Marzo 12th, 2014 Riccardo Fucile PIU’ CHE “LA SVOLTA BUONA”, SAREBBE LA “VOLTA BUONA” CHE GLI ITALIANI SI LIBERASSERO DEI PAGLIACCI
Aveva detto: “Mercoledì per la prima volta si abbassano le tasse. Non ci crede nessuno? Lo vediamo”.
Oggi però in consiglio dei ministri Matteo Renzi non ha presentato un provvedimento fatto e finito da approvare.
”Confermiamo per l’ennesima volta — spiega il presidente del Consiglio — che nei prossimi 100 giorni faremo una lotta molto dura per cambiare ad aprile la Pubblica amministrazione, a maggio il fisco e a giugno la giustizia, provvedimenti che non fanno parte, non fanno parte, del pacchetto di oggi”.
Piuttosto il presidente del Consiglio ha presentato un’informativa “in materia di riforme costituzionali e di interventi di politica economica, inclusa la riduzione del carico fiscale”.
La “svolta buona” è il titolo scelto da Renzi per la conferenza stampa.
E se si cerca un cambio di passo sul rispetto della normativa europea sui tempi di pagamento della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese non si trova un decreto legge, ma un disegno di legge che ha bisogno di un iter molto più lungo e complicato.
Poi ha elenzato gli interventi sulle scuole (eredità di Letta) come fossero suoi, sulla casa (ereditato anch’esso) , per un miglior impiego dei fondi europei, i soliti tagli alle auto blu per accontentare la massa, le legge truffa che diventa “una rivoluzione impressionante”.
E i 10 miliardi per i lavoratori? Se ne riparla a maggio…
Gli aiuti alle imprese? Se ne riparla con calma.
In compenso Renzi ha spiegato il “nulla” con il supporto di slide colorate, sul cui sfondo compaiono alcune illustrazioni.
Si fa notare, in particolare, una boccia con dentro un pesciolino rosso.
Ma non è la sola innovazione, nella comunicazione istituzionale del governo.
Renzi parla, il profilo Twitter di Palazzo Chigi sintetizza il suo intervento in diretta, attraverso tweet con l’hashtag lanciato dal presidente: #laSvoltabuona.
Forse la volta buona per capire il bluff che rappresenta…
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Marzo 12th, 2014 Riccardo Fucile MANCANO LE COPERTURE PER I DEBITI SULLA P.A….E SUL CUNEO SOLO INFORMATIVA
Il Consiglio dei ministri esaminerà oggi un disegno di legge sui pagamenti dei debiti
commerciali della Pubblica amministrazione che, contrariamente alle attese, non prevede risorse ulteriori per liquidare gli arretrati rispetto ai 47,5 miliardi di euro già previsti dal precedente governo Letta.
Lo rendono noto, come spiega la Reuters, fonti governative dopo che il premier Matteo Renzi aveva annunciato lo sblocco totale dei debiti della Pa per dare spinta all’economia e indicato la cifra di 60 miliardi.
La decisione di optare per un disegno di legge invece che per un decreto, immediatamente in vigore, riflette la difficoltà di individuare coperture adeguate in assenza delle quali i nuovi rimborsi farebbero aumentare il debito pubblico e, nel caso di arretrati in conto capitale, anche il deficit oltre i limiti concordati in sede europea.
Il disegno di legge, inoltre, espone il governo a tempi potenzialmente lunghi di esame in Parlamento.
“Al momento non è prevista una tranche aggiuntiva di rimborsi”, spiega una delle fonti all’agenzia di Stampa.
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Marzo 12th, 2014 Riccardo Fucile DA MARZO TRA ADDIZIONALI REGIONALI E COMUNALI PER QUASI 100 EURO: + 29,3% RISPETTO AL 2013
Sindaci e Governatori questa volta hanno bruciato sul tempo Matteo Renzi. 
Mentre il governo si appresterebbe forse oggi a tagliare in media di 50-80 euro l’Irpef sui redditi più modesti, Comuni e Regioni azzerano già questo mese il prossimo regalo fiscale, con saldi e acconti delle addizionali per un importo medio di 97 euro.
E mentre il fisco locale preleva dalle nostre tasche i futuri sconti, l’Istat lancia l’ennesimo allarme sul potere d’acquisto delle famiglie, in calo del 4,7% proprio per colpa del maggior prelievo fiscale, tra Imu, contributi sociali e quant’altro ha di fatto tagliato di due punti percentuale quel che gli italiani hanno effettivamente in tasca da spendere.
Un andamento, quello della pressione fiscale nel nostro Paese, che secondo i dati dell’Istituto è controcorrente con il resto d’Europa, dove tra il 2000 e il 2012 le tasse sono scese di 0,5 punti, mentre da noi aumentavano quasi di tre.
E il peso maggiore lo sopportano i redditi da lavoro, dove l’aliquota media è del 42,3%, di oltre otto punti superiore alla media dell’area Euro, mentre la tassazione sui consumi è tra le più basse d’Europa.
Comunque vada l’abbuono fiscale è stato già tutto impegnato da Regioni e Comuni, che continuano a far schizzare verso l’alto le addizionali.
Dal 2011 al 2012 l’aumento del prelievo locale, informa sempre l’Istat, ha prelevato dalle tasche degli italiani 2,9 miliardi in più, ai quali andrebbero sommati i 5,8 del passaggio dall’Ici all’Imu.
Una corsa che non si è fermata nemmeno nel 2013 e nell’anno in corso.
La Uil, servizio politiche territoriali, rivela infatti che con la prossima busta paga questo mese lavoratori e pensionati troveranno l’amara sorpresa di dover pagare mediamente 97 euro tra saldo e acconto Irpef, sia comunale che regionale. Esattamente il 29,3% in più di quanto versato a marzo dello scorso anno, in base alle elaborazioni effettuate su un reddito medio 23mila euro.
In particolare per l’Irpef regionale si pagheranno in media 59 euro (+20,4%), soprattutto per turare le falle dei conti sanitari, mentre l’addizionale comunale si impenna addirittura del 46,1%, toccando quota 38 euro.
Segno evidente che quanto lo Stato ha abbonato con la “sospensione” dell’Imu nel 2013 i sindaci se lo sono almeno in parte ripreso con l’altra.
Gli aumenti hanno seguito però un andamento molto altalenante tra regione e regione o comune e comune.
Quest’anno ad aver spinto forte l’acceleratore sulle aliquote sono state soprattutto Piemonte, Liguria, Umbra e Lazio, che ha toccato il tetto massimo consentito con un’aliquota del 2,33%.
In Piemonte c’è un leggero ritocco verso il basso per i redditi fino a 15 mila euro, mentre poi mano a mano l’aliquota aumenta rispetto al 2013, fino a toccare il tetto di 2,33 oltre i 75 mila euro.
I dati variano sensibilmente anche per le grandi città .
Se a Roma saldo e acconto peseranno mediamente 139 euro tra addizionale comunale e regionale, a Torino l’esborso sarà di 126 euro, a Napoli di 123, a Genova di 115, fino a scendere ai 107 di Milano.
Lo scorso anno su 6.707 comuni ben 1.443, il 21,5%, ha aumentato l’aliquota, e quest’anno su 104 municipi che hanno già deliberato, 43 hanno deciso di ritoccare ancora all’insù l’addizionale.
«Aumenti —spiega il segretario confederale Uil, Guglielmo Loy- particolarmente dolorosi, in quanto le addizionali si pagano sull’intero imponibile e non tengono conto delle detrazioni per la produzione del reddito».
A conferma che il fisco locale non fa sconti a nessuno.
Paolo Russo
(da “La Stampa”)
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Marzo 12th, 2014 Riccardo Fucile LA PARLAMENTARE DI FORZA ITALIA CONTRO GLI ATTACCHI MEDIATICI DEL SUO CAPOGRUPPO
Non ci sta Stefania Prestigiacomo alla lettura che il Mattinale – il notiziario politico di Forza Italia – dà della battaglia e della votazione sulla parità di genere.
L’ex ministro – da tempo grande sostenitrice dell’alternanza di genere in Parlamento – ha inviato all’Huffington Post una lettera durissima nei confronti della maggioranza maschile del suo partito.
E in particolare nei confronti di Renato Brunetta, vera anima de Il Mattinale, fatto a sua immagine e somiglianza.
Prestigiacomo, lo ricordiamo, si era già scontrata con Brunetta un paio di giorni fa, quando la deputata, prendendo la parola in aula, accusò il gruppo che gestisce il partito di “non lasciare nemmeno la libertà di coscienza”.
Secondo Prestigiacomo, la libertà di coscienza sventolata a parole da Brunetta & Co. si traduce in un aut-aut: “libertà di essere d’accordo con la maggioranza (maschile) del gruppo da un lato” oppure “libertà d’essere trattati come arpie alla famelica ricerca di uno scranno parlamentare dall’altro”.
La delusione della deputata verso la gestione del partito è totale: “Non è col disprezzo – scrive – che si costruisce il nuovo partito, non è con il sarcasmo arrogante che si conquistano i consensi, non è alimentando nuovi settarismi che si unisce e allarga la base di un partito che si dice liberale e che invece forse ha sprecato una grande occasione di libertà “.
Di seguito la lettera integrale a firma di Stefania Prestigiacomo:
La versione che il Mattinale, notiziario on line del gruppo parlamentare di Forza Italia, ha dato di ciò che è accaduto a Montecitorio nelle votazioni sulla parità di genere, è profondamente offensiva.
Pagine, vignette, sarcasmi a ripetizione, citazioni sprezzanti in tutti gli articoli, per demolire e indurre al ludibrio dei militanti di Forza Italia una posizione che è stata civilmente e apertamente sostenuta da una parte significativa delle donne di Forza Italia.
È stato detto, a cose fatte, che c’era libertà di coscienza. Libertà di essere d’accordo con la maggioranza (maschile) del gruppo da un lato e libertà d’essere trattati come arpie alla famelica ricerca di uno scranno parlamentare dall’altro.
Il tutto condito di argomentazioni grottesche come quella sulla meritocrazia che l’alternanza di genere avrebbe mortificato. Perchè se una legge impone a chi stila le liste bloccate di alternare un uomo e una donna il merito è sacrificato mentre se la legge lascia libero chi fa le liste il merito è premiato? Perchè tutti i concorsi pubblici vedono prevalere le donne mentre la politica è feudo prevalentemente maschile? I concorsi negano la meritocrazia e la cooptazione la premia?
Strumentale e dolorosa anche l’argomentazione che la nostra posizione volesse in qualche modo “minare” l’accordo sull’Italicum. Abbiamo difeso e difenderemo con energia e compattezza l’intesa sulla legge elettorale. Introdurre una norma di civiltà e democrazia non l’avrebbe danneggiata, l’avrebbe migliorata e resa più vicina al sentire della gente. E la maggioranza della gente è donna.
Che la nostra posizione fosse minoritaria era noto, ne eravamo perfettamente consapevoli. Ma 20 anni di militanza in Forza Italia ci hanno insegnato che le battaglie in cui si crede si conducono con chiarezza e passione a prescindere dal risultato. La character assassination di chi ha tenuto posizioni in dissonanza dalla maggioranza del gruppo, indipendentemente dal fatto che fra noi ci siano persone che hanno contribuito a fare la storia del partito, amareggia e lascia basite.
Non è col disprezzo che si costruisce il nuovo partito, non è con il sarcasmo arrogante che si conquistano i consensi, non è alimentando nuovi settarismi che si unisce e allarga la base di un partito che si dice liberale e che invece forse ha sprecato una grande occasione di libertà .
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 12th, 2014 Riccardo Fucile “LA LEGGE ELETTORALE VA MODIFICATA AL SENATO, BERLUSCONI DOVRA’ FARSENE UNA RAGIONE”… E PURE RENZI
Più che una maledizione sembra una persecuzione. È questo numero, il solito numero. Anche ieri
sono stati 101 i voti di cui la larghissima maggioranza è stata privata alla Camera, la crepa che d’improvviso s’è aperta sotto il ponte di comando di Matteo Renzi. E ieri, proprio ieri, è riapparso Pier Luigi Bersani .
Le sue parole sembrano una chiamata alle armi, l’invito a schierarsi e a opporsi allo strapotere di Renzi. Autore di una “movida”, realizzatore di effetti speciali, un bim bum bam quotidiano.
Renzi è un “distruttore creativo”, un falco vorace che non ha lesinato a fare entrare nel Pd il corpo di Silvio Berlusconi: “L’avessi fatto io…”.
Bersani annuncia che il Cavaliere dovrà lacrimare un po’. “Se ne dovrà fare una ragione”, dice l’ex segretario prospettando scenari di nuova belligeranza interna.
È un modo per lanciare la sfida a Renzi. Ogni colpo inferto al Cavaliere è uno sgambetto prodotto contro il giovane signore del Pd, oggi padrone assoluto del partito ma regista inesperto, protagonista eccessivo di un cambiamento che muta nel profondo le caratteristiche del partito.
Renzi come ha sferzato la Cgil e l’annunciata opposizione della Camusso al suo job act? “Ce ne faremo una ragione”.
Ecco, è la stessa ragione con cui Bersani chiama alle armi il Senato, dove i numeri ballano, la coalizione arranca, il nervosismo tiene banco.
Quando l’Italicum approderà a palazzo Madama, gli ospiti lo prenderanno a legnate da ogni parte.
Se Gianni Cuperlo, il capo della minoranza interna, annuncia battaglia sulle quote rosa, molto altro fuoco cova sotto la cenere.
I senatori, chiamati alla mossa suicida (approvare il testo e poi spegnere le luci del Senato) inaugureranno il nuovo ostruzionismo che condurrà Renzi nel moto ondoso della precarietà .
Segnali vistosi di scontento e di riorganizzazione di una opposizione interna sono visibili, netti, certi. Prima la Bindi, poi Arturo Parisi, infine Anna Finocchiaro.
L’anima antica del partito emerge e si coalizza con quella giovane (da Cuperlo a Civati) nemica di Renzi.
Si aggiungano i nomi di Enrico Letta e di Bersani e si avrà il conto esatto di quanto sia ondoso il moto nel mare del Pd, e in quali flutti la barca del segretario sarà costretta a navigare.
Al Senato i numeri non sono quelli della Camera, l’intesa con Berlusconi regge per un pugno di interessati sostegni che hanno concesso fiducia condizionata.
E la crescente ed emergente antipatia verso il presidente del Consiglio, il timore di venir mangiati dal suo dinamismo trasversale, e colpiti dal cinismo di cui ha dato prova, produrranno ostruzioni impreviste.
Un accenno, solo uno, già ieri. La legge costituzionale che abolisce le Province si è incagliata, questa volta ad essersi messo di traverso è il partito di Alfano, alleato anch’esso timoroso di venire fagocitato, stritolato dall’intesa a due che si è manifestata con durezza nello scontro appena concluso a Montecitorio.
Pronostico infausto lo affida ai cronisti Daniela Santanchè: “Il Pd non regge, così Renzi non andrà avanti”.
Ma l’intesa esclusiva, il ticket Renzi-Berlusconi, produce segnali di insofferenza persino dentro Forza Italia con Rotondi che dice “facciamo una cosa, mettiamo Renzi come nostro leader tanto è in grado di fare tutto ciò che gradisce Berlusconi compreso il fatto che cerca e trova sempre un accordo con Verdini”.
“Distruttore creativo”, l’ha bollato Bersani.
D’un tratto è comparsa la paura che Renzi remi contro il Pd, le sue quote di potere, i suoi assetti costituiti, le sue alleanze, le sue certezze, le proprie tradizioni.
Renzi ama il potere e ne ha dato prova. Suoi fedelissimi già installati nei posti di comando, e ora nelle sue mani c’è la cifra, davvero smisurata, delle poltrone dei boiardi di Stato da nominare.
Duecentocinquanta nomine, naturalmente non tutte di prima fila, che colorerebbero con il viola fiorentino la prospettiva dell’egemonia del partito nello Stato.
Fermarlo dunque, prima che sia troppo tardi.
Perciò l’appello di Bersani: “La legge elettorale bisognerà modificarla al Senato. E Berlusconi dovrà farsene una ragione”.
E pure Renzi.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 12th, 2014 Riccardo Fucile CHI SEMINA VENTO RACCOGLIE TEMPESTA
I tamburi di guerra hanno ricominciato a rullare, i segnali di fumo si moltiplicano, così come i soliti riti propiziatori: da ieri, dunque, la caccia a Matteo Renzi è ufficialmente aperta, e le tribù del Pd si sono armate e messe in marcia.
Fino a qualche giorno fa, nascosto tra i cespugli, c’era solo qualche bracconiere, partito anzitempo: D’Attorre, Fassina, un po’ di lettiani…
Da ieri non è più così.
E se ancora non si capisce chi e perchè abbia dato l’ordine, l’ascia di guerra è ormai dissotterrata: i democratici sono partiti a caccia dello scalpo del loro sesto presidente del Consiglio in tempo di Seconda Repubblica e di maggioritario.
Quel che può sorprendere, forse, sono i tempi: Matteo Renzi — l’enfant prodige, il premier più giovane della storia repubblicana — ha infatti ottenuto la fiducia alla Camera il 25 febbraio, appena un paio di settimane fa.
Quel che non può meravigliare, invece, è che la caccia sia ricominciata: che si chiamasse Prodi o D’Alema, Letta o Renzi, appunto, nessuno dei premier eletti dal centrosinistra è infatti mai sfuggito al cannibalismo praticato dalle tribù democratiche (e, prima, da quelle diessine o popolari).
Gli italiani — che per certe cose hanno buona memoria — sanno (ricordano) che da una parte c’era e c’è lui, Silvio Berlusconi, tre volte premier e Capo intoccabile del centrodestra fin dal 1994; dall’altra, un elenco di presidenti del Consiglio (Prodi, D’Alema, Amato, di nuovo Prodi, poi Letta e adesso Renzi) e di leader di partito (Veltroni, Franceschini, Bersani, Epifani e ora Renzi) da far girar la testa.
Di là un «padrone» — secondo la vulgata di centrosinistra — e non è certo una gran cosa; ma di qua nessun «padrone», mai: e a conti fatti, potrebbe esser perfino peggio.
Lo spettacolo non è esaltante, il pomo della discordia non sono certo le «quote rosa» e i meno addetti ai lavori — i cittadini-elettori, insomma — faranno forse fatica a capire com’è possibile che il giovane leader incoronato segretario del Pd appena tre mesi fa col voto di due milioni di simpatizzanti, sia ora accusato di essersi fatto ostaggio di Berlusconi e di aver addirittura snaturato il partito che lo ha scelto come leader.
E invece, purtroppo, non c’è nulla di incomprensibile nella logica interna a questa sorta di federazione di tribù che è ormai il Partito democratico, e che è allergica — da sempre — non solo al «padrone» ma perfino all’«uomo solo al comando»… Sorprendono i tempi, dunque, non il fatto che la caccia sia partita.
E anche sui tempi, forse, una spiegazione diventa possibile: impedire che Renzi si rafforzi ulteriormente, e che — magari — riesca davvero a far approvare una nuova legge elettorale nel giorno in cui, per di più, potrebbe davvero varare l’annunciata rivoluzione fiscale, mettendo «soldi nelle tasche degli italiani».
C’è una logica, insomma, nella scelta delle anime pd di riprendere le armi: una logica distruttiva, se si vuole, che guarda più all’oggi che al domani, che ignora l’incombere di una importante tornata elettorale, che fa a pugni perfino con un primordiale istinto di conservazione ma che — pure — ha una sua lucida, antica ed autodistruttiva coerenza.
Del resto, Matteo Renzi — che ha compiuto non pochi errori nella gestazione dell’Italicum — non poteva davvero attendersi nulla di diverso dalla riapertura della Grande Caccia.
Un vecchio detto popolare ricorda che chi semina vento raccoglie tempesta: e nella sua scalata al Pd prima ed a Palazzo Chigi poi, l’ex sindaco di Firenze si è fatto spingere da raffiche impetuose…
Ha percorso una strada che dopo il suo passaggio risultava ingombra di feriti e rottamati, ha liquidato un viceministro (Fassina) con un chi?, un presidente del partito (Cuperlo) con un inciso e un capo di governo (Letta) con una relazione lampo, venti minuti non di più.
Altri, prima di lui, ci avevano rimesso le penne per molto meno: e che la caccia sia ricominciata, insomma, può sorprendere solo chi conosce poco o nulla delle tradizioni delle tribù democratiche.
Resterebbero, certo, il merito delle questioni, i problemi del Paese e il necessario appello a una qualche razionalità .
Ma tutto ciò è in secondo piano, a fronte della guerriglia così improvvisamente ripartita. Le acque intorno al neo-premier, dunque, si fanno agitate: e se questo supermercoledì di mezzo marzo dovesse rivelarsi un bluff o poco più, potrebbero trasformarsi rapidamente in tempestose.
Si vedrà . Per intanto, Berlusconi e i suoi osservano l’avvio della Grande Caccia con un sorriso soddisfatto.
«In che condizioni si ritroverà il Pd dopo la legge elettorale?», chiedeva ieri Deborah Bergamini.
Non meglio di prima, forse.
Ma niente di grave: in fondo, ci è abituato…
Federico Geremicca
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 12th, 2014 Riccardo Fucile ALESSANDRO DI BATTISTA, PRIMO ATTORE DELLA COMPAGNA DI STRADA GRILLINA, BECCATO A FARE QUELLO DI CUI ACCUSA GLI ALTRI: UN CAZZO
Può capitare a tutti, anche ai “duri e puri” come Alessandro Di Battista. 
Il deputato del Movimento 5 Stelle è stato pizzicato dalla telecamera di Gazebo, trasmissione condotta da Zoro, mentre guardava dal suo pc una partita di calcio durante le votazioni sugli emendamenti della legge elettorale.
Un episodio che “potrebbe costargli l’espulsione”, almeno secondo i tanti che in queste ore stanno ironizzando sul “passo falso” del portavoce M5S.
Lo stesso Di Battista, dopo aver saputo di essere stato beccato, ha cercato di tamponare la figuraccia sul suo profilo facebook: “Mi dicono che in TV hanno mandato un servizio sul mio conto – ha scritto – Votavo con una palletta e vedevo un video di calcio. E’ vero. A volte capita in 16 ore di aula di vedere un video mentre ci sono le votazioni. Questo non significa non votare con attenzione. Ciononostante e’ oggettivamente una mia leggerezza e un mio errore. Me ne scuso”.
Certo se fosse stato inquadrato da una telecamera non si sarebbe distratto: il suo esibizionismo lo avrebbe portato magari a salutare con la manina…
Tra i commenti dei guardiani della rivoluzione c’è di ci vede del marcio: “E’ stato gazebo, non aspettava altro, sono stati tutto il giorno in tribuna aspettando che qualcuno del m5s facesse una leggerezza, mah. Ci provano gusto, stai attento: quelli dell’informazione sono bestie”.
C’è anche chi sembra aver smarrito completamente il senso dell’umorismo: “Ma non si vergognano in tv a mistificare così la realtà ?”; “Non sanno più a cosa attaccarsi”; “Ale, niente errori, ‘loro’ aspettano questo!”;
Per fortuna, c’è anche chi prova a scherzarci su: “Ma che hanno gli Apple come pc? Ma Apple è una multinazionale banke-bilderberg ahò”; “Dibba guarda una partita alla Camera, sfiducia, fuori!!!”; “Il cittadino Di Battista guarda la partita alla Camera, Vergogna”, riprendendo ironicamente gli hashtag utilizzati da Beppe Grillo sul suo blog.
(da “Huffingtobpost“)
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Marzo 12th, 2014 Riccardo Fucile MA IL CAVALIERE E’ PREOCCUPATO ANCHE PER LE DIVISIONI INTERNE A FORZA ITALIA
Il patto con Renzi ha retto, «il fatto è che il segretario Pd non tiene i suoi, al Senato rischia di saltare tutto» confida al telefono coi suoi da Arcore il Cavaliere.
In realtà più che soddisfatto per come sono andate le cose a Montecitorio nelle ultime 48 ore di corsa a ostacoli della legge elettorale.
«Il Partito democratico è allo sbando, si è spaccato, se non ci fossimo stati noi il governo sarebbe andato già sotto» si compiace Silvio Berlusconi.
In stretto contatto con lo stato maggiore a Roma. Giovanni Toti, spedito sul «campo», come pure il capogruppo al Senato Paolo Romani, presente in Transatlantico durante le votazioni delicate di ieri pomeriggio.
Buona parte del lavoro lo avevano già messo a punto due giorni fa Denis Verdini e Daniela Santanchè (anche grazie al colloquio riservato col ministro delle Riforme Maria Elena Boschi).
«Renzi e Berlusconi vogliono affrontare insieme le riforme – spiega il consigliere politico Toti – Guardiamo con favore agli sforzi del governo, non so se ci riuscirà , ma di sicuro occorre cambiare le regole del gioco e quelle istituzionali».
Il clima è un po’ questo, tutt’altro che ostile. Il capo si è tenuto lontano da Roma. Rientrerà solo oggi, a riforma approvata.
Anche perchè troppe crepe ha aperto all’interno del gruppo la vicenda della parità di genere, le donne da una parte (Carfagna, Prestigiacomo, Ravetto, Biancofiore e tante altre) e i capigruppo alla Camera Brunetta e Gelmini dall’altro.
Il leader di Forza Italia, che come al solito anche in questa vicenda si è districato applicando il suo divide et impera, ha evitato fino a ieri qualsiasi commento pubblico sulla questione delle quote rosa, come sulle preferenze.
Le ferite nel gruppo sono tutt’altro che sanate: l’house organ “Il mattinale” che fa capo a Brunetta in mattinata bollava la questione della parità come «fasulla», un escamotage «per assicurarsi il posto».
Mara Carfagna ha ribattuto a tono: «Forza Italia non è il M5s, il dissenso è, o almeno dovrebbe essere, un diritto: che il dibattito debba essere dileggiato dagli organi di informazione del mio stesso gruppo rattrista moltissimo, è sconveniente, denota mancanza di rispetto umano, prima che politico».
Mezzo gruppo ormai è in piena rivolta contro Brunetta, del resto, e non da ora.
Fibrillazioni, veleni, che rischiano di avere ripercussioni sulle Europee imminenti.
Sembra che ad Arcore per esempio non vedano di buon occhio una corsa dei big alla candidatura. Se davvero oltre a Raffaele Fitto anche lo stesso Brunetta accarezza l’idea di misurarsi nel Nordest, (lì o a Ovest correrà Giovanni Toti), il rischio è che per Forza Italia la competizione si trasformi in una sorta di primarie, coi dirigenti intenti a pesarsi in guerra tra loro. E la faccenda messa così piace pochissimo a Berlusconi, di suo già allergico alle primarie.
E infatti, su Fitto come su Brunetta l’ex premier sarebbe tentato dal porre il veto, raccontano. Ma la partita è ancora tutta aperta e in Forza Italia non escludono affatto colpi a sorpresa, soprattutto per compensare la pressochè certa assenza del capo dalle liste elettorali.
Già , perchè è già cominciato il conto alla rovescia, quello più delicato.
Chi gli ha parlato in queste ore non fa mistero del fatto che il Cavaliere sia assai distratto dalle vicende politiche, riforme incluse.
È in attesa del 10 aprile e del pronunciamento del Tribunale di Milano sulla pena accessoria, i nove mesi da trascorrere ai servizi sociali o, peggio, ai temuti domiciliari.
Troppo alto il rischio di essere tagliato fuori dalla scena politica fino al prossimo anno, Berlusconi non vuole correrlo ma resta convinto che «faranno di tutto per eliminarmi in vista delle Europee».
Anche per questo è prevalsa la linea della cautela e la strategia comunicativa – a parte le ripetitive telefonate ai club – prevede l’inabissamento fino alla decisione del Tribunale.
Il leader parlerà per comunicati o per atti, come la nomina dell’ufficio di presidenza del partito che molti danno per probabile entro questa settimana.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Marzo 12th, 2014 Riccardo Fucile FARA’ PRIMA RENZI A ELIMINARE IL SENATO O IL SENATO A ELIMINARE RENZI?
Soltanto l’altro ieri sembrava che niente e nessuno potesse impedire al turbo-premier di
“cambiare verso” all’Italia, in cinque mesi o giù di lì.
E però già al primo ostacolo, il famoso Italicum, il nostro eroe destatosi dai sogni d’oro ha dovuto affrontare la dura realtà quotidiana.
Ieri pomeriggio alla Camera l’hanno visto per la prima volta spaventato sul serio, quando ha rischiato di finire sotto sul nuovo tentativo di introdurre la rappresentanza di genere nelle liste (metà uomini e metà donne).
Ha salvato la pelle per 20 miseri voti grazie alla precettazione di ministri e sottosegretari rastrellati qua e là .
Ma per quanto ancora potrà resistere, quando a giorni il nuovo sistema elettorale approderà a Palazzo Madama, dove la maggioranza è risicata assai e dove — stante l’annunciata abolizione della seconda camera — ai senatori non garberà molto fare la figura dei tacchini invitati al pranzo di Natale.
Il fatto è che Renzi subisce una sorta di legge del contrappasso.
Ha stretto un patto con Berlusconi che adesso gli viene rinfacciato come un tradimento.
Ha voluto un governo al femminile e sono le femmine a fargliela pagare cara.
Ha teorizzato la rottamazione della vecchia guardia pd e (mentre riciccia Bersani) è una energica signora dai capelli argentati, Rosy Bindi, a guidare la rivolta di genere contro il giovanotto del “qui si fa come dico io”: con l’appoggio convinto dei tanti che dentro e fuori via del Nazareno ce l’hanno cordialmente sulle scatole.
Perciò nei retroscena di palazzo si torna a parlare di voto a ottobre e in questa chiave i 10 miliardi per le famiglie oggi all’esame del Consiglio dei ministri possono apparire un cadeau elettorale anticipato. Si vedrà .
Del resto è stato il fedele sottosegretario Reggi a dire che Matteo “spara razzi nel cielo”.
E non sembra più un complimento.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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