Febbraio 22nd, 2014 Riccardo Fucile DALLA SEDIA A ROTELLE: “GLI EROI NON MUOIONO MAI, UCRAINA LIBERA!”
Il giorno in cui il potere del presidente ucraino Viktor Yanukovich si è sgretolato e la dittatura è caduta con 328 voti del Parlamento a favore della richiesta di impeachment presentata ieri dall’opposizione, a Kiev la Maidan ha accolto il ritorno di Yulia Tymoshenko.
Liberata oggi, e arrivata in piazza Indipendenza su una sedia a rotelle dall’ospedale di Kharkiv dove dove era ricoverata sotto alta sorveglianza per gravi problemi alla schiena. “Nessuna goccia di sangue versato sarà dimenticata”, ha detto.
E la folla ha esultato.
L’Ucraina “vede il sole e il cielo”, ma non è finita: “rimanete in piazza, fino alla fine”, ha detto
la ‘Giovanna D’Arco’ di Kiev, come ama definirsi Yulia Timoshenko, ha sparato subito una bordata contro l’antico nemico Viktor Ianukovich, ‘fuggito’ da Kiev e destituito di fatto dal Parlamento ucraino.
La Rada ha prima ‘ordinato’ la sua liberazione, poi nominato i suoi sodali nei posti chiave del governo e del Paese, dalla presidenza del Parlamento di Kiev, guidato ora dal braccio destro della pasionaria ucraina, Oleksandr Turcinov, che ha assunto anche i poteri di premier ad interim, passando per il ministro dell’Interno, Arsen Avakov.
Le elezioni presidenziali sono state indette per il 25 maggio, e Timoshenko ha già fatto sapere che si candiderà .
Poi ha deposto fiori per onorare le vittime, loro “sono i miei eroi”. Sulla sedia a rotelle, ha arringato la folla, “Ucraina libera!”.
Di fronte a una piazza esultante ha continuato: “Gli eroi non muoiono mai, saranno sempre la nostra ispirazione”. “Se qualcuno vi dice che avete finito il vostro lavoro e dovete andare a casa non gli credete: dobbiamo andare avanti fino alla fine”.
Con l’accusa di aver violato i diritti umani della popolazione ucraina Yanukovich non è più il presidente della Repubblica ucraina: è stato bloccato mentre cercava di imbarcarsi su un aereo diretto in Russia. Ha cercato di corrompere le guardie al confine per poter decollare ma quelle hanno rifiutato.
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Febbraio 22nd, 2014 Riccardo Fucile GUIDI E POLETTI, CAPITALISMO CHE DELOCALIZZA IN ROMANIA E LEGA COOP CHE MONOPOLIZZA IL MERCATO INTERNO, UNA GARANZIA PER LO SVILUPPO DEL LAVORO IN ITALIA
A prima vista sembra così: la Confindustria si è presa il cruciale ministero dello Sviluppo, con Federica Guidi, così Giorgio Squinzi non potrà lamentarsi del nuovo governo.
Il capitalismo di sinistra, quello delle Coop, conquista il dicastero del Lavoro con Giuliano Poletti, il presidente della Alleanza delle cooperative.
Ma sono nomine da decodificare meglio.
La Guidi, modenese, 45 anni, componente della Commissione Trilateral, è figlia dell’industriale Guidalberto Guidi e vicepresidente di Ducati Energia (con filiali in Paesi poveri)
Come molti imprenditori “figli di” si è potuta dedicare molto alla Confindustria, ha guidato i giovani imprenditori dopo Matteo Colaninno (altro figlio) mentre il presidente era Emma Marcegaglia.
La Guidi non ha mai nascosto le sue simpatie per il governo Berlusconi e per il Cavaliere in persona.
Un anno fa si parlava di lei, amica anche di Maurizio Lupi, per una candidatura con il Pdl e addirittura di un suo ruolo nel partito, secondo il modello sperimentato ora con Giovanni Toti.
Fu poi papà Guidalberto a spiegare a un Berlusconi che all’epoca sembrava finito che Federica non se la sentiva.
Oggi è entrata, un po’ a sorpresa, nella squadra di Renzi, dicono soprattutto per una questione di quote rosa da rispettare (eppure la Guidi aveva sempre detto “sono contraria, non premiano le migliori”). Forza Italia interpreta la sua scelta come un segnale distensivo.
Tutta un’altra questione Giuliano Poletti. Il corteggiamento della politica è stato lungo per questo massiccio imolese, classe 1951, storico leader delle Coop rosse emiliane, che dice di pensare in romagnolo prima di parlare in italiano.
Pier Luigi Bersani lo voleva candidare, lui ha detto di no.
Matteo Renzi lo aveva invitato alla Leopolda, ma ha preferito non esporsi per non schierare le Coop nelle primarie.
Ha ispirato il progetto di alleare le cooperative rosse e quelle bianche, dopo esser riuscito a far nascere Alleanza delle Cooperative e poi ha affidato la presidenza al “bianco” Luigi Marino (oggi senatore di Scelta Civica), vincendo le resistenze del mondo ex comunista.
Deve portare al governo Renzi un’anima sociale che finora mancava, è un riformista ma senza slanci liberisti: invoca equità , ma da cooperatore non crede che la si possa ottenere usando la leva del fisco o quella del mercato, evoca una democrazia economica in cui contano le teste e non le quote di capitale (nonostante le Coop siano in difficoltà per gli investimenti ad alto rischio nel Monte Paschi e Bankitalia abbia dichiarato guerra alle Banche popolari).
Il programma dei due ministri economici che affiancheranno Pier Carlo Padoan al Tesoro, sarà meno scontato di quanto ci si poteva aspettare.
Con la Guidi allo Sviluppo è ormai esclusa un’applicazione del “piano Giavazzi” che voleva ridurre gli incentivi alle imprese.
O meglio: Guidi è espressione di quella parte di Confindustria che rappresenta la manifattura contro i grandi gruppi di Stato, quindi al massimo il suo ministero proverà a incidere su Eni, Enel, Terna, Ferrovie e così via (tutte aziende che però sono abili a sfruttare il proprio rapporto con la politica per difendersi).
Sarà complicato per una come lei, di matrice berlusconiana, dominare un ministero che è rimasto bersaniano nei vertici e nella cultura interna.
Con Poletti — che sicuramente si farà guardiano delle agevolazioni fiscali delle cooperative — sbiadisce quel poco che era rimasto della rottamazione renziana sul lavoro, quell’approccio un po’ bellicoso tipico di uno dei primi consulenti del premier, Pietro Ichino: per temperamento e storia personale, Poletti non sarà mai il ministro che cercherà di piegare i sindaci sul “contratto unico” (lunghi periodi di prova con licenziamenti facili).
La sua scelta indica la volontà di Renzi di affrontare il problema dalla coda, ragionando prima di ammortizzatori sociali, di tutele, privilegiando il punto di vista delle piccole imprese rispetto alle logiche stile Fiat.
Sarà interessante vedere se Poletti riuscirà a ricostruire un rapporto tra Renzi e la Cgil di Susanna Camusso o se, invece, il suo arrivo al ministero renderà il sindacato ancora meno rilevante come canale tra il governo a guida Pd e la sua (teorica) base.
Stefano Feltri e Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 22nd, 2014 Riccardo Fucile I POPOLARI DI MAURO E GLI AMICI DI CIVITI: QUINDICI SENATORI IN DISSENSO CHE MINACCIANO RIPENSAMENTI
Matteo Renzi ha concluso da pochi secondi l’annuncio della sua squadra. La prima reazione è
anche la più clamorosa.
Su La7, Enrico Mentana legge in diretta e un sms di Pippo Civati: “Maria Carmela Lanzetta (nuovo ministro degli Affari regionali, ndr) è una ‘civatiana’. Non sapevo nulla della sua nomina. Nessuno mi ha avvertito: nè lei, nè Renzi”.
Il terzo classificato alle primarie del Pd (sempre sul punto di preparare le valigie e lasciare il Nazareno) conferma l’amarezza qualche minuto più tardi, su Facebook.
E aggiunge: “Non sapevo che dopo Gianni e Enrico ci fosse anche un Matteo Letta. Bis”.
L’appoggio al governo della sua piccola pattuglia parlamentare (i senatori sono 6) è sempre più in bilico: “Renzi sta facendo di tutto per farsi votare contro”.
Civati non è l’unico a sottolineare la continuità tra il nuovo governo Renzi e l’esecutivo “rottamato” proprio dal premier in pectore.
Angelino Alfano, tra le righe, esprime lo stesso concetto. Ovviamente con spirito opposto.
Il confermatissimo ministro degli Interni non nasconde nemmeno un briciolo della sua soddisfazione. Il commento arriva via Twitter: “Molto bene la squadra. Il Nuovo Centrodestra non poteva chiedere o desiderare di più. Per l’Italia. #avantitutta”. Altrettanto enfatica la dichiarazione di un’altra “diversamente berlusconiana” rimasta nella squadra di governo: a sentire Beatrice Lorenzin non sembrerebbe cambiato nulla: “Portiamo avanti il lavoro cominciato in questi mesi – scrive il ministro della Salute – con entusiasmo, impegno e determinazione. Per cambiare l’Italia”.
Come dire: almeno gli alfaniani sono sistemati
Le spine per Renzi, sono soprattutto dentro al suo partito.
Non c’è solo il battitore libero Civati.
Prima ancora dell’annuncio dei ministri, Gianni Cuperlo aveva mandato un messaggio poco distensivo: “Sul futuro del Pd — ha detto il leader della minoranza a Sky — dobbiamo aprire una riflessione molto seria. Nel nostro partito ora viviamo un’anomalia. Abbiamo fatto due mesi fa le primarie: si faceva un congresso per eleggere il segretario e non l’inquilino di Palazzo Chigi. Ora il nuovo segretario diventa presidente del Consiglio. Io credo che dovremo discutere di questo”.
La minoranza democratica, insomma , tira la corda: il cambio del segretario è utopia, ma nelle stanze alte del Nazareno servirà (già ) per lo meno un bel rimpasto
Berlusconi intanto rimane alla finestra.
Da una parte, durante il colloquio di ieri pomeriggio con i giovani di “Missione Azzurra”, non risparmia qualche stoccata: “Dopo Monti, Letta e Renzi si può dire che la sinistra si è data ai giochi di palazzo”, ha detto il Cavaliere, come riporta il profilo twitter di Forza Italia.
Dall’altra conferma la disponibilita dei suoi a collaborare alle riforme, come ribadisce in serata al Tg 1 il fido Giovanni Toti: “Forza Italia farà un’opposizione responsabile, ma ora si proceda con l’Italicum, in modo che in qualsiasi momento si vada alle urne possa essere garantita la governabilità ”
Anche perchè i numeri in Parlamento del nuovo governo sono stretti.
Specie al Senato, Renzi dovrà fare i conti della serva.
Vendola conferma l’opposizione. I Popolari per l’Italia (che hanno perso il ministero di Mario Mauro e a palazzo Madama sono ben 12) si dicono incerti: “Valuteremo lunedì — annunciano in una nota — se concedere la fiducia al governo”. Magari un sottosegretario o due potrebbero schiarire le loro idee.
Tommaso Rodano
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Febbraio 22nd, 2014 Riccardo Fucile IL TIMORE CHE RENZI ALLA FINE ABBIA CONCESSO TROPPO AD ALFANO
Tira brutta aria, dentro Forza Italia.
Da quel governo in cui Alfano sembra averla spuntata, Silvio Berlusconi a fine giornata non si sente rassicurato per niente.
Si insinua il sospetto che Renzi abbia ceduto all’alleato sul rinvio dell’Italicum alle calende greche. .
Tanto che al Tg1 della sera piomba il consigliere Giovanni Toti per avvertire che, va bene l’opposizione responsabile, ma «la riforma elettorale è urgente, non va legata ad altre riforme costituzionali, va fatta subito».
È quella la trappola temuta. E non la sola.
Berlusconi, raccontano, in privato non si scompone: «I patti non erano questi, se sarà così, ogni intesa è destinata a saltare» è la minaccia.
Il Cavaliere si rigira tra le mani la lista dei ministri quando all’ora di cena è in viaggio sul Frecciarossa, direzione Milano.
«Mah, resto perplesso, attendiamo i fatti, si conferma un’operazione di palazzo in cui Renzi rimane prigioniero dei piccoli partiti», risponde al telefono ai dirigenti forzisti che gli chiedono un commento a caldo.
A tutti conferma la sensazione che l’esecutivo, così com’è, non sia destinato a durare a lungo.
Nel pomeriggio, la voce che alla Giustizia sarebbe andato il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, aveva mandato in fibrillazione Palazzo Grazioli, anche se poi il nome del pd Andrea Orlando non fa certo tirare un sospiro di sollievo, raccontano.
L’umore comunque a fine giornata è decisamente cambiato rispetto all’entusiasmo mostrato dal leader durante l’incontro pomeridiano con i duecento giovani della “Missione azzurra”, catechizzati per partire con le Fiat 500 posteggiate davanti alla sede di San Lorenzo in Lucina.
Obiettivo: far lievitare i club Forza Silvio e portarli «dagli attuali 8 mila a 12 mila». Giù, in piazza, davvero pochi curiosi, è un flop, alla fine nonostante il palchetto allestito e il comizio annunciato, Berlusconi non scenderà .
Nel salone delle riunioni invece il leader si era presentato in ritardo ma in vena di battute. «Scusate, ma ormai ho tre badanti e come sapete le donne ritardano sempre», dice poco prima che in sala si presentino Francesca Pascale, la senatrice Maria Rosaria Rossi e la giovane Alessia Ardesi che, dopo un’esperienza di lavoro a Palazzo Grazioli, ora fa da assistente proprio alla fidanzata del leader.
Poi parte lo show, davanti ai giovani in tuta azzurra da ordinanza.
«Dopo Monti, Letta e Renzi si può dire che la sinistra si è data ai giochi di palazzo» attacca Berlusconi. «Renzi non ha capito quanto sarà difficile governare, ha la maggioranza nel suo partito, ma non in Parlamento, molti deputati pd sono bersaniani e dalemiani» continua.
Scettico: «Vuole fare le riforme, noi siamo disponibili, ma temo che non avrà quattro anni per farle».
Poi la propaganda: «Alle prossime elezioni è matematico che vinciamo noi», «la sinistra vuole una patrimoniale da diversi miliardi di euro», «Renzi ha vinto le elezioni a Firenze con 111 mila voti, quando sono andato da lui l’altro giorno mi sono presentato: salve, sono Mr 172milioni di voti in 20 anni» e giù risate.
Nelle due ore di “lezione” ai giovani li ha ripercorsi a modo suo, questi 20 anni.
Il sorriso Merkel-Sarkozy fu «un assassinio per la mia immagine», nel 2011 fu ordito un complotto della magistratura ai suoi danni, quell’anno «Napolitano mi mandò al G20 di Cannes a mani vuote, facendomi fare la figura di chi non mantiene gli impegni».
Alle 18, Renzi ancora non è uscito dallo studio di Napolitano e in piazza San Lorenzo in Lucina si contano solo una manciata di turisti, giornalisti e cameramen: militanti davvero pochi.
E a Berlusconi non va di essere oscurato dal premier che sta per uscire e leggere la lista al Colle.
Manda sul palco il responsabile dei club Marcello Fiori, il capo dell’Esercito di Silvio Marcello Furlan e la deputata Annagrazia Calabria, responsabile dei giovani forzisti (vi appartiene la gran parte dei duecento così detti volontari in sala).
«Scusate, ma gli eventi istituzionali hanno sconvolto la scaletta», si giustifica Fiori dal palco.
Come se il Cavaliere fosse stato impegnato lui nella formazione del governo.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 22nd, 2014 Riccardo Fucile NELLE DUE ORE E MEZZA DA NAPOLITANO, RENZI HA CAMBIATO LE CARTE PIU’ VOLTE
Due ore e mezza di colloquio al Quirinale. 
Più di quando toccò a Enrico Letta e Mario Monti, altre storie, altre epoche. Matteo Renzi arriva da Giorgio Napolitano e non lo trova sereno.
Prima del faccia a faccia nello studio del presidente, che inizia alle 16.30, dal Colle trapelava una certa irritazione, per quella irritualità renziana: annunciare ai giornalisti l’orario di presentazione della lista dei ministri senza prima concordarlo con la presidenza della Repubblica, ma soprattutto quella lista di 16 nomi che non arriva a Palazzo prima delle 16.
Napolitano ha poco tempo per visionarla, ma nota subito le caselle che non gli quadrano.
Prima di tutto, gli Esteri, come confermano dal Pd, e di conseguenza, anche la Difesa, anche se in maniera meno netta. E poi la Giustizia.
Sulle prime due, Renzi non cede . Ma è costretto a farlo sul dicastero di via Arenula. Non è affatto un caso se proprio il nome del Guardasigilli esce cambiato dal colloquio tra il premier e il capo dello Stato: entra come Nicola Gratteri, pm calabrese impegnato nelle inchieste contro la ‘ndrangheta, ed esce come Andrea Orlando, ex responsabile Giustizia del Pd, giovane ministro con delega all’Ambiente nel governo Letta.
E cambiata la carta della Giustizia, si spostano altre caselle.
Poche in realtà , rispetto alla lista con cui Renzi si è presentato al Colle e diffusa in esclusiva da Huffington Post.
Poche, visto che sul un tecnico all’Economia (Pier Carlo Padoan) il premier aveva già ceduto prima di salire al Quirinale.
Un po’ lo dice Napolitano stesso, parlando ai giornalisti allo studio alla Vetrata del Quirinale subito dopo le comunicazioni di Renzi.
“Le due ore e mezza di oggi – ha detto il capo dello Stato — non sono state di incontro tra me e il presidente incaricato, ma di lavoro parallelo: io ho fatto un po’ di mio lavoro diciamo di routine, il presidente del Consiglio ha completato consultazioni per poter definire la composizione del Consiglio dei ministri”.
Sembra che sia andata proprio così, con Renzi che entrava e usciva dallo studio del presidente, si appartava per fare le sue telefonate in una stanza attigua, chiamata niente meno che: ‘Salottino Napoleonico’.
Contatti con il capogruppo Roberto Speranza, con il leader di minoranza Gianni Cuperlo.
Perchè, sparito il nome di Gratteri, è entrato in campo il Pd, con il suo corpaccione che esce ben rappresentato nel governo Renzi, in tutte le sue spigolature e anime. Tranne che per la parte lettiana e poi Rosi Bindi e Beppe Fioroni.
Ma andiamo con ordine.
Raccontano dal Pd che Napolitano ha alzato il sopracciglio quando ha letto il nome della giovane Federica Mogherini assegnato agli Esteri. Dubbi, perplessità sulla scelta del premier incaricato di affidare un dicastero così importante ad una personalità di poca esperienza, soprattutto alla luce dei pesantissimi dossier aperti: quello con l’India sui Marò, per dirne uno, ma anche proprio i rapporti euro-atlantici in un momento delicatissimo di crisi economica e non solo economica.
Insomma, per Napolitano Esteri e Difesa sono caselle sulle quali andava stabilita una certa continuità con il governo Letta, confermando i ministri Emma Bonino e Mario Mauro. Ma su entrambe le caselle Renzi non ha ceduto. Sulla Giustizia invece si è dovuto arrendere.
L’idea del premier per il ministero di via Arenula era di puntare su una carta da spendere anche come immagine del governo.
Avere un pm come Gratteri avrebbe significato la possibilità di esibire in squadra un profilo forte di lotta alla criminalità organizzata.
Ma si è scontrato con le forti perplessità di Napolitano non su Gratteri in quanto tale ma sul fatto che la carica di Guardasigilli andasse a un magistrato, figura non superpartes nel variegato mondo della Giustizia.
E’ qui che Renzi ha dovuto cedere nel confronto con Napolitano, è qui che ha dovuto aprire il suo file, cancellare il nome Gratteri e sostituirlo con Orlando, esponente dell’area di minoranza Pd ‘Giovani Turchi’, inizialmente destinato all’Ambiente.
E spostando Orlando, è stato necessario spostare altre pedine. Gianluca Galletti, quota Udc, era associato all’Agricoltura, nella lista di Renzi.
E’ finito invece all’Ambiente, mentre l’Agricoltura è stata assegnata al bersaniano Maurizio Martina, segnalato al premier dai bersaniani sin dall’inizio delle trattative, tanto che quando Renzi l’aveva rifiutato chiedendo un nome al femminile, loro avevano risposto con la richiesta di una riconferma per Anna Maria Carrozza o Cecilia Guerra, ex ministre del governo Letta.
Ora tutte le aree del Pd sono rappresentate nel governo. La franceschiniana Areadem ha ben tre dicasteri: Esteri (Mogherini), Difesa (Roberta Pinotti) e Cultura (Dario Franceschini). Massimo D’Alema ha Padoan, ex presidente della Fondazione Italiani Europei.
Walter Veltroni ha Marianna Madia, legata all’ex sindaco di Roma almeno fino a qualche anno fa. Persino i circoli civatiani sono finiti in squadra.
E’ questa è l’altra sorpresa che emerge dalle due ore e mezza di colloquio Renzi-Napolitano, una sorpresa comunque e sempre scatenata dalla cancellazione del nome di Gratteri dalla lista del segretario Pd.
A Maria Carmela Lanzetta, simbolo anti-‘ndrangheta, ex sindaco di Monasterace, paesino della Calabria, viene assegnato il ministero degli Affari Regionali, inizialmente non previsto nella lista (e per la Lanzetta, viene depennato il nome di Valeria Fedeli, prevista alla Pubblica Amministrazione, assegnata invece a Marianna Madia).
Lanzetta si è schierata con Civati alle primarie per il segretario Dem. Magari la sua presenza non è riuscita a risolvere il ‘problema Civati’, che resta comunque intenzionato a non votare la fiducia al governo Renzi. però ora evidentemente sarà Lanzetta a portare la bandiera della lotta alla criminalità organizzata nella squadra del segretario Dem a Palazzo Chigi.
Non solo Pd. Oltre ai tre dicasteri del Ncd – gli intoccabili Alfano (Interni), Lupi (Infrastrutture e Trasporti) e Lorenzin (Sanità ) che Renzi ha dovuto ‘ingoiare’ — in squadra c’è anche Federica Guidi, provenienza Confindustria, vicina niente meno che a Silvio Berlusconi.
Roba che fa storcere il naso nella minoranza Pd, che si consola con Giuliano Poletti (Legacoop) al Lavoro.
Un governo di unità nazionale? Quasi. Farà le riforme? “Nessuno può mettere la mano sul fuoco”.
Parola di Napolitano.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 22nd, 2014 Riccardo Fucile RENZI LA FACCIA SE L’E’ GIA’ GIOCATA E PERSA
Bando alle ciance sul premier più giovane e sul governo più rosa della storia italiana. Chissenefrega della propaganda: il governo Letta vantava il record dell’età media più bassa, infatti è durato meno di una gravidanza.
Fino a oggi avevamo concesso a Matteo Renzi — come sempre facciamo, senza preconcetti — il sacrosanto diritto di fare le sue scelte prima di essere giudicato.
Ora che le ha fatte possiamo tranquillamente dire che il suo governicchio è un Letta-bis, cioè un Napolitano-ter che potrebbe addirittura riuscire nell’ardua impresa di far rimpiangere quelli che l’hanno preceduto.
Già la lista con cui è entrato al Quirinale presentava poche novità vere, anzi una sola: quella del magistrato antimafia Nicola Gratteri alla Giustizia.
Quella che ne è uscita dopo due ore e mezza di cancellature a opera di Napolitano è un brodino di pollo lesso che delude anche le più tiepide aspettative di svolta.
E il fatto che la scure di Sua Maestà si sia abbattuta proprio su Gratteri la dice lunga sul livello di non detto dei patti inconfessabili che Renzi ha voluto o dovuto stringere col partito trasversale del Gattopardo.
Se il premier fosse quello che dice di essere, avrebbe dovuto tener duro su Gratteri o mandare tutto a monte. Invece s’è democristianamente genuflesso a baciare la pantofola e ha nominato il ragionier Orlando, ultimamente parcheggiato all’Ambiente (“Orlando chi?”, avrebbe detto Renzi qualche giorno fa), rinunciando a dare una sterzata alla Giustizia (clicca qui per approfondire) .
Complimenti vivissimi a lui e a Giorgio Napolitano: se Scalfaro nel ’94 usò il potere di nominare i ministri per sbarrare la strada a Previti, lui l’ha usato per fermare un pm competente, efficiente, onesto ed estraneo alle correnti.
E non per un’allergia congenita ai Guardasigilli togati: nel 2011 firmò l’incredibile nomina del magistrato forzista Nitto Palma, amico di B. e di Cosentino.
Il veto è proprio ad personam contro Gratteri, che la Giustizia minacciava di farla funzionare sul serio, senza più indulti, amnistie, svuotacarceri e leggi vergogna. Davvero troppo per lo Stato che tratta con la mafia e per il suo capo.
Accettando senza batter ciglio i veti del Colle, della Bce e di Bankitalia, Renzicchio si candida al ruolo di rottamatore autorottamato.
Poteva tentare una svolta, costi quel che costi: s’è prontamente fatto fagocitare dalla “palude” che rinfacciava a Letta. Voleva essere il primo premier della Terza Repubblica: sarà il terzo premier a sovranità limitata, circondato da un accrocco di partitocrati di nuova generazione che non danno alcuna garanzia di esser meglio degli antenati.
Con due sole eccezioni: il ministro dell’Economia Padoan, finto tecnico che rassicura le autorità europee e mastica politica da una vita, infatti era consigliere di D’Alema (Renzi voleva Delrio, poi anche lì ha alzato bandiera bianca); e l’addetta allo Sviluppo Federica Guidi, che ha soprattutto il merito di essere una turboberlusconiana e la figlia di papà Guidalberto.
Alfano, che Renzi voleva cacciare dal Viminale per l’affare Shalabayeva, resta a pie’ fermo al Viminale. Lupi, che persino il renziano De Luca accusava di farsi gli affari suoi alle Infrastrutture, rimane imbullonato dov’è.
Un altro formidabile conflitto d’interessi porta con sè Giuliano Poletti, ras delle coop rosse, al Lavoro.
Notevole anche la Pinotti, genovese come Finmeccanica, alla Difesa.
La catastrofe Lorenzin farà altri danni alla Salute.
Il multiuso Franceschini passa dai Rapporti col Parlamento alla Cultura.
La Giannini, segretaria di quel che resta di Scelta civica, va all’Istruzione.
Il cerchietto magico renziano si aggiudica gli Esteri con la Mogherini, le Riforme con la Boschi, la Pubblica amministrazione con la Madia (avete capito bene: Madia).
Un po’ di fumo negli occhi con la sindaca antimafia Lanzetta alle Regioni, poi due figuranti come Martina all’Agricoltura e il casiniano Galletti che, essendo commercialista, va all’Ambiente.
“Ora mi gioco la faccia”, ha detto Renzi. Già fatto.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 22nd, 2014 Riccardo Fucile LA RIVOLTA DI POPOLO HA SCONFITTO L’OLIGARCHIA FILORUSSA
Yulia Timoshenko sta per essere liberata. La notizia è stata diffusa da un portavoce dell’ex
premier citata dai media internazionali.
Il Parlamento ha votato a favore della sua scarcerazione «in base a una decisione della Corte europea per i diritti dell’Uomo», senza quindi dover aspettare la firma del presidente Yanukovich.
Due giorni dopo il massacro a Kiev continua la protesta. Secondo quanto riferiscono fonti locali il presidente Yanukovich sarebbe pronto a presentare le dimissioni e avrebbe già lasciato Kiev. Un gruppo di manifestanti avrebbe occupato il palazzo presidenziale.
Intanto Volodimir Ribak, un fedelissimo del presidente Viktor Ianukovich si è dimesso da presidente del Parlamento.
E sono almeno 41 i deputati che hanno abbandonato il partito delle Regioni del presidente. Ai 28 di ieri se ne sarebbero infatti aggiunti 13 oggi. Il gruppo parlamentare fedele al presidente contava prima 205 deputati su 450.
Il Dipartimento di Stato Usa ha definito «costruttivo» un colloquio telefonico avvenuto tra Barack Obama e Vladimir Putin sulla crisi ucraina. I due leader – prosegue la fonte americana – si sono detti d’accordo perchè l’accordo di pace entri in vigore in tempi brevissimi perchè «è importante stabilizzare la situazione economica, intraprendere le necessarie riforme e che tutte le parti si astengano da ulteriore violenza».
Secondo alcune fonti il presidente ucraino Yanukovich avrebbe lasciato la capitale Kiev per raggiungere in aereo Kharkiv, una città dell’Ucraina orientale russofona dove le proteste antigovernative hanno poco seguito.
Lo sostiene la testata Zn.ua, vicina all’opposizione, citando un non meglio specificato alto funzionario dell’amministrazione presidenziale. Secondo questa fonte, che non ha fino ad ora trovato conferme, inoltre, Yanukovich volerebbe assieme al presidente del parlamento Volodimir Ribak, al capo dell’amministrazione presidenziale Andriei Kliuiev, e al deputato Vadim Novinskii.
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Febbraio 22nd, 2014 Riccardo Fucile LA PIAZZA FESTEGGIA IL GRANDE GIORNO
Piange Maidan. Di estasi e rabbia, con confusione e strazio: comincia a brillare di splendore nuovo, questa piazza irriconoscibile senza pioggia di pietre, scintillio di molotov, urla di granate. La conquista e rifondazione della capitale è in atto.
Piange Maidan per il significato stesso della parola Ucraina che cambierà qui e adesso: non più u kraj, al confine, quello che vuol dire in russo, ma finalmente e semplicemente krajina, che nella lingua di questo popolo significa terra.
Piange Maidan e chiede: allora questa è vittoria?
«Benvenuta vecchia nuova costituzione, Maidan è l’Ucraina intera stanotte»: Dimitrij dice che dopo l’indipendenza del 1991, la rivoluzione arancione del 2004 e questo febbraio 2014 sono trascorse tre epoche in meno di un quarto di secolo.
La gente comincia a presentarsi con il suo vero nome, a nominare le reali città d’appartenenza, a togliersi i passamontagna perchè non ha più paura del riconoscimento e dell’arresto dopo l’amnistia.
I cosacchi di Mamai non smettono di suonare i tamburi di guerra a dorso nudo con un ritornello di fuochi d’artificio, inni di gioia dal palco. Il tappeto di proiettili che aveva scritto in due notti la nuova topografia della città è tutto raccolto nei palmi che ognuno porge all’altro: «è successo davvero e siamo sopravvissuti».
«Le sanzioni dell’Ovest hanno funzionato, dopo giorni di continue cattive notizie, sangue che scorreva per le strade stentiamo a credere di aver vinto» dice Dima Pacinko, 40 anni, maestro di turno sulla barricata di via Gruzhevskij.
Che c’è qualcosa di nuovo sul fronte orientale lo trasmettono le urla da una barriera all’altra a sopperire alla mancanza di internet: si diffondono così le notizie per chi è lontano dal teleschermo.
Per la probabile liberazione di Yulia Timoshenko diventa festa di braccia che si congratulano.
Eppure i muzhiki, gli uomini, rimangono sotto il tiro dei cecchini a presidiare il territorio. Sono quelli che quando ritornano dal fronte scorrono tra ruote bruciate e gli applausi della passerella dei prodi: malazi, nashi geroi, bravi i nostri eroi.
Sempre più poliziotti disertano, varcano le barricate per aggiungersi ai manifestanti. Sorte diversa per i titushki, paramilitari al soldo del governo addetti ai rastrellamenti, tenuti chiusi nelle stanze del Comune per paura delle reazioni di massa.
In una fabbrica segreta di Kiev in tributo alla rivoluzione alcuni operai hanno costruito una catapulta di dieci metri in legno, trasportata fino a via Gruzhevskij. Prevale il senso di appartenenza su quello ideologico per la giustizia dei barricaderi adesso che dopo mesi la cerchia dorata dello Stato è violata, spezzata o almeno sembra: “Yanukovic è ancora il presidente ma è abbastanza per oggi, credimi” dice Maria col sorriso bagnato di lacrime.
Dove erano appostati i ribelli con i fucili nel palazzo dei sindacati, andato completamente bruciato dal primo all’ottavo piano, si stanno spostando con le pale le ceneri che rimangono dei corpi.
Feriti dall’esercito, sono morti di fiamme perchè non sono riusciti a scappare: loro come molti, non vedranno la notte per cui sono rimasti a testa alta sotto tiro dei cecchini.
Con l’alloro della conquista si susseguono le bare che la gente si affolla per portare a spalla. “Chiunque fossero, erano nostri e questa è la loro vittoria” dice Andrej.
“La piazza rimarrà qui fino a che non avrà un nuovo presidente”. L’eroe della prima ora Misha, il combattente che era qui dal primo lancio di bytilka cocktail molotov, torna a casa da sua moglie a Rivne adesso che tutta la terra di Stefan Bandera si solleva.
Di molotov ce ne sono ancora scorte e negli occhi di Vovka c’è tutto quello che è il suo paese stanotte: con lo sguardo sbalordito perlustra il vuoto di Berkut in trincea, si prepara a passare la sua prima inspiegabile notte senza fuoco.
“Se abbiamo vinto perchè piangono? Comunque che ce ne facciamo adesso di tutta questa dinamite?” chiedono i suoi 17 anni al presidio Instituzka mentre l’Ucraina cambia nella piazza che lui difende con lo scudo senza dormire da due giorni. Come Vovka, mentre si chiede se questa è vittoria, scioccata dalla sua stessa forza, confusa dalla sua stessa potenza, piange Maidan.
Michela a.g. Iaccarino
(da “La Stampa”)
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Febbraio 22nd, 2014 Riccardo Fucile TRA INESPERTI E INCOMPETENTI, QUOTE ROSA E MANUALE CENCELLI: IL VECCHIO CHE AVANZA
Al momento, le uniche novità del governo Renzi — a parte i volti — si limitano alla prima volta
di un esecutivo formato per metà da donne, alla prima volta di una donna al ministero della Difesa (Roberta Pinotti, Pd) e all’età media relativamente bassa (48 anni).
PRIMA OSSERVAZIONE
Il sistema delle quote rosa non ci ha mai convinto: conta la qualità .
Potrebbe esservi un esecutivo di 14 donne su 15 come di 14 uomini su 15: fissare percentuali è solo un’operazione da specie in via di estinzione e soprattutto di immagine. Naturale che la faccia un venditore di pentole.
Alcune delle donne indicate (così come degli uomini peraltro) non hanno certo un curriculum adatto al ruolo o sono palesemente inadaguate.
Da genovesi ci permettiamo ricordare che Renzi ha scelto come ministro della Difesa una candidata a sindaco di Genova che alle primarie ha fatto solo terza (tra chi la conosce bene…)
Di 16 ministri 8 sono del Pd, 3 del Nuovo Centrodestra, uno di Scelta Civica, uno dell’Udc e tre “tecnici” (ai ministeri economici: Pier Carlo Padoan all’Economia, Giuliano Poletti al Lavoro e Federica Guidi allo Sviluppo Economico).
Il secondo dato. Ci sono 9 conferme (su 18) rispetto al governo Letta: i tre del Nuovo Centrodestra e tre del Pd (Dario Franceschini, che passa dai Rapporti col Parlamento alla Cultura, lo stesso Orlando e Graziano Delrio, che dagli Affari regionali è il nuovo sottosegretario alla presidenza del Consiglio in pectore).
Vengono promossi dal ruolo di sottosegretario a quello di ministro Roberta Pinotti (Pd), Maurizio Martina (Pd, era allo Sviluppo e va all’Agricoltura) e Gianluca Galletti (Udc, era all’Istruzione e va all’Ambiente).
Le new entry a Palazzo Chigi, se si include anche il presidente del Consiglio, sono nove.
SECONDA OSSERVAZIONE
Renzi aveva promesso un “governo politico” e ci ritroviamo con 3 tecnici, aveva garantito l’abolizione del manuale Cencelli e abbiamo assistito alla lottizzazione tra partiti fino all’ultimo minuto, aveva straparlato di rinnovamento ma la metà esatta sono riciclati.
Per non dire che le new entry sono persone strettamente legate al suo carro e scelte persino tra quelle della sua ristretta segreteria: fosse stato un altro premier senza appoggi della grande stampa lo avrebbero spernacchiato.
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