Marzo 2nd, 2014 Riccardo Fucile
“ALCUNI EX CINQUESTELLE POTREBBERO AVVICINARSI ALLA SINISTRA”
«Ormai il dibattito politico è schiacciato su una logica inaccettabile».
Quale, Professor Rodotà ?
«Quella per cui se Renzi fallisce è tutto finito. Una descrizione catastrofista voluta per non disturbarlo».
Andrebbe disturbato?
«Per me il progetto a cui ha dato vita è già finito. Siamo passati dalle larghe alle piccole intese. Renzi è bravo dialetticamente, è veloce, ma quale visione politica ha? E soprattutto quale maggioranza? Se ne può discutere o lo si deve considerare fideisticamente il Salvatore della Patria?».
Due milioni di elettori del Pd alle primarie gli hanno dato fiducia.
«Renzi è diventato segretario del partito solo perchè il Pd non c’era più da molto tempo. Ha vinto senza bisogno di combattere. E lui si è preso tutto quello che si poteva prendere in una città morta. Ma governare non sarà altrettanto semplice».
Renzi, la ricostruisce questa città morta o ne fonda una nuova con lo stesso marchio?
«Ne fonda una nuova. Lo ha già fatto. È evidente».
Eppure il Pd ha aderito al Pse. Il Capo Scout si è alleato con Schulz.
«Era una strada obbligata. Renzi è da sempre un sostenitore del bipolarismo. Con l’Ncd che guarda al Ppe non poteva restare nel limbo. Mi pare che abbia fatto una scelta più legata alla strategia che alla sensibilità ».
Che cosa succederà alle europee?
«Sono pessimista nei pronostici. Ma la strada del Pd è in salita considerate le posizioni di Grillo, di Alfano, della Lega e di Forza Italia. L’Europa era stata presentata come un valore aggiunto, poi i governi che si sono alternati l’hanno sempre descritta come la matrigna che chiede sacrifici. Immagino una campagna elettorale che abbiamo come slogan: dobbiamo riscrivere la costituzione europea».
Il populismo paga?
«Forse in termini di consensi. Perciò Grillo è andato avanti con le espulsioni. Per salvaguardare la sue rendita di posizioni. Ma è ovvio che l’orizzonte deve essere diverso».
Ovvero?
«La via l’ha in parte tracciata il Presidente della Repubblica. Napolitano a Strasburgo ha detto: dobbiamo uscire dalla logica dell’autorità e rimettere in discussione non tanto il vincolo del 3%, ma una serie di parametri che hanno delegittimato l’Europa agli occhi dei cittadini. Dobbiamo rimettere la politica al centro. Apertamente. Prima del voto. Parlando con Francia e Spagna. E con la Merkel».
Noi non ce l’abbiamo un ministro per le politiche europee.
«Magari, come spero, Renzi considera questa partita decisiva e la vuole giocare in prima persona. Oppure, e io spero di no, è disinteresse».
È all’altezza di questa partita?
«Non lo so. Alla Camera il suo discorso sull’Europa, come su una serie di altri punti, mi è sembrato vago. Tra l’altro sostenere che il cambiamento è sempre positivo è una semplificazione pericolosa. Se cambia la legge elettorale, per esempio, che cosa succede?».
Non sembra un esempio a caso.
«Non lo è. La stanno rifacendo nel nome della supposta governabilità . Ma se tutto deve avere come riferimento la governabilità in sostanza si cambia la Costituzione».
Professore, c’è qualcosa che le piace di Renzi?
«Che, ad esempio sul lavoro, sembra volere riscrivere un’agenda sociale diversa da quella di Letta, tutta governativamente autoreferenziale».
Ha riportato il tema della scuola in cima all’agenda.
«Sì. Ma in questo periodo di crisi, in cui le risorse dovrebbero essere concentrate sul pubblico, che cosa farà con i 236 milioni che vengono destinatialle scuole private? (Vuole una previsione? Eviterà di affrontare il problema».
Quali altri problemi eviterà ?
«Questa maggioranza tratterà al ribasso tutti i temi legati ai diritti civili».
È possibile una maggioranza diversa?
«Sì, liberandosi dall’esperienza infausta delle grandi e delle piccole intese».
Tornando al voto?
«Non solo. Sel viene da un congresso travagliato, in più c’è un’area civatiana che può essere allargata dalla diaspora del Movimento Cinque Stelle. Non mi pare che siano condizioni da sottovalutare. Sarebbe un modo per liberarsi dalla sudditanza dal centrodestra ed evitare governi con questi sottosegretari. Certo, serve tempo. Ma poi si potrebbe andare avanti fino al 2018».
Il famoso partito di Rodotà immaginato da Civati? Un nuovo centrosinistra?
“Ho letto dei sondaggi che danno la lista Tsipras al 7%. Numeri che se alle europee si
dovessero realizzare non avrebbero un effetto immediato sulla vita politica italiana. Ma che potrebbero accelerare un processo in atto».
È disposto a metterci la faccia?
«Certamente non mi tirerei indietro».
Alle europee voterà Tsipras?
«So che ci sono difficoltà per la lista, ma direi proprio di sì. Tsipras fa una critica molto forte all’Europa, ma senza dire: sbaracchiamo, usciamo».
Non teme che la sua scelta possa provocare una scissione nel Pd?
«Ah, non lo so. Ma alla mia età non sono proprio capace di starmene tranquillo»
Andrea Malaguti
(da “La Stampa“)
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Marzo 2nd, 2014 Riccardo Fucile
“SPERIAMO RIESCA A TROVARE I SOLDI PER REALIZZARE IL 10% DI TUTTO QUELLO CHE HA PROMESSO”
Un secondo dopo il “pronto”, il professor Massimo Cacciari mette immediatamente in chiaro una cosa: “Questo è il governo Renzi. La differenza con il precedente è che il presidente della Repubblica non è il sommo protettore: non si può più parlare di un governo del presidente, come nel caso di Letta”.
Infatti parliamo del governo Renzi. Alcuni nomi stanno provocando imbarazzi non di poco conto.
I nomi contano relativamente. Una volta che la scelta non è caduta su un esecutivo politico, che cosa poteva inventarsi? Quello che passa la politica oggi in Italia è quella cosa lì. Mica c’è altro. Mi pare che tra ministri e sottosegretari sia riuscito ad accontentare tutti: ha formato un governo che dovrebbe rassicurarlo molto, sia perchè c’è solo lui in grado di decidere sia perchè intorno a sè ha sostanzialmente mezze figure, nessuna delle quali è in grado di fargli resistenza. Mi pare che sia sistemato bene.
Il ministro Guidi è stata attaccata per il conflitto d’interessi con l’azienda di famiglia. E non è l’unico caso.
È palese che c’è un conflitto d’interessi! Ma mi sembra che su questo tema non ci sia nessuna intenzione di fare una legge seria, nè mi sembra che Renzi abbia mai sollevato la questione come una sua priorità . È più onesto di altri, in questo. Diciamo che coerentemente non ha tenuto conto del problema nella composizione del governo. D’altra parte sono vent’anni che se ne parla, non è mai stato fatto nulla.
Anche l’affaire Gentile, il sottosegretario alle Infrastrutture, sta creando problemi, per via della mancata uscita de L’Ora della Calabria che dava notizia del coinvolgimento del figlio di Gentile in un’inchiesta giudiziaria.
Qualche prezzo per avere il centrodestra alleato Renzi l’ha dovuto pagare. Così come ha dovuto fare mosse verso Berlusconi nella formazione del governo per poter fare la riforma elettorale con Forza Italia. Alcuni compromessi deve averli fatti. Però nel complesso, ripeto, si tratta di un governo politico di basso profilo. O attingeva ai Settis, ai Boeri, oppure doveva arrangiarsi con quel che passava il convento. Ma poi: cosa se ne faceva Renzi di persone difficilmente gestibili? Così ha un esecutivo “al suo servizio”. È nel suo carattere, nel suo stile. Nella scelta dei sottosegretari mi pare abbia accontentato tutte le correnti del Pd, a parte forse i civatiani: astuto. L’uomo sta dando prova di capacità , dal punto di vista del palazzo. Se avrà anche capacità di governo, lo vedremo. Come animale politico però non scherza.
Lei si fida del presidente del Consiglio?
Non è questo il tema. Io mi limito a osservare e devo dire che costui è una novità : per capacità di decisione, per ambizione, per spregiudicatezza. Dove ci porterà , ora non lo sa nessuno. Ma non ha senso fargli le pulci sulle questioncelle della composizione del governo. Sono dettagli, sia rispetto alla novità sia rispetto alle prospettive che sono anche inquietanti.
Cioè?
Penso al discorso al Senato, allo stile, al linguaggio, anche all’indifferenza verso ogni ordine logico. C’è una confusione mentale inenarrabile, per esempio nei passaggi sull’edilizia scolastica e sugli Stati Uniti d’Europa. Ha una grande capacità comunicativa, dice cose che tutti intendono. Renzi però ha un governo a sua immagine e somiglianza, un partito a sua immagine e somiglianza, alleati che devono stare con lui volenti o nolenti, addirittura avversari come Berlusconi che non hanno, ora come ora, altre convenienze: bisognerà vedere se in questa situazione sarà in grado di affrontare alcuni nodi reali della politica italiana.
A Servizio Pubblico lei ebbe un confronto piuttosto acceso sul salario di cittadinanza con Marianna Madia, che oggi è ministro alla Semplificazione e alla Pubblica amministrazione.
Il salario di cittadinanza fa parte di tutte le cose che ha detto Renzi per le quali non è affatto chiaro quale sia la copertura economica: spero che stia lavorando per individuare come trovare le risorse per realizzare il 10 per cento di tutto ciò che ha raccontato. Speriamo che ci riesca, me lo auguro. Io non sono contrario all’idea del salario di cittadinanza, il problema è come si può fare oltre la demagogia. Questa è la domanda che si deve fare a ogni demagogo. E Renzi lo è tecnicamente, cioè nel senso di uno che intende condurre il popolo e assumersene tutte le responsabilità . Lo stile è quello, non c’è nulla di spregiativo.
L’altro tema della settimana è l’espulsione dei quattro senatori grillini e la fuoriuscita di altri sette parlamentari dal Movimento: che ne pensa?
In un movimento — ma vale in gran parte anche per il Pd — necessariamente emerge il capo. È inevitabile quel che sta accadendo tra i grillini: chi non segue il capo viene cacciato o se ne va. Grillo è molto logico nei suoi comportamenti. La sua strategia è attendere il cadavere del nemico: se si confonde anche minimamente con il nemico, alla fine il cadavere sarà anche il suo.
Silvia Truzzi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 2nd, 2014 Riccardo Fucile
A BERLUSCONI SERVE UN ANNO DI TEMPO PER POTERSI RIPRESENTARE AGLI ELETTORI, RENZI GLIELI GARANTISCE: L’ACCORDO TRA I DUE E’ BEN PIU’ VASTO
A gennaio, quando Renzi incontrò Berlusconi nella sede Pd per discutere la nuova legge
elettorale e le riforme collegate (Senato e Regioni), scrivemmo pur fra mille dubbi che non era proprio uno scandalo.
Le leggi elettorali appartengono agli elettori, non agli eletti, dunque era impensabile tagliar fuori il maggior partito di centrodestra.
Inoltre, stante l’indisponibilità dei 5Stelle persi nella Rete, per sbloccare l’impasse non restava che rivolgersi al terzo partito, Forza Italia: l’unico che poteva assicurare una maggioranza in Parlamento.
Renzi, appena plebiscitato segretario del Pd, giurava che l’accordo con B. era per una legge che ci mettesse al riparo da altri governi con B.
Intanto, mentre lui e B. si occupavano delle riforme, Letta poteva governare sereno. Non restava che prenderne atto e aspettarlo al varco, cioè alla prova dei fatti: per quanto inedita, l’ipotesi che un politico italiano dicesse la verità non andava scartata a priori.
Ora, meno di due mesi dopo e alla luce dei fatti, possiamo tranquillamente affermare che Renzi mentiva.
L’accordo con B., quasi sempre intermediato dal comune amico Denis Verdini, è ben più vasto e stringente di un’intesa tecnica per quelle tre riforme.
È un patto d’acciaio le cui clausole restano occulte, anche se i risultati si manifestano ogni giorno più chiari.
Il Cavaliere sa che il 10 aprile si riunisce il Tribunale di sorveglianza per decidere dove sconterà i 7 mesi di pena (quel che resta della condanna a 4 anni, detratti i 3 anni di indulto e i 5 mesi di liberazione anticipata extralarge sancita dallo svuotacarceri Cancellieri): in galera, o ai domiciliari, o ai servizi sociali.
Forse, per non alimentare il suo vittimismo durante la campagna elettorale per le Europee, il verdetto slitterà di un paio di mesi.
In ogni caso il Cavaliere sarà politicamente fuori gioco sino a fine anno: guiderà il partito per interposto Toti. Intanto tenterà il colpaccio: candidarsi ugualmente alle Europee in barba alla legge Severino e sfidare gli uffici elettorali della Corte d’appello a depennarlo, con una prova muscolare che mira a resuscitare il vecchio nemico, le toghe rosse; a incendiare una spenta campagna elettorale; e a mettere in difficoltà l’amico Matteo.
Per portare a termine il piano, B. ha bisogno di un governo che regga almeno un anno, dandogli modo di tornare come nuovo a Natale e di organizzare l’unica campagna che gli sta a cuore: quella delle politiche, che non fa mistero di auspicare per il 2015.
Il governo Letta questa garanzia non gliel’assicurava: stava insieme con lo sputo, passava di gaffe in scandalo, non aveva più l’appoggio del Pd, poteva sfasciarsi da un momento all’altro.
E, se anche fosse durato fino al 2015, avrebbe costretto il quasi ottantenne Silvio a sfidare un giovane come Renzi, che ha la metà dei suoi anni, per giunta intonso da esperienze governative e dunque molto più fresco e popolare di lui. Una partita persa in partenza.
L’ideale era che Renzi subentrasse a Letta sputtanandosi con un colpo di palazzo senza passare dal voto, risputtanandosi con estenuanti trattative con i partiti e i partitini di una maggioranza Brancaleone, arcisputtanandosi con un governicchio impresentabile e ultrasputtanandosi con grandi promesse e pochi fatti.
L’amico Matteo, con ammirevole abnegazione, l’ha puntualmente accontentato.
Missione compiuta. Già che c’era, gli ha pure regalato il controllo militare sui ministeri della Giustizia (con i berlusconiani Costa & Ferri), delle Infrastrutture (con i diversamente berlusconiani Lupi & Gentile) e delle Attività produttive (con la berlusconiana Guidi che veglia anche sulle Comunicazioni).
Così B. potrà seguitare a governare sui propri interessi e “gratis”, senza nemmeno il fastidio di entrare nella maggioranza, metterci la faccia e sporcarsi le mani.
Resta da capire che cosa ci guadagni Renzi da questa catastrofe, e magari un giorno lo capiremo. Ma è una vecchia storia.
Lo scienziato capace di isolare il virus che porta al suicidio tutti i leader del centrosinistra vince il Nobel.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 2nd, 2014 Riccardo Fucile
“LUI NON L’AVREBBE MAI FATTO, GLI STANNO FACENDO TERRA BRUCIATA INTORNO, MARINELLA ERA L’UNICA CHE POTEVA TENERE TESTA AL CERCHIO MAGICO E SONO RIUSCITI A FARLA FUORI”
Questa di Marinella è la storia vera/ che scivolò su Rossi a primavera/ e il mondo che la vide così scossa/da lei si attese poi la contromossa.
Marinella Brambilla, sposata, un bambino voluto a 50 anni con la caparbietà e la tenacia che tutti le riconoscono, non è più la segretaria di Silvio Berlusconi.
Possibile? Possibile. Il Cavaliere, che di sè tiene sempre a sottolineare che «nella mia storia di imprenditore non ho mai licenziato nessuno», stavolta di qualcuno fa a meno: la storica, fedele, devotissima assistente di una vita.
La notizia corre da Milano a Roma, stupisce e preoccupa non poco i forzisti di più lunga carriera e soprattutto le parlamentari di Forza Italia, quelle legate a Berlusconi ma non al cerchietto magico guidato con mano ferma dal capo dello staff Maria Rosaria Rossi.
Il licenziamento non nasce da un’incrinatura nei rapporti tra lo storico datore di lavoro e l’assistente personale che per lui si è sempre sentita quasi una figlia.
«Berlusconi non avrebbe mai fatto a meno di Marinella — spiega una parlamentare — Pare sia stata Maria Rosaria Rossi a imporgli il licenziamento».
Le confidenze viaggiano sul filo dell’anonimato e non senza qualche inquietudine. Chi fa politica sa che prima o poi si tornerà a votare e le liste le farà Verdini, come sempre, ma questa volta non proprio da solo.
«Intorno a Berlusconi stanno facendo terra bruciata — continua la parlamentare preoccupata — Marinella era l’unica che poteva tenere loro testa e sono riuscite a farla fuori». Il non detto traspare: se sono riusciti a colpire Marinella cosa faranno a noi deputate e senatrici escluse dal cerchietto magico?
LA MAMMA GOVERNANTE
Marinella entrò nella vita di Silvio Berlusconi nei primi anni 80. Sua madre era la governante di via Rovani, la prima casa del Berlusconi imprenditore. Gli segnalò la figlia appena diplomata e lui la assunse come segretaria. Da allora, per dirla con chi conosce bene entrambi «il dottore e Marinella sono stati una cosa sola».
E’ lei che ha fissato il primo appuntamento a Gianni Letta, lei che ha seguito tutte le tappe dell’ascensione berlusconiana: i tentativi di espansione, l’amicizia con Craxi, il boom della tv commerciale e, infine, lo sbarco in politica.
Veronica Lario, che con Marinella ha sempre conservato l’amicizia nata appunto nella casa di via Rovani, la definiva «lo scudo umano di Silvio» e così la raccontava nel 2004 nel libro Tendenza Veronica: «Marinella è una delle poche persone sinceramente affezionate a Silvio. Lei e lui hanno la stessa devozione assoluta al lavoro, la stessa capacità di macinare attività a ritmo incessante. Al lavoro Marinella ha dedicato molto, ne ha fatto una delle ragioni della sua vita. Ogni tanto sospira, ma continua ad avere orari impossibili e la valigia in mano».
E’ stato così per più di trent’anni. Spazio per la vita privata? Occasionale.
Dal 1994, anno in cui Berlusconi si trasferisce stabilmente a Roma, Marinella Brambilla diventa romana anche lei, vive gli stessi ritmi del capo. Visibile, presente, ma trasparente. Mai un’intervista. Mai ad una festa romana.
A mezzanotte ancora in ufficio a passargli le telefonate. Come tutta la squadra berlusconiana arrivata a Roma in quegli anni, anche lei abitava un piccolo appartamento del centro storico romano, non lontano da Campo de’ Fiori: ogni tanto, alle sette del mattino, potevi incrociarla mentre in tuta e cellulare in mano, correva sul Lungotevere. Il solo spazio riservato a sè. Il resto della giornata è sempre stato dedicato al «dottore». Da più di trent’anni, lei lo chiama così.
DUE MATRIMONI
Si capisce che, stando cosi le cose, il suo primo matrimonio non poteva durare.
Ci ha riprovato quasi a 50 anni, sposando Luca Pandolfi, nel team della sicurezza di Berlusconi. Un matrimonio allegro, celebrato anni dopo, la notizia a sorpresa: Marinella aspetta un bambino. Anche le dure cedono, talvolta.
Lei, che aveva tenuto testa ad assalti di ogni genere, dagli interrogatori ai processi, dalle sentenze alle insistenze dei politicanti periferici e non, avvertiva il disagio di una nuova stagione berlusconiana, sempre più fuori controllo.
Perciò, per quasi due anni, Marinella ha fatto la mamma ed è rimasta lontana da Arcore, lontana da via del Plebiscito. Poi, in autunno, il ritorno. Per sua scelta.
Perchè «il dottore» per lei è molto più di un generoso datore di lavoro. «Non voglio lasciarlo solo», aveva confidato, e la voce le si era incrinata per l’emozione, lei che in pubblico mostrava sempre la stessa faccia, e al telefono non tradiva emozioni mai, neppure quando il dottore perdeva le elezioni.
Il timbro era sempre lo stesso, una certa secca e milanese rapidità , la stessa che si avvertiva quando, nel primo governo Berlusconi, chiamava i cronisti a tarda sera: «Ti passo il dottore. Veloce, mi raccomando».
“Non voglio lasciarlo solo», aveva detto rientrando ad Arcore. Ma tanto solo Berlusconi non era. Il ritorno di Marinella è durato poco più di tre mesi.
Com’è che cantava Fabrizio De Andre? «E come tutte le più belle cose/tenesti il posto un giorno solo/come le rose».
Maria Latella
(da “il Messaggero“)
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Marzo 2nd, 2014 Riccardo Fucile
“UNO SCHIAFFO ALLA NOSTRA CITTA’, RENZI NON HA A CUORE LA NOSTRA PROVINCIA”: L’ALLUCINANTE COMMENTO DEL DEPUTATO CIRIELLI…E QUESTI SAREBBERO GLI OPPOSITORI DEL SINDACO PD CHE NON MOLLAVA DUE POLTRONE?
Il nome del chiacchierato sindaco di Salermo, Vincenzo De Luca, alla fine non compare nella
lista dei nuovi sottosegretari.
L’esponente del Pd era stato nominato “in pectore” durante una riunione notturna, ma dopo il Consiglio dei ministri, il governo ha diramato una lista senza il suo nome.
Il presidente Matteo Renzi ha tenuto per sè la delega alla Coesione territoriale, proprio quella che sembrava destinata a De Luca.
De Luca si sarebbe trovato escluso dalla lista principalmente per due motivi: la necessità di equilibrare il ruolo delle correnti interne al Pd e della rappresentanza femminile dei democratici e qualche dissenso di troppo contro il sindaco avanzato da esponenti del Partito che non avrebbero digerito la posizione sul doppio incarico e qualche esternazione poco ortodossa.
La cosa rivela aspetti divertenti, se non fossero tragici: i più dispiaciuti sembrano gli esponenti del Centrodestra, quelli che dovrebbero fare opposizione a De Luca.
Antonio Roscia, responsabile di Forza Italia Salerno si era spinto, ancor prima della ipotetica nomina, a “formulare i migliori auguri di buon lavoro al neo Sottosegretario con delega alla Coesione Territoriale, dr Vincenzo De Luca. Finalmente De Luca ha avuto il miglior premio per la sua pluridecennale attività politica e potrà coronare il suo sogno di attività nazionale a Roma e dunque confidiamo che l’incarico governativo , oggi assegnato al nostro illustre concittadino , possa essere valorizzato dal suo particolare impegno , specie sul tema del Mezzogiorno e delle aree urbane”.
Allucinante… ma si tratta di Forza Italia, dove tutto è possibile.
Magari non ci si aspettava che a lamentarsi fosse pure un deputato dei “duri e puri” Fratelli d’Italia, Edmondo Cirielli.
«Matteo Renzi mortifica la nostra Provincia», si è indignato Cirielli.
Sentite che dice il fratello della “valoriale” sorella d’Italia: “Renzi dà uno nuovo schiaffo alla provincia di Salerno e dimostra di non avere a cuore le sorti di una delle province più importanti dell’Italia meridionale. Quale deputato e cittadino salernitano, mi sarei aspettato onestamente una maggiore attenzione e avrei auspicato, un ingresso di almeno un esponente del nostro territorio”.
Dimenticando forse i trascorsi: De Luca era rimasto per mesi imbullonato alla doppia poltrona di sindaco e viceministro delle Infrastrutture, creando un caso imbarazzante.
Fratelli d’Italia è in lutto, speravano in sottosegretario: del Pd e pure di uno che non voleva mollare due poltrone.
Senza paura e senza pudore.
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Marzo 2nd, 2014 Riccardo Fucile
LA DOPPIA MAGGIORANZA DEL PREMIER PER EVITARE LA DOPPIA OPPOSIZIONE
A Renzi serve la doppia maggioranza per evitare che in Parlamento si formi la doppia opposizione, vissuta dal premier come un’autentica minaccia.
Ecco il motivo che l’ha indotto a stringere l’intesa sulle riforme con Berlusconi, conscio che, se Forza Italia si saldasse all’ostruzionismo dei Cinquestelle, il governo finirebbe per impantanarsi nelle Aule
L’agibilità parlamentare è un vero cruccio per il presidente del Consiglio, già costretto a caricarsi l’onere di alcuni decreti ricevuti in eredità da Letta e sui quali aveva espresso giudizi a dir poco negativi.
Il «caso salva Roma» è stato solo il primo intoppo, il resto deve ancora venire.
Ma il problema di Renzi è come assicurare un iter veloce ai suoi provvedimenti, e certo la riforma dei regolamenti parlamentari – citata nel discorso per la fiducia – se mai fosse varata non arriverebbe in tempo utile per i primi mesi del suo governo, i più importanti, perchè gli servono per far dimenticare il peccato originale della «staffetta» e per lanciarlo verso le Europee.
Il test elettorale di primavera sarà determinante per il premier, anche per soffocare la resistenza interna al Pd.
Ma un conto sarà arrivarci dovendo fronteggiare solo Grillo e i suoi parlamentari, altra cosa sarebbe se anche Berlusconi portasse i suoi deputati e senatori sulle barricate.
Il modo «responsabile» con cui (per ora) il Cavaliere promette di fare opposizione al governo è legato agli impegni che il premier ha assunto con il capo di Forza Italia.
E in Consiglio dei ministri molti rappresentanti dell’esecutivo – compresi alcuni democratici – hanno avuto la netta sensazione che il patto c’è e (per ora) regge.
Quando il Guardasigilli Orlando ha letto la lista dei sottosegretari assegnati al suo dicastero, ha chiesto conto a Renzi: «È rimasto Ferri, allora al Nuovo centrodestra non sono toccati nove posti, ma dieci».
In effetti Ferri – ex esponente di Magistratura Indipendente – era giunto in via Arenula con il governo Letta su indicazione di Berlusconi.
E al momento della scissione nel Pdl – pur non aderendo a Ncd – non si era dimesso: «Sono un tecnico», aveva spiegato.
Il neo ministro della Giustizia pensava tuttavia che fosse stato Alfano a indicarlo, ed è rimasto a bocca aperta quando si è sentito rispondere da Renzi: «No, è una roba di Firenze… L’ho scelto io».
E infatti, a legger bene, sul foglio delle nomine c’era scritto in piccolo: «Tecnico/Pd».
Da quel momento è stato tutto un pissi-pissi nel salone di Palazzo Chigi, su quale definizione dare all’esecutivo: la più gettonata è stata «governo delle larghissime intese». È un «governo politico», ha sorriso il capogruppo di Ncd Sacconi, come a evocare i gabinetti della Prima Repubblica, quelli dove le scelte venivano fatte misurando la forza dei partiti e delle loro correnti. Ognuno ieri si è sentito soddisfatto, compreso Alfano, che ai suoi ha spiegato come Renzi – completando la squadra – abbia «dato prova di rispettarci».
I rapporti tra il premier e il titolare dell’Interno sembrano (per ora) marciare, così raccontano i ministri centristi presenti al dibattito sull’addizionale della Tasi.
Tema spinoso per Ncd, visto che Forza Italia ha subito iniziato a sparare sull’aumento delle tasse sulla casa. Ma l’approccio di Lupi in Consiglio è stato conciliante: «…Mi raccomando però di spiegarlo bene alla stampa. I comuni che vorranno applicare l’aumento dell’otto per mille, dovranno aumentare anche le detrazioni».
E il presidente del Consiglio ha condiviso il ragionamento del ministro delle Infrastrutture.
Ma il vero banco di prova per la tenuta della maggioranza di governo tra Pd e Ncd arriverà la prossima settimana alla Camera, quando sulla legge elettorale verrà messa alla prova la tenuta della maggioranza per le riforme tra il premier e il Cavaliere.
«Sulla legge elettorale Renzi ha già un patto con noi», assicura Alfano.
Sarà , però nel discorso per la fiducia a Montecitorio, è stato proprio Renzi a dire: «Manterrò gli impegni con tutti», rivolgendosi ai banchi di Forza Italia.
Il nodo è il famoso emendamento Lauricella, che rimanda l’entrata in vigore della legge elettorale alla riforma del Senato.
Attorno a quella modifica, che è stata ribattezzata «norma salva-legislatura», già si notano strane manovre, e la richiesta di farla «comunque» votare a scrutinio palese.
Non è dato sapere al momento da chi arriverebbe questa richiesta.
È certo che sulla questione la presidente della Camera Boldrini ha già messo al lavoro gli uffici di Montecitorio: ma il caso – per quanto tecnico – è anzitutto politico.
Se l’emendamento venisse votato a scrutinio palese, infatti, Renzi sarebbe costretto a prendere posizione, e dovrebbe abbandonare l’ambiguità che ha salvaguardato finora la sua strategia della doppia maggioranza.
Il voto a scrutinio segreto, invece, garantirebbe al premier la possibilità di affidare il destino dell’emendamento ai giochi d’Aula.
Giochi nei quali entrerebbe anche di un pezzo di Forza Italia…
Ecco il primio bivio per Renzi, che ambisce alla doppia maggioranza per non dover contrastare una doppia opposizione.
D’altronde, ora che è diventato presidente del Consiglio, ha concentrato su di sè la cabina di regia sul governo e sulle riforme.
Perciò starà a lui sciogliere questi nodi, sapendo che se non ci riuscisse potrebbe rimanere impigliato in uno dei due.
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera“)
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