, IN REALTA’ DOVREBBE RINGRAZIARE LA LENTEZZA DELLA GIUSTIZIA ITALIANA: COTA HA GOVERNATO ABUSIVAMENTE QUASI 4 ANNI
Il Piemonte torna alle urne. Il Consiglio di Stato ha respinto l’ultimo ricorso del presidente
della Regione Roberto Cota contro la sentenza del Tar che annullava le elezioni del 2010, confermando che quelle consultazioni sono state irregolari per colpa della partecipazione di una lista (Pensionati per Cota) presentata con l’uso di firme false (per questo il leader Michele Giovine è stato già condannato in via definitiva) e sancendo così l’azzeramento dell’assemblea regionale e il ritorno al voto.
L’udienza di fronte al Consiglio di Stato era terminata attorno alle 16.
I giudici, ai quali in prima istanza era stata richiesta la sospensiva della sentenza di primo grado, hanno invece deciso di entrare direttamente nel merito, dicendo a tutti gli effetti se le ultime elezioni regionali del 2010 sono legittime oppure no.
“Il Consiglio di Stato – si legge nel dispositivo finale dell’ordinanza – in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), previa riunione degli appelli, respinge le istanze cautelari e mantiene ferma l’esecutività della sentenza appellata. Si riserva di depositare la sentenza di definizione della intera controversia ai sensi dell’art. 60 del codice del processo amministrativo”.
Una decisione che deriva anche dalla constatazione che “i difensori di tutte le parti presenti hanno manifestato il loro auspicio che la sentenza sia resa in tempi rapidi”, “hanno aderito alla possibilità di definire la controversia con una sentenza in forma semplificata” e soprattutto che “la controversia riguarda la materia elettorale, che è disciplinata da speciali procedure acceleratorie, in considerazione della necessità di definire rapidamente quali siano le Autorità titolari di poteri pubblici nell’assetto costituzionale”.
Le reazioni.
L’ex presidente Mercedes Bresso, dalla cui iniziativa è scaturita la controversia che ha portato a questa sentenza, commenta così: “Giustizia è fatta, questa volta definitivamente. Finalmente si mette la parola fine a un governo illegittimo. E’ stata una battaglia lunga e dura, ma sono lieta. Ora i tempi per andare a votare accorpando le regionali con le europee e le amministrative ci sono tutti”.
Il legale di Bresso, Gian Luigi Pellegrino, rincara: “Il Consiglio di Stato ha definitivamente ristabilito la democrazia in Piemonte che era stata incredibilmente ferita ingannando gli elettori con una lista farlocca dove nemmeno i candidati avevano mai accettato di essere candidati a sostegno del centrodestra”.
“Ora – conclude l’avvocato – grazie anche alla doverosa rapidità con cui abbiamo ottenuto di concludere il giudizio innanzi al Consiglio di Stato, in Piemonte si vota subito. E’ una vittoria della democrazia e della caparbietà con cui Mercedes Bresso l’ha perseguita ed è una vittoria dei torinesi e piemontesi che credono nello stato di diritto e che attendevano questa sentenza”.
Opposta la reazione del segretario della Lega, Matteo Salvini, per il quale “la sentenza è una vergogna”.
Anche l’ex sindaco di Torino (e fresco ex presidente della Compagnia di San Paolo), Sergio Chiamparino, candidato in pectore alla Regione per il centrosinistra, interviene sulla sentenza: “Sono contento come cittadino: che vinca il centrodestra o il centrosinistra, tra pochi mesi il Piemonte tornerà ad avere certezze”.
“Ho già detto di essere disponibile a candidarmi – ha aggiunto – e, se il Pd lo deciderà , anche a fare le primarie, a condizione che siano vere”.
Quattro anni di battaglia.
È l’ultima tappa dell’odissea di ricorsi che da quattro anni tengono in bilico la giunta del governatore leghista, Roberto Cota.
E che comunque non gli hanno impedito di governare. Il pronunciamento definitivo mette fine alla querelle e stabilisce, senza ulteriore possibilità di appello, che Cota ha occupato illegittimamente il suo ufficio di presidenza in piazza Castello.
Che cosa succede adesso.
Dopo il clamoroso verdetto del Consiglio di Stato, sembrano non esserci più scuse: la sentenza è definitiva e tocca proprio al presidente Cota darle applicazione convocando nuove elezioni. Se non dovesse farlo tempestivamente, tuttavia, i legali della sua avversaria, Mercedes Bresso, sono già pronti a chiedere che un commissario provveda al suo posto.
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Febbraio 11th, 2014 Riccardo Fucile “LE QUOTE NON SONO UNA SOLUZIONE, PRESTO SE NE ACCORGERANNO”…”A GINEVRA E BASILEA, DOVE GLI STRANIERI SONO TANTI, HANNO VINTO I NO”
La famiglia viene dal Salento ma lei, Ada Marra, è nata a Losanna 41 anni fa e oggi è talmente svizzera da sedere in Parlamento a Berna per il partito socialista.
E pronuncia parole spiazzanti.
«Il referendum? Ha vinto chi ritiene che i problemi di questo Paese derivino dagli immigrati ma non è così, le quote non sono la soluzione. Non tarderemo ad accorgercene».
Poche sono state in Svizzera le voci d’accordo con lei.
Proviamo ad analizzare il responso delle urne partendo da un quesito: la caduta dei salari provocata dall’immigrazione è reale o no, specie in Ticino?
«Lo è senz’altro. Ci sono datori che offrono paghe mensili di 1.500 franchi, una miseria. Sono svizzeri ma anche italiani che hanno delocalizzato le aziende. E allora il problema sono gli immigrati o gli imprenditori che sfruttano il dumping salariale?» .
I sindacati propongono in alternativa un salario minimo di 4 mila franchi: è praticabile?
«A maggio torneremo a votare proprio sul salario minimo. Sarà interessante vedere la risposta degli elettori».
Ma questo non spiega ancora la vittoria del sì…
«Determinante è stato il voto di cantoni interni molto tradizionalisti ma che di stranieri ne vedono ben pochi. Invece in zone dove il fenomeno è massiccio, come a Ginevra o Basilea, i contrari sono stati la maggioranza. Certo consapevoli che senza gli stranieri l’economia non regge» .
Allora come mai in Ticino i sì sono stati il 68%?
«È probabile che in Ticino la paura giochi un peso maggiore: se la crisi investe persino regioni forti come Piemonte e Lombardia i timori crescono. Ma se il Ticino vuole tutelarsi può prendere contromisure impedendo lo sfruttamento dei lavoratori» .
di C.Del.
(da il Corriere della Sera“)
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Febbraio 11th, 2014 Riccardo Fucile IL SEQUESTRO DI MEGA-YACHT, UN TESORO DA CENTINAIA DI MILIONI DI EURO
La flotta del Fisco. Roba da fare invidia agli oligarchi russi o agli sceicchi arabi. 
Eccola, bestioni da sessanta metri dove una volta prendeva il sole Naomi Campbell. Alcuni sono stati confiscati, sono cioè diventati proprietà dello Stato.
Altri (quelli sequestrati) se le accuse saranno confermate, potrebbero esserlo molto presto. Un tesoro da centinaia di milioni di euro.
Sanjir sulla rotta del Quirinale
“L’ultimo acquisto dello Stato è il Sanjir, uno yacht sequestrato nel 2009 al miliardario russo Alexander Besputin. L’accusa? Sempre la stessa: mancato pagamento dell’Iva”, racconta il generale Rosario Lorusso, comandante regionale della Guardia di Finanza ligure.
Non parliamo di spiccioli: su un pieno da 90mila euro, si riesce a evadere 45mila.
Non c’è soltanto il gasolio: un maxy yacht può evadere milioni di euro l’anno.
E Lorusso mostra le fotografie della preda: scafo bianco, slanciato. Lunghezza 38 metri. Basta? In realtà il bello si nasconde dentro: saloni da cento metri quadrati, grandi come due appartamenti di noi comuni mortali; arredamenti in legno pregiato lucidato fino a splendere. Poi snocciolando il rosario dei lussi, si va dalle vasche con idromassaggio al solarium.
Quando è stata decisa la confisca, l’autorità giuidiziaria ha chiesto alle amministrazioni dello Stato chi fosse interessato all’imbarcazione.
Ma non è facile trovare qualcuno che ne abbia un effettivo bisogno e disponga delle risorse per mantenerla.
Alla fine ecco la sorpresa: si è fatta avanti la Presidenza della Repubblica.
Il Sanjir, magari ribattezzato — anche se nella marineria si dice che cambiare nome porti sfiga — dovrebbe sostituire l’Argo, più vecchio e lungo “appena” 24 metri.
E subito qualcuno ha arricciato il naso: Giorgio Napolitano in vacanza in Costa Smeralda a bordo della ex-barca di un oligarca russo.
Ma non andrà così, non esattamente. Lo yacht sarà utilizzato soprattutto come idroambulanza.
Sostituirà così il vecchio Raffaele Paolucci, imbarcazione che aveva sulla chiglia 44 anni di servizio.
Difficile immaginare la faccia del “povero” miliardario russo vedendo il suo yacht sfrecciare per i mari portando immigrati o presidenti di quella Repubblica che qualcuno sperava di ingannare.
La buona stella degli allievi
La Stella del Mattino non brilla più, almeno per quell’imprenditore italiano che aveva avuto la bella pensata di immatricolarla alle Isole Marshall. Ma nel 2010 gli uomini della Finanza della Spezia ci hanno puntato gli occhi sopra.
Difficile, del resto, non ammirarla: il “Morning Star”, stella del mattino, è il sogno di ogni velista. Parliamo di un Rivolta 90, cioè novanta piedi, che poi sarebbero la bellezza di 28,42 metri.
Sulla coperta svetta un albero alto come una sequoia, capace di reggere vele immense, uno spinnaker grande quanto la cupola di una cattedrale. Un progetto unico, realizzato in Florida sul modello degli yacht che negli anni Trenta regatavano in Coppa America. In tutto fanno 47 tonnellate, per una barca capace di reggere ogni mare. Ma agilissima e veloce.
Chissà , forse il proprietario sognava di vincere regate con le barche più belle del Mediterraneo. Gli è andata male: oggi il Morning Star non si chiama più così. Addio nomi poetici e forse un po’ snob. Sarà Grifone. E addio alla bandiera dei paradisi fiscali. Meglio quella della italiana. A bordo i ragazzi della Scuola Nautica della Finanza. Le regate le fanno loro.
Il Limoncello ubriaca l’ambasciatore
Il colonnello Maurizio Tolone estrae la foto di un’altra preda dei suoi uomini. Era di proprietà di un ambasciatore americano nel nord Europa.
“Un tipo innamorato del nostro Paese”, racconta Tolone. Già , a giudicare dal nome, amava il limoncello . Ma non le nostre tasse.
Fingeva di usare la barca per il noleggio, peccato che la affittasse sempre a se stesso. Solita ricetta. Magari sperava che il passaporto americano tenesse lontana la Finanza. Sbagliato.
Del resto quello yacht bianco immacolato non poteva passare inosservato: 36 metri di lunghezza, legno dappertutto. Per non parlare degli interni: non cuccette, quelle sono per i comuni mortali, qui si parla di quattro suite. Stanze degne del Danieli di Venezia. Ma il Limoncello non è un giocattolino. Difficile da nascondere. Così finisce nella rete. Come molti altri. Una flotta sempre più grande.
Il primo passo è il sequestro (come per il Force Blue su cui navigava Flavio Briatore), poi comincia il processo. E alla fine, in caso di condanna, vanno allo Stato. Per diventare, chissà , motovedette, barche di soccorso. O per essere vendute. Il Limoncello ha portato nella casse dello Stato euro sonanti. Tanti.
007 a caccia grossa
Il generale Lorusso e il colonnello Tolone sono una miniera di storie. Come i loro uomini: poche divise, li trovi in jeans, a scartabellare tra faldoni di migliaia di pagine, a navigare su internet, a seguire le navi sul satellite.
E, perchè no, a consultare rotocalchi. Perchè a volte a fregare un evasore è una fotografia. Clic, ecco un ospite illustre, una bella donna sdraiata in costume sul ponte.
L’immagine finisce sulle copertine dei giornali, nelle case di milioni di italiani. E negli uffici dei finanzieri che leggono giornali mondani di mezzo globo.
Soprattutto d’estate. “Come quella volta che un noto industriale del Nord si lasciò tentare da un’intervista a un settimanale sudamericano. Come poteva immaginare che noi lo leggessimo?”.
Zac, gli scappò una frase sullo yacht. Allora era suo e non di una società come aveva giurato e spergiurato. Un lampo di vanità . Fatale. Così dopo poche ore la nave di sessanta metri era sequestrata. A bordo un Picasso che da solo valeva decine di milioni.
Altre volte ci vogliono appostamenti. O soffiate di informatori sparsi sui moli.
E scatta l’inseguimento che può durare mesi. Finchè una mattina sulla passerella tirata a lucido del maxy-yacht si presentano tre uomini in divisa con un foglio di carta in mano: sequestro. Vittoria? No, non è così semplice.
Sembra un po’ una versione moderna di Robin Hood che prende — non ruba, stavolta — ai super-ricchi per dare ai contribuenti. Uno scontro che è prima di tutto simbolico.
Da una parte la Guardia di Finanza con i loro stipendi da poche migliaia di euro. Dall’altra milionari che sotto quello stesso sole passano le giornate sdraiati accanto a modelle alte fino al cielo.
Ma non ascoltate chi tira fuori parole tipo invidia o vendetta del povero statale verso il miliardario. Qui la colpa non è la ricchezza.
È tutta un’altra storia: quelle bandiere delle Cayman sono il simbolo dell’evasione fiscale. Mezzo miliardo, secondo le stime della Finanza e dell’Agenzia delle Entrate, che ogni anno invece di entrare nelle casse dello Stato restano nelle tasche già gonfie degli armatori.
Una cifra che da sola vale una piccola manovra. Basta camminare per i moli di un porto come quelli della Liguria e della Costa Smeralda per capire il fenomeno: fino all’80% dei maxi-yacht batte bandiere di paradisi fiscali.
Il generale Lorusso ci tiene a ripeterlo: “Noi non siamo, come qualcuno vorrebbe far credere, i castigatori dei maxi-yacht. Sono una delle eccellenze dell’industria italiana. Speriamo se ne vendano tanti, sempre di più. Ma dobbiamo intervenire quando sono utilizzati per evadere il fisco. Cioè sottrarre soldi al nostro Stato. A noi cittadini”.
A volte vince il Fisco. Altre gli evasori. È un po’ come il doping: trovato il rimedio, si scova subito un altro modo per aggirare i controlli.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 11th, 2014 Riccardo Fucile IN REGIONE I CINQUESTELLE SPENDONO 61.000 EURO AL MESE PER 29 PORTABORSE
La scissione tra i grillini palermitani è ufficiale: gli attivisti espulsi dal Meetup “Il grillo di Palermo” perchè ritenuti in contrasto con le idee del gruppo, hanno fondato un altro gruppo, il “Movimento 5 Stelle Palermo”.
I Meetup sono il cuore pulsante del movimento di Beppe Grillo, rappresentano le sedi virtuali del “partito”, sono dei forum dove la base si confronta, si fissano le riunioni, si organizzano seminari.
A sei anni dalla nascita, a Palermo il “partito” si è spaccato.
Non è certo il primo caso in Italia e i numeri sono ancora impari: il vecchio conta oltre duemila iscritti, il nuovo solo una quarantina. Ma il valore è soprattutto politico.
Da un lato ci sono i sostenitori del deputato Riccardo Nuti, dall’altro i “ribelli”, più vicini alle idee del senatore Francesco Campanella, che contestano ad esempio la chiusura al dialogo sulla legge elettorale.
Una faida interna che va avanti da mesi, alimentata dalla denuncia, la scorsa estate, di un attivista grillino, che avrebbe segnalato anomalie nella raccolta firme per la candidatura di Riccardo Nuti a sindaco di Palermo.
Adesso, la nascita del nuovo Meetup, alla vigilia della corsa per le Europee, preannuncia di certo una nuova battaglia.
(da “il Giornale di Sicilia”)
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Febbraio 11th, 2014 Riccardo Fucile IL MINISTRO BONINO: “ALCUNI CHE OGGI SI AGITANO TANTO SONO ALL’ORIGINE DEL CASO MARO'”… “IL PROBLEMA E’ LA LEGGE LA RUSSA CHE PREVEDEVA INOPINATAMENTE MILITARI A BORDO DI NAVI CIVILI SENZA FISSARE LE LINEE DI COMANDO”… L’AFFARE DA 300 MILIONI DI FINMECCANICA
Palazzo Chigi ora sostiene che è tempo di mostrare agli indiani e alla comunità internazionale
di essere un Paese unito. Sarà così.
Ma il tempo della verità sulle zone d’ombra che avvolgono l’affaire-marò, e che chiamano pesantemente in causa i due governi precedenti all’attuale, quello guidato da Silvio Berlusconi e l’esecutivo Monti, non può essere procrastinato all’infinito.
Contractor in divisa
Sulla vicenda marò «il problema è la legge La Russa, che prevede la presenza di militari a bordo senza definire linee di comando».
È un attacco diretto all’ex ministro delle Difesa, Ignazio La Russa, quello lanciato il 27 gennaio scorso dalla ministra degli Esteri, Emma Bonino.
«Mi riferisco alla legge La Russa, al decreto missioni. Fu proprio quel decreto che prevedeva inopinatamente militari su navi civili senza stabilire per bene le linee di comando. Alcuni tra coloro che oggi si agitano tanto sono all’origine del “caso marò”. Tutto questo sarà utile rivederlo a conclusione positiva della vicenda», dice la ministra intervistata da Mattino 24.
Regole d’ingaggio che equiparano i militari italiani a semplici guardie giurate, a «contractor”; e catena decisionale, prevista dalla convenzione tra Difesa e associazione degli armatori, per la quale i militari italiani a bordo sono di fatto «ufficiali di polizia giudiziaria limitatamente alla repressione di un attacco di pirata, ferme restando per il resto le attribuzioni del Comandante della nave».
Un passaggio non secondario, perchè la Enrica Lexie tornò in porto e i marò scesero a terra, dove vennero subito arrestati in modo da esser sottoposti alla giustizia indiana e non a quella italiana come avrebbe dovuto essere, per precisa disposizione del Comandante, e dunque dell’armatore: il ministero della Difesa, a quanto se ne sa, fu solo informato. Dunque, le basi del pasticciaccio stanno tutte in due documenti: il decreto legge del 12 luglio 2011, che rende possibile imbarcare militari italiani su navi civili, e la convenzione che la Difesa – allora retta da Ignazio La Russa – e la Confitarma firmano pochi mesi dopo, l’11 ottobre.
Contratti in ballo
Sarà un caso. Una coincidenza temporale.
Fatto sta che proprio nelle ore in cui il governo guidato da Mario Monti, con l’ammiraglio Giampaolo Di Paola alla Difesa e Giulio Terzi di Sant’Agata alla Farnesina, stava completando le trattative per il clamoroso dietrofront, rispedendo in India i due marò. il ministro della Difesa di New Delhi ha annunciato il via libera a una commessa del gruppo Finmeccanica.
Un accordo da 300 milioni di dollari con la Wass di Livorno per la fornitura di siluri ad alta tecnologia.
D’altro canto, a più riprese l’autorevole quotidiano della capitale Times of India si è chiesto apertamente se il ritorno dei marò non sia stato «influenzato» da valutazioni di ordine commerciale: «Non è chiaro se gli imprenditori italiani abbiano fatto pressioni al governo italiano per rimandarci i marò e a che livello, ma è stato comunque espresso l’auspicio per una soluzione “diplomatica” della crisi, affinchè non dovessero risentirsi gli scambi commerciali, ancora relativamente piccoli ma in crescita».
E anche l’Hindustan Times ha battuto sullo stesso tasto: «Roma potrebbe aver realizzato che la sua decisione era controproducente, visto che l’India era pronta a riconsiderare i rapporti bilaterali nel caso di un mancato rientro dei due marò (…). Un ridimensionamento dei rapporti avrebbe colpito duramente l’Italia, e la prima vittima sarebbe stata Finmeccanica».
In ballo non c’era solo la maxi-fornitura di dodici elicotteri Augusta (per un valore pari a 560 milioni di euro) «congelata», e successivamente annullata dal governo di New Delhi dopo l’esplosione dello scandalo Finmeccanica in Italia.
Non solo elicotteri, dunque: attualmente, sono circa 400 le società italiane già operanti in India.
Complessivamente, l’interscambio commerciale tra Italia e India si aggira sui 8,5 miliardi. In ballo ci sono anche 1.000 miliardi di grandi opere che l’India vorrebbe realizzare (o quantomeno avviare) entro il 2017.
Silenzio internazionale
Sarà per la convinzione, errata, che alla fine tutto si sarebbe messo a posto, sarà per non dover dividere con altri partner la torta di affari con New Delhi, fatto sta che l’Italia fa passare tanto, troppo tempo, prima di investire le istituzioni sovranazionali del caso marò, in primis l’Unione Europa.
Anche questo colpevole ritardo viene lasciato in eredità al governo attuale.
Per mesi nessuna cancelleria europea si esprime, Angela Merkel si volta dall’altra parte, gli inquilini dell’Eliseo, prima Sarkozy dopo Hollande, si occupano di altre grane internazionali, tace l’Alta rappresentante per la politica estera dell’Ue, Catherine Ashton.
Da Bruxelles si ripete: è un affare tra Italia e India.
Si volta pagina con Bonino alla Farnesina.
U.D.G.
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Febbraio 11th, 2014 Riccardo Fucile ULTIMO NODO: IL RUOLO FUTURO DI LETTA
Tutto si deciderà entro giovedì, come ha detto il segretario del Pd Matteo Renzi, ma, di fatto, l’ipotesi della staffetta, al momento, è l’unica al vaglio dei leader dei partiti, dei vertici delle istituzioni e degli ambienti economici e imprenditoriali che contano.
Nei palazzi della politica si parla solo di questo e si dà¡ l’avvicendamento Letta-Renzi per prossimo, sebbene, non vi sia ancora niente di ufficiale.
Per definire il nuovo scenario manca infatti qualche tassello, anche se i protagonisti principali e i loro interlocutori sanno già quale indirizzo abbiano ormai preso gli eventi.
E, soprattutto, manca ancora l’atterraggio soft da offrire al premier Letta per rendere questo passaggio il meno cruento possibile e per offrire a chi si è assunto il peso di guidare l’Italia in questi momenti difficili il minimo che gli si possa offrire: l’onore delle armi.
Per questa ragione la situazione a oggi non si è sbloccata e il presidente del Consiglio resiste e contrattacca (in quest’ottica ha annunciato la presentazione, a scadenza brevissima,di un patto di coalizione).
Anche se sa che ormai il suo partito vorrebbe Renzi a Palazzo Chigi.
Anche se ha intuito che le resistenze di Angelino Alfano, al di là¡ delle dichiarazioni di rito, sono sempre più deboli, perchè il sindaco di Firenze può offrire al leader del Nuovo centrodestra ciò che l’attuale premier non può promettergli: una legislatura che duri fino al 2018.
(da “il Corriere della Sera“)
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Febbraio 11th, 2014 Riccardo Fucile “LA RIFORMA ELETTORALE SARA’ UNA PROVA DEL NOVE”
«Non credo che tutti i sostenitori della staffetta tra Letta e Renzi siano spinti da buoni
propositi, alcuni cercano semplicemente una scorciatoia per bruciare Matteo».
Debora Serracchiani, “governatrice” del Friuli Venezia Giulia, renziana, teme una trappola per il segretario del Pd.
Serracchiani, la situazione politica si aggroviglia?
«Diciamo che stanno arrivando al pettine nodi importanti, dalla legge elettorale alle riforme costituzionali, alle questioni del lavoro: l’azione del Pd ha avuto uno slancio con la segreteria di Renzi. È il momento di sciogliere quei nodi».
E al tempo stesso il governo Letta ha finito la sua corsa?
«Il Pd ha lavorato per consegnare al premier strumenti che gli permettessero di impostare, di avviare un lavoro importante di riforme. Avere consegnato in un mese e mezzo il testo di una nuova legge elettorale, avere impostato la discussione sul Job Act e avere posto la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie, significa che noi democratici stiamo facendo la nostra parte. Il governo Letta però dovrebbe avere una spinta, un battito d’ala».
Il bivio è tra un governo che vivacchi e uno forte che duri almeno 24 mesi se non l’intera legislatura?
«Ci devono essere le condizioni perchè il governo imposti le riforme, dopo di che la scadenza di un esecutivo non gliela diamo noi ma i fatti e i risultati».
Quindi come vede Renzi a Palazzo Chigi?
«Matteo correttamente aspira a una legittimazione popolare: quello resta l’obiettivo primario. Ma credo anche che sono tantissime le spinte ricevute da più parti per sostituirsi a Letta. Lo ha già detto e spiegato: il punto fondamentale non è quello che conviene a lui, ma quello che conviene agli italiani».
In cuor suo lei gli sconsiglia di sostituirsi a Letta?
«Perchè Matteo vada a Palazzo Chigi ci dovrebbero essere condizioni chiare. Invece in questa richiesta a Renzi di rendersi disponibile ci sono interessi confliggenti: non tutti coloro che insistono hanno a cuore il bene del paese, per alcuni è il modo migliore per bruciarlo».
La riforma elettorale è il passaggio decisivo?
«La riforma elettorale nelle prossime ore sarà una prova del nove».
Però dei miglioramenti all’Italicum sono necessari?
«Nelle condizioni date è stato prodotto il migliore accordo possibile, tenuto conto che le regole vanno scritte con il più ampio consenso, a parte coloro come i 5Stelle che hanno ritenuto di non partecipare ad alcuna discussione. Ho molta fiducia nel lavoro fatto da Boschi e da Guerini n queste settimane. Anche all’interno del Pd c’è la consapevolezza dell’importanza del momento, mi auguro non si metta a rischio un percorso così delicato, se no non ci sarà molto altro di cui discutere ».
A quel punto si andrebbe a votare?
«Mi pare evidente. Se si affossa la riforma presentata dal maggiore partito della maggioranza, allora si pone un problema politico importante».
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 11th, 2014 Riccardo Fucile L’INFEZIONE AVEVA RAGGIUNTO I POLMONI…LA DENUNCIA DEL CODACONS: ORMAI L’11% DEGLI ITALIANI RINUNCIA ALLE CURE MEDICHE, IL 23% A QUELLE ODONTOIATRICHE
All’inizio era un semplice mal di denti. Sembrava un dolore da sopportare senza drammatizzare troppo. Eppure in seguito si è trasformato in un ascesso poi degenerato in infezione.
Una patologia trascurata, anche per motivi economici, che ha provocato la morte di una ragazza di 18 anni, Gaetana Priolo. La giovane, che abitava a Palermo nel quartiere Brancaccio, non si era curata; qualcuno dice che non aveva i soldi per pagare il dentista.
Un comportamento che le è stato fatale: è spirata tra giovedì e venerdì scorso nell’ospedale Civico per uno «shock settico polmonare».
Le condizioni economiche della famiglia della ragazza sono disagiate ma decorose.
Gaetana era la seconda di quattro figli di una coppia separata: il padre, barista, era andato via un paio di anni fa. Nella casa di via Azolino Hazon erano rimasti la moglie, la sorella maggiore di Gaetana, il fratello e una bambina di quasi cinque anni.
Per sopravvivere e mantenere la famiglia la madre lavorava come donna delle pulizie. «È stata sempre presente, attenta, una donna con gli attributi», dice Mariangela D’Aleo, responsabile delle attività del Centro Padre Nostro, la struttura creato da don Pino Puglisi, il parroco uccisa dalla mafia nel ’93, per aiutare le famiglie del quartiere in difficoltà .
L’inizio del calvario per Gaetana comincia il 19 gennaio scorso: il dolore è insopportabile tanto da far perdere i sensi alla diciottenne. La ragazza in prima battuta viene trasportata al Buccheri La Ferla e visitata al pronto soccorso per sospetto ascesso dentario.
«Dopo due ore circa, in seguito alla terapia, essendo diminuito il dolore, – afferma una nota della direzione del nosocomio – è stata dimessa per essere inviata per competenza presso l’Odontoiatria del Policlinico di Palermo».
Dove però Gaetana non è mai andata. Si è invece fatta ricoverare il 30 gennaio al Civico dove le sue condizioni sono apparse subito gravi: in seconda rianimazione le viene diagnosticata una fascite, un’infezione grave che partendo dalla bocca si è già diffusa fino ai polmoni – dicono all’ospedale -. I medici fanno di tutto per salvarla, ma le condizioni critiche si aggravano ulteriormente fino al decesso avvenuto la settimana scorsa.
La procura di Palermo ha aperto un’inchiesta.
Il corpo si trova nell’istituto di medicina legale del Policlinico.
«È un caso rarissimo – spiega una dentista – ma certo non si può escludere che possa accadere».
Soprattutto quando si trascura la cura dei denti. Ed è questo un fenomeno in crescita.
«L’11% degli italiani rinuncia alle cure perchè non ha le possibilità economiche, e nel caso delle visite odontoiatriche la percentuale sale al 23% – denuncia il segretario nazionale Codacons, Francesco Tanasi -. In Sicilia la situazione è addirittura peggiore. Chi non può permettersi un medico privato, si rivolge alla sanità pubblica, settore dove però le liste d’attesa sono spesso lunghissime, al punto da spingere un numero crescente di utenti a rinunciare alle cure».
(da “La Stampa”)
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Febbraio 11th, 2014 Riccardo Fucile BECCHI REPLICA: “TOLGO IL DISTURBO”
Beppe Grillo “scomunica” Paolo Becchi. 
“Non rappresenta in alcun modo il Movimento 5 stelle” scrive il leader del M5s sul profilo Twitter.
Il professore ordinario di Filosofia del Diritto all’Università di Genova era noto per essere l'”ideologo” dei 5 stelle e il loro costituzionalista di riferimento.
Becchi aveva posizioni molto nette ed era una presenza assidua sul blog di Beppe Grillo.
Per ulteriore chiarezza, il leader a 5 stelle aggiunge che “i suoi interventi sono a puro titolo personale”.
E’ probabile, si spiega, che la presa di distanze di Grillo nei confronti di Becchi arrivi in seguito alla partecipazione di Becchi alla puntata di ieri di Piazza Pulita.
La replica del professore non si fa attendere. “Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere. Tolgo il disturbo” risponde su Twitter lo stesso Becchi, citando un aforisma del filosofo Ludwig Wittgenstein.
Grillo aveva già preso le distanze da Becchi lo scorso maggio, per le parole che aveva utilizzato durante una puntata della Zanzara subito dopo la nomina di Fabrizio Saccomanni al ministero dell’Economia: “Se qualcuno tra qualche mese prende i fucili non lamentiamoci, abbiamo messo un altro banchiere all’Economia” aveva detto Becchi.
Anche allora la scomunica di Grillo arrivò su Twitter.
Poi il riavvicinamento.
(da “La Repubblica“)
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