Aprile 5th, 2014 Riccardo Fucile
INCOMBE LA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA SU COME IL CONDANNATO DOVRà€ SCONTARE LA PENA.. SERVIZI SOCIALI O FORZATO A CASA?
Un anno dopo il ricovero per l’uveite, nel pieno dei processi Ruby e Mediaset, Silvio Berlusconi è tornato all’ospedale San Raffaele da condannato definitivo per Mediaset. E come l’anno scorso si trova al livello più lussuoso, il “Diamante”, al sesto piano.
Il leader di Forza Italia è lì da giovedì sera per l’infiammazione alla cartilagine del ginocchio sinistro e per una artrosi dovuta all’età .
Potrebbe essere dimesso in giornata, se lo riterranno opportuno il suo medico di fiducia e ospite delle serate di Arcore, Alberto Zangrillo, e l’ortopedico Pietro Randelli del policlinico di San Donato, che lo sta seguendo, come aveva già fatto in passato.
La prima conseguenza c’è già : è stata annullata un’iniziativa prevista a Torino lunedì prossimo. Anche da ricoverato, comunque, fa e riceve le sue telefonate politiche.
Ieri ha chiamato i nuovi vertici del partito in Sicilia e ha scherzato sulla sua salute: “Visto che sono giovane, in questi ultimi mesi ho abusato del mio fisico e lavorando dalle 7 del mattino fino alle 3 di notte, questo è il risultato…”.
Ha pure attribuito agli antidolorifici il suo tono dimesso.
Accanto a lui l’immancabile compagna convivente Francesca Pascale. Sulla sua presenza imperante qualcuno ieri nel palazzo di giustizia ha fatto una battuta: “Berlusconi si è fatto ricoverare per provare a evitare gli arresti domiciliari, ha paura di dover stare giorno e notte con la Pascale”.
Battute a parte, è il consigliere politico Giovanni Toti a respingere sdegnato l’ipotesi avanzata da alcuni giornalisti davanti all’ospedale: non è che il ricovero è un escamotage per far slittare l’udienza del 10 aprile quando il tribunale di sorveglianza dovrà decidere sui servizi sociali?
“Lo escludo categoricamente — ha risposto Toti — semmai penalizza noi per la campagna elettorale”.
Poi, ci tiene a tranquillizzare sulle condizioni del Cavaliere: “Ha un ginocchio che gli fa male ma non è nulla di grave. È sereno e tranquillo, abbiamo parlato del programma per le Europee e dei fronti aperti”. Al San Raffaele sono arrivati anche i figli maggiori di Berlusconi, Marina e Pier Silvio, che davanti alle telecamere dicono di aver visto il padre “benissimo”.
Nessuna traccia di Barbara, invece, possibile candidata alle elezioni europee. Nel colorato e magico mondo berlusconiano c’è però chi maligna un ricovero “diplomatico” in vista del 10 aprile.
Ovviamente la questione è messa in termini difensivi per l’ex Cavaliere: “Berlusconi sta somatizzando questa attesa in maniera drammatica. È normale, comprensibile per un uomo di quasi 80 anni che si ritiene completamente innocente. La botta al ginocchio è arrivata, guarda caso, dopo l’incontro con Napolitano, andato malissimo”
Mancano del resto appena cinque giorno al fatidico giorno del tribunale di sorveglianza e B. non regge lo stress. È la ripetizione dei film già visti con la condanna dell’agosto scorso e la successiva decadenza.
Rabbia, umore nero, voglia di ribaltare tutto. E, già come con la Cassazione, impossibile fare previsioni in un senso o nell’altro.
La Grande Attesa cominciata in un letto del San Raffaele è la metafora perfetta del berlusconismo malato sul viale del tramonto e dell’isolamento.
Al solito, i suoi sono spaccati in mille clan. Adesso, la nota prevalente è che i falchi rinnegati, cioè quelli che spinsero B. alla rottura con il governo Letta, siano diventati moderati filorenziani.
Denis Verdini, infatti, propugna la tesi del rispetto del patto con Renzi, pur tra correzioni e nuove priorità . A spingere invece per un nuovo big bang sono i due capigruppo parlamentari, Brunetta e Romani.
Ha scritto il primo ieri sul Mattinale destinato a deputati e senatori azzurri e visibile a tutti on line: “Basta così. Ultima chiamata. O cambia rotta, o addio”.
Gli azzurri, per esempio, chiedono prima l’Italicum e poi la riforma del Senato.
Ma è fin troppo chiaro che tutto dipenderà dal destino di Berlusconi. Domiciliari o servizi sociali.
E da quando, poi? Il tormentone non si risolverà se non con la decisione dei magistrati milanesi di sorveglianza.
Tutto il resto è fuffa, ormai.
Fabrizio d’Esposito e Antonella Mascali
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 5th, 2014 Riccardo Fucile
COSE CHE SUCCEDONO IN ITALIA
Lo Stato italiano non attraversa un periodo di particolare popolarità , almeno tra gli italiani. 
Se in Veneto tentano di buttarlo giù con un trattore travestito, in Campania è lui che cerca disperatamente di farsi notare, servendosi persino di un’autobotte.
Succede a Casal di Principe, area di infiltrazioni tossiche nel terreno e camorristiche nel consiglio comunale.
Quest’ultimo è stato sciolto a fine febbraio e sostituito da una commissione prefettizia.
Ma si sa come sono i commissari prefettizi: dei patrioti inguaribili.
Appreso che l’intera periferia dell’abitato si dissetava da pozzi inquinati, hanno spedito in perlustrazione un avamposto della presenza statale: un’autobotte gonfia di acqua potabile.
Si immaginavano, gli illusi, che la popolazione sarebbe accorsa in massa intorno al totem unitario per attingere la sostanza vitale in un turbinio di bacinelle, damigiane e secchi colorati.
Qual è stata la loro sorpresa alla scoperta che invece non si avvicinava nessuno.
Non gli anziani, abitudinari o fatalisti. E nemmeno i giovani, altrettanto diffidenti ma sicuramente più dinamici, al punto da avere risolto da tempo il problema della sete con un dedalo di allacci abusivi alla rete idrica.
Così ogni tre giorni l’autobotte repubblicana — respinta come un corpo estraneo, anzi straniero — tornava mestamente nelle retrovie per scaricare il suo contenuto prezioso dentro le fogne.
Allo Stato non è rimasto che arrendersi, sospendendo un servizio costoso e soprattutto vano
In questa storia ci sono così tante metafore del nostro Paese che corro a ubriacarmi alla prima autobotte.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Aprile 5th, 2014 Riccardo Fucile
AUTORITA’ MORALE E PRESTIGIO INTELLETTUALE
Prende quota su Il Giornale il contrappello dei tre “intellettuali liberali” Bedeschi, Berti e Cofrancesco contro il documento di Libertà e Giustizia che segnala i pericoli di “svolta autoritaria” insiti nella combinazione Italicum-Senato delle Autonomie.
Alle autorevoli adesioni dei craxiani Ostellino e Pellicani, se ne sono presto aggiunte altre 46, fra cui quella del craxiano Luigi Covatta e, per fare buon peso, quella del craxiano Giuliano Ferrara.
Per ricostituire l’indimenticabile Assemblea Socialista (quella dei “nani e ballerine”, Rino Formica dixit) mancano soltanto Sandra Milo e il geometra Filippo Panseca (quello della piramide simil-egizia in onore del faraone Bettino I).
Questi noti frequentatori di se stessi, oltre alla bizzarria di essere socialisti e di definirsi “liberali”, non possono proprio tollerare che esistano intellettuali non organici al potere, non appecoronati ai piedi del governo di turno.
E questo, viste le loro biografie, è comprensibile.
Ma poi contestano a Zagrebelsky, Rodotà , Pace, Carlassare & C. anche “l’autorità morale e il prestigio intellettuale” per criticare le riforme targate Renzusconi.
Tralasciamo, per carità di patria, il concetto di “prestigio intellettuale”, che in bocca a un Ostellino e a un Ferrara diventa un ossimoro. E concentriamoci sull’“autorità morale”.
Quella di Ferrara è nota da quando confessò, vantandosene si capisce, di aver fatto la spia per la Cia, a pagamento in contanti si capisce, per poi elogiare e difendere i peggiori lestofanti d’Italia: da Craxi ad Andreotti, da Contrada a Dell’Utri, da B. a Previti.
Ma, tra i 51 firmaioli contrappellanti, c’è addirittura chi lo batte: Pier Franco Quaglieni, fondatore e presidente del Centro Pannunzio di Torino.
Qualcuno dirà : e chi è costui? È quel che domanderebbe anche Mario Pannunzio, se fosse vivo. Nei primi anni 90, Indro Montanelli vinse il premio Pannunzio e lo accompagnai a ritirarlo. Durante la cerimonia, un trombone con barba e mustacchi risorgimentali concionò e tromboneggiò per ore, proclamandosi erede unico e universale del fondatore del Mondo. Montanelli, che di Pannunzio (quello vero) era amico e del suo giornale era collaboratore, lo ascoltò con crescente impazienza, poi mi sussurrò all’orecchio: “Ma chi è quel bischero? Io frequentavo Mario e il suo Mondo, ma non l’ho mai visto nè sentito nominare”. Era Quaglieni. Dieci anni dopo, una giovanissima magistrata torinese denunciò per molestie un vecchio sporcaccione che la tempestava di telefonate sconce a ogni ora del giorno e della notte, spacciandosi per un tale “dottor Des Ambrois”.
Gl’investigatori le misero il telefono sotto controllo e smascherarono il molestatore: era Quaglieni. Le sue erano ovviamente molestie tipicamente liberali, nel solco della tradizione crocian-einaudiana.
Per meglio camuffarsi, il volpino usava astutamente come pseudonimo il nome della via d’angolo della sede il Centro Pannunzio (via Des Ambrois). Al processo che ne seguì a Milano, il presidente del “Pannunzio” dovette penosamente ammettere ciò che non poteva negare, visto che la voce immortalata nelle intercettazioni era la sua e il telefono da cui partivano le sconcezze era quello di casa sua.
Seguirono le sue imbarazzate e imbarazzanti scuse alla vittima, anche per strappare ai magistrati una modesta oblazione in pena pecuniaria.
In un paese normale, uno così sarebbe scomparso dalla circolazione. Invece il Quaglieni seguitò a impartire lezioni di liberalismo a destra e a sinistra. Soprattutto a sinistra, visto che il Centro Pannunzio s’è trasformato in una succursale di Forza Italia, frequentata da pensatori tocquevilleani del calibro di Daniele Capezzone, e l’erede dell’incolpevole e ignaro Pannunzio si batte impavido contro “l’egemonia culturale della sinistra” (infatti nel 1976, quando il vento della politica tirava a sinistra, si era prontamente candidato nelle liste del Pci, come si conviene a ogni intellettuale controcorrente).
Ora, da quel popo’ di cattedra, fa la morale a Zagrebelsky e a Rodotà . Molestamente.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Politica | Commenta »