Destra di Popolo.net

FINANCIAL TIMES ATTACCA MATTEO RENZI: “POTREBBE PAGARE CARA LA PUGNALATA A LETTA”

Febbraio 13th, 2014 Riccardo Fucile

“SE QUESTI SONO I SUOI METODI, UN GIORNO SARANNO USATI CONTRO DI LUI”… “FA TROPPE PROMESSE DIFFICILI DA MANTENERE”

“La pugnalata pubblica che Renzi ha inflitto a Letta potrebbe un giorno tornare a tormentarlo”.
Lo scrive il Financial Times online, sottolineando che “se questi sono i metodi che egli considera appropriati per spianarsi la strada verso il potere, è ragionevole pensare che essi prima o poi saranno usati contro di lui”.
E questo “è ancora più certo perchè Renzi, promettendo uno stile di leadership molto più dinamico e riformista, ha alzato le aspettativi a livelli che saranno difficili da raggiungere”
“C’è un vecchio detto – scrive nell’incipit del suo approfondimento il giornalista Tony Barber – che sostiene che se fosse noto come è fatta una salsiccia, nessuno oserebbe mangiarne una. Per lo stomaco, prosegue, non è più semplice “assistere agli intrighi politici che stanno dietro alla formazione dei governi in italia”.
Secondo Ft, è difficile vedere “chi altro rispetto al giovane e iper-ambizioso Renzi sostituirà  Letta”. Se Renzi, in qualità  di Presidente del Consiglio, non riuscisse a realizzare le riforme che i politici del vecchio continente reputano essenziali per mantenere l’italia nell’Eurozona, sono assai ridotte le prospettive che un altro politico italiano possa farcela.
L’omicidio pubblico di Letta da parte di Renzi, sostiene il Financial Times, è una sorta di teatrale “pugnalata” al petto che un giorno potrebbe tornare a tormentarlo.

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“COMMEDIA DELL’ARTE”: IL REGOLAMENTO DI CONTI NEL PD SUSCITA L’IRONIA DEI GIORNALI STRANIERI

Febbraio 13th, 2014 Riccardo Fucile

PER IL NEW YORK TIMES “E’ STATA UNA RIVOLTA DI PARTITO”

Le dimissioni di Enrico Letta sono la breaking news nel mondo: dalla agenzia France Presse al Financial Times, passando per El Pais e altri grandi media europei e mondiali.
“L’Italia aspetta Renzi, il demolition man”, titola il FT.
“Letta annuncia le sue dimissioni, dopo essere stato messo da parte dal suo partito”, scrive il quotidiano spagnolo.
Il New York Times mette nero su bianco che a far fuori Letta è stata una “rivolta di partito”.
“Commedia dell’arte: Come il sindaco di Firenze ha portato il primo ministro italiano a dimettersi”, è il titolo di apertura scelto dai colleghi dell’Huffington Post francese.
Semplicemente un “Ciao!”, invece, sulla home page di HuffPost Spagna, che fa notare come il suo governo sia durato appena 10 mesi.
“Il primo ministro Enrico Letta annuncia le sue dimissioni”, è il flash della Afp, mentre il Financial Times annuncia che “Letta presenterà  domani le sue dimissioni da premier al presidente Giorgio Napolitano, dopo che il suo Partito Democratico lo ha di fatto licenziato da primo ministro”.
“Il premier Letta si dimetterà “, è il titolo della Bbc online, mentre El Pais scrive che “Letta annuncia le sue dimissioni sotto assedio”, utilizzando il termine ‘accoralado’ che si riferisce ad Ok Corral.
Il tedesco Der Spiegel e il francese Le Monde titolano sobriamente “il premier italiano si dimette”.

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AMICI MIEI: ALLA SCUOLA HOLDEN ENTRANO I RENZI BOYS

Febbraio 13th, 2014 Riccardo Fucile

FARINETTI SOCIO PRINCIPALE DELLA SOCIETà€ DI BARICCO, IMPEGNATA IN UN MEGA PROGETTO DA 4 MILIONI DI EURO… E NEL CDA SIEDE IL FUND RAISER DI FIDUCIA DEL SINDACO

Alessandro Baricco e Oscar Farinetti sono tra gli ipotetici ministri dell’altrettanto ipotetico esecutivo Renzi.
Tra smentite ufficiali e non, è plausibile che il sindaco fiorentino tenti di presentarsi al soglio governativo con gli uomini più fidati.
E i due, Baricco e Farinetti, oltre a essere amici del segretario democratico, da pochi mesi sono anche soci.
Con esattezza dal 13 maggio 2013, quando il patron di Eataly, attraverso una sua controllata affidata al figlio Francesco e creata ad hoc appena dieci giorni prima, la Eataly Media, ha acquistato il 25% della Holden srl di Baricco per 800 mila euro. Partecipazione poi aumentata fino all’attuale 36,7% a scapito degli altri due soci, Baricco e la Effe 2005 Gruppo Feltrinelli, che oggi detengono rispettivamente 31,78 e 31,52 per cento.
Nella srl torinese c’è anche l’uomo più fidato di Renzi: il suo fund raiser Marco Carrai, che siede nel consiglio di amministrazione sin dal 14 marzo 2012.
Ed è stato Carrai a presentare Baricco al sindaco fiorentino e a convincerlo a intervenire alla Leopolda del novembre 2012.
Nulla di complesso per chi, come Carrai, è bravissimo a persuadere imprenditori e finanzieri ad aprire ciò che hanno più a cuore: i portafogli, così da finanziare le campagne elettorali di Renzi.
La scuola Holden in meno di un anno è diventata un perno dell’universo renziano. L’arrivo di Eataly Media ha apportato un fondamentale innesto di nuovi capitali, benchè la società  di Farinetti sia una srl con un capitale versato di appena 25 mila euro.
Ha un amministratore unico, Francesco Farinetti, e non si conoscono ancora i conti economici, visto che è nata solamente nel 2013.
Abbiamo più volte cercato di contattare Eataly senza però riuscire a ottenere una risposta dall’ufficio stampa, in dieci giorni.
Decisamente più disponibile la Holden.
La società  chiuderà  in perdita il 2013, come già  avvenuto nel 2012. A confermarlo è il direttore operativo nonchè procuratore speciale Lea Iandorio . “La perdita della Holden srl del 2012 è precisamente di 69.874,00 euro” ed “è stata riportata a nuovo e non è stata coperta avendo un capiente capitale sociale” versato pari a 2 milioni 180 mila euro.
“Non sappiamo ancora come uscirà  il bilancio 2013 che però sarà  sicuramente in perdita dato che la Holden ha investito in un progetto tutto nuovo e prevede gli stessi tempi di rientro degli investimenti di una start up (almeno cinque anni )”, ha spiegato Iandorio al Fatto.
La scuola di Baricco nel settembre 2012 ha infatti firmato una convenzione con il Comune di Torino per avere in uso la ex Caserma Cavalli, un’area di circa 4 mila metri quadrati in cui trasferire la propria sede.
Uno spazio enorme concesso per 30 anni in cambio della ristrutturazione degli edifici. I lavori saranno completati nel giugno 2014 e hanno richiesto un investimento economico di 3 milioni 600 mila euro.
Un impegno notevole, considerati anche i risultati registrati dalla Holden negli ultimi anni.
L’ultimo bilancio in utile, per 11 mila euro, risale al 2010.
Insomma il progetto è più che impegnativo, eppure la Holden ha vinto il regolare bando del Comune ricevendo la benevola benedizione del sindaco Piero Fassino che ha anche partecipato all’inaugurazione dei primi spazi ristrutturati nel quartiere di Borgo Dora lo scorso 14 settembre.
Quella sera c’erano tutti . Matteo Renzi è prima intervenuto alla festa del Pd, ha cenato con Oscar Farinetti e poi i due, insieme, si sono presentati alla Holden dove ad aspettarli hanno trovato anche Fassino.
“Sono qua per amicizia, che è la cosa più bella che c’è”, disse Renzi all’epoca già  impegnato nella campagna elettorale per le primarie dell’8 dicembre.
E magari sarà  sempre per amicizia che porterà  al governo Baricco alla Cultura.
Non è certo una novità , il sindaco di Firenze è accerchiato da fidatissimi.
Carrai e pochi altri. Maria Elena Boschi, per dire, è stata inserita nel board della Fondazione Open (evoluzione della Big Bang) e con ogni probabilità  entrerà  nell’eventuale esecutivo Renzi.
Ma lei è una politica, non è un imprenditore come Farinetti, fra l’altro prossimo allo sbarco in Piazza Affari.
“Eataly prima o poi si quoterà , ma non adesso, forse nel 2017, prima deve diventare un po’ più globale”, ha detto martedì il patron alla presentazione del progetto Fico a Bologna: 80 mila metri quadrati con un fondo di investimento compreso fra i 95 e i 400 milioni di euro.
“Accidenti ai quattrini, finiscono sempre col darvi una malinconia del diavolo”, diceva il giovane Holden.
Renzi invece preferisce una frase tratta da Novecento di Baricco: “Non è quello che vidi che mi fermò, ma quello che non vidi”.
L’ha usata per le primarie a sindaco nel 2009.
Da allora non s’è mai fermato.

Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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“PORTIAMO LE PATATINE SAN CARLO A EATALY”: NARDELLA, IL VICE DI RENZI, INVECE CHE ALLA CRISI NEL PD PENSAVA AL BUSINESS

Febbraio 13th, 2014 Riccardo Fucile

PAPABILE PER UN MINISTERO, OGGI SI PREOCCUPAVA DI PORTARE IL PRODOTTO NEGLI SPAZI DEL GRANDE SPONSOR DI RENZI, OSCAR FARINETTI

Sono le undici del mattino.
C’è il sole su Roma, si attende pioggia o grandine dentro la sede del Pd.
Nel frattempo Renzi aspetta, anche Letta aspetta.
Lima il suo discorso il primo, le tattiche, forse pensano a una strategia. Sempre forse. Magari sono preoccupati per le sorti proprie o del Paese.
E Dario Nardella che fa? Pensa alla patatina.
Via qualunque immagine erotica, nessun riferimento con la sfera femminile, qui parliamo di business, quello che fa sorridere il cuore e il portafogli.
Per questo l’ex vicesindaco di Firenze, braccio di destro di Matteo Renzi, prossimo ministro se va bene, primo cittadino fiorentino se va male, si siede alla Caffetteria di piazza di Pietra e spiega al telefono: “Sì, posso parlare tranquillamente. Sì, non c’è problema. Ascoltami, ora contatto il braccio destro di Oscar (Farinetti, ndr), perchè dobbiamo portare la patatina San Carlo dentro Eataly… Sì! E’ l’unica interamente italiana”.
Nuovi altri sorrisi con i due seduti davanti a lui.
Sorrisi di intesa ricambiati.
“E’ l’unica italiana, dobbiamo aspettare l’offerta degli altri e presentarne una di un euro in meno, basta un euro… ah ah ah ah”.
Per la cronaca: anche Oscar Farinetti è tra i papabili come ministro.
Magari tra pochi giorni potranno parlarne di persona prima di un consiglio dei ministri.
Non di politica, di patatine, ovvio

(da “il Fatto Quotidiano“)

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LE FRASI CELEBRI DI MATTEO RENZI, UOMO D’ONORE: ORA GOVERNERA’ L’ITALIA CON LA STESSA COERENZA

Febbraio 13th, 2014 Riccardo Fucile

NEGLI ULTIMI DUE MESI AVEVA SPERGIURATO   CHE MAI AVREBBE CERCATO DI SCALZARE ENRICO LETTA

“Il mio obiettivo non è far cadere il governo ma fare in modo che lavori” 9 dicembre

“Abbiamo davanti un anno di lavoro serrato, Enrico ce lo ha chiesto e io sono d’accordo a fare un patto di coalizione subito dopo la legge di stabilità ” 10 dicembre

“C’è un sacco di lavoro da fare, avremo un anno divertente e leggermente scoppiettante” 15 dicembre

“Letta mangerà  tanti panettoni” 18 dicembre

“Il presidente del Consiglio per il 2014 di chiama e si chiamerà  Letta. E qui parla il segretario del Pd” 22 dicembre

“Faccio fatica a tenere Delrio al governo, altro che un sottosegretario in più”   29 dicembre

“L’ho già  detto, io mi ricandido a sindaco di Firenze. Mi dicono: fai finta di candidarti e invece vuoi fare le scarpe a Letta. Ma non è così, io mi ricandido”   7 gennaio

“Sì, certo, il governo proseguirà  per tutto il 2014”   12 gennaio

“Un patto con legge elettorale, riforme e modifica del Titolo V. Con quest’ultimo punto anche le preoccupazioni di Letta verrebbero meno perchè ci mettiamo almeno un anno a farlo”   14 gennaio

“Le critiche non sono per fare le scarpe ma per dare una mano”   16 gennaio

#Enricostaisereno (hashtag su twitter).   17 gennaio

“E’ ingeneroso sentirsi dire per mesi che l’obiettivo è fare le scarpe all’esecutivo” 20 gennaio

“Chi non mi ha mai creduto oggi deve prendere atto della realtà : nessuno trama contro Enrico Letta”   21 gennaio

“C’è Letta, rimanga Letta”   21 gennaio

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C’E’ L’ASSASSINO, MA MANCA IL MOVENTE: IL PD LOTTIZZATO VOTA “IL NULLA” A PALAZZO CHIGI

Febbraio 13th, 2014 Riccardo Fucile

COME SE FOSSE COSA LORO: NON DECIDE IL PARLAMENTO, BASTANO 136 POLTRONISTI

Teatro dell’assurdo: Renzi dà  il benservito al presidente del consiglio con una relazione che parla di “cambiamento”, ma senza indicare motivi specifici per il cambio della guardia a Palazzo Chigi.
La relazione approvata con 136 sì, 16 no e due astenuti. Pochi minuti dopo l’annuncio del premier: “Domani le mie dimissioni al Quirinale”
Il presidente del Consiglio non andrà  in Parlamento per formalizzare la crisi (come chiedono Forza Italia e M5s).
Solo Civati e i suoi votano contro la relazione che mette alla porta il capo del governo. Tutti gli altri (sinistra del partito compresa) no.
Gianni Cuperlo aveva chiesto di non votare, per salvare almeno le forme, ma il regolamento prevede una pronuncia del “parlamentino” sulle relazioni del segretario. In più lo prevedono anche le norme della chiarezza politica, si potrebbe dire.
Alla fine, poco dopo le 18, la Direzione nazionale approva la mozione del segretario (leggi il testo) con 136 sì, 16 no e due astenuti.
Pochi minuti dopo il voto, Enrico Letta detta una nota: “A seguito delle decisioni assunte oggi dalla Direzione nazionale del Partito Democratico, ho informato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, della mia volontà  di recarmi domani al Quirinale per rassegnare le dimissioni da presidente del Consiglio dei ministri”.
C’è l’assassino, ma manca il movente.
Il 18 gennaio Renzi aveva lanciato addirittura un hashtag su Twitter (“Enricostaisereno”), oggi “ringrazia il presidente del Consiglio per il notevole lavoro svolto alla guida del governo, un esecutivo di servizio nato in un momento delicato.
E per il significativo apporto dato in particolar modo per il raggiungimento degli obiettivi europei”.
Una formula di poche parole neanche tanto addolorate da presidente di società  di calcio che esonera l’allenatore.
Quale sia il punto di svolta che ha trasformato Renzi da Dottor Jekyll a Mister Hyde nessuno ancora l’ha capito.
Renzi pretende un cambio della guardia “all’inglese”: il nuovo leader del partito prende anche la guida del governo.
Propone un governo per una “legislatura costituente“, quindi fino al 2018 perchè “il Pd si deve assumere la responsabilità ”.
Contenuti pochi, al momento, a parte la feroce definizione data al programma presentato da Letta: “Contributo”. Niente contenuti, quando ci si limita alla politica.
Proprio Letta ha atteso il voto da Palazzo Chigi perchè voleva il timbro su una decisione che con il passare delle ore è diventata largamente maggioritaria tanto che — oltre all’Areadem di Franceschini, il cui voto favorevole   era scontato — anche la minoranza Pd in una riunione precedente alla direzione nazionale aveva dato il via libera a Renzi, presente il nume tutelare Massimo D’Alema.
Il presidente del Consiglio non c’era alla direzione. Il paradosso è che ha atteso il voto seguendo la diretta streaming di una riunione del suo partito che quasi in massa gli ha voltato le spalle.
“Decidete con serenità ” scrive Letta in una nota alla direzione nazionale.
Forse c’è dell’ironia, nella speranza che la serenità  sia la stessa che gli ha augurato il suo segretario che ora vuole prendere il suo posto.
Le trattative erano andate avanti per tutta la mattina per evitare il rischio che Pippo Civati aveva ipotizzato di un “western”. E’ stato peggio: un mattatoio, pieno di “Grazie Enrico, ma…”. Per dirla di nuovo con Civati è stato qualcosa a metà  tra la Prima Repubblica e Shining.
In una situazione, ragiona Civati, in cui il timore è che ancora una volta ne esca vincitore Silvio Berlusconi.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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DAL GIAGUARO AL GATTOPARDO PASSANDO PER MOLTI SCIACALLI: RENZI NON DICE NULLA E LO DICE PURE MALE: “IO E IL PD: UN’AMBIZIONE SMISURATA”

Febbraio 13th, 2014 Riccardo Fucile

SI DEVE CAMBIARE GOVERNO PERCHE’ ADESSO COMANDA LUI… LA MINORANZA DI CUPERLO E’ VIVACE COME CHI E’ IN COMA FARMACOLOGICO, SI SALVA SOLO CIVATI… COL VOTO IN DIREZIONE, LETTA PRESENTERA’ DIMISSIONI A NAPOLITANO

Anche l’ultimo filo che tratteneva Enrico Letta dalle dimissioni sembra essersi spezzato.
Il Partito Democratico voterà  sulla relazione di Matteo Renzi, siglando così la sfiducia nel confronti del primo ministro.
Ci ha provato Gianni Cuperlo a evitare il voto, così da non lasciare le impronte digitali sul ribaltone. Ma non è servito a nulla.
Le dimissioni di Enrico Letta erano attaccate al voto in direzione Pd. Un voto sulla cui opportunità  il partito ha discusso, ma che alla fine ha deciso di fare.
Ora il premier aspetta l’esito scontato. Poi salirà  al Quirinale a fare ciò che il suo stesso partito lo ha spinto a fare: rassegnare le dimissioni.
Ma da domani avrà  le mani libere…
L’intervento del Gattopardo
Renzi aveva esordito dicendo: “E’ arrivato il momento di dire che tipo di proposta vogliamo fare al Paese» (cosa che poi non ha precisato)
«La riunione di oggi non è un processo al governo – ha puntualizzato il leader dei dem -. Si tratta invece di capire se siamo in grado di aprire una pagina nuova, per noi e per l’Italia ».
Con poche parole e una risoluzione che parla esplicitamente di un nuovo esecutivo affidato agli organi dirigenti usciti dal congresso, ovvero allo stesso Renzi.
La famosa staffetta alla guida dell’esecutivo, insomma, che dovrebbe portarlo subito a Palazzo Chigi al posto di Enrico Letta, senza quel passaggio elettorale che era stato fin qui sempre invocato.
«Ma ora non ci sono le condizioni per tornare alle urne – ha spiegato il sindaco – perchè non c’è una legge elettorale in grado di garantire maggioranze e perchè il percorso delle riforme ancora non è stato avviato».
Quindi meglio vada lui al governo anche così.
GLI ALTRI INTERVENTI
La relazione di Renzi è stata accolta senza particolari scossoni dall’assemblea piddina. Gianni Cuperlo, principale avversario del sindaco nella corsa alla segretaria, ha preso atto della richiesta del leader ma ha chiesto che non ci sia un voto sulla risoluzione «anche per evitare che si crei un precedente» .
Ma il voto ci sarà : «È previsto al termine del nostro dibattito» ha precisato Sandra Zampa, vicepresidente della Direzione Pd.
Il capogruppo al Senato, Luigi Zanda, ha avallato la linea di Renzi parlando di una «accelerazione necessaria» e auspicando un nuovo esecutivo «che abbia la possibilità  di durare e governare per l’intera legislatura».
Per il capogruppo dei deputati, Roberto Speranza, «la grande famiglia del Pd mette sulle sue spalle senza infingimenti la grande sfida delle riforme e del cambiamento del Paese. Questo partito è l’unico che può veramente provare a cambiare l’Italia».
Pippo Civati è invece in controtendenza: «I dubbi sulle larghe intese restano. Non capisco perchè cambiare il premier dovrebbe cambiare qualcosa». Ergo: voto contrario, ma la sua posizione resta isolata.

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COMPRAVENDITA PARLAMENTARI, I PM DI NAPOLI INDAGANO SUI BONIFICI: 1 MILIONE DI EURO DAL PDL AI “LIBDEM” MELCHIORRE E TANONI

Febbraio 13th, 2014 Riccardo Fucile

ALTRI DIECI PARLAMENTARI SOTTO INCHIESTA: ALMENO 5 EX FLI TRA QUELLI CHE “TRADIRONO” FINI

L’indagine sulla compravendita dei parlamentari da parte di Silvio Berlusconi nel 2010-2011 è stata aperta alla fine del 2013 dai pm Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Fabrizio Vanorio come un modello 21.
Gli indagati insomma già  ci sono anche se la Procura di Napoli, dopo le prime indiscrezioni uscite ieri sui quotidiani, non lascia trapelare una sola parola sul fascicolo che rischia di aprire un nuovo fronte con Berlusconi, stavolta non protetto dallo scudo dell’immunità .
Mentre ieri si è tenuta la seconda udienza del processo per la corruzione di Sergio De Gregorio, realizzata nel 2007 (quindi a un passo dalla prescrizione) insieme a Valter Lavitola, presente in aula, i magistrati proseguono il loro lavoro anche su fatti più recenti, dunque più preoccupanti penalmente per il Cavaliere, che lunedì, alla prossima udienza, dovrebbe essere finalmente dichiarato contumace, come deciso ieri. Il fronte più avanzato della nuova indagine, secondo quanto risulta al Fatto , è un filone sviluppato parallelamente a Napoli e Roma e nasce da una segnalazione di operazione sospetta su due parlamentari in carica fino al 2013: Italo Tanoni e Daniela Melchiorre.
La Segnalazione è partita dall’Uif, l’Ufficio Informazione Finanziaria della Banca d’Italia, ed è stata trasmessa al Nucleo di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza guidato dal generale Giuseppe Bottillo.
I pm Nello Rossi e Alberto Pioletti hanno aperto un’indagine nella quale sono confluite le informative della Gdf su questo afflusso sospetto di denaro dal Pdl ai conti gestiti dai due parlamentari, rappresentanti del gruppo Liberal Democratici, una formazione gemmata dalla scissione del movimento di Lamberto Dini.
Il primo versamento di 300 mila euro avveniva e metà  del 2011.
Dopo avere votato contro la fiducia a Berlusconi, puntando sul cavallo perdente di Fini, il 29 settembre 2010, Melchiorre e Tanoni iniziano a riavvicinarsi a Berlusconi. Il 5 aprile del 2011 in mattinata vanno a palazzo Grazioli dall’allora premier, e da Denis Verdini e proprio quel giorno la Camera solleva a maggioranza un conflitto di attribuzione alla Corte costituzionale sul processo Berlusconi-Ruby.
Melchiorre e Tanoni, come l’ex Idv Aurelio Misiti, anche lui ricevuto da Berlusconi, votano insieme alla maggioranza.
La mozione passa con 314 si contro 302 no.
Poco dopo il partito dei Liberal democratici riceve 300 mila euro dal Pdl.
Poi ne incassa altri 700 mila euro a metà  del 2012. Nulla di segreto.
Il Fatto aveva già  raccontato il contenuto della relazione al bilancio del Pdl: “Va segnalato — scrivono i tesorieri Rocco Crimi e Maurizio Bianconi nella relazione pubblicata sulla Gazzetta ufficiale — che l’ammontare iniziale dell’impegno verso la formazione politica in questione era di 1 milione 300 mila euro, sceso a 1 milione di euro per effetto del pagamento di 300 mila euro eseguito nell’anno, importo infine successivamente ridotto a 700 mila euro” per le norme che decurtavano i rimborsi elettorali ai partiti.
“La scadenza di pagamento” ammettono candidamente i tesorieri del Pdl “è stabilita negli impegni economici e politici sottoscritti nel 2011”.
In sostanza la relazione tra gli impegni politici da parte dei Libdem e quelli economici da parte del Pdl è nero su bianco nel bilancio ufficiale.
Il problema ora al centro dell’attenzione degli inquirenti napoletani è proprio la liceità  del collegamento.
L’informativa delle Fiamme gialle è arrivata da molto tempo sul tavolo dei pm Nello Rossi e Alberto Pioletti. I pm romani hanno sentito a sommarie informazioni un anno fa Italo Tanoni e Daniela Melchiorre che quindi non sono indagati perchè i pm romani ritengono scriminante il fatto che i contributi sono iscritti a bilancio.
La medesima segnalazione di operazione sospetta con le carte della Gdf è però finita anche sul tavolo dei pm napoletani più recentemente.
Qui è stata inserita in un quadro più ampio, composto di atti segreti o depositati, che potrebbero attribuire altra valenza ai pagamenti.
Secondo l’impostazione dei pm napoletani, se un parlamentare compie un atto contrario ai suoi doveri in cambio di soldi, è un corrotto.
Ci vuole però un atto specifico, non basta il cambio di casacca.
L’atto specifico nel caso dei Libdem potrebbe essere quindi la votazione sul caso Ruby.
Nel caso di De Gregorio, i pm già  contestano i singoli voti dell’allora presidente della commissione difesa del Senato.
I parlamentari nel mirino dei pm napoletani non sono solo Melchiorre e Tanoni. In tutto dovrebbero essere addirittura dieci.
L’atto per alcuni di loro potrebbe essere la votazione della fiducia a Berlusconi nel dicembre 2010.
In particolare alcuni, spesso aderenti al partito di Gianfranco Fini, dopo avere firmato la mozione di sfiducia a Berlusconi non gli votarono poi contro in aula.
Oltre ai celebri Antonio Razzi e Domenico Scilipoti, ci sono anche i parlamentari di Fli, Catia Polidori, Maria Grazia Siliquini, Silvano Moffa e Giampiero Catone.
Nel verbale di sommarie informazioni di Gianfranco Fini si trova traccia di questo interesse degli investigatori per l’improvviso mutamento di atteggiamento quando i pm napoletani chiedono all’ex presidente della Camera se fosse vero che alcuni parlamentari, dopo avere firmato la mozione di sfiducia, poi votarono in senso opposto.
Ora gli investigatori vogliono capire se ci sia stata una contropartita e di che natura per quella scelta.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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ENRICO DICE NO: “DEVE EMERGERE IL MARCIO DI QUESTA OPERAZIONE”

Febbraio 13th, 2014 Riccardo Fucile

LETTA NON MOLLA: “DEVE ESSERE IL PARTITO A SFIDUCIARMI E A SPIEGARE AGLI ITALIANI I VERI MOTIVI'”

A meno di un’ora dall’inizio della direzione Pd, Letta è irremovibile, dice no: sia alle “dimissioni” sia all’offerta di entrare nel nuovo governo con un dicastero di peso, Economia o Esteri.
È stato un incontro difficile quello tra il premier e i capigruppo del Pd Speranza e Zanda, accompagnati dal Lorenzo Guerini, il portavoce di Renzi. Il loro viene descritto come l’ultimo — o l’ennesimo — tentativo per arrivare a una soluzione diplomatica, prima della direzione: “Le diplomazie – spiega un’autorevole fonte del Pd – sono al lavoro su una mediazione per evitare un esito traumatico”.
Il che significa una cosa sola: pressing su Letta affinchè si dimetta.
L’ufficio stampa del Pd smentisce che ci sia stata un’offerta di ministeri al premier in cambio di un percorso meno traumatico di quello che si prospetta.
Nelle convulse ore prima dello show down si susseguono spifferi “ad arte”, rivelatori della tensione del momento, indiscrezioni, smentite.
Da ambo le parti. Insomma, gioco politico puro.
Fonti affidabili assicurano che i capigruppo stanno cercando di coinvolgere Letta nell’operazione.
Il nuovo governo Renzi nascerà  tra lunedì e martedì. E sarà  composto da figure che diano il senso del rinnovamento. E forse sono le più facili da trovare. Ma anche da “figure di peso”, politica e istituzionale. L’ingresso di Letta, secondo questo schema, servirebbe a stabilizzare il quadro, rafforzando il governo.
È questo il senso dell’offerta. Respinta, almeno al momento.
Perchè, raccontano a palazzo Chigi, Letta ha intenzione di arrivare al chiarimento vero: “Deve emergere fino in fondo il marcio di questa operazione” è il senso del suo schema.
Sin dall’inizio di questa complessa crisi la sua parola d’ordine è stata “chiarimento alla luce del sole”. Vale ancora.
Deve essere il Pd a cacciare il suo attuale premier. In direzione o in Parlamento.
È sul “come” inizierà  il “Renzi 1” — non sul “se” inizierà  – che si sta consumando il giorno più lungo in casa Pd.
E il più drammatico. Ormai non è più un fatto di resistenza. Nessuno, nell’inner circle di Letta, scommette che il governo possa andare avanti.
Siamo già  oltre. Dopo un voto contro in direzione il premier potrebbe già  salire al Colle.

(da “Huffingtonpost“)

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