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“NON LICENZIATE I NOSTRI PAPA'”: LA PREGHIERA IN UN DISEGNO

Febbraio 20th, 2014 Riccardo Fucile

“PAPA’, NON PIANGERE DI NASCOSTO”, QUEI DISEGNI DEI BAMBINI PER DIFENDERE I GENITORI LICENZIATI…TORINO, L’APPELLO DEI FIGLI DEGLI OPERAI ALLA FABBRICA CHE VUOL CHIUDERE

Tutta la famiglia ha la bocca all’ingiù, così fanno i bambini quando devono disegnare la tristezza, così ha fatto anche Laura con la sua matita.
Ed è triste pure il sole, là  nel cielo spento.
Sono tristi i papà  che hanno perso il lavoro, sono tristi le mamme, i fratelli, le sorelle, la città , tutti.
Questa è la storia di una fabbrica che ha appena chiuso, una storia in fondo comune, dentro la maledetta crisi che fa sanguinare non solo l’economia ma le persone, soprattutto le più fragili.
E c’è qualcosa di più fragile di un bambino?
«Non licenziate i nostri papà », scrivono i figli col pennarello, ingenui e perfetti, sui loro fogli bianchi.
Era una fabbrica di viti e bulloni per automobili ed elettrodomestici, la Fivit Colombotto di Collegno, alle porte di Torino, il paese famoso per il manicomio. Forse, ci sono luoghi dove il dolore preferisce fermarsi e rimanere. Bulloni, viti: oggetti di una quotidianità  materiale e disarmante, oggetti antichi che l’uomo usa da sempre. Ma da qualche settimana, l’azienda ha abbassato le saracinesche.
Nel 2003 era stata assorbita dal gruppo lombardo Agrati, però le cose sono andate sempre peggio.
La perdita del lavoro riguarda 82 operai, anzi 82 famiglie: e i bambini hanno deciso di prendere matite e colori per dire no, per chiedere che non finisca così.
C’è un video su YouTube, ci sono pagine su Facebook, perchè almeno questo ha di bello il presente: anche se ha messo in crisi i bulloni e i papà , ha inventato nuovi modi per parlare con gli altri, subito, adesso, e per farsi sentire.
«Fai tornare il sorriso alla mia famiglia». I disegni dei bimbi di Collegno spiegano più di tanti trattati di sociologia ed economia il disagio di questo sventurato presente.
Lì dentro urla un dolore quotidiano, chissà  quante sere passate a parlare della crisi attorno a un tavolo, con i piccoli zitti ma attenti, spugne pronte ad assorbire ogni cosa, perchè loro sono così.
E poi, quel tutto è rotolato sulla carta, si è rovesciato sui fogli.
«Mio papino, non c’è bisogno che piangi di nascosto», scrive una bambina che si firma solo “figlia di un dipendente”.
«Anche se davanti a noi sorridi, io ho capito tutto, non lascerò mai la mano che stringi da 11 anni».
Nel disegno, il papà  e la bimba si tengono, appunto, per mano, su un prato di fiori rossi, c’è anche un cuore appoggiato a terra.
«Cattivi, papà  perde il lavoro», qui invece la famiglia è come chiusa dentro una casaprigione, il segno è nero, la desolazione è un tratto semplice e netto.
I bambini ne avranno parlato tanto tra loro, forse con le maestre, con i nonni. E il racconto dà  il senso di una comunità , è corale e dolente.
Lorenzo ha disegnato un paio di mani e vorrebbe regalarle al papà , perchè lui con quelle mani possa continuare a lavorare.
C’è la fabbrica dentro una palla di vetro, è l’idea di Mauro e Michele, ed è un futuro che si legge anche troppo bene.
C’è una cassetta degli attrezzi che non serve più, ci sono le viti disegnate con attenzione e perizia, non manca neppure una zigrinatura, si vede che questi piccoli le hanno viste, toccate.
«State rovinando i nostri sogni», dice un cuore triste firmato da Giulia, 6 anni, e Francesco, 3 anni. «Non lasciate il mio papà  senza lavoro».
C’è un mantello di stelle colorate, quasi assurdo nel buio. I bambini disegnano la fabbrica con precisione, non è il nemico ma una specie di casa, è lì che papà  e mamma guadagnavano i soldi per mantenere la famiglia. E graffia il cuore il disegno con le croci sopra i vestiti, il cibo, l’automobile, i libri, cioè le cose che bisogna cancellare a una a una.
Nell’uovo di Pasqua, uno di questi bimbi chiede di trovare il regalo del lavoro, anche lui è un figlio di qualche papà  che piange da solo, anche se ci sono situazioni impossibili da nascondere, i bambini vedono tutto, sentono tutto, captano con le antenne sempre dritte.
Stasera i loro genitori, i dipendenti della Fivit Colombotto, parteciperanno a un consiglio comunale aperto, a Collegno, e poi andranno in strada con le fiaccole.
«La nostra azienda da cinque anni non è più in cassa integrazione, ha ricevuto molte commesse, non c’era nessun bisogno di chiuderla », dicono gli operai.
L’attività  è stata interrotta da un giorno all’altro, nessuno era davvero preparato, meno che mai i bambini. «I nostri genitori non sono numeri».
«Il lavoro è un diritto di tutti». Laura, Sara, Gianluca, ognuno ha una domanda, una frase. Giulia ha disegnato il suo papà  che torna a casa con la cassetta degli attrezzi in mano, invece Lara scrive: «Senza lavoro non si va da nessuna parte».
Ci sono lacrimoni che scivolano dagli occhi, e facce che gridano.
Pupille spalancate, il fumo si alza dai comignoli e dalle ciminiere, sopra i tetti di Collegno che non capisce e non lo merita.
E c’è anche la realtà  disegnata come finalmente dovrebbe essere: un papà  che spinge sorridendo una carriola rossa, tra file di bulloni bene avvitati, tutto in ordine, tutto funzionante, un piccolo cuore che vola come una farfalla e la frase dentro un fumetto: «Io amo il mio lavoro», ogni parola scritta con un colore diverso, «lavoro» in verde, «io amo» in rosso, non potrebbe essere altrimenti.
Anche se il disegno che fa più male, dopo quello del padre che piange da solo e quello delle bocche all’ingiù, è un cubitale e semplice “Perchè?”, appoggiato nel vuoto. Il bambino che l’ha scritto forse avrà  già  imparato che ci sono domande senza risposta.

Maurizio Crosetti
(da “La Repubblica“)

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GLI STUDI “RENZIANI”: “PER LUI NON BISOGNA SCOMODARE I CLASSICI, BASTA CITARE CROZZA”

Febbraio 20th, 2014 Riccardo Fucile

LUCIANO CANFORA FA UNA DISAMINA SPIETATA DEL NUOVO PRODOTTO NATO IN CASA PD

“La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità  pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno” (dal Manifesto del futurismo, Filippo Tommaso Marinetti)
Fermarsi alla parola e definire con Luciano Canfora, filologo dell’età  classica e osservatore sgomento della lunga crisi italiana, i parametri espressivi di Matteo Renzi, la forza della sua leadership.
Immaginare il nuovo mondo dentro il quale il giovane fiorentino sta conducendo il Paese ha una sua utilità , in qualche modo è fatica necessaria.
“Riprendo in mano Aristofane e a mente rivado a “I Cavalieri”, quando fa dire a uno dei suoi protagonisti: emetti dalla bocca delle polpette ripugnanti”.
Renzi è Paflagone? Il servo che – conquistato il comando – spadroneggia in casa?
Il professore vive un pessimismo cosmico, sembra così atterrito dal nuovo che addirittura affida a Crozza l’interpretazione più degna del renzismo.
“Fare, dire, amare… quando il comico pronuncia quelle parole interpreta magistralmente la vena sconclusionata e stravagante del nostro leader. Ma cosa vuol dire fare, amare? E allo stesso tempo che razza di progetto è, che pensiero sottende, quale carica espressiva si dipana nella frase: faremo una riforma al mese!. Neanche se parlassimo di frittelle! Questo è il dramma, da qui lo sconforto e la rassegnazione”.
Ma l’Italia l’ha scelto perchè non ne poteva più del potere immobile, incartapecorito. Almeno la velocità , la voglia di dare risposte, la forza di stare in movimento, gliela dobbiamo riconoscere.
“Ma si rende conto che un partito ha fatto indicare la sua leadership da alcune migliaia di passanti? Ho visto con i miei occhi signori che avevano Il Giornale di proprietà  della famiglia Berlusconi sotto braccio in fila ai gazebo per votare alle scorse primarie, a queste benedette primarie che gli sono servite per espandere in modo arbitrario un campione minuscolo della società  italiana, a sentirsi legittimato da tutti invece che da pochi. Affidare a gente che la pensa nel modo opposto di quel che ritieni la scelta del tuo leader significa commettere il secondo errore madornale, ingiustificabile dopo quello di aver costruito un partito senza passione, nato da convenienze, da una fusione fredda”.
L’alterità  renziana per Canfora nasce qui, da questo deficit genetico: prendere uno che non la pensa come te ma appare vincente, e porlo alla guida del tuo partito, che è perdente.
Estraneo tra estranei. “Renzi, proprio lui, lascia spazio a Berlusconi di dire: l’ultimo premier eletto sono io. Renzi, proprio lui, garantisce, giura che uno come Alfano non sarebbe mai potuto essere ministro e ora lo stiamo per ritrovare al suo fianco. Capisce il danno? E la misura della colpa? E non si rimedia con paroline tipo: il dire, il fare, l’amare. Ma cos’è? Lo hanno issato al trono solo perchè dotato di questa straordinaria energia cinetica? Ecco l’iniqua, sperequata logica. Io non mi sorprendo. Studio da una vita i classici e già  in Eschilo, Agamennone e poi naturalmente in Platone la parola esprime il contrario del pensiero. Non c’è dunque stupore. Perchè è certo che anche adesso la parola ingannevole è usata come un bastone nodoso”.
Si dice a far prefigurare Berlusconi, ci si allea per finta con questo e insieme si tratta per davvero con quello.
“E nascono sconcezze lessicali, si consumano vere e proprie truffe ai danni della nostra intelligenza e della lingua. Quando non ci piace l’avversario, magari invoca rigore e integrità  morale, lo tacciamo di populismo. E che significa? Non c’è continenza, adeguatezza, misura. Parole inutili, vuote, vacue. Cesti rotti”.
Le parole truffaldine. “La verità  è che siamo in una condizione di soggezione, completamente piegati a poteri esterni. Le sembra possibile che la Merkel, il cancelliere tedesco, ci indichi i giorni e le ore che possiamo permetterci per formare un nuovo governo? È nella sua disponibilità ?
Siamo asserviti, e la nostra debolezza ha la radice nella crisi della classe dirigente.
E la crisi esprime poi questi volti, queste fughe solitarie, questi tipi italiani. I partiti hanno una forma provvisoria e stentano a stare insieme.
E siamo feriti, uccisi dalla valanga di informazioni che sembrano avere come unico obiettivo l’azzeramento della memoria. Siamo un popolo senza memoria purtroppo e tutto ci è concesso”. Perfino di avere in campo una coalizione che si chiamava Popolo della libertà . “E qui ritorniamo alle parole ingannevoli. Questo è davvero un mirabile esempio: se tu sei il popolo della libertà  io che non ti voto appartengo al popolo della schiavitù? Esiste un partito democratico, quindi si contrappone a un partito aristocratico?”.
Parole come zucche vuote, professore. “Temo di sì, penso di sì”.
Sembra che il fiorentino non le piaccia proprio. “La città  di Renzi ha una antica amicizia con la lingua italiana, e questo è l’unico un punto a suo favore”.
Poi è veloce. “Si veloce”.
Il fare. “Purtroppo la memoria mia va a Crozza e al suo stupendo: dire, fare, amare”. Dobbiamo rassegnarci, non c’è proprio scampo? “Non la prenda così male e non si angusti. Sappia che l’unica vera resistenza, l’unico baluardo a questa deriva , l’unica struttura antagonista è la scuola. La scuola ci salverà ”.

Antonello Caporale

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ANALISI DEL VOTO IN SARDEGNA: IL 60% DEI GRILLINI SI È ASTENUTO, IL RESTO HA VOTATO PREVALENTEMENTE PER FORZA ITALIA

Febbraio 20th, 2014 Riccardo Fucile

COME E’ STATO RIPARTITO IL VOTO DEI CINQUESTELLE

L’analisi del voto per la regione Sardegna di domenica scorsa condotta dall’Istituto Cattaneo è sorprendente.
Il Movimento 5 Stelle alle politiche del 2013 si era piazzato al primo posto nell’isola, con 274 mila voti pari al 29,7 per cento dei consensi espressi.
Un anno dopo, non essendoci in lizza alcuna lista legata a Beppe Grillo, secondo il Cattaneo il 60 per cento di coloro che avevano votato M5S sono rimasti a casa. Quindi hanno disertato le urne circa 165 mila elettori grillini (i dati vanno presi con qualche prudenza perchè i calcoli del Cattaneo sono condotti solo sul voto a Cagliari e Sassari, che equivale al 15 per cento del totale).
Un anno fa avevano votato 950 mila elettori sardi, domenica scorsa 775 mila.
Il calo di affluenza alle urne è di 175 mila unità , quasi del tutto ascrivibile, secondo l’analisi degli studiosi guidati da Elisabetta Gualmini, all’astensionismo grillino.
Il 40 per cento di coloro che a febbraio 2013 avevano messo la croce sul simbolo M5S, cioè 110 mila elettori, sono però andati a votare, e secondo questa analisi dei flussi lo hanno fatto in modo imprevisto.
Se alla vigilia si riteneva che le liste di Sardegna Possibile, guidate dalla scrittrice indipendentista Michela Murgia, fossero predestinate a richiamare il consenso dell’area grillina, i risultati dicono un’altra cosa.
A Sardegna Possibile è andato solo il 6,6 per cento del voto ex M5S a Cagliari e il 3,9 per cento a Sassari. La Murgia ha fatto una campagna contro i grandi partiti nazionali ma ha esplicitamente rifiutato l’idea di solleticare il voto di protesta, preferendo insistere su un voto di proposta.
I risultati le danno ragione: solo 15 mila dei 75 mila voti conseguiti risultano di derivazione M5S.
Per il resto chi un anno fa aveva scelto il M5S alle regionali ha scelto in prevalenza il centrodestra: il 26 per cento a Cagliari e il 16 per cento a Sassari (cioè buona parte del 40 per cento che ha votato).
Molti elettori ex M5S hanno scelto il centrosinistra, votando Pd per il 7,5 per cento a Cagliari e per il 10 per cento a Sassari, dove altre liste di centrosinistra hanno portato a casa il 5 per cento del voto proveniente dal M5S.
Se si considera che Sassari è una città  tradizionalmente più “rossa” di Cagliari, la distribuzione del voto ex grillino nelle due città  sembra suggerire che, alle regionali, la più forte alternativa al non voto sia stata il ritorno a un voto di sapore clientelare.

Giorgio Maletti
(da “il Fatto Quotidiano“)

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LO SVUOTACARCERI E’ LEGGE: EVITA LA MULTA UE, INTASA I TRIBUNALI E NON RISOLVE IL PROBLEMA DEI DETENUTI

Febbraio 20th, 2014 Riccardo Fucile

ALLA FINE NE USCIRANNO SOLO DUEMILA

L’obiettivo era e resta uno solo: arrivare a maggio e schivare il colpo.
La sentenza Torreggiani non lascia scampo: se l’Italia non riuscirà  a garantire — entro maggio, appunto — uno spazio non inferiore ai 3 mq e molte ore trascorse all’esterno della cella, verrà  condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a risarcire, con centomila euro ciascuno, sette detenuti che avevano fatto ricorso per le condizioni disumane in cui vivevano nei penitenziari di Busto Arsizio e Piacenza.
Cifra che, moltiplicata per i 15 mila detenuti eccedenti rispetto alla capienza delle nostre carceri, farebbe una somma degna di una Finanziaria.
E così, a due giorni dalla sua scadenza e a una settimana dal nuovo governo, ieri il Senato ha approvato con voto segreto —147 sì, 95 no e nessun astenuto — il disegno di legge di conversione del decreto del 2013: quello che è stato definito lo “svuota-carceri” e che in realtà , finora, ha portato fuori di galera soltanto 2.100 persone.
Erano 63.200, sono 61.100 e le previsioni da qui a maggio sono di scendere più o meno di altrettanto.
Quanto basta, secondo le previsioni del ministro Annamaria Cancellieri, per portare a casa il risultato di Strasburgo. E poco importa se la legge rischia di essere travolta dai ricorsi
LIBERAZIONE ANTICIPATA
È la norma più discussa, nata male e finita — forse — peggio. Prevede che lo sconto di pena, già  esistente, di 45 giorni ogni sei mesi per i detenuti che si comportano bene salga a 75.
La decisione sarà  comunque sub iudice. In origine, la norma era pensata per tutti i detenuti: le aspre critiche dei giudici antimafia, anche dalle colonne del Fatto , hanno portato poi all’esclusione dal beneficio di coloro che hanno commesso reati di mafia, omicidio, violenza sessuale, rapina aggravata ed estorsione.
E già  questo potrebbe violare l’articolo 3 della Costituzione. Se poi si considera che la norma è “in via temporanea” (dal 1 gennaio 2010 al 24 dicembre 2015), i profili di incostituzionalità  potrebbero anche essere due.
Perchè chi è entrato in carcere il 31 dicembre 2009 non ne ha diritto? Ieri il Senato ha votato contro l’emendamento dei 5 Stelle che avrebbe impedito di estendere il beneficio a corruzione e concussione. “Vergogna”, ha commentato il senatore Enrico Cappelletti.
BRACCIALETTI ELETTRONICI
Viene ribaltato l’onere della motivazione: se finora il giudice, concedendo i domiciliari, poteva prescrivere il braccialetto “solo se necessario”, adesso dovrà  farlo sempre, a meno che non ne escluda la necessità .
I braccialetti erano già  stati al centro di una grossa polemica, perchè costati oltre 9 milioni di euro allo Stato a beneficio di Telecom (dove lavora come responsabile della Direzione Administration, finance and control Piergiorgio Peluso, figlio della Cancellieri) e perchè, finora, ne sono state usate solo poche decine.
La legge specifica che l’utilizzo dei braccialetti non comporterà  un ulteriore aggravio per le forze di polizia. Resta da capire, allora, chi controllerà  i detenuti che ne verranno dotati.
PICCOLO SPACCIO
Il codice prevedeva che la lieve entità  fosse un’attenuante nella detenzione e cessione illecita di stupefacenti.
Se bilanciata da aggravanti come la recidiva, finora potevano determinarsi pene molto alte.
Lo svuota-carceri rende invece la lieve entità  reato autonomo, con possibilità  di disporre l’affidamento terapeutico dei tossicodipendenti anche per più di due volte.
È un modo per ripristinare la differenza tra droghe leggere e pesanti, che la Fini-Giovanardi (bocciata dalla Consulta la settimana scorsa) aveva eliminato
ESPULSIONE DEI DETENUTI stranieri.
Viene ampliato il campo dell’espulsione come misura alternativa al carcere. Varrà  anche per i delitti previsti dal testo unico sull’immigrazione, purchè la pena non superi i due anni, e per chi è condannato per rapina ed estorsione.
Anche in questo caso, visto che non ci sono i soldi per mettere le persone sugli aerei e riaccompagnarle in patria, è una misura che rischia di rimanere sulla carta.
AFFIDAMENTO IN PROVA
Viene portato da tre a quattro anni il limite di pena (anche residua) che consente l’affidamento ai servizi sociali.
“Peccato che non vengano ampliate le risorse professionali e finanziarie indispensabili all’implementazione delle misure alternative”, fa sapere il Consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali.
GARANTE dei detenuti.
La legge istituisce l’ufficio del Garante presso il ministero di via Arenula: tre componenti in carica per cinque anni.
Ci saranno molte più denunce, ma le celle invivibili continueranno a essere tali.
Perchè fino a quando non si ripenserà  da un punto di vista culturale all’intero “sistema carcere”, le risposte all’emergenza saranno i soliti rimedi all’italiana.

Silvia D’Onghia
(da “il Fatto Quotidiano“)

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REGIONE SICILIA, UN MILIONE PER I COLLABORATORI ESTERNI, CINQUESTELLE IL GRUPPO PIU’ “CARO”: 400.00 EURO, 33 DIPENDENTI

Febbraio 20th, 2014 Riccardo Fucile

LE SPESE ASSURDE DEI GRUPPI REGIONALI E LA CASTA GRILLINA

Una ‘nota spese’ di quasi un milione di euro che l’Assemblea regionale siciliana sta decidendo se e come saldare ai gruppi parlamentari.
Le uscite per il pagamento del personale ‘esterno’ in forza ai gruppi di Palazzo dei Normanni hanno raggiunto cifre inaspettate per il Consiglio di presidenza.
Somme che preoccupano anche in virtù delle limitazioni introdotte dal decreto Monti: dal primo gennaio il “contributo unificato” ai gruppi – sceso da 2.400 euro per deputato a circa 600 euro – non potrà  più essere utilizzato per il pagamento del personale esterno.
In sostanza, da quest’anno, l’Ars erogherà  gli stipendi a dipendenti assunti con un regime di pagamento non più in vigore.
La cifra chiesta dai gruppi è inaspettatamente alta, oltre le previsioni: il bilancio dell’Ars aveva previsto una spesa di ‘soli’ 700 mila euro, e adesso l’amministrazione del Palazzo si trova invece a dover sborsare quasi un milione di euro.
E il gruppo che spende di più è quello dei Cinquestelle: 402.797 euro è l’importo complessivo indicato come retribuzione annua dei dipendenti esterni pentastellati.
I grillini ne hanno assunti 12 ad inizio legislatura, e a loro è destinata la cifra indicata. Non sono portaborse (per i quali l’Ars paga direttamente ai deputati un massimo di 3.180 euro al mese, previa rendicontazione, che fanno parte del totale dell’indennità ) e non sono i cosiddetti stabilizzati, ovvero gli 85 dipendenti stipendiati dall’amministrazione di Palazzo dei Normanni e — anche loro — a disposizione dei gruppi.
Perchè di ‘stabilizzati’, il gruppo Cinquestelle, ne ha quattro a disposizione, mentre il contributo per i portaborse i grillini lo utilizzano per pagare altri 17 collaboratori.
In totale sono 33 dipendenti.
Ma sono quei 12 che rendono il secondo gruppo dell’Ars anche il più ‘caro’.
Le cifre che gli altri gruppi spendono per i dipendenti “non stabilizzati” sono decisamente più basse.
Al secondo posto tra i gruppi più ‘spendaccioni’ (almeno per quanto riguarda il personale esterno), poi, c’è Articolo 4.
Il gruppo parlamentare ‘creatura’ di Lino Leanza, ha solo 8 deputati – i grillini sono invece 14 – ma per pagare i dipendenti spende 174.517 euro di contributo unificato. Terzo il Megafono (che ha cinque parlamentari), che per gli esterni spende in un anno 141.428 euro.
La lista, poi, continua con l’Udc (128.137 euro), il Gruppo misto (66.935 euro), e i Democratici e riformisti (43.851 euro).
“Nessun dipendente”, scrivono, invece, Partito democratico e Pid-Grande Sud.
Perchè questi due gruppi parlamentari a loro disposizione hanno ‘solo’ personale inquadrato tra i ‘cosiddetti stabilizzati’: 21, nel caso del Pd, una decina quelli del Pid. Personale che è pagato direttamente dall’Ars e che non ha un contratto ‘fiduciario’ con un gruppo o un parlamentare.
Ogni deputato, poi, certamente ha il suo portaborse. Ma per il pagamento dei collaboratori personali i deputati attingono direttamente alla loro indennità . Anche se, dalla prossima legislatura, quel contributo da oltre tremila euro, che da quest’anno è soggetto a rendicontazione, non esisterà  più.
Ci sono tre gruppi, poi, che non hanno presentato la documentazione: si tratta del Pdl, del Pds-Mpa e della Lista Musumeci. Marco Falcone (ex Pdl ormai Forza Italia), però, fa sapere che per il personale esterno il suo vecchio gruppo ha speso, in tutto il 2013, 110mila euro che “verranno presto rendicontati alla presidenza dell’Ars”.
Stessa risposta dà  Nello Musumeci, che precisa: “Abbiamo presentato tutte le carte nel pomeriggio, i soggetti esterni che lavorano al gruppo sono tre, stipendiati con circa mille euro al mese”.
Dal consiglio di presidenza raccontano che a questi dipendenti (per i quali il contributo è già  stato ridotto negli anni) potrebbero venire bloccati gli scatti d’anzianità  previsti ogni 5 anni, ma alcuni dopo le proteste di alcuni parlamentari e si è deciso di chiedere un parere all’avvocatura dello Stato.
All’Ars il cammino verso la spending review è un percorso a ostacoli.

(da “SiciliaLive“)

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GOVERNO, NON C’E’ ACCORDO: ALFANO FRENA SU ECONOMIA E GIUSTIZIA

Febbraio 20th, 2014 Riccardo Fucile

NULLA DI FATTO NEL VERTICE DI MAGGIORANZA: “PASSO AVANTI MA NON DEFINITIVO”

Fumata nera alla prima riunione di maggioranza che si è tenuta in tarda mattinata alla sede del ministero degli Affari Regionali.
“Dobbiamo ancora rivederci”, spiega all’uscita Pino Pisicchio di Centro democratico. “Ci sono dei punti ancora da chiarire”, aggiunge Lorenzo Dellai.
In particolare l’impasse è sulla legge elettorale. “Dobbiamo chiarire il rapporto con le riforme”, dice Dellai.
Per il presidente di Ncd Renato Schifani un passo avanti si è fatto, ma si è solo all’inizio: “Ci sono state illustrate le priorità  del premier incaricato, seguiranno delle indicazioni nelle ore successive. E’ stata una riunione proficua ma non può essere definitiva”.
A quanto si apprende, Ncd avrebbe posto il veto sulla firma del programma in relazione alla durata della legislatura.
Alfano ha chiesto che sia scritto nero su bianco che l’entrata in vigore della legge elettorale sia condizionata al compimento delle riforme.
Delrio avrebbe risposto: “Non possiamo metterci quanto in Germania, non staremo due mesi a discutere del programma”.
La partita è ora demandata alle trattative tra Renzi e i leader della coalizione.
Si è trattato della prima riunione collegiale dei gruppi parlamentari disponibili a sostenere il governo Renzi, con Graziano Delrio a fare da ospite e raccordo fra le proposte di Pd, Ncd, Sc, Pi, Udc, Psi, Cd (che, uniti alle minoranze linguistiche di Sud Tirolo e Val D’Aosta raggiungono il ragguardevole numero di nove gruppi, inferiore solo all’Unione, la maggioranza che sosteneva il secondo governo Prodi formata da 14 partiti).
Suoi interlocutori i capigruppo, mentre non hanno preso parte al vertice nè Matteo Renzi nè gli altri segretari di partito.
Delrio arrivando al vertice aveva detto ai cronisti: “Non ci sono doppie maggioranze. Le riforme le facciamo con tutti. Con Ncd troveremo la sintesi”. E aveva fornito rassicurazioni sulla “serenità ” del premier incaricato.
Lo stop di Alfano.
Questa mattina Angelino Alfano, al termine della riunione dei gruppi parlamentari di Ncd, aveva posto alcuni paletti: “Noi abbiamo detto alcuni ‘no’ molto chiari e molto fermi che riguardano sia il programma che l’assetto di governo. Abbiamo detto ‘no’ alla patrimoniale. Non vogliamo alla giustizia un giustizialista e non vogliamo all’economia qualcuno che sia particolarmente affezionato alle tasse.
Qualcuno che ritenga che l’incremento fiscale sia una politica di sviluppo. La vera priorità  in questo momento è la diminuzione delle tasse”.
Sulle riforme, Alfano aveva aggiunto: “Per realizzare la riforma costituzionale e rendere credibile l’abolizione del Senato sarà    indispensabile approvare una norma che attribuisce alla legge elettorale una sua immediata applicabilità , appena compiuto il cammino delle riforme. Altrimenti finirà  che approviamo la legge elettorale per andare al voto e che facciamo finta di fare le riforme”.
I tempi del governo.
Renzi intanto, che prevede di chiudere sabato sulla squadra, per poi presentarsi lunedì al Senato per la fiducia – già  calendarizzata per le 14 – continua a lavorare al programma di governo nella sede del Pd in largo del Nazareno.
Mentre dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, arriva l’ennesimo appello a fare presto: “Ci auguriamo che il nuovo esecutivo veramente capace di operare per fare delle risposte a un Paese che è stremato da una crisi che sta durando ormai da sei anni, ed ha bisogno di uscirne il prima possibile”.

(da “La Repubblica”)

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GOGNA GRILLINA: PARTE IL LINCIAGGIO AI QUATTRO SENATORI CHE HANNO OSATO CRITICARE IL GUITTO

Febbraio 20th, 2014 Riccardo Fucile

NE PUBBLICA NOMI E FOTO, CI MANCA GIUSTO L’INDIRIZZO DI CASA… E SUL BLOG SI SCATENA LA TEPPA: “SEI UNA CARRIOLA DI LETAME DI PORCO”

Beppe Grillo mette all’indice i senatori dissidenti che ieri lo hanno criticato per l’atteggiamento avuto nei confronti di Matteo Renzi, nel corso del faccia a faccia per le consultazioni.
Grillo posta le foto dei senatori, e ne ricorda nomi e cognomi. “I 4 senatori sono Lorenzo Battista, Fabrizio Bocchino, Francesco Campanella e Luis Alberto Orellana”, scrive.
Quindi pubblica un post intitolato ‘fuoco amico (?)’, e firmato da Antonio Noziglia di Genova.
Vi si legge: “quattro senatori del m5s manifestano perplessità  circa il metodo usato da grillo nel corso del confronto in streaming con un certo Renzi. Chi sono questi 4 senatori? Quanto consenso hanno portato al m5s tutti insieme? Le televisioni di stato riportano lo streaming con tagli mirati ad oscurare la pietosa difficoltà  in cui si è trovato il citato Renzi per tutta la durata del confronto. Perchè questi 4 signori non denunciano questo comportamento scorretto, lesivo del diritto ad una informazione corretta e lesivo pure della dignità  di coloro che conducono certe trasmissioni?”.
La risposta di Campanella “Nessun fuoco amico nel senso malevolo del termine, ma solo delle critiche senza lesa maestà “.
Così il senatore dissidente 5 stelle, contattato telefonicamente dall’Agi, dopo il post pubblicato sul blog di Grillo.
E poi puntualizza: “Io non ho nessuna intenzione di lasciare. Voglio vedere se il Movimento si riprende la modalità  operativa che gli è propria, quella veramente democratica e partecipata”.
E su internet fioccano insulti.
Sono oltre mille i commenti sotto il post del blog di Beppe Grillo in cui si denuncia il “fuoco amico” dei 4 senatori dissenzienti nei confronti del modo in cui Grillo ha condotto ieri la consultazione con Renzi.
E, come sempre, la base è divisa anche se sono prevalenti i commenti contrari e gli insulti ai 4 senatori. “Dimettersi è la strada, non buttarsi nel gruppo misto… è li che vogliono andare?? gentaglia!!” scrive Lello ed anche Carlo sottoscrive: “Questi 4 dovrebbero avere almeno la dignità  di togliersi dai piedi. Faranno la fine di Favia e della Salsi… Personaggi ridicoli che non caga più nessuno”.
Ottaviano Augusto (così la firma) non usa giri di parole: Orellana? “è una carriola di letame di porco”.
Giorgio è risolutivo: “Fuori. Oggi. Subito”. Federico la butta sulla solita questione delle indennità : ” chiaro che l’unico motivo per le loro panzane è che lo stipendio a 5Stelle gli va stretto”.
Luca invece li difende: “Fuoco amico ? Non capisco” ed anche Walter L., tra gli altri, ironizza: “Guai a criticare la Nostra Voce”.

(da “Huffingtonpost”)

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KIEV, E’ GUERRA DI POPOLO CONTRO IL REGIME SERVO DI MOSCA: MIGLIAIA DI EROI ALL’ASSALTO DEI PALAZZI DEL POTERE

Febbraio 20th, 2014 Riccardo Fucile

IL GOVERNO SPARA SUI MANIFESTANTI, OLTRE 50 MORTI E 500 FERITI… 60 AGENTI FATTI PRIGIONIERI DALLA FOLLA…RICONQUISTATA PIAZZA MADAIN

Ha riconquistato la piazza centrale di Kiev la folla di manifestanti antigovernativi che ieri aveva accettato la tregua con la polizia.
Stamattina Maidan è tornata a trasformarsi in un campo di battaglia. Il bilancio di stamattina è già  pesantissimo. «Solo questa mattina – ha riferito l’ambasciatore italiano in Ucraina Fabrizio Romano a Radio Radicale – i morti a Kiev sono almeno 50» . Per il ministero della Sanità  ucraino i feriti sono 500.
Gli insorti – riportano i media locali – hanno fatto prigionieri una cinquantina di poliziotti e li hanno portati in un edificio occupato vicino al municipio di Kiev facendoli passare attraverso un corridoio umano di dimostranti antigovernativi.
Il palazzo che ospita la sede del governo – fa sapere l’agenzia Interfax – è stato evacuato per motivi di sicurezza.
Anche agli impiegati dell’amministrazione presidenziale è stato ordinato di tornare nelle proprie abitazioni. Il Verkhovna Rada, il parlamento, è stato abbandonato da deputati e impiegati per motivi di sicurezza.
Il presidente Viktor Ianukovich è in questo momento impegnato in un incontro con i ministri degli Esteri francese, tedesco e polacco. Lo ha detto Anna Gherman, una consigliera del capo di Stato ucraino, citata dall’agenzia Interfax.
Il presidente ieri sera aveva chiesto una interruzione degli scontri per «fermare il bagno di sangue e stabilizzare la situazione», mossa giunta in serata dopo le aspre critiche dell’occidente e la minaccia di sanzioni da parte dell’Ue. Ieri il bilancio degli scontri era arrivato a 28 morti.
Alcuni atleti ucraini, come anche raccontato dai nostri inviati sul liveblog da Sochi Insalata russa, hanno deciso di lasciare i Giochi invernali per le violenze e i morti negli scontri a Kiev. «Alcuni di loro hanno deciso di ritornare a casa – dice il portavoce del comitato olimpico Mark Adams -, Sergei Bubka (presidente comitato olimpico ucraino, ndr) rispetta la loro decisione».
Il Cio non ha reso noto chi e quanti atleti della delegazione ucraina (43 quelli presenti) hanno deciso di ritirarsi a tre giorni dalla chiusura.
Stamattina la delegazione olimpica dell’Ucraina ha osservato un minuto di silenzio per ricordare le vittime degli scontri di piazza a Kiev tra polizia e manifestanti. Nel quartier generale del villaggio olimpico a Sochi, tutti i 43 atleti ucraini, insieme con i dirigenti, si sono alzati in piedi, esponendo la bandiera nazionale.
Una condanna nei «termini più forti» della deriva sanguinosa degli avvenimenti è quindi arrivata dal presidente americano Barack Obama, che ha avvisato che «ci saranno conseguenze se si oltrepasserà  il segno».
«Invito fortemente il governo ucraino ad astenersi da ulteriore violenza. Se i militari interverranno contro l’opposizione, i legami con la Nato saranno seriamente danneggiati», ha dichiarato il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Anders Fogh Rasmussen.

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L’AZZERAMENTO DELLA POLITICA VA IN ONDA CON LO STREAMING

Febbraio 20th, 2014 Riccardo Fucile

LE CO-INSULTAZIONI SVELANO L’IMBROGLIO DELLO STREAMING

Diceva la verità  Beppe Grillo quando ha gridato in faccia a Matteo Renzi «io non sono democratico!».
Non solo perchè non lo ha lasciato parlare neanche per un minuto – e stavolta non è un modo di dire – ma perchè con il suo comiziaccio in streaming ha beffato, più del presidente incaricato, quella maggioranza dei Cinquestelle che nel referendum-lampo del giorno prima gli aveva chiesto di andare alle consultazioni.
Non per rovesciare una valanga di insulti su Renzi ma per sentire cosa ha in mente, e magari per proporgli qualcosa di buono da fare.
Ancor prima della maleducazione istituzionale di un ricco attor comico che non è mai stato eletto da nessuno ed entra a Montecitorio con la prepotenza arrogante di un invasato solo per poter urlare in faccia al futuro premier «non ti faccio parlare perchè tu non sei credibile», colpiva l’assoluta indifferenza del guru pentastellato rispetto al mandato che lui stesso aveva chiesto all’unica autorità  che dice di riconoscere, «la Rete».
Lui non voleva andarci, a quelle che ha definito «consultazioni farsa».
I suoi iscritti, i suoi militanti hanno invece deciso che stavolta bisognava andare a sentire cosa proponeva Renzi, e lui c’è andato, sì, ma solo per tirargli una torta in faccia, avvertendo con tono sprezzante che non era venuto «per parlare di programmi».
E anche se stavolta ha evitato il turpiloquio, quei dieci minuti di quasi monologo soverchiatore forse fidelizzeranno ancora di più lo zoccolo duro del Vaffaday, ma erano un gigantesco «vaffa» a quei milioni di italiani che hanno votato per lui non perchè andasse a insolentire un politico che nell’aula di Montecitorio non ha mai messo piede, ma perchè cercasse di realizzare almeno qualcuna delle mille meravigliose novità  che ha promesso ai suoi elettori.
Detto questo, il vero mistero è cosa abbia spinto Matteo Renzi a cadere in questa trappola mediatica.
Lui ha puntato tutto sul sorriso e sull’amabilità , «io compravo i biglietti dei tuoi show», ma ha capito troppo tardi di essere ostaggio di un teppista istituzionale ed è rimasto fino all’ultimo nella parte del politico dialogante, che sa essere più zen del suo predecessore (il quale dialogò per 52 minuti con i grillini, e li disarmò con la sua dolce ironia). In quei dieci lunghissimi minuti è apparso un leader in difficoltà , che non sapeva proprio come cavarsi d’impaccio.
Eppure era stato proprio lui, dopo il disastroso colloquio in streaming di Bersani con i Cinquestelle, a commentare in un’intervista al Corriere: «Mi veniva da dire: Pierluigi, sei il leader del Pd, non farti umiliare così».
L’errore di Renzi non è stato quello di parlare con Grillo, perchè è giusto e opportuno che un presidente incaricato ascolti tutti, anche quelli che mai voteranno per lui, ma nessuno lo obbligava ad ascoltare per dieci minuti buoni – non dieci minuti parlamentari ma dieci minuti televisivi che sono un’eternità  – un Grillo che lo interrompe dopo trenta secondi, appena lui ha cominciato a dire «vi raccontiamo quello che vogliamo fare».
E soprattutto un presidente del Consiglio, per quanto ancora solo incaricato, non dovrebbe permettere a nessuno di dirgli, in casa propria, «ti do solo un minuto», non dovrebbe essere costretto a chiedere «almeno un minuto me lo devi dare», e quando il suo interlocutore ha l’arroganza di rispondergli «no, non te lo do, io non sono democratico e non ti faccio parlare, non ho tempo per te» forse dovrebbe alzarsi e pregare i commessi, sempre sorridendo e sempre amabilmente, di accompagnare alla porta chi si permette una simile tracotanza.
Il duello politico l’ha perso Grillo, ma quello mediatico non l’ha certo vinto Renzi, che forse non si aspettava un simile attacco frontale ed è riuscito a infilare nel torrenziale comizio dell’ospite solo una frecciatina, «Beppe, questo non è il trailer del tuo show, forse sei in difficoltà  con la prevendita», ma qui ha commesso l’errore fatale: mai discutere con un comico, ti trascina al suo livello e poi ti batte con l’esperienza.
La verità  è che lo streaming preteso e purtroppo ottenuto anche stavolta dai grillini non è la trasparenza della democrazia ma l’azzeramento della politica.
È trasparente come una vetrina dell’insulto e della finzione, una porta a vetri attraverso la quale chi dichiara apertamente «io non sono democratico» può far passare non la voce del popolo ma la sua dinamite mediatica.
La trasparenza è di sicuro una ricchezza preziosa per il Parlamento e per i partiti, ma lo streaming applicato alle consultazioni, alle trattative e ai colloqui di Stato – come sa bene Grillo che non lo ha mai permesso quando doveva affrontare le questioni più spinose con i suoi parlamentari – è l’esatto opposto della limpidezza: appena si accende la luce rossa della telecamera il velo dell’opacità  avvolge ogni cosa reale e ognuno dei protagonisti finge di essere quello che non è, e magari dice quello che non pensa, non per dialogare con chi gli sta davanti ma per incantare chi sta là  fuori, davanti alla tv.
E allora le consultazioni diventano co-insultazioni e l’unica cosa trasparente è l’imbroglio dello streaming.

Sebastiano Messina

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