Marzo 3rd, 2014 Riccardo Fucile ECCO IL DOCUMENTO CHE CAMBIERA’ IL VOLTO DELLA POLIZIA E RIDURRA’ LA SICUREZZA DEI CITTADINI… E NEGLI ULTIMI TRE ANNI AGENTI, CARABINIERI E G.D.F. DERUBATI DI 1.300 EURO L’ANNO
Il ministero dell’Interno taglia un miliardo e 800mila euro agli stipendi delle forze dell’ordine,
proprio mentre si fa un gran parlare di lotta alla mafia, con Saviano che lancia un appello contro l’economia criminale, il premier che promette cinque punti per aggredire i patrimoni mafiosi, il presidente dell’Antimafia che sprona ad appovare un decreto per i reati spia, il sottosegretario ai servizi segreti che conferma che la mafia durante la crisi s’è rafforzata.
Ma il Viminale non taglia solo gli stipendi: propone la chiusura di undici commissariati; la soppressione di due compartimenti e 27 presidi della Stradale; la cancellazione di 73 sezioni di polizia ferroviaria.
In un momento in cui si denunciano nuovi reati telematici, elettronici compreso il cybercrime, saranno chiuse 73 sezioni provinciali della polizia postale, deputata a fronteggiare questa nuova frontiera del crimine online.
E in un momento in cui in Italia si registra un’emergenza immigrazione, con flussi migratori che attraversano soprattutto le frontiere Schengen (oltrechè il Mediterraneo), saranno chiuse due zone di frontiera e 10 presidi minori.
Tutte le 50 squadre nautiche infine saranno soppresse, quattro sezioni di sommozzatori, undici squadre a cavallo e perfino quattro nuclei artificieri.
È in corso anche la riduzione delle scuole di formazione.
Le forze dell’ordine sono sul piede di guerra, nei giorni scorsi la Silp-Cil ha inscenato una manifestazione di protesta davanti a Montecitorio.
Il malumore serpeggia anche tra i carabinieri che, essendo privi di formazioni sindacali, ufficialmente non parlano.
Ma anche tra le alte sfere c’è chi lamenta che prima dei piani di riordino, il governo dovrebbe saldare agli agenti e ai militari i conti dei loro salari.
Dal 2011 a oggi, infatti, i tagli fatti dai governi Berlusconi, Monti e Letta alle buste paga delle forze dell’ordine (tra tagli agli scatti di carriera, promozioni, indennità ) ammontano a 1 miliardo e 800 mila euro.
Facendo una media, è come se ad ogni operatore della sicurezza fosse stato tagliato lo stipendio per 1300 euro all’anno negli ultimi tre anni.
Oggi alle 18, tutte le sigle sindacali della polizia di Stato (dall’Anfp al Siap, dal Coisp al Siulp, dall’Ugl al Sap) saranno ricevute dal capo vicario Alessandro Marangoni per discutere il piano di riordino.
Del resto, la circolare di “razionalizzazione” firmata dal direttore degli Affari Generali Gaudenzio Truzzi non lascia presagire nulla di buono fin dalle prime righe.
“Si evidenzia – scrive Truzzi – l’esigenza di una condivisa razionalizzazione della dislocazione dei presidi di polizia sul territorio che tenga conto la conclamata carenza di organico in cui versano le forze dell’ordine e l’attuale congiuntura economica”.
I tagli a commissariati e caserme dei carabinieri arrivano dopo l’allarme lanciato su Repubblica qualche mese fa dal capo della Polizia.
“Tutti mi chiedono di aumentare il livello di sicurezza sul territorio – aveva dichiarato Pansa il 22 novembre scorso, gelando il ministro dell’Interno Angelino Alfano – ma con 15.000 poliziotti in meno non possiamo offrire lo stesso grado di qualche anno fa. Nel 2014 saremo 94mila e non possiamo darci i compiti come se fossimo ancora 110mila”.
Il 2014 è arrivato e Pansa, Marangoni, con l’avallo politico del ministro Alfano, stanno mantenendo quanto annunciato.
La sicurezza sarà parametrata su 94mila addetti con gli stipendi decurtati.
I commissariati saranno tagliati a Osimo (Ancona), Treviglio (Bergamo), Bressanone (Bolzano), Alassio (Savona), Duino (Trieste), Tolmezzo (Udine), Descia (Pistoia), Colleferro, Frascati e Genzano (ROma), Porto Tolle (Rovigo).
Alberto Custodero
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Marzo 3rd, 2014 Riccardo Fucile IL GUITTO SCONFESSA L’INIZIATIVA DEL SINDACO CHE REPLICA: “SE FARE RETE TRA AMMINISTRATORI NON VA BENE, FATE VOI”
Stavolta la scomunica è toccata a Federico Pizzarotti: sindaco di Parma, emblema dell’affermazione Cinque Stelle sul territorio.
L’anatema di Beppe Grillo è arrivato via twitter: “L’incontro con i sindaci ed i candidati sindaci M5S organizzato da Pizzarotti a marzo non è stato in alcun modo concordato con lo staff, nè con me”, scrive il leader del Movimento.
E chi se ne frega, verrebbe da dire…
Grillo fa riferimento all’iniziativa di Pizzarotti che sulla sua pagina facebook aveva annunciato per “il prossimo 15 marzo” un incontro con “gli attivisti che si preparano alla campagna elettorale per le elezioni amministrative”.
Evidentemente, la riunione non è piaciuta allo staff del M5S che ne ha preso le distanza.
Ma la replica di Pizzarotti all’attacco arriva nel giro di pochi minuti: “L’incontro dei candidati e sindaci M5S a Parma è stato organizzato come quello dello scorso anno. Se fare rete non va bene fate voi”.
Ma non è stato certo l’incontro di Parma a scatenare l’ira di Grillo.
Il caso è con ogni probabilità legato alle espulsioni dei quattro senatori Cinque Stelle che ha scosso il Movimento la scorsa settimana.
“Questa vicenda mi ha lasciato con l’amaro in bocca – aveva scritto su Facebook il sindaco – e sapendo che i problemi degli italiani sono altri, perdere tempo in spaccature e dissidi interni ci indebolisce e delude tante persone che ci sono vicine”.
Il sindaco si era permesso di dissentire, oggi è arrivata puntuale la bastonatura del guappo stelle e striscie.
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Marzo 3rd, 2014 Riccardo Fucile E’ IL DISPREZZO PER IL PROPRIO STESSO ELETTORATO IL LATO INQUIETANTE DEL GRILLISMO…SOLO IL 3% DEGLI ITALIANI SI INTERESSA ATTIVAMENTE DI POLITICA, NEI CINQUESTELLE SI SCENDE ALLO 0,5% DEGLI ELETTORI
Ultimamente , qualcuno si è messo a dire che i grillini sarebbero fascisti. I loro metodi sono stati
tacciati di squadrismo. E in questi giorni, di fronte alle procedure di espulsione dei dissidenti, è risuonata forte e chiara l’accusa di stalinismo.
A me pare un abbaglio. Un abbaglio enorme. Soprattutto, un abbaglio che rischia di occultare la vera natura del Movimento Cinque Stelle.
No, cari critici del Movimento Cinque Stelle. I partiti totalitari del passato erano un’altra cosa. Erano violenti e anti-democratici. Il Movimento Cinque Stelle è l’esatto contrario: è non violento e iper-democratico. Non violento, innanzitutto.
Perchè la violenza e il suo uso politico, come nel fascismo, nel nazismo e nel comunismo, sono stati una cosa troppo seria e tragica.
Evocarle a proposito di qualche spintone in Parlamento (sicuramente deprecabile, ma pur sempre spintone) significa non avere il senso della misura, e in definitiva nutrire poco rispetto per le vittime di quei regimi.
Il punto fondamentale, però, quello che caratterizza veramente il grillismo, è l’iper-democrazia. Qui è il cuore dell’ideologia 5 Stelle. E qui sta la sua vera e più grave pericolosità , a mio sommesso parere.
Che cos’è l’iper-democrazia? L’iper-democrazia è un’ideologia che si è consolidata solo negli ultimi 20 anni, in concomitanza con il trionfo di internet, male cui radici risalgono a quasi mezzo secolo fa, e precisamente al biennio 1968-69. Che cosa è capitato, in quei due anni cruciali?
Due cose, fondamentalmente. Nelle scuole e nelle università è nata l’ideologia assembleare, il cui nucleo logico è il seguente: le decisioni le prendono coloro che si riuniscono in assemblea, gli assenti hanno sempre torto.
L’idea soggiacente è quella di una sorta di primato morale della politica: se fai politica, se sei impegnato, allora sei un gradino sopra gli altri; se invece non la fai, allora sei un egoista, un opportunista, un edonista, o come minimo un qualunquista.
E questo a dispetto del fatto che chi fa politica è una minoranza, e la maggioranza ha altro da fare (pochi lo sanno, ma nel mitico ’68 gli studenti politicamente attivi erano solo 1 su 5).
Ecco perchè la minoranza politicizzata si sente moralmente superiore, e disprezza profondamente la massa che si astiene dalla politica, cui riserva termini carichi di connotazioni negative: maggioranza silenziosa, apatici, qualunquisti.
Il complesso di superiorità della sinistra nasce anche di qui.
Ma c’è un altro evento capitale in quegli anni: il 7 gennaio 1969 nasce un tipo di trasmissione radiofonica completamente nuova, “Chiamate Roma 3131”, che diventerà un modello per decine di altre trasmissioni consimili.
In essa gli ascoltatori diventano improvvisamente protagonisti: chiunque può telefonare e intervenire a prescindere da qualsiasi credenziale di cultura, esperienza, autorevolezza.
Oggi ci sembra normale, ma allora fu un’assoluta novità , che cambiò completamente il rapporto fra pubblico e media. Da allora, sia pure lentamente e gradualmente, si fece sempre più strada l’idea che tutti possono essere protagonisti e, soprattutto, che non è richiesta alcuna speciale dote, competenza o merito per poterlo essere.
Ma veniamo a oggi. Che cos’è il Movimento Cinque Stelle?
Per molti versi non è altro che la micidiale fusione di questi due cambiamenti epocali, entrambi risalenti a mezzo secolo fa. Grazie alla diffusione di internet, l’utopia di una comunità di decisori potenzialmente universale, in cui tutti decidono su tutto, è sembrata improvvisamente una possibilità reale.
Il mito della democrazia diretta, da cui Norberto Bobbio ci aveva sempre messi in guardia, è sembrato finalmente alla portata dei tempi.
Una volta acquisito che tutti possono circolare in rete, una volta stabilito che il discorso pubblico non richiede alcuna speciale competenza, una volta interiorizzata l’idea che chi fa politica è migliore di chi non la fa, c’erano tutte le condizioni per la nascita di un movimento come quello di Grillo: un movimento iperdemocratico, perchè fondato sulla credenza che tutti possano partecipare e sulla convinzione che debbano farlo.
Restava un piccolo problema, un dettaglio non risolto. La maggioranza della gente, la stragrande maggioranza delle persone normali, ha un sacco di cose da fare e non si diverte affatto a fare politica, a meno di voler chiamare «politica» il fare gli spettatori nei combattimenti di galli che ogni sera ci offrono Floris, Santoro, Formigli, Paragone, eccetera.
Da decenni e decenni le inchieste rivelano che i cittadini politicamente attivi sono una piccolissima minoranza (diciamo il 3%), e che la maggior parte della popolazione o disprezza, o ignora, o assiste passivamente alla commedia della politica.
E questo è ancora più vero nel movimento di Grillo, dove i militanti sono circa lo 0,5% degli elettori, ossia qualcosa come 5 persone su 1000.
Ciò crea un salto, una vera e propria frattura, fra la grande e silenziosa maggioranza degli elettori, che si limita a votare e tutt’al più a informarsi, e la minoranza degli impegnati, che frequenta sempre meno le sedi di partito superstiti ma, in compenso, inonda la Rete di ogni sorta di pensieri, analisi, insulti, volgarità , esternazioni più o meno ostili alla grammatica italiana.
Ma non si tratta solo di una frattura, quella c’è sempre stata, anche ai tempi del glorioso Pci.
La novità è che ora, con il movimento di Grillo, a quella frattura si dà uno statuto nuovo, esplicito e paradossale. Grillo sogna una civiltà digitale in cui tutti, seduti davanti al proprio schermo, partecipino alle decisioni fondamentali della comunità . Una civiltà iper-democratica perchè tutti possono partecipare, tutti hanno le competenze per farlo, e l’assenza di partecipazione è una colpa, come era nel ’68 e come, sotto sotto, è sempre rimasta nella cultura e nella mentalità della sinistra.
Questa visione della democrazia e della partecipazione genera almeno due conseguenze.
La prima è il sostanziale disprezzo per la democrazia rappresentativa, che si basa invece proprio sul principio opposto, secondo cui la gente ha il pieno diritto di non occuparsi attivamente di politica, ed è del tutto normale che il cittadino deleghi ad altri, i politici di professione, il compito di amministrare la cosa pubblica.
La seconda conseguenza è il disprezzo per il proprio stesso elettorato, ossia per quei 995 elettori su 1000 che non partecipano alle decisioni in Rete.
Questo disprezzo, non il presunto fascismo o stalinismo, è secondo me il vero lato inquietante del grillismo.
Perchè, nel movimento di Grillo come negli altri partiti, i militanti non sono affatto un campione rappresentativo degli elettori.
Spesso sono invece i più aggressivi, i più faziosi, i peggio informati (perchè leggono tanto, ma solo ciò che li conferma nelle loro opinioni), i meno vicini al sentire comune delle persone normali.
Le quali lavorano, studiano, si divertono, cercano la loro via nel mare aperto della vita.
L’iper-democrazia della Rete, molto poco democraticamente, le snobba e le esclude, e in questa esclusione rivela il vero volto di sè stessa.
Luca Ricolfi
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Marzo 3rd, 2014 Riccardo Fucile LE PROMESSE DEI MINISTRI NAUFRAGATE TRA BUROCRAZIA, RICORSI E INCHIESTE
È la burocrazia ad uccidere Pompei.
«I ritardi fanno più danni del bombardamento alleato del 1943», spiegano alla soprintendenza.
In pratica salvare questo colossale patrimonio artistico dell’umanità si configura come una corsa contro il tempo. E gli ostacoli sono dietro ogni angolo.
L’Italia, infatti, ha un anno di tempo per impiegare i finanziamenti comunitari, ma per spendere questi soldi (105 milioni di euro) bisogna fare a tempo di record le gare d’appalto.
Il problema, però, è che le ditte che perdono fanno sistematicamente ricorso alla magistratura bloccando così l’assegnazione dei lavori.
Quando poi finalmente gli operai delle aziende vincitrici degli appalti riescono a mettere piede nei cantieri arrivano mensilmente i pur necessari controlli della Dia di Napoli contro le infiltrazioni camorristiche nella riqualificazione dell’area archeologica.
Alle lungaggini che stoppano le opere si unisce la questione del ribasso del prezzo su base d’asta.
Pur di aggiudicarsi i lavori le aziende fanno prezzi stracciati a discapito della qualità e delle effettive realizzazioni.
«Sull’appalto della Casa del Criptoportico, assieme a quello sulla Casa dei Dioscuri e della Casa di Sirico, è stata aperta un’indagine della procura : i tre lavori di restauro sono stati aggiudicati tutti con ribassi superiori al 50%», spiega il presidente dell’Osservatorio patrimonio culturale, Antonio Irlando.
Insomma nel disastro infinito del sito più celebre del mondo si sommano i ritardi che sono la conseguenza inevitabile di ricorsi, verifiche, iniziative giudiziarie.
Tutto ciò mentre incombe la mannaia europea per i fondi stanziati e non spesi.
In pratica dei 105 milioni di euro destinati a Pompei dall’Ue, finora ne sono stati spesi o impegnati solo un terzo e Bruxelles minaccia di riprendersi gli altri.
«Sono fondi che devono essere spesi entro il 2015 oppure li perdiamo: sono state fatte 16 gare fino ad oggi e altre otto sono in corso», precisano i tecnici della soprintendenza.
Come se non bastasse, con un tempismo che sembra una beffa del destino, venerdì, poche ore prima dei nuovi crolli, si erano conclusi i lavori del primo dei cinque cantieri del «Grande Progetto Pompei», quello per la domus del Criptoportico.
Il degrado del sito archeologico ha costituito una delle maggiori preoccupazioni dei ministri dei Beni Culturali che si sono avvicendati negli ultimi governi.
Cambiano i ministri, ma i crolli non si arrestano.
Un’eterna «staffetta» tra politici e tecnici, scandita da cedimenti e ritardi.
A partire da Sandro Bondi, sotto il cui mandato si sono verificati i crolli più importanti, fino a Massimo Bray.
E lo stesso Dario Franceschini, ad appena una settimana dal suo insediamento, deve già fare già i conti con nuovi danni nella città romana sommersa dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C, dal 1997 patrimonio dell’umanità Unesco.
Il primo campanello d’allarme arriva il 6 novembre 2010, quando la Domus dei Gladiatori si sbriciola sotto il peso di un tetto in cemento armato e per le infiltrazioni d’acqua. Secondo Bondi la questione non sono le risorse, ma il modo in cui sono gestite: chiama in causa i sovrintendenti, che per tutta risposta gli ricordano i pesanti tagli al settore. Allora Bondi propone un piano straordinario per la manutenzione con il ritorno di una soprintendenza autonoma con poteri più incisivi
Nel marzo 2011 Galan promette un piano di manutenzione programmata che punti anche sul coinvolgimento di sponsor e che sfrutti i fondi europei.
La Commissione Ue approva un piano per 105 milioni di euro. I lavori per restaurare le cinque Domus del sito iniziano a febbraio 2013.
In aprile è il turno del governo Letta. Bray, che va in visita privata a Pompei in Circumvesuviana, promette: «Mai più un caso Pompei».
E istituisce una soprintendenza speciale con Ercolano e Stabia. Ruolo per il quale viene nominato Massimo Osanna.
Riapre dopo un anno di restauri la Casa degli Amorini Dorati, una delle più famose del sito, registrando il boom di visite.
Poi però arriva l’altolà dell’Unesco: carenze strutturali. Il governo ha tempo fino al 31 dicembre per adottare misure idonee.
Spunta anche l’ombra della camorra e la Dia ispeziona i cantieri contro il rischio di infiltrazioni mafiose.
Intanto, la pioggia e l’incuria continuano a flagellare i resti romani, provocando nuovi cedimenti, fino ad oggi.
La «patata bollente», adesso, è nelle mani del neoministro Franceschini.
Giacomo Galeazzi
(da “La Stampa“)
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Marzo 3rd, 2014 Riccardo Fucile LA CARRIERA DEL SOTTOSEGRETARIO CHE CHIESE IL NOBEL PER BERLUSCONI… L’EDITORE DELL'”ORA”: INTIMIDAZIONI PER NOI
In tanti ricordano ancora il suo discorso, nell’aula di Palazzo Madama, quando Tonino «u
Nivuru», senatore di Cosenza oggi alfaniano e allora di Forza Italia – Tonino il Nero, dal colore dei suoi capelli – si alzò in piedi per chiedere allo Stato italiano di promuovere la candidatura di Silvio Berlusconi a Premio Nobel per la Pace.
Il motivo? L’aver avvicinato all’Occidente l’amico Vladimir Putin.
«Dici Gentile e la gente a Cosenza ha paura», sospira Alfredo Citrigno, il giovane editore del giornale l’Ora della Calabria a cui domenica il senatore ha dichiarato guerra.
«Tonino Gentile ha appena detto che con la mia famiglia non ha rapporti – eccepisce Citrigno –. Beh allora vorrei ricordargli le quattro ville che mio padre Piero, quando ancora faceva il costruttore, edificò per lui, suo fratello Pino, sua figlia Lory e Katya la figlia di Pino, sulla collina di Muoiopiccolo, in via Girolamo Sambiase, la zona chic di Cosenza, una sorta di Vomero o di Parioli. Quando vado a trovare mio padre, che ha la casa attaccata a quella del senatore, vedo dalla terrazza la grande piscina a forma di ostrica…».
«Questo intervento – prosegue – è una prova ulteriore dell’intimidazione espletata da un senatore della Repubblica ai danni della mia famiglia».
Lui, Tonino, nel 2001, sbaragliò addirittura il superfavorito Achille Occhetto.
Una famiglia potente, quella dei Gentile.
«Famiglia simbolo dello spoils system di Calabria. Non c’è ente pubblico dove non sieda un Gentile», racconta Paolo Pollichieni, autore insieme ad Antonio Ricchio, Giampaolo Latella, Pablo Petrasso ed Eugenio Furia del libro Casta Calabra, un nome un programma.
Segue elenco: il fratello Pino Gentile, da almeno 35 anni sulla scena, è assessore alle Infrastrutture e ai Lavori pubblici della Regione, una sorta di «Mister Preferenze», nel 2000 ottenne da solo 20 mila voti e per questo fu invitato ad Arcore da Berlusconi per una cena con i dieci amministratori più votati d’Italia.
Un altro fratello, Raffaele Gentile, è segretario generale della Uil-Flp calabrese.
Un altro ancora, Claudio, siede alla Camera di commercio.
Eppoi figli, cugini e nipoti disseminati un po’ ovunque.
Il figlio Andrea, la notizia del cui coinvolgimento nell’inchiesta sulle consulenze d’oro dell’azienda sanitaria, dieci giorni fa, ebbe la forza di rompere le rotative dell’Ora della Calabria, siede pure nel collegio dei revisori dell’aeroporto di Lamezia Terme.
«Partirono negli anni 70 tutti insieme dalle case popolari di via Popilia, il Bronx di Cosenza – racconta Pollichieni – e a forza di affari e politica sono cresciuti, sono saliti in alto, sono arrivati fino alla collina di Muoiopiccolo».
Cominciarono a crescere con le cooperative di posteggiatori, fu quello il primo bacino di voti.
I Gentile erano socialisti, erano «i craxiani di Calabria», amici della Dc di Misasi e nemici di Giacomo Mancini, il vecchio leone di Cosenza.
«Stavano con l’ala di Fabrizio Cicchitto – continua l’autore di Casta Calabra – e quando il Psi sparì dopo Tangentopoli, ecco che i Gentile traghettarono con Cicchitto in Forza Italia. Berlusconiani di ferro, fino all’ultima svolta, quando son tutti diventati di colpo alfaniani, fedelissimi di Beppe Scopelliti, il governatore».
E non è casuale – dice ancora Pollichieni che oggi dirige il Corriere della Calabria – se Tonino Gentile è diventato sottosegretario alle Infrastrutture e ai Lavori Pubblici (le stesse competenze che ha suo fratello Pino in Regione).
«Dei 5 senatori alfaniani espressi dalla Calabria – Gentile, Bilardi, Aiello, Caridi e D’Ascola – il governo di Matteo Renzi ha bisogno come il pane, sono il pacchetto di voti che tiene in piedi la maggioranza a Palazzo Madama. Ecco perchè il premier non ha potuto dire di no ad Alfano».
L’unico passo falso, fino ad oggi, il senatore Tonino, 63 anni, sposato con la prof di matematica Rosa Bombini, lo commise a metà degli anni ’80 quando fu arrestato (ma poi prosciolto) per una storia legata alla Cassa di Risparmio della Calabria e della Lucania: il capo della Mobile di Cosenza era Nicola Calipari, il giudice istruttore si chiamava Nicola Gratteri.
Così Gentile s’è preso la rivincita: lui ora è al governo, Gratteri invece no.
Anche a Pollichieni, quasi 4 anni fa, successe quello che è accaduto la notte del 18 febbraio scorso all’Ora della Calabria, il suo ex giornale.
«Era il 20 luglio 2010, allora si chiamavaCalabria Ora e io lo dirigevo. Avevamo in pagina lo scoop di un incontro a Milano tra il neo eletto governatore Scopelliti e Paolo Martino, accusato di essere il “ministro del Tesoro” della cosca De Stefano. Beh, quel giornale non uscì mai, le rotative anche quella notte, con una sensibilità quasi umana, ebbero un guasto».
Lo stampatore anche allora era Umberto De Rose, presidente della finanziaria regionale Fincalabra, dove per chiamata diretta, senza bando, è entrata di recente Lory Gentile, la figlia del senatore.
«Tu lo sai come fa un cinghiale quand’è ferito? – così diceva De Rose nell’ultima telefonata all’editore Citrigno, la notte del 18 febbraio, prima che si bloccassero all’improvviso le rotative –. Il cinghiale, poi, colpisce per ammazzare».
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 3rd, 2014 Riccardo Fucile “UN POLITICO SENZA MACCHIA, CHE NON HA INDAGINI A SUO CARICO, CHE E’ INCENSURATO, VIENE COSTRETTO DALLA BUFERA MEDIATICA A NON POTER ESERCITARE IL SUO INCARICO”
“Un politico che ha vissuto la sua vita senza alcuna macchia, che non ha indagini a suo carico, che è incensurato, viene costretto dalla bufera mediatica a non poter esercitare il suo incarico.
Antonio Gentile, il sottosegretario ai Trasporti, lascia il suo incarico.
Lo annuncia lui stesso in una lunga lettera inviata a Matteo Renzi e Giorgio Napolitano oltre che ad Angelino Alfano.
Gentile fa una “riflessione amara” per quanto è accaduto a lui e spiega che tornerà a “fare politica nelle istituzioni, come segretario di presidenza, e nella mia regione come coordinatore aspettando che la magistratura smentisca definitivamente le illazioni di cui sono vittima”.
“Lo stillicidio a cui sono sottoposto da diversi giorni e che ha trovato l’acme allorquando sono stato nominato sottosegretario alle Infrastrutture – si legge nella lunga lettera di Gentile – mi ha portato a una decisione sofferta, maturata nell’esclusivo interesse del mio Paese e nel rispetto del mio partito”.
“Non ritornerò – prosegue – sui motivi pretestuosi e strumentali organizzati ad arte per ‘mascariare’ in modo indegno la mia persona, nonostante fossi immune da qualsiasi addebito di natura giudiziaria. Ciò che avevo da dire sui mandanti e sugli ascari che hanno ordito questa tragicomica vicenda – sottolinea Gentile – l’ho espresso a chiare lettere. Ho presentato querela contro i miei detrattori il 26 febbraio, ben prima dell’attuale compagine governativa, con una comunicazione scritta al presidente Grasso, nella consapevolezza di avere questo unico strumento di difesa. Il Paese di Cesare Beccaria è tornato nel medievalismo più opaco, fatto di congetture astruse e di mera cattiveria”.
“Un politico che ha vissuto la sua vita senza alcuna macchia, che non ha indagini a suo carico, che è incensurato, viene costretto dalla bufera mediatica a non poter esercitare il suo incarico. E’ una riflessione amara, ma reale, di un segmento dell’Italia che preferisce vivere di slogan e di sentimenti truci, sfruttando la disperazione di tanta gente al solo scopo di uccidere la politica, le sue basi comuni, il diritto positivo”.
“Nel mio caso, oltretutto, non bisogna nemmeno citare il garantismo, giacchè non sono indagato di niente: eppure, sono divenuto carne da macello, per soddisfare la bulimica perversione di chi intende la lotta politica come mezzo di sopraffazione. Torno a fare politica nelle istituzioni, come segretario di Presidenza, e nella mia regione, come coordinatore regionale, aspettando che la magistratura, con i suoi tempi che mi auguro siano più brevi possibile, smentisca definitivamente le illazioni gratuite di cui sono vittima. La riflessione che vi lascio – conclude Gentile – è, però, attuale e riguarda la necessità di riequilibrare un sistema la cui agibilità è messa a rischio da chi oltraggia la nostra Costituzione, ritenendola un orpello inutile e non, invece, il tempio di saggezza e di rispetto qual è”.
“Il senatore Gentile ha rassegnato le proprie dimissioni da sottosegretario senza che alcuna comunicazione giudiziaria lo abbia raggiunto. Lo ha fatto per il bene comune e con grande generosità , e siamo convinti che il tempo (speriamo brevissimo) gli darà ragione. Per noi viene prima l’Italia”. Lo afferma il leader del Nuovo Centro Destra Angelino Alfano.
“E’ stata una scelta di Ncd che rispettiamo e apprezziamo”. Così, a quanto si apprende, Matteo Renzi avrebbe commentato le dimissioni di Gentile da sottosegretario.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 3rd, 2014 Riccardo Fucile GIACINTO IN GALERA PER CONCUSSIONE CONTINUATA… LA MOGLIE MASCHERAVA LE MAZZETTE DEL MARITO CON FINTE CONSULENZE
La città di Romeo e Giulietta è finita in mano a Bonnie & Clyde: il vicesindaco, re dell’edilizia, e la
sua appariscente mogliettina, arrestati con l’accusa choc di concussione continuata.
Sei anni di tangenti, intascate da lui e lei, secondo l’accusa, con tariffe da malaffare sistematico: chiedevano il pizzo in percentuale, da 10 a 40 euro al metro quadro.
Uno scandalo surriscaldato da ricatti, tradimenti, dossier anonimi, videotrappole e troppi soldi facili, che sta incrinando la storia d’amore tra il votatissimo Flavio Tosi e la sua Verona.
La bufera giudiziaria è scoppiata proprio mentre il sindaco leghista si preparava al salto nazionale, con tanto di fondazione politica per diventare l’anti-Renzi, il leader pulito di una destra moderna.
Ma ora la sua giunta sembra un fortino assediato: arresti, interdizioni, raffiche di inquisiti, imprenditori e dirigenti che denunciano appalti d’oro e assunzioni clientelari nelle società comunali o addirittura confessano tangenti milionarie.
Va detto subito che Tosi, personalmente, non è indagato. Ma al centro dei tanti scandali c’è la sua cerchia più fidata.
La botta più forte è arrivata il 17 febbraio 2014, giorno dell’anniversario della Tangentopoli milanese.
Vito Giacino, ex berlusconiano diventato l’uomo forte della giunta Tosi, cioè vicesindaco e assessore all’urbanistica e all’edilizia, entra in carcere per «concussione continuata dal 2008 al 2013».
Sua moglie, Alessandra Lodi, avvocato, è agli arresti domiciliari: mascherava le mazzette al marito con finte consulenze legali.
L’inchiesta parte da un micidiale anonimo che ha svelato il trucco delle parcelle alla consorte, pagate da almeno sette aziende in affari col comune.
Sentito dalla polizia giudiziaria, un imprenditore immobiliare, Alessandro Leardini, ha già confessato di aver dovuto versare 690 mila euro a quella coppia di denari: 510 mila in contanti, altri 180 mila coperti con le fatture della moglie del politico.
Ed era solo un anticipo: il vice di Tosi reclamava un altro milione e 170 mila euro.
«Giacino ha utilizzato l’ufficio pubblico come moltiplicatore del profitto personale», spiega il giudice Guido Taramelli nell’ordinanza che bolla i coniugi come «professionisti del crimine».
Ne è passata di acqua sotto i ponti dell’Adige da quando Tosi sembrava non sbagliare un colpo.
Vinte le elezioni del 2007 con l’appoggio in extremis di Berlusconi, il leghista fedele a Maroni è stato tra i primi a divorziare dal cerchio magico di Bossi, ancor prima che si scoprissero le ruberie del tesoriere Belsito, e nel 2012 ha scaricato pure Forza Italia, riconquistando la città scaligera con il 60 per cento dei voti. Ora la festa è finita.
Tra la folla assiepata sulle scalinate bianche del Comune, per assistere all’infuocato consiglio dove il sindaco è costretto a difendere «l’amico Giacino», con tutti gli altri inquisiti, in nome del «garantismo», spicca una distinta signora coi capelli bianchi: «Credevamo in Tosi, siamo molto delusi».
Suo marito sta già con gli indignati: «In galera!». In coda c’è pure il mite ex sindaco di centrosinistra, Flavio Zanotto, che commenta: «Era ora che la procura cominciasse a fare pulizia».
In città tutti sanno che Giacino era l’assessore più votato e più potente: il successore designato di Tosi.
Le motivazioni dell’arresto (68 pagine) sono devastanti.
C’è il superassessore che incontra di nascosto il costruttore taglieggiato (e altri imprenditori citati dall’anonimo) con tecniche da film di mafia: telefonini spenti, nomi di fantasia sulle agende, un faccendiere che recapita messaggi orali, il politico che depista le indagini consegnando istruzioni scritte, che i magistrati definiscono «pizzini».
C’è un fiume di denaro nero: pacchi di contanti riversati perfino sui conti delle mamme o della nonna.
Ci sono le vacanze a Praga, le cene a Venezia e Mantova, gli alberghi di lusso a Milano e Roma che il politico si faceva innegabilmente pagare dal costruttore.
E poi c’è lei, la moglie avvocato, che a 35 anni incassa parcelle da 806 mila euro nel solo triennio di crisi 2010-2012, però non lavora mai: non ha uno studio legale, è ospite di una collega ma non ha le chiavi e nemmeno la password del computer, le poche consulenze effettive gliele scrivono altri avvocati, gli imprenditori la pagano solo perchè è la moglie del politico che controlla tutti gli affari edilizi.
E che affari: «I piani urbanistici di Giacino stanno seppellendo Verona sotto una colata di cinque milioni di metri cubi di cemento», spiega l’architetto Giorgio Massignan, che ha presentato con Italia Nostra un esposto contro «i troppi favoritismi a pochi privati».
Guariente Guarienti, l’avvocato più noto in città , prevede nuove tempeste: «Ai tempi di Tangentopoli Verona ha avuto il record nazionale di arrestati in rapporto alla popolazione, ma dopo aver confessato e patteggiato si sono quasi tutti riciclati nel centrodestra. La giunta Tosi ha solo creato una nuova leva di affaristi».
Michele Bertucco, capogruppo del Pd a Verona, autore dell’esposto che ha fatto scoppiare lo scandalo, ora chiede i nomi dei finanziatori del sindaco: «Il sistema è al capolinea. Il caso Giacino non si può liquidare come affare di famiglia: un uomo solo non basta a manovrare tutta l’urbanistica. Tosi ha il dovere della trasparenza: nel 2013 è stato l’unico candidato che si è avvalso della facoltà di tenere segreti i suoi finanziatori elettorali. Ora i cittadini vogliono la verità ».
Nelle intercettazioni è la stessa lady Giacino a diventare un riscontro vivente alle accuse: confessa ai suoi cari che l’amore è finito, resta insieme al marito solo perchè «il lavoro me lo porta lui», mentre «io non saprei come mantenermi con 30 mila euro all’anno».
Prima che lui diventasse assessore, «non avevamo i soldi per pagare l’affitto», mentre ora la coppia ha un tenore di vita «da favola».
Eppure ritira in banca appena 126 euro al mese (con punte massime di 1462): per la procura è la riconferma che vivevano da sultani con il nero delle tangenti.
Che hanno permesso a Vito & Ale di comprarsi, tra l’altro, un super-attico da 1,7 milioni di euro, incompatibile con i redditi ufficiali.
Facendolo ristrutturare, con un incredibile sconto del 26 per cento su fatture già emesse, dalla chiacchieratissima Soveco spa, l’impresa che nell’era di Giacino è entrata nell’olimpo delle maxi-opere, nonostante gli stretti legami con un pregiudicato calabrese.
Proprio i sospetti di agganci mafiosi sono al centro di un’inchiesta giornalistica di Report che ha scatenato il caos senza essere ancora andata in onda.
Prima filtrano sulla stampa veronese voci di «dimissioni preventive» di Marco Giorlo, assessore di origini calabresi tradito da un’intervista.
Tosi risponde denunciando alla procura un reporter di razza come Sigfrido Ranucci, videoregistrato di nascosto da un leghista che lo accusa di ordire un complotto politico a luci rosse.
Un’inedita «querela preventiva» che fa salire al record di 70 le denunce della giunta Tosi contro giornalisti di mezza Italia.
Ma ha l’effetto-boomerang di sdoganare una ridda di pettegolezzi irriferibili non solo sui Giacino’s, ma anche sulla vita privata di Tosi e consorte, che vivono in città separate: lei, Stefania Villanova, è un’impiegata della Regione promossa ai vertici della sanità veneta.
Il sindaco continua a controllare tutte le leve del potere cittadino con i suoi fedelissimi, sfidando le accuse di lottizzazione partitica.
Paolo Paternoster, segretario provinciale della Lega, è anche presidente dell’Agsm (luce e gas) e del polo fieristico (svendite di immobili pubblici). Stefano Zaninelli, ex consigliere delle Ferrovie per meriti padani, è il “tecnico” direttore dell’Atv (trasporti). Andrea Miglioranzi, ex estremista di destra e poi capogruppo della lista Tosi, è presidente dell’Amia (rifiuti).
Ma ora la procura indaga anche sulle assunzioni clientelari: una Parentopoli che ricorda la Roma di Alemanno.
La magistratura ha già decapitato l’Agec, l’azienda che gestisce le case popolari: l’ex direttore è stato arrestato per corruzione, altri otto dirigenti sono accusati di aver pilotato a favore di due «imprese amiche» l’appalto da 28 milioni di euro per le mense scolastiche.
Cinque inquisiti hanno già patteggiato. E subito dopo la condanna sono stati tutti riammessi in servizio: lo stipendio lo pagano i veronesi.
Paolo Biondani
(da “L’Espresso“)
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Marzo 3rd, 2014 Riccardo Fucile “I PARTITI SOCIALISTI SONO VECCHI E NON ATTIRANO PIU’ I GIOVANI”
Che aspetto ha l’irregolare premier Renzi agli occhi di un trasgressivo doc come Daniel Cohn-Bendit, rottamatore ante litteram di qualsiasi regola scritta prima e dopo il suo ’68?
«Difficile giudicare, Renzi è stato sindaco di Firenze ma non ha esperienza di governo» risponde il leader «liberale-libertario» del maggio francese passato negli anni dalla fede marxista a quella nell’Europa, dove è stato a lungo parlamentare dei Verdi. Un ecologista convinto che, diversamente dai NoTav, difende l’alta velocità .
Basta l’adrenalina di Renzi a fare un leader politico?
«L’energia è importante soprattutto in un paese bloccato come l’Italia che resiste ai cambiamenti. Ma non è sufficiente. Personalmente non ho ancora capito la sua posizione politica, se è un liberale o se è per le regole. Sembra un libro aperto ma con le pagine bianche».
È un libro rivoluzionario?
«Di certo Renzi ha fatto una rivoluzione, nel senso che ha preso il potere con una rivolta interna al suo partito. Non so però dove vada questa rivoluzione, a destra, a sinistra, verso l’altro, verso il basso..»
Il debutto internazionale del neo premier italiano è stato il congresso romano del PSE. Che peso ha oggi la famiglia socialista in Europa?
«Grazie a un paio di governi i socialisti potrebbero avere un ruolo ma non si mettono d’accordo. Hollande non ha saputo lavorare nè con i suoi colleghi italiani nè con gli spagnoli. Il limite del PSE è che manca di una strategia riformista e socialdemocratica per l’Europa».
Renzi ha parlato dell’Europa dei popoli, dell’urgenza di colmare lo spread sociale prima di quello politico.
«Belle frasi ma del tipo che possono essere pronunciate da tutti, conservatori compresi. Nessuno direbbe mai che vuole l’Europa dei governi. Il punto è avere una visione, lavorare perchè gli Stati Uniti d’Europa diventino una realtà che si muove compatta sul riscaldamento globale, su come regolare la globalizzazione, sulla difesa delle economie dei paesi del sud dall’attacco dei mercati, sull’ambiente. Ecco, Renzi non ha idee sull’ecologia, pare qualcosa che per lui non esiste».
Dopo il voto del 25 maggio il Parlamento di Strasburgo sarà invaso dai barbari, populisti, nazionalisti, neonazi?
«Ci sarà un’avanzata dei populismi. Ma non prenderanno la maggioranza. Tra l’altro sono molto diversi l’uno dall’altro, si va dal qualunquismo italiano alla Beppe Grillo al nazionalismo francese. Ma il loro impatto dipenderà dalla resistenza che sapranno apporre le forze democratiche disposte a fare compromessi, i conservatori, i socialisti, i liberali, i verdi di cui in Italia parlate così poco».
Dei verdi italiani si parla quando ci sono proteste NoTav.
«In Italia ci sono forze con un potenziale ecologista. La Tav è fondamentale se vogliamo ridurre l’impatto degli aerei. Ma la questione è complessa: se non può passare da lì, la discussione non dovrebbe vertere sul no ma sul dove farla passare in alternativa. Io credo che ci serva».
Vent’anni fa l’Europa era sinonimo di Erasmus per i giovani, un vero mito. Come mai oggi interessa così poco ai ragazzi?
«I giovani vivono l’Europa quotidianamente, vedi italiani, francesi, spagnoli, lavorare in tutte le città di tutti i paesi. Solo che seppure sono nell’associazionismo non si interessano alla politica tradizionale. Il problema è che oggi Bruxelles fa una politica tradizionale. Io vorrei che la Commissione finanziasse ogni anno lo studio all’estero di un milione di studenti europei che poi statisticamente si fidanzerebbero tra loro. Che nazionalità avrebbe il figlio di un’olandese nata a Amsterdam da genitori turchi e un francese nato a Parigi da genitori marocchini? Europea».
Una volta i partiti socialisti e comunisti seducevano i giovani. Oggi, se va bene, i loro genitori. Come mai?
«Perchè i partiti socialisti sono vecchi e non solo sull’Europa. Come può un giovane essere attratto da Hollande? Lo dico da verde, ma è così. Dobbiamo parlare ai ragazzi, spiegare loro che in un futuro prossimo la soluzione a tanti problemi non sarà più nazionale, dal clima al regolamentare la globalizzazione, e la sovranità europea farà la differenza. Anche oggi potremmo sperare di avere un peso sulla crisi Ucraina se, per esempio, dicessimo in coro a Putin che nessuno parteciperà alla Coppa del mondo tra quattro anni e mezzo e i suoi stadi resteranno vuoti. Tra trent’anni nè la Francia, nè l’Italia nè la Germania saranno nel G8. O conteremo qualcosa nel mondo come Europa o saremo nulla»
Francesca Paci
(da “la Stampa”)
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Marzo 3rd, 2014 Riccardo Fucile NEL MANTOVANO I GRILLINI PRESENTANO LISTE SOLO IN 5 COMUNI SU 43
Dopo l’exploit alle Politiche un anno fa i 5Stelle avevano annunciato la conquista dei consigli
comunali
A tre mesi dal voto i candidati si contano sulle dita di una mano.
Come racconta la Gazzetta di Mantova per i grillini riuscire a trovare persone disposte a presentarsi nei comuni della provincia lombarda sta diventando un’impresa pressochè impossibile: il M5S sarà infatti presente solo in cinque delle 43 contese elettorali di maggio, nonostante il 23,14% di preferenze su base provinciale raccolto dodici mesi fa.
Le ragioni prova a spiegare alla Gazzetta Walter Mazzacani, grillino della prima ora che, pur non avendo un incarico preciso (come vuole il regolamento del M5S) è la persona che meglio di tutti conosce le vicende del movimento in ambito provinciale: “Credo che le motivazioni possano essere tante – dice – e che ogni situazione faccia storia a sè. Di sicuro so che in alcuni paesi ci abbiamo provato. Ad esempio a Gonzaga e Bagnolo, ma alla fine non ci siamo riusciti”.
Una delle spiegazioni che mi do – continua Mazzacani – è che in un periodo di crisi come questo, non è facile trovare persone che possono dedicare tempo e impegno all’amministrazione pubblica”.
La verità sussurrata da altri invece è che molti non vogliano esporsi in un ruolo che poi viene spesso messo sotto accusa sia dai vertici del movimento che dalla base: assumere una posizione e poi essere smentiti non fa piacere a nessuno.
E i recenti casi di espulsione e caccia alle streghe non favoriscono certo la partecipazione alle liste da parte dei simpatizzanti.
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