Febbraio 18th, 2014 Riccardo Fucile DOPO LA SMART, LO SPOT DELLA GIULIETTA
La manovra è così sfacciatamente mediatica che persino Chiara Geloni, non proprio una giaguara delle
strategie, ha avuto buon gioco a ironizzarci su Twitter: “’Ma perchè ogni volta va al Quirinale con una macchina diversa?’ ‘Perchè così i giornalisti lo scrivono’”.
Le ha fatto eco, tra un insulto e l’altro dei renziani, il deputato piddino Andrea Sarubbi: “Non trovo ancora interviste al concessionario della Giulietta. Nun me fate sta’ in pensiero, eh”.
In Rete è già nato il “generatore automatico di foto di mezzi di trasporto di Renzi”, che sta spopolando non meno del “generatore automatico di totoministri di Renzi”. Forse perchè disquisire dei dettagli è quasi sempre meno stancante, da giorni si discute appassionatamente della Smart di Renzi: quella con cui è andato ad affrontare Enrico Letta, nella indimenticabile sfida all’Ok Corral dei democristiani 2.0.
Ieri è toccato a una Giulietta.
Intellettuali e fiancheggiatori stanno eroicamente tessendo le lodi di una tale scelta doppiamente proletaria.
Tra una esegesi e l’altra, il fedelissimo Ernesto Carbone — proprietario della Smart — ha rivelato aspetti oltremodo avvincenti: “È comoda, sale e facciamo due chiacchiere”.
Prima che un’ondata di “sticazzi” lo travolgesse, qualcuno – i soliti giustizialisti – ha biecamente sostenuto che Renzi accelerasse troppo.
Carbone, protetto dai soliti quintali di gel e avvolto in gessati già fuorimoda ai tempi di Al Capone, ha per fortuna fugato ogni dubbio: “L’auto ha 13 anni. Accelera a fatica, poi parte di colpo”.
Quindi è colpa della Smart da rottamare, non del quasi rottamatore.
Innamorato dell’apparenza forse perchè debole in sostanza, Renzi ha un feticcio dichiarato per le auto minimali.
Quando può, anzi, si presenta in bicicletta. Magari è una finta, come sostengono Alberto Ferrarese e Silvia Ognibene, autori del libro Matteo il conquistatore: magari a volte parcheggia l’auto (elettrica) dietro l’angolo, per mostrarsi in bici a giornalisti e fotografi.
L’importante è che passi il messaggio: “Io sono come voi”.
Già Francesco Rutelli raggiunse il Campidoglio con lo scooter e pure Ignazio Marino ama farsi ritrarre in bici, con tanto di casco e scorta pure lei pedalante.
Perfino Enrico Letta era andato la prima volta al Quirinale con una Fiat Ulysse e l’ultima con una Lancia Delta.
Se l’elettore pare odiare la casta, lo stratagemma più comodo è fingersi estraneo a essa.
Per Renzi è un aspetto chiave. Agli amici racconta che la sua guerra alle auto blu sarà senza esclusione di colpi.
Intento nobile, ovviamente. Si ha però la sensazione continua che il cambiamento renziano si fermi al superfluo: che la rivoluzione anelata dal sindaco part time di Firenze si accontenti della superficie. Del marginale.
L’auto comune, in questo senso, assurge a simulacro da esibire per sancire la discontinuità con un passato che pure le mosse gattopardesche renziane sembrano invece voler reiterare.
Renzi giura “di essere più grillino di Grillo” e quasi tutta la grancassa mediatica, con zelo commovente, celebra il Miracolo della Smart: del ragazzo-Premier della porta accanto.
Sentendosi nel suo piccolo un po’ Papa, San Matteo gioca al Bergoglio del Mugello e preferisce dunque al pulpito la monovolume.
Tutto molto bello, tutto molto furbo.
Per quanto ammirati e anzi abbacinati di fronte a cotanto pauperismo post-paninaro, permane però un dubbio: forse la priorità degli italiani non è la vettura scelta da Renzi, bensì qualche mossa politicamente appena più rilevante e incisiva.
Andrea Scanzi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 18th, 2014 Riccardo Fucile RENZI DICE CHE SI ANNOIA A LEGGERE I GIORNALI CHE PARLANO SOLO D LUI: FIGURIAMOCI NOI
Il refrain mediatico di questi giorni ha riguardato il totoministri (ad andar bene) e le auto con cui l’incaricato si appropinquava ai vari Palazzi: analisi alte, insomma.
Tuttavia a questo giro noi imbratta monitor forse un’attenuante ce l’abbiamo: e cioè che era difficile riempire i giornali e i siti parlando di politica, in assenza della medesima.
Voglio dire: a parte il mito della velocità (pare d’essere tornati al futurismo), qualcuno ha capito cosa farà questo governo — o almeno che programmi condivisi ha?
Cioè, per capirci, per far ripartire l’economia metterà in discussione i diktat europei dovendo dipendere dai voti dei talebani del fiscal compact, tipo Monti e i suoi cari, sì?
E per la nuova legislazione sui diritti civili, pensa di trovare il sostegno nell’altrettanto decisivo partito di Giovanardi?
E il conflitto d’interessi, se per sbaglio volesse occuparsene, lo concorderà con Alfano e Cicchitto?
Insomma, anche presumendo la buona fede turboriformista di Renzi, con una maggioranza così cosa pensate che ci potrà mettere, dentro le riforme fatte con il Nuovo Centodestra e Scelta Civica?
Nulla o quasi.
Come ha capito l’ottimo Barca che infatti ha rifiutato le pressioni per diventare ministro: definendo quella di Renzi «una cosa priva priva priva di un’idea, senza un’idea: solo avventurismo e slogan».
E a quelli che “lasciamolo lavorare” (dove l’ho già sentita questa frase?) propongo seriamente una scommessa sui punti di cui sopra: ci si rivede tra un anno, ci state?
(da “gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it“)
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Febbraio 18th, 2014 Riccardo Fucile STASERA UN ALTRO INCONTRO TRA RENZI E ALFANO PER CERCARE UN’INTESA
«Ci sono ancora ostacoli da superare, ma io sono dell’idea che noi la sfida di Renzi dobbiamo accettarla».
Angelino Alfano è nella sala riunioni del suo studio, al primo piano del Viminale, ministero chiave che non intende lasciare, sul quale proverà fino all’ultimo a tenere issata la bandiera del Nuovo Centrodestra.
Al tavolo di lavoro siede lo stato maggiore del partito.
E tutti sono d’accordo con lui nel momento in cui tira le somme: Maurizio Lupi, Fabrizio Cicchitto, Gaetano Quagliariello, Renato Schifani, Enrico Costa, Pietro Vignali, Luigi Casero.
In quel governo gli alfaniani intendono restarci con almeno tre dei quattro ministeri occupati finora nel governo Letta.
L’obiettivo dichiarato dal vicepremier uscente è di mantenere gli stessi dicasteri agli Interni, ai Trasporti, alla Sanità , oltre al suo posto di numero due al governo.
Ma se non sarà così, allora le alternative dovranno compensare in misura adeguata il «sacrificio».
Un braccio di ferro ancora abbastanza aperto, a sentire chi circonda il premier incaricato, che di pedine al Ncd vorrebbe destinarne invece non più di due e non entrambe di primissima fila.
Alfano, per esempio, sarebbe pure disposto a lasciarlo vicepremier, ma non al Viminale. La battaglia sta lì e non solo lì.
L’altro macigno è la legge elettorale. L’Italicum così com’è non va. Soglia di sbarramento da rivedere, secondo il ministro degli Interni e gli altri big del partito.
E soprattutto, lo dichiara a chiare lettere davanti alle telecamere Fabrizio Cicchitto, «le maggioranze variabili non saranno accettabili».
D’accordo l’accordo con Forza Italia, ma solo dopo averne chiuso uno nuovo, quanto meno ritoccato, tra le forze di governo.
E anche qui, la disponibilità di Renzi di tornare indietro è vicina allo zero.
Una discriminante non da poco, tanto più che il nuovo capo del governo ha già preannunciato con una certa enfasi di volerla vedere approvata entro febbraio, la riforma elettorale.
Poi quelli del Ncd pongono questioni di principio e di «contenuti». Principio come i temi etici.
Contenuti come una legge sulla famiglia, con aumento delle detrazioni per i figli a carico. E altri argomenti «sensibili» per imoderati, come il no all’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie.
Che il cammino sia in salito è confermato dal fatto che l’atteso faccia a faccia tra Matteo Renzi e lo stesso Angelino Alfano, atteso per domenica, poi per ieri, è slittato e probabilmente ormai ci sarà solo nelle consultazioni ufficiali del premier col Ncd, in calendario per questa sera alle 19.
A quell’appuntamento, fanno sapere Alfano e i suoi, si presenteranno con tanto di programma in Excel.
Provvedimenti da inserire nell’agenda di governo e tempi di realizzazione, come piace al pragmatico, futuro presidente del Consiglio.
Ma l’incontro formale non sarà la sede migliore per chiudere un accordo politico così delicato. Ecco perchè Renzi e Alfano, che anche ieri si sono sentiti, continueranno ad avere contatti diretti oggi. Come ne avranno gli ambasciatori Graziano Del Rio e Renato Schifani, tra gli altri.
E alle consultazioni con Renzi, appuntamento per mercoledì mattina, si presenterà ancora una volta Silvio Berlusconi, proprio come avvenuto al Quirinale.
Ieri il Cavaliere è rimasto ad Arcore, assorbito dagli affari delle aziende. Che, a proposito, vanno a gonfie vele, se a dispetto del nascente governo avversario il titolo Mediaset ha registrato +3,41 per cento.
Infausto invece il responso della Sardegna. «Me lo attendevo, Pili ha rotto il fronte dei moderati e ci ha fatto perdere» è stato il commento del leader forzista, che minimizza la portata anche in vista delle Europee.
Renzi lo ha visto in tv subito dopo l’incarico e ha commentato con un filo di sarcasmo: «Se facesse davvero quel che ha detto, sarebbe un bene per il Paese e noi daremmo il nostro contributo. Ma non lo hanno informato del fatto che, tra burocrazia e alleati, il premier non ha alcun potere».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 18th, 2014 Riccardo Fucile IL PIANO VERDINI PREVEDEVA, SENZA COMPROMETTERSI, QUALCHE PRESTITO DAL GRUPPO GAL
Alla fine l’allargamento della maggioranza potrebbe arrivare da dove …te lo aspetti (vedi strategia di Verdini).
Si è parlato per giorni di un possibile ingresso nel governo di Matteo Renzi di Sel, o di una pattuglia di senatori del Movimento 5 stelle.
Ma la serenità (nei numeri) a Palazzo Madama potrebbe arrivare da destra, dal gruppo Grandi Autonomie e Libertà composto da undici senatori pescati dal fu Pdl, da Grande sud e dalla Lega.
Quattro, forse cinque, sono orientati ad andare a vedere le proposte dell’ex rottamatore.
Ingrossando le fila di una maggioranza – quella che fino ha ieri ha sostenuto Enrico Letta – che al momento conta sette/otto voti di margine dalla parti di corso Rinascimento.
E andando a disinnescare la minaccia della pattuglia di senatori vicini a Pippo Civati che al momento sono indecisi nel dare disco verde al nuovo premier.
Uscendo dall’incontro con il presidente del Consiglio incaricato, il capogruppo Mario Ferrara ha usato una formula politichese per lasciare aperta qualunque opzione: “Abbiamo al nostro interno una certa dialettica, che sarà sviluppata con attenzione nei prossimi giorni, una volta letto il programma e sentita l’illustrazione che il governo farà nelle Aule del Parlamento”.
È Vincenzo D’Anna, alle spalle una legislatura alla Camera con il Pdl e oggi vicepresidente di Gal, a dettagliare la situazione all’Huffpost: “Abbiamo portato a Renzi alcune nostre proposte. Nello specifico sul mezzogiorno e sulla sanità , ma anche sulle politiche per gli enti locali e le riforme”.
Un dialogo che non sembra essere stato infruttuoso: “Il premier incaricato ci ha chiesto di fargli avere alcuni elementi scritti, così da poterli valutare”.
Per questo tra oggi e domani gli undici si riuniranno, ed elaboreranno un testo che “sarà condiviso con Renzi o con il suo staff, probabilmente nel weekend”.
I margini per raggiungere un’intesa sembrano ulteriormente dilatarsi: “Renzi ci ha fatto capire che abbiamo del tempo, probabilmente fino a lunedì”.
I tempi si allungano, sia per mettere a punto la squadra di governo, sia per permettere a tutte le forze politiche di metabolizzare l’ambizioso cronoprogramma di governo”.
Qualunque sia la decisione degli esponenti di Gal, nel gruppo non si consumerà uno psicodramma. “Data l’origine e la composizione del nostro gruppo, proveremo a votare tutti uniti, ma non ci sarà nessuna conseguenza sulla nostra tenuta anche se se le scelte si dovessero diversificare”, spiega D’Anna.
Che conclude: “Le mie sensazioni sono comunque positive, questo governo potrebbe realizzare quello che da tanti anni tutto il paese si aspetta”.
Insomma: saranno tre, quattro o cinque, ma la maggioranza di Renzi si avvia a incassare una manciata di senatori in più rispetto al predecessore.
Che di questi tempi e con questo Parlamento cascano a fagiolo.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 18th, 2014 Riccardo Fucile ROMA INVASA DA 60.000 MANIFESTANTI: “SIAMO DISPERATI”
Artigiani e commercianti in piazza, con le cinque associazioni che aderiscono a Rete Imprese Italia, per la
prima volta insieme per una manifestazione, a Roma.
“Siamo 60mila, arrivati da tutt’Italia”, stima l’organizzazione. “Senza impresa non c’è l’Italia. Riprendiamoci il futuro”, è lo slogan: “Vogliamo che il 2014 diventi l’anno di svolta”.
Una clamorosa rottura, rispetto alla tradizione. Mai prima d’ora avevano protestato mettendoci il fisico, il corpo, la voce.
Avevano sempre fatto valere la forza dei numeri. Stavolta però la musica cambia. Artigiani, commercianti e piccoli imprenditori scendono in piazza. Tutti insieme, compatti.
L’appuntamento è a Roma, in piazza del Popolo. Alle dodici in punto. A quanto pare sono presenti decine di migliaia di persone.
Ma cosa spinge l’universo delle partite Iva, volendo dirla con un clichè, a un gesto tanto forte?
Probabilmente vi sarà capitato, in questi giorni, di sentire alla radio un passaggio su questa mobilitazione. È rimbalzato d’altronde sulle onde medie di molte emittenti. È rapido, stringato.
Dice questo: «Siamo il motore dell’economia, ma siamo rimasti senza benzina. Troppe tasse, burocrazia, zero crediti. È tempo di cambiare».
Ecco, queste sono le cause che hanno spinto a questa mobilitazione, denominata “Senza impresa non c’è Italia. Riprendiamoci il futuro” e promossa da Rete Imprese Italia, organizzazione che riunisce cinque sigle di categoria: Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti.
«Vogliamo lanciare un messaggio chiaro, dire che ci siamo anche noi e che quando si negoziano misure economiche è necessario ascoltarci. I governi tendono quasi sempre a rivolgersi ai soli industriali. L’ossatura economica del paese, però, dice che noi, il popolo dell’imprenditoria diffusa, rappresentiamo oltre il 90% dell’economia italiana», spiega Daniele Vaccarino, presidente della Confederazione degli artigiani e della piccola e media impresa (Cna).
Burocrazia, fisco e credito sono i punti che le partite Iva, che contribuiscono al 69% del fatturato complessivo nazionale e garantiscono il 58,8% dell’occupazione totale, elencheranno in piazza. «Prima di tutto vogliamo un taglio secco sulla burocrazia. Ci ingabbia. Chiediamo più autocertificazione, pur se questo, beninteso, non significa che non vogliamo controlli. Anzi».
Poi c’è il credito. «Gli interventi del governo e dell’Ue a sostengo delle banche vanno benissimo. Le banche devono essere stabili. Ma vorremmo che adesso si mostrino più attente alle nostre esigenze», continua Vaccarino. Intanto Bankitalia ha comunicato che negli ultimi due anni il credito alle imprese s’è contratto di 98 miliardi di euro.
A chiudere, le tasse. «Indubbiamente pesano troppo. Servirebbe un segnale, che permetta di alleviare il peso del fisco in un momento in cui l’economia sembra riprendere. Ma noi, sul territorio, questo non l’avvertiamo ancora», asserisce il numero uno della Cna, sostenendo al contempo che serve sgomberare il campo dagli equivoci: la sua e quella dei colleghi non è una crociata sulle tasse.
L’ideale sarebbe creare una cornice che permetta a commercio, artigianato e piccola impresa di produrre in condizioni migliori, più fluide. Parliamo di competitività , insomma.
Giuseppe Bortolussi, storico fondatore della Cgia di Mestre, vera e propria macchina da numeri, si sintonizza su questa stessa lunghezza d’onda.
La sua categoria non partecipa a Rete Imprese, ma solidarizza con le ragioni della manifestazione. «È evidente che l’unico problema non sono le tasse, nè il voler pagare meno tasse. Il dramma che si affronta è quello di un paese che non funziona, che non è competitivo. Infrastrutture poco adeguate, costi dell’energia altissimi, burocrazia asfissiante e giustizia civile lenta: è prima di tutto su questi terreni che si dovrebbe intervenire», ragiona Bortolussi, rafforzando il discorso con il suo solito meno di numeri. «Il Triveneto e l’Emilia-Romagna, lo spicchio d’Italia dove è concentrato il grosso delle nostre Pmi, hanno fatto 40 miliardi di saldo attivo nella bilancia commerciale. Questo significa che le Pmi italiane sanno lavorare. Ora, premesso che anche noi dobbiamo fare la nostra parte, mettendoci più innovazione, sarebbe giusto che il governo faccia la sua, liberando il potenziale dell’impresa, dei commercianti, degli artigiani».
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 18th, 2014 Riccardo Fucile A BRUXELLES E NELLE CAPITALI NESSUNO CONOSCE IL SINDACO… DETERMINANTE CHI GUIDERà€ L’ECONOMIA
La scelta del ministro dell’Economia sarà il vero programma economico di Matteo Renzi, tutto il resto è contorno.
Su quella poltrona si condensano tutte pressioni cui dovrà resistere il governo del premier incaricato.
Meglio Lucrezia Reichlin o Fabrizio Barca, che si è chiamato fuori? Oppure magari Franco Bassanini?
Renzi e i suoi collaboratori sono consapevoli che serve una persona che sappia gestire la macchina amministrativa di via XX Settembre, ma soprattutto che tratti con l’Europa.
Il più feroce editorialista del Financial Times, il tedesco Wolfgang Mà¼nchau, ieri scriveva questo: “Le riforme sono necessarie ma non bastano. Per tenere l’Italia nell’eurozona, mister Renzi avrà bisogno dell’aiuto della Banca centrale europea. E questo significa che ha bisogno di un cambio nel dibattito macroeconomico dentro l’Unione europea”.
Tradotto: Renzi sarà il quarto premier le cui sorti dipenderanno da Mario Draghi, il presidente della Bce. Che succederebbe, per esempio, se dopo l’esame europeo Draghi decidesse che il Monte Paschi deve essere smembrato o nazionalizzato?
E se dovesse tornare il panico sui mercati, il leader del Pd si troverebbe a dover negoziare con Draghi il possibile ricorso allo scudo anti-spread (le operazioni OMT).
A Bruxelles Renzi non è conosciuto.
Le burocrazie europee non si aspettavano un cambio così brusco a Palazzo Chigi, stavano già discutendo con Enrico Letta il semestre a presidenza italiana, da luglio. Non c’è molto tempo per inserire il nuovo gruppo dirigente, per questo è cruciale la scelta del nuovo ministro.
Il primo caso sta già esplodendo: a novembre la Commissione europea ha chiesto al governo Letta un aggiustamento di bilancio di 3-4 miliardi di euro per rispettare la “regola del debito” (cioè la progressiva riduzione dell’indebitamento accumulato), da Roma hanno promesso di mandare informazioni sulla spending review ma non l’hanno mai fatto.
Risultato: il termine è scaduto e tra poche settimane la Commissione europea presenterà le stime economiche invernali in cui l’Italia sarà bacchettata per non aver rispettato gli impegni.
Di fronte alle crescenti attese di miracoli fiscali dal nuovo governo, ieri il commissario agli Affari economici Olli Rehn si è detto fiducioso che “il governo continuerà a perseguire le riforme economiche e che manterrà un consolidamento coerente”.
Peccato che invece Renzi abbia annunciato di essere disposto a sfondare il tetto del 3 per cento al rapporto tra deficit e Pil, se questo serve a finanziare le riforme.
Come farà Renzi a spiegare le sue posizioni a Bruxelles?
Perfino Mario Monti, all’inizio, faticava a vincere il naturale scetticismo dei partner europei sulla credibilità delle promesse italiane.
E Letta ha lasciato un buon ricordo per il suo stile negoziale asciutto nel Consiglio europeo.
Il sindaco di Firenze non ha grandi esperienze dirette: ha incontrato a Firenze Rehn un paio di anni fa, ma i due non si conoscono e il carisma renziano difficilmente scalfirà l’imperturbabile finlandese.
Con Angela Merkel Renzi si è visto a luglio, a Berlino (senza dirlo a Letta), ma è stato solo un incontro esplorativo. Renzi probabilmente non conosce neppure il dossier di cui dovrebbe discutere con la Cancelliera, cioè i cosiddetti “accordi contrattuali”, premi in cambio di riforme, e la scelta verso cui si sta orientando di sostituire agli Affari europei il veterano Enzo Moavero con Federica Mogherini, il ministro dell’Economia sarà ancora più importante.
Lucrezia Reichlin ha lavorato a lungo alla Bce (oggi è molto critica sul progetto di Unione bancaria), così come il fiorentino Lorenzo Bini Smaghi che era nel Consiglio direttivo (inviso al Quirinale perchè nel 2011 non si dimise abbastanza in fretta per lasciare spazio a Draghi al vertice). Fabrizio Barca è quello col profilo più adatto, prima di diventare ministro per la Coesione nel governo Monti è stato il superconsulente del commissario per le Politiche regionali Johannes Hahn.
Ma è anche quello, tra i candidati, che più esplicitamente ha detto di non essere interessato (complice uno scherzo telefonico della trasmissione La Zanzara di Radio24).
Renzi dovrà faticare molto per convincerlo o per trovare un nome alternativo all’altezza.
Intanto ha avviato un rapporto con il favorito per la prossima presidenza della Commissione Ue, il tedesco Martin Schulz (il Pd entrerà nel Pse) che con Renzi ha parlato spesso in questi giorni e ha molto apprezzato la scelta netta di schierare il Pd con i socialisti europei.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 18th, 2014 Riccardo Fucile QUANDO SI SCOPRE CHE IL PRESIDENTE DEL CONSORZIO E’ ANCHE A CAPO DI UNA SOCIETA’ DI PARMIGIANO TAROCCATO
Il presidente del consorzio del Parmigiano Reggiano è anche presidente di una società che controlla un fondo
ungherese intenzionato a produrre del parmigiano tarocco. Detta così, sembra una tresca incredibile persino nella patria degli svergognati professionali: il Parmigiano Capo che sovvenziona il nemico intenzionato a distruggerlo.
Questo presidente ai quattro formaggi si chiama Giuseppe Allai e davanti ai sopraccigli inarcati dei nostalgici del made in Italy cade dalle nuvole come una grattugiata sul sugo.
Sostiene di non avere mai saputo che il fondo ungherese avesse intenzioni in contrasto con la sua funzione di sommo garante della parmigianeria italica.
Poi sfodera quella che a lui evidentemente sembrerà l’attenuante definitiva: era solo un’operazione finanziaria.
Ma se fosse proprio lì il problema?
Secondo una certa visione crepuscolare del capitalismo i soldi non servono a nient’altro che a fare soldi.
L’idea che servano a fare cose — e che queste cose abbiano una funzione economica e sociale che non le rende tutte fungibili fra loro — viene considerata un vezzo retrò.
Può darsi che abbiano ragione i parmigiani supremi.
Anzi, da come va il mondo, ce l’hanno di sicuro. Per cui non resta che sedersi sul bordo della grattugia e aspettare.
Che, a furia di spostare soldi da un piatto all’altro, senza alcun aggancio nè rispetto per le persone e le cose, tutti si comprino e si vendano a vicenda, finchè l’intero sistema si scioglierà come formaggio in una minestra fin troppo riscaldata.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Febbraio 18th, 2014 Riccardo Fucile A DIAMANTE HANNO VOTATO PER MAGORNO 1.500 ELETTORI IN 12 ORE: RAFFICA DI RICORSI DEI CUPERLIANI
Mille e cinquecento voti in 12 ore. Una scheda ogni 27 secondi, insomma.
Più che primarie democratiche, uno sprint da centometristi.
È accaduto a Diamante, piccolo centro in provincia di Cosenza. Almeno così denunciano alcuni esponenti dem, mostrando i numeri delle consultazioni per scegliere il candidato alla segreteria regionale del Pd.
A Diamante – informa infatti il comitato Canale segretario – i votanti sono stati 1.567. Con una distribuzione dei consensi molto marcata: 49 voti per Lo Polito, 12 per Canale, 4 per Villella e 1.512 (millecinquecentododici) per Magorno.
Ciò che stupisce, come sottolineato anche sulla stampa locale, è la straordinaria velocità delle operazione di voto al seggio.
Rapide, anzi rapidissime: ha votato un elettore ogni 27 secondi circa.
Calcolando le procedure per l’identificazione e il tempo per esprimere la preferenza, si tratta quantomeno di una grandissima prova di efficienza.
A sollevare il caso, mettendo in discussione la regolarità del voto e la vittoria di Ernesto Magorno, è lo sfidante cuperliano Massimo Canale: “Magorno conoscerà bene le “salvifiche” performance della sua lista a Diamante, suo paese natale, e Belvedere Marittimo dove è riuscito ad incassare un voto ogni 27 secondi, scongiurando così la vittoria di Canale.
Chi ha dimestichezza con le primarie – si legge nella nota del Comitato Canale segretario – sa bene che tra le operazioni di identificazione, registrazione e voto non trascorrono secondi, ma minuti. Tanti.
Non potevamo, dunque, non segnalare tali e altre anomalie alla Commissione che dovrà esprimersi e verso cui nutriamo profonda fiducia e massimo rispetto”.
Intanto è già l’ora dei ricorsi. Uno è stato presentato da alcuni capilista della lista Canale per annullare l’esito del voto nel seggio di Diamante.
Che, ricordiamo, è un centro di poco più di cinquemila abitanti.
Anche Magorno ha presentato ricorso per presunte irregolarità in alcuni seggi.
Ma intanto si proclama vincitore: “Sono sereno nella certezza di aver conseguito già al primo turno il risultato che mi consentirà di essere segretario, anche alla luce di alcuni ricorsi presentati dalla nostra lista e sui quali vi è la consapevolezza e la piena convinzione di essere nel giusto. Con altrettanta tranquillità attendo, comunque, che la commissione regionale di garanzia valuti tali ricorsi”.
Altri brogli sono stati denunciati anche in Liguria e Campania.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 18th, 2014 Riccardo Fucile NEL GIORNO IN CUI VIENE DESIGNATO PREMIER, IL SEGRETARIO PD SI INCAGLIA TRA I “NO” DEI MINISTRI E QUELLI DEI POSSIBILI ALLEATI… E DA RADIO 24 ARRIVA LA MAZZATA FINALE
Sono le 10 e 20 quando Matteo Renzi, alla guida di una Giulietta bianca, accompagnato solo dal capo ufficio
stampa del Pd, Filippo Sensi, varca la porta del Quirinale, per andare a ricevere l’incarico di formare il governo.
Dieci minuti di anticipo. Alla direzione del Pd aveva rivendicato l’ “ambizione sfrenata” che l’ha portato fin qui: il sogno di fare il premier, la convinzione di poter riuscire dove molti hanno fallito.
È serio, quasi compunto, Renzi, elegantissimo in abito blu, camicia bianca e cravatta scura, quando scende dalla macchina e si avvia a piedi al colloquio con Napolitano.
È meno spavaldo del solito. Pochi minuti prima della fine dell’incontro — ben un’ora e mezza — la porta della sala alla Vetrata si apre, poi si richiude. E s’incastra.
Ecco, che le cose non procedono esattamente a gonfie vele si capisce alle 18 e 50, quando Barca alla Zanzara, pensando di parlare con Vendola, dice: “Io ministro dell’Economia? Non ci penso proprio”.
E il film dalla mattina si riavvolge, si vede in controluce. Niente colori sgargianti per il trentanovenne Renzi, che ottiene l’investitura più importante della sua vita, ma una sorta di bianco e nero, con molte ombre.
Quello di Barca infatti è l’ennesimo no, che arriva dopo quelli dei Leopolda boys (Baricco, Farinetti, Guerra) e di quasi tutti i nomi che contano per l’Economia. Mentre è sempre più pressante la richiesta dei “piccoli” per una poltrona al sole.
Donato Marra annuncia che il “dottor Renzi” ha avuto l’incarico. Lui fa passare qualche minuto prima di uscire.
È emozionato quando si avvicina ai microfoni e annuncia i contorni dell’operazione. Prima di tutto un “orizzonte di legislatura” e poi la doppia maggioranza: “una di governo e una per le riforme”.
Il doppio cerchio che Napolitano teorizzava da mesi, che piace tanto a B. e molto meno ad Alfano.
Renzi, parlando con i suoi, si dice molto soddisfatto del lavoro impostato con il Presidente. I problemi, a questo punto, sono altri. È chiaro, che l’asse portante sono le riforme, con Fi (“Ok farle secondo il calendario concordato con Berlusconi”, chiarisce la Gelmini). Altrettanto chiaro che di Ncd non può fare a meno, ma la trattativa non procede.
Renzi annuncia un programma talmente ambizioso da sembrare impossibile: “A febbraio legge elettorale e riforme, a marzo lavoro, ad aprile Pa, a maggio fisco”. Graziano Delrio, insieme a Lorenzo Guerini, Angelo Rughetti e Matteo Richetti sta sovrintendendo alla scrittura del programma.
Programma che dovrà essere confrontato con quello di Ncd. Ieri il gruppo analogo, coordinato da Gaetano Quagliariello, ha ultimato un programma in foglio excel con proposte programmatiche e accanto voci di spesa e coperture.
Inutile dire che il programma diverge in punti essenziali da quelli annunciato da Renzi, come la tassazione delle rendite finanziarie, le unioni civili per i gay e lo ius soli. E gli alfaniani vogliono anche alcune modifiche sull’Italicum.
Renzi e Alfano si sentiranno oggi per cercare di mettersi d’accordo su contenuti e ministeri. Prima delle consultazioni ufficiali che sono in serata.
“Metterò tutto il mio impegno e la mia energia in una situazione difficile”, chiarisce Renzi, mentre spiega però: “Stiamo lavorando sui contenuti , abbiamo bisogno di qualche giorno in più”.
Le consultazioni sono oggi e domani, giovedì e venerdì se li prende per chiudere la squadra, sabato dovrebbe giurare e presentarsi alle Camere a inizio settimana prossima.
Non c’è lo sprint annunciato. Dopo il giro di prassi con Boldrini e Grasso, il premier incaricato va a Firenze, per l’ultima Giunta.
Ai suoi parla di giornata “davvero molto positiva”. Chi lo conosce bene lo vede “consapevole” del peso della situazione.
L’unica battuta che si concede nelle dichiarazioni ufficiali ai giornalisti gli esce un po’ sghemba: “Mi sono venuto a noia da solo leggendovi”.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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