Marzo 23rd, 2014 Riccardo Fucile “RENZI IN EUROPA NON HA OTTENUTO NULLA, MA I GIORNALI ITALIANI HANNO PARLATO DI TRIONFO”
“Perchè mi candido? Perchè in questo paese c’è un’emergenza, politica e di informazione.
Basti pensare a quanto sia difficile leggere cose obiettive su Matteo Renzi”.
Curzio Maltese è una firma storica di Repubblica e la sua candidatura con la Lista Tsipras alle prossime europee (capolista nel Nordovest) suscita curiosità .
Impegni politici non ne ha mai avuti, “tranne il movimento studentesco negli anni ’70” e, tranne un voto ai Radicali, ha sempre votato Pci e poi di seguito fino al Pd. “Alle ultime elezioni per il Pd ma anche per Sel, per fermare le larghe intese. Ma se ne sono fregati”.
Giornalismo e politica non dovrebbero restare separati?
Non lo sono dai tempi della Rivoluzione francese. In realtà non avrei mai pensato di candidarmi
E perchè è successo?
Perchè esiste un’emergenza grave sia per la politica che per l’informazione.
Quale?
Un modello di Europa che impoverisce i poveri e arricchisce i ricchi. E che rappresenta il tradimento dell’ideale europeo di Altiero Spinelli. Le larghe intese in Europa sono dappertutto e costituiscono l’assassinio della politica, la vera antipolitica.
Renzi quindi è bocciato?
Direi che il suo viaggio europeo ha confermato l’emergenza dell’informazione italiana che fa campagna per lui.
Perchè?
Si è parlato di patto italo-francese dopo l’incontro con Hollande ma sui giornali francesi non se n’è trovata traccia (in Italia lo ha ben scritto Andrea Bonanni su Repubblica ). Hanno scritto che il premier ha ‘fatto innamorare’ Merkel ma Squinzi lo ha smentito. A Bruxelles, i telegiornali hanno dato la notizia del trionfo ma dai sorrisini si è capito che non c’era nulla.
Un disastro?
Non succede facilmente nel nostro paese di leggere cose obiettive su Renzi.
Di lui non salva nulla?
Le promesse sono ottime. Ma da giornalista valuto i fatti. Ha fatto la campagna delle primarie sul rifiuto delle larghe intese, sulla necessità del voto per andare a palazzo Chigi e su una forte spinta antidalemiana. Poi ha fatto un patto di ferro con Berlusconi, grazie a questo patto ha fatto fuori Letta e ha riabilitato D’Alema. Difficile fidarsi.
E Grillo?
Dice cose giuste e dà soluzioni sbagliate. Propone di uscire dall’euro per entrare nello zecchino o nel baiocco. Non mi sembra si faccia molta strada. E poi ha fondato un partito padronale.
La Lista Tsipras è la strada giusta? Ha cominciato con gli scontri interni.
Chi ha rotto lo ha fatto non sul programma ma sui nomi dei candidati. A rompere è stato solo uno, un intellettuale geniale come Flores D’Arcais, che voleva la candidatura di Sonia Alfano. Andrea Camilleri lo ha appoggiato e mi spiace molto della sua assenza. Ma non ho mai visto un gruppo così unito. Nel Pd sarebbe finita a coltellate.
Salvatore Cannavò
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 23rd, 2014 Riccardo Fucile I RIMBORSI DEI GRUPPI HANNO VISTO I GIUSTIFICATIVI PIU’ ASSURDI
La ricevuta fiscale per il pranzo di nozze della figlia, la fattura per le cartucce da caccia, lo scontrino per il leccalecca, la cena con le ostriche e il pranzo con l’aragosta, i rimborsi chilometrici col trucco, le mutande verdi del governatore e il reggiseno push-up della consigliera, il collier della capogruppo e il tosaerba del consigliere, per non parlare del catalogo degli sprechi romani di Fiorito-Batman e delle feste in costume, tutto naturalmente, tacitamente e sistematicamente sul conto della Regione,dal Piemonte alla Sicilia.
Ma quanti sono, i rubinetti del denaro facile ai quali si sono attaccati in questi anni i politici senza scrupoli di tutta Italia?
Sono tanti, e tutti gonfi di soldi da spendere disinvoltamente. Con o senza ricevuta.
La Corte dei conti ha calcolato che nel solo 2012 i gruppi consiliari deipartiti hanno incassato e ovviamente speso 95 milioni 655 mila euro — in lire, per dare un’idea, sarebbero stati quasi duecento miliardi — con una spesa media che nel Lazio era di 188.929 euro a consigliere, cifra che si aggiunge alle generose indennità (come vengono chiamati gli stipendi dei politici) e agli altri rimborsi, come le diarie e le spese di trasporto. Che sono pagati a parte.
Ma vediamo uno per uno quali sono i capitoli delle spese allegre delle nostre Regioni.
PENDOLARI D’ORO
Partiamo dalla fine, ovvero dall’ultimo caso che le cronache — a cavallo tra il comico e il grottesco — ci hanno consegnato, quello dei rimborsi chilometrici: poichè ci sono consiglieri che per raggiungere l’ufficio devono fare ogni giorno anche trecento chilometri, in busta paga viene aggiunto un “rimborso spese trasposto” parametrato alla distanza casa-Regione (in Lombardia si va da un minimo di 310,90 euro a un massimo di 3500).
È una cifra che non paga il gruppo, ma direttamente la Regione.
E se il principio è inattaccabile, il trucco è semplice: spostare la residenza nel luogo più lontano dal Consiglio per ottenere lacifra più alta, come ha fatto il leghista Davide Boni, ex vicepresidente del Consiglio regionale, che ha fatto valere la residenza anagrafica a Sabbioneta (a 143 chilometri dal capoluogo) tacendo il fatto che abitava da anni nel centro di Milano.
È stato così che con la busta paga di gennaio 2011, ottenendo anche gli arretrati, ha incassato 35 mila euro.
I MISSIONARI
Discorso a parte quello dei «rimborsi per missioni», ovvero per presenziare a convegni, mostre, dibattiti e riunioni sul territorio. È il sistema più utilizzato nelle Regioni dove basta l’autocertificazione: basta la parola, e si incassano i rimborsi per i viaggi, veri o finti.
Qui il recordman è il piemontese Roberto Boniperti, che in un solo anno è riuscito a farsi rimborsare 37 mila euro, muovendosi come una trottola anche ad agosto, a Regione chiusa («Andavo a tre sagre al giorno»,spiegò).
LE CASSEFORTI DEI GRUPPI
Poi ci sono le somme che vengono assegnate ai gruppi consiliari “per garantirne il funzionamento”.
Per pagare un paio di segretarie, le spese di cancelleria e l’abbonamento al telefono? Macchè. Sotto questa voce è finora passato un fiume di denaro, gestito disinvoltamente da capigruppo spregiudicati come il pidiellino Franco Fiorito o come il dipietrista Vincenzo Maruccio, che avevano spostato sui loro conti personali più di un milione di euro ciascuno.
Come è stato possibile? Semplice: ci sono Regioni che richiedono le pezze d’appoggio (scontrini o fatture), altre che si accontentano di un’autocertificazione.
E così, per esempio, a Fiorito bastava scrivere “chiedo e ricevo” per ottenere le somme che si autoassegnava, mentre a Milano il leghista Galli ha dovuto presentare la ricevuta fiscale, per farsi rimborsare il banchetto di nozze della figlia (fatto passare per “riunione conviviale del gruppo” e addirittura pagato dall’inconsapevole genero). Lui deve essere ancora processato, mentre l’ex capogruppo del Pdl in Sardegna, Mario Diana, e stato arrestato quattro mesi fa perchè tra i 217 mila euro di spese ingiustificate c’erano anche due Rolex, nove libriantichi e 69 penne Montblanc.
MOGLI & FIGLI
Ma con i fondi dei gruppi si possono fare — e infatti sono state fatte — molte altre cose. Aiutare mogli, figli, cognati e parenti vari, per esempio.
Un capogruppo piemontese, Maurizio Lupi, ha fatto un contratto di consulenza da 75 mila euro alla figlia (sorvolando sul fatto che la ragazza in quel periodo fosse a Parigi per uno stage). Un politico siciliano, Giovanni Greco, ha fatto pagare 3993 euro alla moglie per «statistiche delle elezioni politiche del maggio 2012» (elezioni che, detto per inciso, non ci sono mai state). Mentre il lombardo Stefano Galli (sempre quello del pranzo nuziale), è riuscito ad assegnare un contratto da 189 mila euro al genero (quello che pagò il conto) con il compito fondamentale di «fare volantinaggio in favore della Lega», quando finiva in fabbrica il suo lavoro come imbottigliatore di acque minerali. Bisognava spenderli, quei soldi, e nessuno faceva mai domande indiscrete.
BASTA LO SCONTRINO
I gruppi però non tengono per sè tutta la cifra. La distribuiscono, in buona parte, ai singoli consiglieri, «per garantire il rapporto tra elettore ed eletto». Decine di migliaia di euro a testa ogni anno.
E anche qui ci sono Regioni come la Sicilia e la Sardegna, che fino a ieri si accontentavano di una autocertificazione («Sono andato lì, dovevo fare questo, ho speso tanto») e a fine legislatura di-struggono persino i registri con i conti — non si sa mai — mentre altre chiedono almeno uno scontrino fiscale.
Ed è grazie agli scontrini che abbiamo saputo dei videogame di Renzo Bossi e della sabbia in boccetta di Nicole Minetti (27 euro), ma anche appreso cosa sono riusciti a farsi rimborsare il lombardo Pierluigi Toscani (752 euro di cartucce da caccia), il piemontese Andrea Stara (tosaerba e sega circolare), il napoletano Massimo Iannicciello (63 mila euro per una “consulenza di comunicazione” affidata a una società di commercio all’ingrosso di rottami) o il campano-piemontese Angiolino Mastrullo (13mila 300 euro per una trasferta con bus al congresso del Pdl del 2011: alla partenza non si presentò nessuno ma la fattura venne pagata lo stesso).
Va detto che dopo gli scandali c’è stata una sforbiciata, su queste spese: nel Lazio, il governatore Zingaretti ha drasticamente ridotto i fondi ai gruppi, portandoli da 14 milionia 500 mila.
OSTRICHE E TARTUFI
L’ultimo capitolo dei rimborsi facili è un classico: le «spese di rappresentanza».
Uno statussymbol, ormai, più che un benefit. Ne hanno diritto non solo i governatori e gli assessori, ma anche i presidenti dei Consigli regionali, e non vengono pagate con i fondi dei gruppi ma direttamente dalla Regione. Basta presentare una nota spese con gli scontrini e le ricevute: da lì vengono le mutande verdi di Roberto Cota, per dire.
Prima che cominciasse la stagione dell’austerità forzata, la sola giunta Formigoni ha destinato a questa voce 433 mila 605 euro, nei suoi ultimi cinque anni.
Soldi che sono stati spesi per pranzi da 3320 euro a base di champagne e tartufi (al confronto il pranzo con tagliata di aragosta del vicegovernatore dell’Abruzzo Alfredo Castiglione, 202 euro, sembra uno spuntino frugale) ma anche per pagare all’ex assessore MassimoBuscemi la sua cena di Natale del 2009 (380 euro) e anche il cenone di fine anno (695 euro).
Naturalmente, pure il Consiglio regionale aveva un suo budget, ed è lì che nel Natale del 2010 ha attinto l’ex presidente Davide Boni per comprare nella sua trasferta napoletana 75 cravatte di seta e tre sciarpe di cashmere. «Nient’altro?» chiese il commesso.
«Metta anche sette foulard di seta».
Ma sì, tanto pagava la Regione.
Sebastiano Messina
argomento: Regione | Commenta »
Marzo 23rd, 2014 Riccardo Fucile IL TITOLARE DEL VIMINALE RITARDA DI DUE ORE L’ARRIVO ALLA SALA CONGRESSI PER LA MANIFESTAZIONE DI NCD PER ANDARE A TROVARE L’EDITORE DE “LA SICILIA” INDAGATO PER CONCORSO ESTERNO E TURBATIVA D’ASTA AGGRAVATA
Ad attendere Alfano a Catania all’interno di una sala congressi stracolma c’erano centinaia di
persone e alcune decine di giornalisti.
Il Ministro degli Interni del Governo Renzi tuttavia è arrivato con un ritardo di quasi due ore sulla tabella di marcia, evitando qualsiasi battuta con la stampa.
Il motivo è stato presto svelato dagli stessi uomini dell’entourage del Nuovo Centrodestra e dall’edizione odierna del quotidiano La Sicilia.
Il titolare del Viminale si è intrattenuto negli studi di Mario Ciancio Sanfilippo, editore, imprenditore, padrone dell’informazione in Sicilia ma anche indagato per concorso esterno in associazione mafiosa dalla Procura di Catania.
L’ex pupillo di B. dopo una lunga intervista, in cui tra l’altro si è parlato del super latitante Matteo Messina Denaro a una delle emittenti di Ciancio, si è intrattenuto nello studio dell’editore salvo poi recarsi a sirene spiegate dai suoi elettori e simpatizzanti.
Quella di Ciancio nel panorama dell’informazione è stata da sempre una posizione privilegiata.
Dal suo studio come testimoniato dalla puntata di Report i Vicerè, curata dai giornalisti Condorelli e Ranucci, sono passati tutti gli uomini più influenti d’Italia, politici, imprenditori e per l’appunto ministri.
Proprietario di tre televisioni, quattro radio e azionista dei principali quotidiani cartacei del Meridione, il nome di Ciancio è al centro delle indagini della Procura di Catania guidata da Giovanni Salvi.
L’editore è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, accusa che ha sempre respinto dichiarandosi vittima della mafia.
Il direttore del quotidiano La Sicilia è anche indagato per turbativa d’asta aggravata dall’aver favorito la mafia per quanto riguarda l’aggiudicazione dei lavori per l’ospedale Garibaldi di Catania.
Ciancio, secondo i magistrati, avrebbe organizzato una riunione all’interno del proprio studio “con i componenti della commissione d’aggiudicazione al fine di indurli anche con l’espressa minaccia che altrimenti sarebbero finiti in carcere e sarebbe stato lui a scegliere la pagina su cui pubblicare le loro foto”.
Il suo nome emerge anche nel 2001 quando la Procura di Reggio Calabria intercetta l’imprenditore Antonello Giostra, attualmente indagato insieme all’editore catanese per riciclaggio aggravato.
Nell’intercettazione Giostra precisava nell’ambito di una conversazione su un mega lavoro per la realizzazione di un centro commerciale “che Ciancio avrebbe garantito tutte le autorizzazioni possibili e immaginabili senza pretendere una lira fino all’inizio dei lavori”.
Nel faldone su Ciancio c’è anche una conversazione ambientale, captata dalla cimici all’interno dello studio dell’editore, che il giudice Marina Rizza ha ritenuto determinante per la condanna in primo grado dell’ex Presidente della Sicilia Raffaele Lombardo a 6 anni e 8 mesi.
Il 28 luglio 2008, a pochi mesi dall’elezione di Lombardo, Ciancio ospitò una riunione in cui si cercò, secondo gli investigatori, di sbloccare un problema burocratico emerso dopo l’inizio dei lavori per la realizzazione di un centro commerciale.
Uno dei soci di Ciancio avrebbe chiesto all’allora presidente della Regione di ammorbidire ma non in denaro i dirigenti del Comune di Catania.
L’obiettivo sarebbe stato quello di evitare una variante che avrebbe portato al blocco dei lavori. In quel momento ad eseguire i lavori di movimento terra e a fornire il cemento era Vincenzo Basilotta, imprenditore condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa.
Secondo Vincenzo Aiello, capo provinciale del clan Santapaola, le estorsioni per la realizzazione del centro commerciale sarebbero state destinate dopo un accordo al finanziamento della campagna elettorale di Lombardo.
Dopo la condanna di Lombardo la Procura è stata chiamata dallo stesso giudice a verificare eventuali responsabilità di Ciancio, che si è detto sempre estraneo.
Dario De Luca
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Alfano | Commenta »
Marzo 23rd, 2014 Riccardo Fucile ESCLUSA LA POSSIBILITA’ DI RIDURRE ULTERIORMENTE GLI UOMINI IN CAMPO
Le forze dell’ordine dicono no ai tagli alla spesa previsti dal governo.
L’avviso all’esecutivo guidato da Matteo Renzi sul piano di spending review del commissario Carlo Cottarelli arriva direttamente dai vertici di polizia, carabinieri e Guardia di Finanza.
È la relazione riservata – cinquanta pagine oltre agli allegati – trasmessa a Palazzo Chigi al termine del lavoro svolto dal comitato interministeriale a fissare i paletti del progetto di risparmio escludendo la possibilità di ridurre ulteriormente il numero degli uomini in campo.
Con un avvertimento che appare eloquente: «Le forze di polizia, in quanto chiamate a garantire la sicurezza, bene indefettibile e precondizione di ogni diritto, sono a un bivio molto delicato e ulteriori azioni di “cost reduction” che dovessero essere individuate non potranno ancora impattare sul personale o, attraverso ulteriori tagli lineari, sui capitoli di bilancio già sofferenti, se non con un preoccupante abbassamento degli standard operativi».
Dopo le proteste dei sindacati, sono i documenti elaborati con l’assenso del capo della polizia Alessandro Pansa, del comandante generale dei carabinieri Leonardo Gallitelli e di quello della Guardia di Finanza Saverio Capolupo a imporre un ripensamento. «Non toglieremo i poliziotti dalle strade», ha dichiarato due giorni fa il presidente del Consiglio.
Ma le sue parole non bastano a rassicurare e martedì, nel corso dell’incontro già previsto con il ministro dell’Interno Angelino Alfano, i rappresentanti di base evidenzieranno i rischi derivanti dai tagli previsti.
Blocco assunzioni e stipendi bass
La relazione contiene grafici e tabelle per dimostrare, conti alla mano, quanto già è stato risparmiato. Ma soprattutto quale sia il limite che non si può oltrepassare «senza incorrere nel rischio di intaccare ulteriormente la funzionalità e l’operatività degli apparati già sensibilmente messi in crisi dalle riduzioni degli ultimi tempi».
Ecco dunque l’analisi sulla situazione finanziaria: «Il generale obiettivo di riduzione della spesa nel bilancio dello Stato corrisponde a 32 miliardi di euro, pari al 4 per cento. Tale quota, riportata alla componente di pertinenza del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, pari a 7 miliardi e 800 mila euro, potrebbe corrispondere per il 2014 a un’ipotesi di risparmio di 313 milioni di euro oppure, se calcolata sulla quota di 836 milioni di euro per i soli consumi intermedi, di 33 milioni di euro».
La conclusione sembra lasciare pochi spazi di manovra: «La seconda ipotesi è sicuramente quella più realisticamente percorribile perchè riguarda le risorse non destinate al personale rispetto al quale non è più possibile immaginare ulteriore compressione senza determinare impatti fortemente critici sulla funzionalità minima della struttura, già sensibilmente intaccata dai blocchi di turnover e contrattuali che cominciano a determinare difficoltà di gestione degli organici e della necessaria motivazione del personale».
Esclusa l’ipotesidi accorpamento
L’analisi di situazione espressa nel dossier si occupa dei numeri, ma anche ella distribuzione degli uffici sul territorio.
Ed esclude la possibilità che si arrivi a una unificazione delle forze di polizia evidenziando i risultati che sono stati ottenuti grazie a un programma di coordinamento.
Non a caso viene sottolineato come questa logica di collaborazione «nasce dall’esigenza di creare un modello efficiente attraverso il quale prevenire e limitare al massimo possibili duplicazioni e sovrapposizioni in un’ottica di ottimizzazione delle risorse e di efficacia del servizio reso alla collettività ».
E infatti si ricordano quelle direttive dei vari ministri dell’Interno che hanno già previsto «il potenziamento della presenza di uffici della polizia nei capoluoghi di Provincia e di quelli dei carabinieri nelle altre località , oltre alla definizione degli ambiti di intervento delle rispettive specialità », così comprendendo anche l’attività delle Fiamme Gialle prevalentemente impegnata nel settore economico ma comunque coinvolta, come prevede la legge, anche nelle operazioni di controllo dell’ordine pubblico.
I commissariati e le stazion
Nei giorni scorsi i sindacati di polizia, primo fra tutti il Sap, avevano denunciato un piano segreto del governo che prevede la chiusura di circa 200 commissariati.
Il documento inviato a Palazzo Chigi fissa i limiti della riduzione possibile e contiene cifre di gran lunga inferiori.
La soglia sotto la quale non si ritiene di poter scendere indica per la polizia «la soppressione di 11 commissariati, 29 reparti della Stradale, 73 della Ferroviaria, 73 della Postale, 13 della polizia di frontiera, 50 squadre nautiche, oltre a un sostanzioso numero di accorpamenti»; per i carabinieri, che già hanno effettuato sostanziosi tagli, «la chiusura di 6 stazioni e 2 presidi presso scali ferroviari e aeroportuali, l’accorpamento di 3 stazioni e la rimodulazione di 9 Compagnie».
La relazione individua nel trasferimento della maggior parte degli uffici la vera fonte di risparmio «grazie alla riduzione delle locazioni passive», tenendo conto che soltanto nel 2013 la polizia ha speso in affitti ben 139 milioni di euro mentre i carabinieri sono arrivati a quota 183 milioni di euro.
E dunque, tirando le somme «la polizia prevede di risparmiare grazie al trasferimento in immobili demaniali 27 milioni di euro nei prossimi due anni, ai quali si aggiungono i 25 milioni di euro dei carabinieri e i 7 milioni e mezzo della Guardia di Finanza».
L’impennata di furti e rapine
È l’Associazione funzionari di polizia a evidenziare la necessità di non abbassare il livello di guardia escludendo, come sottolinea Enzo Letizia, «la possibilità di rispolverare vecchi progetti che prevedevano la chiusura di commissariati e stazioni». Anche perchè bisogna tenere conto «dell’accresciuta domanda di sicurezza dovuta sia alle “piazze calde” sia all’aumento dei reati che sono arrivati a 2,8 milioni, vicino al picco di 2,9 milioni toccato dopo l’indulto del 2006 con un aumento forte dei delitti di tipo predatorio».
Ecco perchè secondo il segretario dell’Associazione Lorena La Spina «chiedere 800 milioni di euro di taglio di spesa nel 2015 e 1,7 miliardi di euro nel 2016 significa non aver capito come funziona il sistema di prevenzione e repressione dei reati e di tutela dell’ordine pubblico.
Infatti, nonostante oggi si richieda un taglio che andrà ad incidere negativamente sull’operatività , cioè sui servizi di ordine pubblico, sulle missioni per le indagini di polizia giudiziaria, sugli straordinari, sugli automezzi, polizia e carabinieri in pochi anni hanno perso 16.000 autovetture.
L’organico delle forze dell’ordine si contrarrà ulteriormente, polizia e carabinieri hanno già 27 mila unità in meno, sarà così inevitabile una chiusura di uffici ben più dolorosa di quella ad oggi prospettata, con serie ripercussioni sulla sicurezza, reale e percepita.
Eppure, i dati statistici dal 2011 ci dicono che servono più uomini e più mezzi nel controllo del territorio per contrastare efficacemente l’aumento costante dei reati predatori. Se non viene scongiurata la sforbiciata di 2,5 miliardi si minerà alla radice l’intero sistema di sicurezza.
Senza contare che il blocco stipendiale nelle progressioni di carriera, che ha inciso negli ultimi quattro anni per 1,7 miliardi sul personale del comparto sicurezza, sta compromettendo l’organizzazione gerarchica e in particolare la leva motivazionale: è del tutto irrazionale il meccanismo che ormai concede a chi ha un grado inferiore e non ha subito il “fermo” di percepire uno stipendio superiore a chi è stato promosso e quindi ha maggiori responsabilità ».
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera“)
argomento: Sicurezza | Commenta »
Marzo 23rd, 2014 Riccardo Fucile IL PARTITO SI SPACCA SULLA LEADERSHIP… BRUNETTA: “CAOS CREATIVO”
«I miei figli non saranno in lista per le Europee. Sono tutte invenzioni della stampa». Silvio
Berlusconi parla per quasi due ore alla convention dei Club Forza Silvio di Roma.
Ma la vera novità la regala al nugolo di cronisti che lo assediano quando scende dal palco dell’auditorium del Seraphicum.
Non è vero che per usare il “brand” vincente stia facendo pressioni su Marina e Piersilvio per “scendere in campo”. Su Barbara la moral suasion non serve perchè sarebbe pronta ad accettare la sfida.
Il Cavaliere quindi sembra voglia porre un argine alle tensioni e ai malumori che agitano Forza Italia in vista della decisione sulle candidature.
Tensione palpabile che un immaginifico Renato Brunetta declassa ad «un caos creativo straordinario».
Una mossa quella dell’ex Cavaliere che serve a rassicurare dirigenti storici come Denis Verdini che hanno espresso critiche sulla gestione del partito.
Fino a fare balenare il suo abbandono del movimento. Ipotesi che Maria Stella Gelmini definisce «destituita di qualsiasi fondamento»
Il “caos creativo” però coinvolge anche Francesca Pascale, ieri assente alla convention, e il ruolo che gioca dentro Forza Italia la compagna del leader forzista. Sarebbe lei a caldeggiare la discesa in campo di Marina a scapito della vecchia guardia del partito.
Così Gianfranco Rotondi che ormai si fregia del titolo di “premier ombra” dice che «chi non ha il coraggio di criticare Silvio se la prende con Francesca». L’interventismo della Pascale piace anche a Michaela Biancofiore, che si dice d’accordo con Rotondi.
«Francesca dice la deputata forzista — con la sua intervista ad un noto quotidiano non ha fatto altro che dare voce alla pancia dei nostri elettori che spesso, troppo spesso, divergono e sono distinti e distanti dal nostro corpo dirigenziale»
Comunque oggi si potrebbe capire qualcosa di più nel “caos creatitvo” visto che sarebbe previsto un pranzo di famiglia ad Arcore per discutere della vicenda candidature.
Nel frattempo restano agli atti le dichiarazioni di Berlusconi. Quelle ai cronisti. perchè da palco l’ex Cavaliere parla di tutto, ma sciorina un repertorio vecchio.
Cita i comunisti che non cambiano mai, si diffonde a modo suo su Gramsci, Togliatti e l’egemonia.
Berlusconi evoca l’Europa e le sue politiche invita Renzi a battere i pugni sul tavolo e in caso di contrasti con Bruxelles.
«Non si va in Europa a ricevere sorrisini e pacche sulle spalle ma, se qualcosa non va, mettendo il veto agli altri capi di governo», intima a Renzi.
Scherza sul look di Renzi senza giacca e ripete per l’ennesima volta che il presidente del Consiglio italiano non ha poteri.
Dunque urge grande riforma costituzionale e il presidenzialismo.
E a proposito di referendum continua ad accusare i presidente della Repubblica di vigilare troppo su decreti legge. Naturalmente anche la Corte costituzionale è d sinistra e i magistrati, quella di Md, lavorano per l’avvento di «un socialismo giudiziario»
Poi invita a mirare ai voti di Grillo, perchè vede il suo elettorato deluso.
E anche su questo punto ribadisce la sua visione del bipolarismo accusa gli italiani di usare male le occasioni elettorali.
Dice che «noi italiani, dal 1948 ad oggi, non abbiamo mai imparato a votare. Noi votiamo sempre in modo frazionato e troppe persone nel voto seguono simpatie personali: Casini era un bel ragazzo, è un bell’uomo, lo votano perchè piace alle signore. Ma gli italiani non pensano al bene del Paese, che è dato da due forze in campo che si alternano».
Silvio Buzzanca
argomento: Forza Italia | Commenta »
Marzo 23rd, 2014 Riccardo Fucile UNA LETTERA SCRITTA DA UNO DEI DUE PASSEGGERI DELLA HONDA CHE BLOCCO’ IL TRAFFICO IL GIORNO DEL RAPIMENTO: “DIPENDEVO DAL COLONNELLO GUGLIELMI DEL SISMI”
“Tutto è partito da una lettera anonima scritta dall’uomo che era sul sellino posteriore dell’Honda in via Fani quando fu rapito Moro. Diede riscontri per arrivare all’altro. Dovevano proteggere le Br da ogni disturbo. Dipendevano dal colonnello del Sismi che era lì”.
Enrico Rossi, ispettore di polizia in pensione, racconta così all’ANSA la sua inchiesta.
I capi Br e la moto del mistero: “Non era roba nostra”
La lettera, racconta Rossi, iniziava così: “Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi, il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Camillo Guglielmi (l’ufficiale del Sismi che si trovava in via Fani all’ora della strage, ndr), con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramente andarono le cose ma nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente…”.
L’anonimo fornì anche concreti elementi per rintracciare il guidatore della Honda. “Tanto io posso dire, sta a voi decidere se saperne di più”.
Il quotidiano all’epoca passò alla questura la lettera per i dovuti riscontri.
A Rossi, che ha sempre lavorato nell’antiterrorismo, la lettera arriva sul tavolo nel febbraio 2011 “in modo casuale: non è protocollata e non sono stati fatti accertamenti, ma ci vuole poco a identificare il presunto guidatore della Honda di via Fani”.
Sarebbe lui l’uomo che secondo uno dei testimoni più accreditati di via Fani – l’ingegner Marini – assomigliava nella fisionomia del volto ad Eduardo De Filippo. L’altro, il presunto autore della lettera, era dietro, con un sottocasco scuro sul volto, armato con una piccola mitraglietta.
Sparò ad altezza d’uomo verso l’ingegner Marini che stava “entrando” con il suo motorino sulla scena dell’azione.
“Chiedo di andare avanti negli accertamenti – aggiunge Rossi – chiedo gli elenchi di Gladio, ufficiali e non, ma la “pratica” rimane ferma per diversi tempo. Alla fine opto per un semplice accertamento amministrativo: l’uomo ha due pistole regolarmente dichiarate. Vado nella casa in cui vive con la moglie ma si è separato. Non vive più lì. Trovo una delle due pistole, una beretta, e alla fine, in cantina poggiata o vicino ad una copia cellofanata della edizione straordinaria de La Repubblica del 16 marzo con il titolo ‘Moro rapito dalle Brigate Rosse’, l’altra arma”.
E’ una Drulov cecoslovacca, una pistola da specialisti a canna molto lunga che può anche essere scambiata a vista da chi non se ne intende per una piccola mitragliatrice.
Rossi insiste: vuole interrogare l’uomo che ora vive in Toscana con un’altra donna ma non può farlo.
“Chiedo di far periziare le due pistole ma ciò non accade”. Ci sono tensioni e alla fine l’ispettore, a 56 anni, lascia.
Va in pensione, convinto che si sia persa “una grande occasione perchè c’era un collegamento oggettivo che doveva essere scandagliato”.
Poche settimane dopo una “voce amica” gli fa sapere che l’uomo della moto è morto e che le pistole sono state distrutte.
Rossi attende molti mesi- dall’agosto 2012 – prima di parlare, poi decide di farlo, “per il semplice rispetto che si deve ai morti”.
(da “La Repubblica”)
argomento: denuncia | Commenta »
Marzo 23rd, 2014 Riccardo Fucile LA PRESENZA DELLA HONDA BLU RESTA UNO DEI PUNTI IRRISOLTI DELLA STRAGE DI VIA FANI… ANCHE I PM IPOTIZZARONO UN RUOLO DEI SERVIZI
Per una volta sono tutti d’accordo: magistrati e Br. 
La Honda blu presente in via Fani il 16 marzo del 1978 è un mistero. I capi brigatisti hanno sempre negato che a bordo ci fossero due loro uomini, ma da quella moto si spararono – sicuramente – gli unici colpi verso un ‘civile’ presente sulla scena del rapimento, l’ingegner Alessandro Marini, uno dei testimoni più citati dalla sentenza del primo processo Moro.
Mario Moretti e Valerio Morucci sono stati sempre chiarissimi su quella moto blu di grossa cilindrata: “Non è certamente roba nostra”.
L’ingegner Marini si salvò solo perchè cadde di lato quando una raffica partita da un piccolo mitra fu scaricata contro di lui ‘ad altezza d’uomo’ proprio da uno dei due che viaggiavano sulla moto.
I proiettili frantumarono il parabrezza del motorino con il quale l’ingegnere cercava di ‘passare’ all’incrocio tra via Fani e via Stresa.
Marini fu interrogato alle 10.15 del 16 marzo. Il conducente della moto – disse – era un giovane di 20-22 anni, molto magro, con il viso lungo e le guance scavate, che a Marini ricordò “l’immagine dell’attore Edoardo De Filippo”.
Dietro, sulla moto blu, un uomo con il passamontagna scuro (si presume dunque l’autore della lettera-confessione da cui partì l’indagine di Enrico Rossi, ndr) che esplose colpi di mitra nella direzione dell’ingegnere perdendo poi il caricatore che cadde dal piccolo mitra durante la fuga.
La sera, a casa, a Marini arrivò la prima telefonata di minacce: ‘Devi stare zitto’. Per giorni le intimidazioni continuarono. Si rafforzarono quando tornò a testimoniare ad aprile e giugno.
Poi l’ingegnere capì l’aria, si trasferì in Svizzera per tre anni e cambiò lavoro.
Il caricatore cadde certamente dalla moto e Marini, dicono le carte, lo fece ritrovare, ma questo non sembra essere stato messo a raffronto con i tre mitra (ritrovati in covi Br) che spararono in via Fani (ce n’è anche un quarto, mai ritrovato).
Di certo da quella moto si sparò per uccidere Marini, tanto che i brigatisti sono stati condannati in via definitiva anche per il tentato omicidio dell’ingegnere.
Marini d’altra parte confermò più volte durante i processi il suo racconto e consegnò il parabrezza trapassato dai proiettili.
A terra in via Fani rimasero quindi anche i proiettili sparati dal piccolo mitra, ma le perizie sembrano tacere su questo particolare. Sarebbe questa l’ottava arma usata in via Fani: 4 mitra, 2 pistole, oltre alla pistola dell’agente Zizzi, che scortava Moro, e quella in mano all’uomo della Honda: il piccolo mitra.
Su chi fossero i due sulla Honda tante ipotesi finora: due autonomi romani in ‘cerca di gloria’ (ma perchè allora sparare per uccidere?); due uomini della ‘ndrangheta (ma non si e’ andati oltre l’ipotesi); o, come ha ventilato anche il pm romano Antonio Marini che ha indagato a lungo sulla vicenda, uomini dei servizi segreti o della malavita.
I Br negano ma, ha detto il magistrato, “una spiegazione deve pur esserci. Io vedo un solo motivo: che si tratti di un argomento inconfessabile”. Uomini della malavita o dei servizi? “Allora tutto si spiegherebbe”.
Certo è che quella mattina a pochi passi da via Fani c’era, per sua stessa ammissione, Camillo Guglielmi, indicato alternativamente come addestratore di Gladio o uomo dei servizi segreti, invitato ‘a pranzo’ alle 9.15 di mattina da un suo collega.
E Guglielmi è proprio l’uomo dei servizi chiamato in causa nella lettera anonima che ha dato il via a Torino agli accertamenti sui due uomini a bordo Honda, poi trasferiti a Roma.
A Guglielmi si è addebitata anche la guida di un gruppo clandestino del Sismi incaricato di ‘gestire’ il rapimento Moro secondo un’inchiesta che è anche nell’archivio della Commissione stragi, in Parlamento.
(Ansa)
argomento: denuncia | Commenta »
Marzo 23rd, 2014 Riccardo Fucile BLOG, MOVIMENTO E CASALEGGIO: UN AFFARE PER CHI?
Nell’intervista concessa a Mentana, Grillo afferma che “Casaleggio è il braccio destro fondamentale per un’avventura che comincia ad avere i suoi costi: il ruolo di Casaleggio nel M5S? Senza di lui non c’era il Movimento, è un organizzatore straordinario”.
Si occupa, tra le altre cose, “della gestione della comunicazione”.
Su presunti guadagni della Casaleggio associati rispetto al blog di Grillo e al M5S, “l’anno scorso — chiarisce il leader M5S – Casaleggio è andato in rosso, mentre il mio 740 è a zero perchè da 3,5 anni non faccio spettacoli”.
Il tour di Grillo partirà a breve e “ora voglio vedere se la gente è disposta a pagare il mio biglietto”.
Quanto al blog, “io la pubblicità non l’ho mai voluta”, assicura, spiegando però che gestire un server con un tale numero di accessi è oneroso, dunque il blog “a un certo punto era sotto”.
Il blog di Grillo è di Grillo, gestito da una società per l’alto numero accessi — puntualizza poi — i post li scriviamo in due, io e Casaleggio. Adesso non posso reggere un movimento da solo, senza soldi”, aggiunge poi. “Ma niente soldi pubblici”, ribadisce.
QUELLO CHE MENTANA NON HA CHIESTO E CHE NON SI CAPISCE
Non si capisce perchè Grillo/Casaleggio ancora non abbiano pubblicato
1 – Una fattura del noleggio server
2 – I bonifici provenienti Google e Amazon. (Dei suoi bilanci non sappiamo che farci, vogliamo vedere le fatture e i bonifici originali.)
Non si capisce come faccia Casaleggio da un punto di vista logico, amministrativo e fiscale a coprire le perdite di un sito non di sua proprietà .
Non si capisce come faccia Casaleggio a vendere attraverso il sito di Grillo i libri pubblicati dalla sua casa editrice, a pubblicizzare i suoi siti e le sue attività senza un contratto, senza dare qualcosa in cambio ad una persona come Grillo patologicamente tirchia.
Non si capisce perchè tale Emanuele Bottaro sia ancora il formale intestatario del sito di Grillo, un sito non suo che realizza 600mila contatti al giorno.
Non si capisce come sia possibile che il sito sia di Grillo, risulti intestato a Bottaro ma sul sito ci sia la partita iva di Casaleggio.
Non si capisce come faccia Grillo a dichiarare “ho un reddito zero” visto che come minimo è proprietario di diversi immobili che risultavano affittati.
Soprattutto non si capisce perchè se con il sito ci rimettono, invece di veicolare le loro notizie attraverso Facebook e altri siti gratuiti, facciano di tutto per dirottare la gente sul loro sito appesantendo il consumo di banda e i costi.
Potremmo continuare.
Sono tante le cose che non si capiscono.
BALLE SPAZIALI
Intervista a Mentana – Grillo: “Il sito è in perdita. Le spese le copre Casaleggio. Il server costa 250.000 euro l’anno. Abbiamo 600.000 ingressi al giorno.”
Qualcosa non torna.
Qual’è il server che costa 250.000 euro l’anno?
Casaleggio ci può mostrare le fatture?
600.000 “ingressi” al giorno sono 18 milioni al mese. Con un tale numero di utenti, usando il parametro di Casaleggio (“un blog con 100.000 visitatori guadagna 75mila dollari”) significa che un blog con 18 milioni di utenti guadagna 9.786.933 euro al mese di sola pubblicità .
Per rimetterci con un sito che realizza quei contatti mensili ti devi impegnare molto.
O Casaleggio è un incapace totale e non quel genio del web che dice di essere o qualcosa non torna.
Quello che costa non è il server ma il traffico sulla rete del server ma se hai molto traffico significa che hai molti utenti, se hai molti visitatori cresce in proporzione il fatturato.
Tutto è proporzionato. I data center che forniscono i server fanno i loro prezzi in base alle leggi di mercato e al fatturato ipotetico che realizzerà l’utilizzatore del server.
Se così non fosse nessuno si potrebbe permettere di noleggiare un server, lavorerebbero tutti in perdita e i data center fallirebbero.
Per dirla alla Casaleggio: chi ha incassato i 9.786.933 euro che , secondo il guru, dovrebbe rendere al mese il blog che gestisce per conto di Grillo?
Domande che Mentana si è ben guardato dal fare nell’intervista “gentilmente concessa” da Grillo…
argomento: Grillo | Commenta »
Marzo 23rd, 2014 Riccardo Fucile LE ACCUSE DEL SENATORE GIARRUSSO AL CAPOGRUPPO SANTANGELO CHE ORA RISCHIA GROSSO
Sono all’incirca le 13.30 del 26 febbraio scorso quando Mario Giarrusso, senatore del
Movimento 5 stelle, lancia una bomba dalle colonne della sua pagina Facebook: gli atti contro i neo-ministri Federica Guidi e Giuliano Poletti sono stati presentati all’insaputa di molti senatori del gruppo, per di più falsificandone le firme.
“Oggi è successo un fatto gravissimo. Sono state presentate due mozioni di sfiducia […] senza che le stesse siano mai state discusse ed approvate in assemblea e senza che nessuno dei colleghi, tranne il responsabile, le avesse mai viste. La mia firma sui documenti in questione non c’era e quindi chi si è reso responsabile ne risponderà nelle sedi giudiziarie preposte”.
Cos’è successo il 26 febbraio?
È una giornata complicata per i senatori stellati, alle prese con espulsioni e dimissioni, e la denuncia passa in sordina.
Raggiunto dall’Huffpost, il parlamentare grillino ribadiva l’accusa e puntava il dito contro il capogruppo, Maurizio Santangelo: “È lui che mi risulta abbia presentato la mozione di sfiducia contro i ministri Poletti e Guidi. Una mozione con tutte le nostre firme in calce, ma che io e molti miei colleghi non abbiamo mai visto nè sottoscritto. Per questo domani presenterò denuncia penale contro il responsabile”.
Parlando nel pomeriggio a Skytg24, la collega Serenella Fucksia esprimeva le sue perplessità : “Oggi siamo arrivati in aula e non sapevamo che sarebbe stata presentata una mozione, non è stata condivisa dal gruppo, l’avrà decisa il capogruppo ma non sappiamo con chi…”.
La faccenda, travolta dalla cronaca politica delle defezioni dal gruppo parlamentare, sembrò fermarsi lì. “Si faccia consegnare l’atto depositato. Non c’è alcuna firma falsificata. Spero sia solo un fraintendimento”, chiudeva la questione Santangelo.
L’articolo dell’Espresso e la risposta di Santangelo
Ma la vicenda era tutt’altro che chiusa. Quel giorno infatti l’Espresso pubblicava sul proprio sito un articolo nel quale Giarrusso ribadiva ancora una volta la propria versione dei fatti: “Ha commesso un atto gravissimo, falsificando la mia firma, forse quella di altri, e depositando un atto che non è stato visto da nessuno. So che anche i dipendenti del gruppo hanno cercato di fermarlo, ma lui ha presentato lo stesso le mozioni. Non può esserci alcuna buona fede”.
Dichiarazioni che scatenavano la durissima reazione del capogruppo, direttamente sul blog di Beppe Grillo: “Forse Luca Sappino, che ha firmato l’articolo, avrebbe potuto prima provare a verificare se sui due atti la firma di Giarrusso fosse davvero presente o meno. Se siamo agli ultimi posti nella classifica della libertà di stampa, in fondo, un motivo ci sarà ”.
Le tre versioni della mozione di sfiducia
Forse sì. Ma forse non per colpa di quell’articolo. Esistono infatti tre diverse versioni della mozione di sfiducia a Poletti, che oggi l’Huffingtonpost è in grado di mostrarvi.
E che farebbero pendere la bilancia in favore della ricostruzione di Giarrusso.
Tre atti inviati da un numero di fax della presidenza del Movimento 5 stelle al recapito dell’Ufficio atti di sindacato ispettivo. Tutti con il medesimo scopo: chiedere la sfiducia dei due ministri.
La prima versione: ore 12.15, firme false di tutti i senatori M5
Ma andiamo con ordine: il primo fax, quello “incriminato”, è quello per il quale molti senatori del M5s hanno storto la bocca. Importante l’orario: il fax viene ricevuto dall’ufficio preposto alle ore 12.15. In calce, vengono riportati tutti i nomi dei senatori stellati. Ma c’è un problema.
Le firme vengono apposte tutte da un’unica persona, al massimo due, risultando chiaramente non autentiche (come si evince anche dal confronto con la terza copia del documento, alla quale arriveremo più avanti).
Ci sono anche quelle di Battista, Bocchino, Campanella e Orellana, che di lì a poche ore sarebbero stati espulsi con un voto sul blog.
Santangelo spiega che “si tratta di una bozza presentata preliminarmente agli uffici, l’unico atto pubblicato è l’ultimo, si dovrebbe andare a prendere il resoconto stenografico della seduta di quel giorno. Le precedenti due versioni rientrano nella dinamica interna degli uffici”.
Poi si trincera dietro un ‘così fan tutti’: “Questa modalità di presentazione, che è interna al Senato, avviene con costante frequenza. Se dovessimo andare a riprendere tutti gli atti presentati da tutte le forze politiche vedremmo che è una cosa normale”.
Sull’atto, che reca come intestazione un secco: “Mozione di sfiducia individuale nei confronti del ministro ecc.”, non compaiono tracce del fatto che si tratti effettivamente di una bozza e non di un documento definitivo.
Tant’è che, oltre ad apportare le opportune modifiche di forma, gli uffici del Senato annotano manualmente un numero di protocollo alla mozione (1-00220) che corrisponde a quello del testo pubblicato sul sito di Palazzo Madama.
Un dettaglio importante. Spiegano fonti del Senato: “Solitamente i testi preparatori non vengono protocollati. Quando si protocolla un atto preparatorio, il numero che poi risulta su quello definitivo è differente, perchè si tratta di due atti diversi. Rimane lo stesso quando si tratta di versioni che sostituiscono quella iniziale”.
Ore12.14 (circa), Pietro Grasso a Santangelo: “Mi avvertono gli uffici che è arrivata in questo momento una mail
L’ipotesi della bozza, oltre che nel testo stesso dell’atto, incontra altri elementi a suo sfavore.
Il primo è riscontrabile nel verbale dell’Aula del 26 febbraio.
Proprio intorno alle 12.15 – orario di invio del fax – Santangelo prende la parola, e chiede a Pietro Grasso di inserire nel calendario il voto di sfiducia nei confronti dei due ministri.
Il presidente gli fa presente che formalmente non risulta pervenuto ancora nessun testo. E Santangelo risponde: “Poco fa nel corso della Conferenza dei Capigruppo le ho preannunciato la presentazione delle mozioni, che probabilmente in questo istante gli uffici possono già registrare”.
Che si tratti proprio di un atto formale, sembra confermarlo lo stesso capogruppo, quando, qualche istante dopo, spiega ancora di procedere al voto “alla ripresa dei lavori nel pomeriggio: non cambierebbe nulla farlo adesso o farlo alle ore 16.00”.
Ma se l’ultimo testo, quello definitivo, è stato trasmesso alle ore 18.43, e se quello delle 12.15 era solamente una bozza, come sarebbe stato possibile procedere al voto già tra le 12.15 e le 16.00? E che cosa avrebbero dovuto “registrare” gli uffici?
Un semplice lavorio tecnico tra funzionari sarebbe arrivato all’attenzione del presidente del Senato?
Già , perchè Grasso risponde ancora volta al capogruppo M5s: (siamo a poco prima delle 12.19, quando la seduta viene dichiarata sospesa, n.d.r.) “Mi avvertono gli uffici che è arrivata in questo momento una e-mail su questo punto (per quello che può valere). Voteremo anche la proposta riguardante la calendarizzazione delle mozioni di sfiducia nei confronti dei ministri Guidi e Poletti”.
Abbiamo cercato nuovamente Santangelo, che ci ha spiegato: “Non avevo contezza di quando gli uffici avrebbero inviato il testo, per cui intanto lo ho preannunciato, una mossa politica, come si fa in questi casi”.
La mail di Santangelo ai senatori M5s
Anche in questo caso qualcosa non torna. Perchè alle 12.10, vale a dire qualche attimo prima dello scambio di battute nell’emiciclo, dalla casella personale del capogruppo M5s partiva un messaggio indirizzato a tutti i senatori grillini, di cui l’Huffingtonpost è venuto in possesso.
Che recitava testualmente: “Ciao a tutti, come già preannunciato nella dichiarazione di voto nel giorno della fiducia al Governo Renzi, vi informo che oggi sono state depositate le mozioni di sfiducia individuale nei confronti dei ministri Poletti e Guidi”.
In allegato i due documenti, il cui testo corrisponde a quello faxato (al netto delle correzioni a penna apportate dagli uffici) con una sola differenza.
Nel testo inviato da Santangelo ai senatori risultano i nomi stampati in calce, ma non le firme, che verranno apposte da un’unica persona nel documento trasmesso all’Ufficio di sindacato ispettivo.
Ricapitolando: alle 12.10 i senatori M5s vengono “informati” di un testo che, spiega il capogruppo, “è stato depositato”.
Testo che verrà inviato 5 minuti dopo corredato da una serie di firme false.
Denunciamo Santangelo?
Tant’è che qualche senatore arriva a preparare una bozza di denuncia all’attenzione del magistrato Giuseppe Pignatone (bozza fino a oggi rimasta tale e mai utilizzata), nella quale, partendo proprio dal testo della mail di Santangelo, spiega: “Tengo a precisare che, qualche ora dopo la comunicazione, lo stesso capogruppo provvedeva a disporre il ritiro delle mozioni, per ridepositarle poco dopo sottoscritte soltanto da alcuni senatori che avevano condiviso il contenuto dei documenti ed erano formalmente d’accordo al deposito presso l’Ufficio atti di sindacato ispettivo”.
Diversa la versione di Santangelo, contenuta nella risposta all’Espresso: “Le due mozioni sono state annunciate in un primo momento via email, perchè fossero condivise tra tutti i portavoce, mentre solo al momento del deposito effettivo, avvenuto alle 18.30 dopo le correzioni suggerite dal gruppo, sono state apposte le firme di chi le ha sottoscritte”.
Una condivisione avvenuta con un “vi informo che sono state depositate”, e che ha preceduto solo di qualche minuto l’invio per primo fax.
La seconda versione: ore 14.16, firme false di nove senatori M5s
Intorno alle 13.30 Giarrusso reagisce duramente su Facebook. Alle 14.16, all’Ufficio atti di sindacato ispettivo arriva una seconda versione delle mozione di sfiducia.
Il testo è lo stesso, ma in coda risultano solamente nove firme (false anche questa volta). Sono quelle dei senatori Mangili, Bertorotta, Castaldi, Marton, Crimi, Taverna, Martelli, Moronese. Sulla versione delle 12.15 i funzionari sottolineano più volte il nome di Giarrusso, e viene appuntato: “Per ora solo nove firme, vedi oltre per esse e per le altre”.
Spiega un loro collega, che ha chiesto di rimanere nell’anonimato: “È successo che hanno voluto mettere una toppa all’errore appena hanno visto quel che scriveva Giarrusso, e hanno inviato di nuovo la mozione con i nomi solo di quelli che erano stati avvisati dal capogruppo e avevano dato il via libera, e hanno iniziato poi a contattare tutti per apporre firme vere. I nostri funzionari avevano consigliato Santangelo di non spedire quella prima versione, ma lui è andato avanti per la sua strada”.
Santangelo definisce anche la seconda una bozza, un atto preparatorio: “L’unico atto che ha una valenza giuridica è l’ultimo”.
Dalla semplice lettura dei documenti emerge tuttavia un interrogativo: se di bozze si trattava effettivamente, perchè inviarne una seconda con il medesimo testo, e con la sola correzione del numero di firme?
C’è poi un errore. La seconda versione sostituisce sì la precedente, ma le nove firme in calce non sono sufficienti per la presentazione di una mozione di sfiducia individuale: ne occorrono almeno dieci.
La terza e ultima versione: firme autentiche di 35 senatori M5s
Così si spiega il perchè il 26 febbraio l’aula non ha proceduto al voto sulla richiesta di calendarizzazione.
La versione definitiva (che reca 35 nominativi, corredata questa volta da firme autentiche) viene inviata via fax solo alle 18.43, quando la seduta era stata tolta già da una ventina di minuti.
Una versione, la terza, uguale in tutto e per tutto alle precedenti, che è stata depositata agli atti. Il numero di protocollo? 1-00220, quello della stesura delle 12.15.
Come già accennato, Santangelo spiegava sul blog che “il deposito effettivo è avvenuto alle 18.30 dopo le correzioni suggerite dal gruppo”.
Ma l’unica modifica che risulta negli atti sono gli autografi in originale dei senatori stellati.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Grillo | Commenta »