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LE COMICHE: IERI IL CUNEO FISCALE SAREBBE STATO TAGLIATO DEL 10%, OGGI RENZI CAMBIA VERSIONE

Febbraio 25th, 2014 Riccardo Fucile

“PARLAVO DI MILIARDI, NON DI PERCENTUALI”. COSI’ DA 30 MILIARDI ORA I TAGLI PASSANO SOLO A 10″… PADOAN: “COPERTURA PIANO? NO COMMENT”

Parola d’ordine: silenzio. All’indomani del discorso programmatico di Matteo Renzi per la fiducia al Senato, dove il premier ha presentato un ambizioso programma economico senza però parlare delle coperture finanziarie, anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan risponde con un “no comment” secco ai giornalisti che gli chiedevano dove il governo intenda recuperare il denaro per finanziare il piano.
Il ministro preferisce quindi non sbilanciarsi, mentre lo stesso premier, che ieri ha promesso un “taglio a doppia cifra del cuneo fiscale“, fa ora sapere che parlava di miliardi e non di punti percentuali, come ha interpretato la stampa.
Il costo del provvedimento scende così a 10 miliardi dai 27-30 miliardi che, secondo gli esperti, sono necessari per abbattere le tasse sul lavoro di almeno il 10 per cento.
“Se se si riduce di 10 miliardi non credo sia giusto fare sorrisi ironici”, ha aggiunto parlando alla Camera, sottolineando che “se arriveranno contributi anche su questo tema da opposizioni vi saremo grati”.
L’Europa, intanto, incalza. Il commissario agli affari economici Olli Rehn ha ribadito che all’Italia serve “un aggiustamento maggiore” per abbattere “l’elevato debito pubblico“, dicendosi “fiducioso che il nuovo governo rispetterà  gli impegni presi”.
Resta però il nodo delle coperture per poter avviare il piano di Renzi.
E non sarà  una missione facile, considerando che il programma economico — secondo Giuliano Cazzola (Ncd), ex parlamentare del Pdl passato nella lista Monti per l’Italia — costa almeno 100 miliardi di euro.
Padoan, tuttavia, non si è limitato a schivare le domande sulle promesse di Renzi. “Assolutamente, non vedo perchè”, ha detto a chi gli domandava se il governo potrebbe porre la fiducia sul dl enti locali, dopo aver partecipato per oltre un’ora a una seduta della commissione Bilancio della Camera che ha all’esame il provvedimento, che ha assorbito il Salva Roma. “Ero in commissione per un provvedimento che deve essere approvato”.

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GUIDI, TUTTI GLI INTERESSI TRA L’AZIENDA E LO STATO

Febbraio 25th, 2014 Riccardo Fucile

LA SOCIETA’ DI FAMIGLIA HA COMMESSE CON POSTE ITALIANE, FS, DITTE DI TRASPORTI PUBBLICI DI DIVERSE CITTA’

Dai mezzi elettrici per Poste italiane e i vigili urbani in decine di Comuni, agli impianti di segnalazione e ai distributori di biglietti per il gruppo Fs, sono molti i rapporti tra lo Stato italiano e le amministrazioni pubbliche e la Ducati Energia, l’azienda di famiglia di Federica Guidi, ex numero uno dei giovani di Confindustria e neoministra per lo Sviluppo economico del governo Renzi
L’imprenditrice, come primo atto dopo il giuramento, ha correttamente lasciato tutte le cariche apicali nell’impresa di cui era vicepresidente e direttore generale.
E lo stesso premier ha assicurato che si occuperà  personalmente di eventuali dossier che dovessero presentare rischi di conflitto di interessi.
Ma il legame è strettissimo, non c’è dubbio: Guidalberto Guidi, padre di Federica, resta il titolare del gruppo (controllato da una finanziaria di cui detiene la maggioranza) e, a scorrere le commesse che Ducati Energia ha evaso e sta portando avanti con “pezzi” del settore pubblico, sembra davvero difficile, per la neoministra, dribblare tutte le possibili contaminazioni tra il ruolo pubblico e l’azienda di famiglia.
UNA MULTINAZIONALE ITALIANA
Ducati Energia – da non confondersi con la Ducati Motor, dove vengono fabbricate le celebri moto – è un marchio all’avanguardia, che ha scelto di delocalizzare la produzione all’estero.
Una propensione mai nascosta da Guidi padre, “falco” di Confindustria già  sostenitore di Alberto Bombassei nella corsa al vertice dell’associazione: degli oltre 700 dipendenti attuali, sotto le Due Torri ne sono rimasti circa 250 (più altri 17 al Centro ricerche di Rovereto), in pratica la “testa” del gruppo con una minima parte di operai. In Romania, Croazia, India, Argentina – con possibili sviluppi futuri in Cina e Russia – è stato spostato il grosso della produzione.
Naturalmente anche il fatturato – 115 milioni di euro -, dipende in gran parte dall’estero.
Da qui, le ironie del deputato di Sel, Giorgio Ariaudo, che, parlando della neoministra, si è chiesto «che esempio possa dare alle aziende italiane».
La stroncatura di Stefano Fassina, espressa dalle colonne de l’Unità , poggia poi, oltre che sul versante strettamente politico (la vicinanza a Berlusconi), sui rapporti tra Ducati Energia e la pubblica amministrazione, in varie forme.
Uno dei prodotti di punta dell’azienda è il Free Duck, un quadriciclo elettrico che dal 2008 viene utilizzato da Posteitaliane (spa di proprietà  del Ministero dell’Economia) per il recapito “verde” della corrispondenza.
Si tratta di un veicolo biposto che ha un’autonomia di 60 chilometri (o 150 per la versione ibrida) che è già  in servizio in molti territori italiani: da Perugia (dove la sperimentazione è partita 6 anni fa con 57 mezzi) a Bologna, da Milano a Brescia, a Padova e Pisa, tra gli altri.
Il battesimo mediatico del Free Duck avvenne nel 2009, al G8 dell’Aquila, con la consegna di 50 veicoli, ma i piccoli mezzi sono in dotazione dalla Polizia municipale di Genova e ne sta valutando l’acquisto anche la Polizia di Stato.
Al progetto partecipa anche Enel (al 31% di proprietà  del Mef), per la quale la ditta di famiglia della Guidi realizza già  una serie di complesse apparecchiature per il controllo e la distribuzione dell’energia: le colonnine di ricarica elettrica, per i Free Duck ma non solo, sono targate Ducati Energia.
Se ne trovano, ad esempio, a Milano, dove sono state sviluppate, in collaborazione con l’amministrazione, Telecom e A2A, anche “isole” wi-fi, in via di installazione, che danno informazioni su eventi e viabilità  e permettono la connessione internet.
C’è poi il capitolo trasporti. Per Ferrovie dello Stato, società  di proprietà  del Tesoro, nonchè per le collegate Italferr e Rfi, la Ducati Energia divisione Railway realizza impianti di segnalamento ferroviario, “chiavi in mano”, dalla progettazione all’assemblaggio e al collaudo. In Emilia-Romagna, poi, sono diffuse sui bus le macchinette emettitrici di biglietti, commissionate negli anni passati dalle aziende di mobilità  pubbliche, come l’Atc bolognese (ora Tper), e Seta (che serve Modena, Reggio e Piacenza)
LO STATO (CON SIMEST) IN AZIENDA.
E se La Repubblica ha ricordato l’intesa Anci-Ducati Energia, con l’ok del ministero dell’Ambiente, alla sperimentazione di mille biciclette a pedalata assistita (nel 2011, numero uno dei Comuni italiani era Graziano Delrio), si segnala anche una partecipazione indiretta dello Stato nell’azienda bolognese.
Si tratta di Simest, la società  per le imprese all’estero controllata dalla Cassa depositi e prestiti (di cui il Ministero dell’Economia possiede l’80%), che nel dicembre 2012 ha acquisito il 15% delle azioni del gruppo di Guidi, con un investimento di cinque anni.
Un ingresso che la stessa Federica Guidi aveva salutato allora con favore, sottolineando come la Simest, fosse già  stata «un’importante supporto in Croazia e Romania».
Un percorso indubbiamente a ostacoli, per la neoministra.
E cosa succederebbe se, ad esempio, suo papà  decidesse di procedere all’acquisto di Bredamenarinibus, storica impresa costruttrice di mezzi pubblici messa in vendita dalla proprietà  Finmeccanica (a maggioranza statale), per la quale in passato ha mostrato interesse?
Sarà  necessario muoversi, come minimo, con i piedi di piombo.

Andrea Bonzi

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UN ABBRACCIO E DUE STRADE DIVERSE

Febbraio 25th, 2014 Riccardo Fucile

BERSANI TORNA A CAPO DELLA MINORANZA PD…LETTA VOTA   E RITORNA A LONDRA

L’abbraccio è politico, come il dissenso, come le cicatrici.
Pier Luigi Bersani arriva, col passo felpato del capo comunista: “Sono qui per fare il mio doppio dovere: votare la fiducia e abbracciare Enrico Letta”.
Cicatrice che si intravede sotto il capello più corto, magro e sorridente si va a sedere al suo posto, stringe una quantità  infinita di mani, coperto dall’affetto dei suoi.
Enrico Letta, entra cinque minuti prima che Renzi inizi a parlare, sale le scale lentamente, dirigendosi verso il segretario di cui fu vice.
La cicatrice è dentro, non ancora rimarginata.
Un’ovazione accompagna il lungo abbraccio tra “Enrico” e “Pier Luigi”. Lunghissima, interminabile, sotto lo sguardo imperturbabile di Matteo Renzi, che a sua volta applaude.
Applauso liberatorio, applauso di affetto, calore, dissenso, applauso di tante cose se, tra i fedelissimi di Letta, serpeggiano giudizi impietosi: “Ipocriti gli applausi di chi cerca di normalizzare l’accaduto”.
La cicatrice sanguina ancora e certo Letta non ha assolto il Pd per quel che ha fatto.
E così, forse, l’abbraccio diventa anche saluto.
Pier Luigi resta seduto tra i banchi del Pd. Enrico no, va a sedersi lontano dal suo partito, in un posto proprio di fronte a Renzi, sguardo imperturbabile come quello della sfinge.
Poco dopo la fiducia, di corsa all’aeroporto.
L’affetto per Pier Luigi è profondo: “Dal 5 gennaio speravo di vivere questo momento. Bentornato Pier Luigi!” twitta l’ex premier mentre lascia la Camera.
Destinazione Londra, per rimettere in fila i pensieri e capire il da farsi.
Per ora Letta non ha deciso nulla, nè sul come farà  politica nè sul suo partito da cui si sente emotivamente lontano.
L’ex premier, racconta chi è vicino a lui in queste ore, non ha intenzione di riaprire i suoi think tank, nè ha intenzione di prendere decisioni affrettate. Si vedrà .
Per ora ha rinunciato all’ufficio che spetta agli ex presidenti del Consiglio, così come ha rinunciato sia agli emolumenti sia alla segreteria che potrebbe avere a disposizione. Tornerà , da “deputato semplice” appena la cicatrice sarà  cauterizzata. E chissà  se il Pd sarà  il suo partito.
L’abbraccio è saluto. Ma è anche un segnale a quella minoranza del Pd che per Bersani avrebbe potuto gestire la fase senza lasciare le impronte digitali sul letticidio. Magari astenendosi alla famosa direzione.
Vecchio capo comunista, Pier Luigi vuole dare un doppio segnale. Ai giovani della sua “minoranza” che, insomma, le maniere contano.
A Renzi che la cambiale non è in bianco: “Il governo Renzi — dice sorseggiando un caffè – tra le sue qualità  migliori non ha l’umiltà  ma ha bisogno d’aiuto e, quando saranno chiari alcuni obiettivi che sono ancora da chiarire, io starò qui a fare il mio dovere per aiutarlo”.
Dare una mano, vecchio slogan bersaniano. In nome dell’unità  del partito: “Reggerà , reggerà ” sorride sornione.
Approccio che segna un solco con Letta. Il grande ritorno di Bersani, nel giorno della “fiducia”, ha il significato di una mano tesa a Matteo, in nome dell’unità  del Pd, nella consapevolezza che se fallisce Renzi è finita per tutti: “Per come si è svolta questa vicenda — spiega – e per come il presidente del Consiglio ha interpretato questo voto di fiducia, da domani gli italiani vorranno misurare lo spread tra parole e fatti”.
Matteo coglie al volo, twitta il suo grazie a Bersani, in Aula lo nomina calorosamente nel discorso.
Con Letta neanche un saluto o uno sguardo veloce come un tweet.

(da “Huffingtonpost“)

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ITALICUM: PARTE DEL PD PREPARA MODIFICHE

Febbraio 25th, 2014 Riccardo Fucile

PROPOSTA PER ALZARE LA SOGLIA DEL PREMIO AL 40% E ADDIO ALLE LISTE BLOCCATE

Al Senato si sta muovendo un’operazione che, se portata fino in fondo, potrebbe scombinare i piani della riforma elettorale e del bicameralismo.
Un’iniziativa di una trentina di senatori del Pd che ha tutte le caratteristiche per essere condivisa da altri colleghi della maggioranza (c’è da scommettere che interesserà  pure l’opposizione).
Si tratta di evitare la trasformazione di Palazzo Madama in una Camera delle autonomie composta da esponenti degli enti locali, sindaci innanzitutto, e rappresentanti del mondo culturale.
«Via i senatori eletti, via i loro stipendi» è il mantra del premier che ieri nel suo discorso per la fiducia si è augurato di essere «l’ultimo presidente del Consiglio a chiedere a quest’aula la fiducia».
«Sono consapevole del rischio di fare questa affermazione di fronte a senatori che non meritano il ruolo di ultimi senatori, ma lo sta chiedendo il Paese, lo sta chiedendo l’Italia», ha detto Renzi. Sembrava avvertire i capponi di tenersi pronti alla loro cottura nel forno. Le resistenze si faranno sentire, ma l’iniziativa di un gruppo di senatori Democratici, che verrà  alla luce nei prossimi giorni, «vuole essere propositiva, non un’ostacolo al superamento sacrosanto del bicameralismo perfetto», spiega il senatore Francesco Russo, un lettiano doc.
«Siamo d’accordo che il nuovo Senato non sia composto da eletti e non esprime la fiducia al governo – precisa Russo – ma ci vuole più consapevolezza nella trasformazione di un tassello così importante delle nostre istituzioni. Il nostro modello è quello del Bundesrat tedesco: i componenti non sono eletti ma vengono designati dai i governi federali che in Italia sarebbero le Regioni»
Russo parla anche di modifiche alla riforma elettorale, a quell’Italicum concordato da Renzi e Berlusconi.
«Modifiche necessarie a eliminare profili di incostituzionalità  come la soglia del 37% per ottenere il premio di maggioranza. Dovrebbe essere portato al 40%.
Un altro problema sono le liste bloccate. Stiamo pensando a varie ipotesi per evitare che a decidere siano le segreterie dei partiti: le preferenze, i piccoli collegi o le primarie obbligatorie». Il lettiano Russo racconta di un malumore diffuso e trasversale nel gruppo del Pd che si è riunito ieri mattina prima che iniziasse la discussione sulla fiducia.
Si dirà  che gli amici di Letta come quelli di Bersani e di D’Alema hanno il dente avvelenato.
Sta di fatto che rimangono molte incognite. Ad esempio non è sembrato chiaro se reggerà  l’intesa Renzi-Berlusconi o se invece verrà  scavalcata dall’accordo di maggioranza, con Alfano in particolare.
Ovvero che la nuova legge elettorale verrà  applicata solo per la Camera. La conseguenza sarebbe che dovrà  necessariamente essere approvata la riforma del Senato e superato il bicameralismo.
Verdini ieri a Palazzo Madama assicurava i senatori di Forza Italia che l’intesa con il premier regge, eccome: la nuova legge elettorale verrà  approvata e sarà  pronta in caso di elezioni, di interruzione anticipata della legislatura.
Con buona pace di Alfano, secondo Berlusconi e Verdini, che invece pensa di avere firmato una polizza sulla vita.
Per la verità  le parole in aula di Renzi sembrano andare verso l’intesa con il Nuovo Centrodestra. Ha detto che «politicamente esiste un legame netto» tra riforme costituzionali (Senato e titolo V) ed elettorale. «Sono 3 parti della stessa cosa».
Per Renzi «l’Italicum è pronto per essere discusso alla Camera. Venga approvata la prossima settimana. Non si perda tempo. Se avessimo avuto l’Italicum alle scorse elezioni ci sarebbe stato il ballottaggio tra Bersani e Berlusconi e avremmo avuto un vincitore sicuro».
Ecco, il premier è una priorità , «una prima parziale risposta all’esigenza di evitare che la politica perda ulteriormente la faccia».
Berlusconi attraverso Verdini ha chiesto al premier di chiarire in sede di replica, di confermare che la legge elettorale non deve essere pensata solo per la Camera, in attesa delle riforme costituzionali. Renzi non l’ha fatto. Ha ribadito che il pacchetto delle riforme è unico.
«E’ l’unico vero modo per rispettare la straordinaria figura di Napolitano».

Amedeo La Mattina
(da “La Stampa”)

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WALL STREET JOURNAL: “SOLTANTO LA SOLITA VAGA AGENDA”

Febbraio 25th, 2014 Riccardo Fucile

 L’ OPINIONE DEL CORRISPONDENTE DA ROMA

L’Italia, vista con gli occhi di uno statunitense, sembra più piccola.
Christopher Emsden è il corrispondente da Roma per il Wall Street Journal, il giornale Usa che ha dedicato più attenzione e fiducia al nuovo governo.
Il discorso di ieri però non sembra essergli piaciuto: “vago”, “fazioso” e “senza una parola di esteri”.
Fatto da un premier che “ha già  iniziato la campagna elettorale”.
Le è piaciuto il discorso del giuramento
No, è stato molto meno entusiasmante di quanto mi aspettassi. Renzi si è limitato a riepilogare l’agenda già  sentita, senza però dare nessuna scadenza o dettaglio. Strano per uno come lui che vuole presentarsi come una svolta radicale: poteva farlo ieri e invece ha perso l’occasione. Facile dire “taglio il cuneo fiscale”, il problema è quando, con che velocità .
Oltre ai dettagli, cos’altro è mancato?
Non ha detto una sola parola sul resto del mondo. E mi ha stupito come ha trattato grillini, dicendo che vuole prendersi cura di loro. Mai sentita una cosa così faziosa in un discorso per la fiducia. Probabilmente ha già  iniziato la campagna elettorale per le europee.
È ipotizzabile un discorso così negli States?
Il corrispettivo Usa potrebbe essere lo State of the Union address, ma da noi si presta più attenzione alla concretezza. Quando il presidente Obama ha parlato di reddito minimo, è stato molto preciso. Qui non ho colto cosa chiedesse di fare al Parlamento.
Quale impressione le ha fatto il nuovo governo?
Renzi vuole essere il dominus assoluto. L’ha detto ieri (“se falliamo è colpa mia”, ndr) e l’ha dimostrato nella scelta dei ministri: pochi e non molto conosciuti. Chiederà  loro di fare quello che lui decide. Non mi sembra molto collegiale. Ed è per questo che sta dando fastidio a molti.
Chi rappresenta l’insidia maggiore per la stabilità  del governo?
Renzi ha una carta vincente da giocare sia con Berlusconi (la riforma costituzionale) che con Alfano (la legge elettorale). Il problema è che deve scegliere quale giocare. Sono convinto che alla fine la sua diventerà  una maggioranza variabile. Solo un genio potrebbe tenere in piedi il rapporto con entrambi, ma geni non ce ne sono. Un po’ si è visto già  oggi, con gli alfaniani che non hanno applaudito.
Gli osservatori esteri hanno fiducia in Renzi?
Credo di sì. Ha detto che l’Italia deve smetterla di essere subalterna all’Europa. Io credo che anche gli altri Paesi la pensino così. È meglio negoziare con un governo politico che con uno di intese larghissime o tecnico. La Spagna grazie a un esecutivo politico ha risolto più problemi che l’Italia. L’unica differenza è che qui manca un mandato elettorale chiaro. Però gli economisti sono fiduciosi, anche perchè se fallisce Renzi non c’è un piano B.
Chi potrà  trarre il maggiore vantaggio da questa nuova situazione?
Io credo che i sondaggi sottostimino almeno il Movimento 5 Stelle, che secondo me è almeno al 30 per cento. E le elezioni europee sono perfette per un voto di protesta.

Alessio Schiesari

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“SONO VENUTO PER SALUTARE ENRICO”: IL RITORNO DI BERSANI IN AULA

Febbraio 25th, 2014 Riccardo Fucile

L’ABBRACCIO CON LETTA CHE NON SI SIEDE NEI BANCHI DEL PD

Quasi un triangolo: lui, l’ex, l’altro.
Lui, Pier Luigi Bersani, riappare alla Camera dopo la malattia.
L’altro, Matteo Renzi, lo abbraccia (e poi twitta), mentre lui con lo sguardo cerca l’ex, Enrico Letta, ma invano.
Tutt’intorno riecheggia il lungo applauso per celebrare il suo ritorno – quasi una standing ovation – dei deputati democratici, ma anche di quelli appartenenti ad altri gruppi parlamentari (tutti tranne i Cinque Stelle, che rimangono seduti negli scranni senza scomporsi: l’educazione è un optional)
Dopo il malore avuto a inizio gennaio e la lunga convalescenza, Bersani torna dunque a prendere posto nel suo seggio per votare la fiducia al governo Renzi.
Il neopremier lo saluta con affetto e poi, come nel suo stile, lo ringrazia pubblicamente con un tweet:
Durante la replica, il presidente del Consiglio ne loda lo stile: “Il fatto che Pier Luigi Bersani sia qui – dice rivolto ai deputati- avendo idee molto diverse, è un segno di uno stile e di un rispetto non semplicemente personale, ma di un rispetto politico. Siamo il Pd”.
Ma Bersani non è andato alla Camera per lui: “Sono venuto ad abbracciare Enrico (Letta, ndr). Ma ancora non è arrivato?”, chiede, regalando visibilmente commosso sorrisi e battute, ai colleghi parlamentari di maggioranza e opposizione, dal capogruppo di Fi Renato Brunetta al portavoce del Pd Lorenzo Guerini, che si accalcano per salutarlo e chiedergli come sta.
Enrico Letta però ancora non c’è. L’ex premier, infatti, giunge a Montecitorio solo intorno alle 16.30, senza partecipare al precedente dibattito sulla fiducia al governo. L’ultimo suo messaggio è stato lo scorso 22 febbraio, quando dopo la gelida cerimonia della Campanella a palazzo Chigi aveva scritto su Twitter: “Grazie Napolitano e tutti quelli che mi hanno sostenuto! Ora uno stacco via da Roma per prendere le migliori decisioni”.
Finalmente Enrico fa la sua entrata in Aula, non degna di uno sguardo Renzi e va dritto incontro a Pier Luigi.
I due si abbracciano con calore, gli applausi continuano scroscianti. Un momento emozionante e al tempo stesso drammatico.
Poi Letta si va a sedere, ma non nei banchi del Pd: prende posto al tavolo del comitato dei Nove, al centro dell’Emiciclo.
Dagli altoparlanti risuona intanto la voce della presidente Laura Boldrini, che dà  il bentornato ufficiale all’onorevole Bersani.

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INTERVISTA A LUCIA ANNUNZIATA: “DISCORSO DI RENZI DELUDENTE, NON CERTO DA PREMIER”

Febbraio 25th, 2014 Riccardo Fucile

“HA DETTO COSE SENZA CAPO NE’ CODA: ROBA DA KAMIKAZE PER UNO CHE NON E’ NEANCHE STATO ELETTO”

Al telefono Lucia Annunziata sembra sconcertata. «Diciamo la verità , è stato un discorso senza capo nè coda, infarcito di storielle riciclate», esordisce la direttrice dell’Huffington Post, stavolta dalla parte dell’intervistata
Cosa ne pensa dell’intervento del premier al Senato?
«Circolano già  molti dubbi sul percorso di Renzi, anche tra i suoi sostenitori, fra i quali mi vanto di essere stata anche io. Finora c’era una certezza, quella che fosse un maestro di comunicazione. Il suo intervento mette in dubbio anche questo: da maestro della comunicazione o non ha fatto i compiti a casa, oppure questa era una favola».*
Che cosa non ha funzionato?
«Era un discorso non preparato, a braccio, una roba da kamikaze per uno che si presenta al Paese senza neppure essere stato eletto. E si suppone che chi non è andato a votare alle primarie non lo conosca neanche. Un discorso improvvisato, tecnicamente senza capo nè coda, infarcito di storie, storielle e aneddoti già  usati molti volte. Ad esempio il punto centrale sulla bellezza dell’Italia lo ha ripreso dal discorso di addio a sindaco di Firenze. La storia della bambina senza cittadinanza che a scuola siede allo stesso banco della coetanea italiana, l’abbiamo sentita molte volte. Potrei fare vari esempi di storie riciclate. C’è stata una trascuratezza formale molto forte»
E dal punto di vista dei contenuti?
«È stato molto deludente. Capisco che Renzi volesse fare la parte del sindaco, ma al Paese deve dare un progetto. Anche il tema dell’Europa lo ha appena sfiorato. Spinelli non lo ha neppure citato per nome. Non ha detto cosa siamo e cosa andremo a fare in Europa, quali sono le idee nuove, quella che è la sua visione dell’Italia tra 15 anni. Dal punto di vista economico ha fatto proposte molto forti, ma senza fornire un numero. Si può anche dire di voler ridurre il cuneo fiscale del 10%, ma se non si dice in che modo…».
Questa è una bocciatura politica.
«Ero fra i suoi sostenitori ma ha detto cose senza capo nè coda. Non ha fatto i compiti a casa. Roba da kamikaze per uno che si presenta senza neanche essere stato eletto»
«Di certo è stato un discorso improvvisato, non all’altezza di un premier arrivato all’incarico con il suo discutibile percorso. Abbiamo conosciuto Renzi che voleva rottamare il mondo, ci siamo girati e lo abbiamo ritrovato al centro mondo che voleva rottamare. E al solito la conclusione è che sarebbe colpa dei talk show e dei giornalisti. Ma per cortesia… ».
Non crede sia stato nello stile di Renzi?
«I suoi già  dicono che questo è lui e così ha parlato al Paese. Ma io Renzi lo conosco e non voglio “Renzi”, oggi voglio un premier. Chi si appresta a governare deve avere un patto con il Paese. Purtroppo non abbiamo conosciuto di più il suo programma. Renzi si vanta della sua età , ma la forza di chi è giovane sta nel saper crescere, non nel restare giovane per sempre. Quella di oggi (ieri, ndr) doveva essere una grande occasione. Ed è andata persa».

Alessandra Rubenni

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MARIA ELENA BOSCHI, IL MINISTRO CHE FU MADONNA

Febbraio 25th, 2014 Riccardo Fucile

DAL PRESEPIO VIVENTE DI LATERINA ALLE PECORELLE SMARRITE DEL GOVERNO

La notizia se fosse vera sarebbe da Premio Pulitzer : “Gesù è stato in braccio a un ministro ma lo ha scoperto solo ieri… quando tutta Laterina parlava di quella sera nella quale Maria Elena Boschi faceva la Madonna nel presepe vivente del paese”.
A pubblicarla è La Nazione.
Non sappiamo, invece, se Obama nella telefonata a Renzi abbia assicurato il suo personale interessamento presso la Columbia University di New York affinchè il premio abbia la priorità .
E chi mai avrebbe potuto immaginare, se non lo avesse svelato La Nazione, che la Boschi si è “presentata al Quirinale, dove è stata chiamata prima tra i ministri a firmare l’impegno di servire la Repubblica vestita d’azzurro” perchè era “lo stesso colore del mantello della Madonna – alias Ministra per le Riforme”?
Chissà  se Renzi affiderà  a lei la preghiera affinchè le pecorelle grilline smarrite ritrovino l’ovile Pd.
Visto che, sempre secondo quanto racconta la signora Rita Gennai seduta al bar a La Nazione, Maria Elena che “ha fatto catechismo a mio figlio Federico, ha uno stile particolare, dove va lascia il segno”.
Il miracolo in pochi istanti ha spopolato sulla rete.
I commenti più esilaranti: Santissima Maria Elena prega per noi”. “Presepe degno di un Governo della Madonna: Renzi il Messia, Berlusconi San Giuseppe, Civati l’asino, Verdini il bue, Franceschini e Alfano i due Re Magi”. Peccato che manchi la stella cometa.

Sandra Amurri
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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PD, LA MINORANZA RIVUOLE IL PARTITO: “NUOVA SEGRETERIA”

Febbraio 25th, 2014 Riccardo Fucile

I CUPERLIANI PREMONO : “NON SIAMO UN COMITATO DEL PREMIER”… DENUNCE DI BROGLI NELLE PRIMARIE A BARI

Una nuova segreteria, e in tempi brevi. Perchè il partito “non può essere il comitato elettorale del premier”.
E perchè il timore di tanti cuperliani è che la “ditta”, per citare Bersani, venga progressivamente rottamata, anche per semplice incuria.
Larga parte della minoranza interna del Pd lo ripete dentro e fuori microfono: urgono sostituti ai membri della segreteria chiamati in massa al governo.
Non solo: Renzi farebbe cosa buona e giusta lasciando la guida del partito a qualcun altro. “Avere un segretario che è anche premier è un’anomalia” aveva detto pochi giorni fa a Repubblica Gianni Cuperlo, scandendo le sue perplessità  sul doppio ruolo.
Consentito dallo statuto Pd, ma finora mai ricoperto da nessun democratico.
Nella sua intervista a l’Unità  di due giorni fa, Pier Luigi Bersani ha usato parole dalla sfumatura simile: “Il Pd non può essere un’appendice insignificante del governo, deve conservare la sua capacità  di fare proposte”.
Il senatore Miguel Gotor, molto vicino a Bersani, rilancia: “Renzi deve colmare i vuoti in segreteria, perchè il partito non può essere il comitato elettorale del presidente del Consiglio, ma deve mantenere una sua autonomia e una sua dialettica con il governo. In caso contrario, se l’avventura di Renzi non dovesse avere il successo che ci si aspetta, le conseguenze sarebbero pesanti per tutta la democrazia italiana: dopo le scorse Politiche il Pd è diventato il fulcro del sistema”.
Ma il segretario appena eletto deve farsi da parte, lasciando spazio a un coordinatore o a un nuovo congresso?
“Le forme del nuovo assetto le dovrà  scegliere Renzi, confrontandosi con la direzione nazionale. Compete a lui”.
Lui, il neo premier, sa che il tema andrà  affrontato in tempi brevi. Non può permettersi troppi malumori e distinguo in corso d’opera: innanzitutto in Senato, dove la maggioranza ha numeri esigui.
Non a caso ha inserito tra i ministri un bersaniano di ferro come Maurizio Martina.
Per il ruolo di coordinatore in sua vece Renzi pensa al fedelissimo Lorenzo Guerini, attuale portavoce del Pd.
C’è chi parla di una possibile promozione per Debora Serracchiani, già  responsabile Trasporti. Ma è il governatore del Friuli Venezia Giulia: un bell’impegno.
Nel frattempo Roberto Giachetti, renziano di vecchia data, reagisce: “Ma è possibile che mentre si tenta di rilanciare sui contenuti, c’è chi pensa subito ai posti? E poi è singolare che la richiesta arriva da chi solo qualche settimana fa non è voluto entrare in segreteria”.
Alfredo D’Attorre, senatore bersaniano, cambia prospettiva: “Il primo problema non sono i posti ma la politica, ovvero la capacità  del Pd di fare da stimolo a un governo che non è solo di centrosinistra su temi come la legge elettorale, l’Europa e il lavoro. L’attuale segreteria va verificata sui fatti. Credo però che Renzi nominerà  un coordinatore del partito. E ovviamente il ruolo della Direzione dovrà  crescere”.
Da Bari invece arriva il frastuono delle denunce di brogli.
Il fosco contorno alla vittoria nelle primarie del deputato renziano Antonio Decaro, scelto domenica come candidato sindaco del centrosinistra.
Decaro, primo con il 53 per cento davanti a Giacomo Olivieri (Realtà  Italia) e all’indipendente Elio Sannicandro, punta a succedere a Michele Emiliano, suo mentore e compagno di fede renziana.
Ma la notizia è il numero dei votanti, quasi 21 mila. Tanti, anzi troppi, a detta di Sannicandro (“mi arrivano numerosissime segnalazioni di episodi inquietanti”) e soprattutto di Emiliano, che domenica twittava così: “Andate ai seggi, c’è una chiara infiltrazione della destra nel voto libero”.
Per limitare i danni, il comitato dei garanti aveva sospeso il rilascio della ricevuta per il contributo di 1 euro.
Adoperata, secondo voci che si rincorrevano di quartiere in quartiere, per ottenere un compenso in denaro da oscuri capibastone.
Sospetti da provare, ma comunque fastidiosi per il Pd di Bari.
Per inciso, la città  da dove Renzi aveva iniziato la campagna per la segreteria.
Ieri il coordinatore locale di Forza Italia, Antonio Distaso, ha parlato di “spettacolo indecente”. Gli ha replicato il democratico Domenico de Santis: “Distaso dimostra che la destra barese ha tentato di rovinare le primarie. Numerosi esponenti di Fi presidiavano i seggi ”.
Emiliano invece invoca “una regolamentazione per legge delle primarie”. Mentre Decaro ha ricevuto le congratulazioni di Renzi, della Madia e della Boschi.
Primarie anche in 13 Comuni del bolognese e in tre capoluoghi lombardi.
A Bergamo ha vinto Giorgio Gori, ex direttore di Canale 5, mentre a Cremona è stato scelto il ricercatore Gianluca Garimberti e a Pavia Massimo Depaoli, insegnante.

Luca De Carolis
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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