Maggio 5th, 2014 Riccardo Fucile AVRANNO UN IMPATTO MINIMO SUL PIL 2014…E L’ITALIA CRESCERA’ MENO DI QUANTO STIMA IL GOVERNO
Non basta l’antipasto per porre freno alla fame di consumi e rilanciare l’economia italiana.
È giorno di numeri per l’Italia, è la volta delle stime dell’Istat sul biennio 2014-2015 e delle previsioni di primavera della Commissione europea.
Numeri che prevedono che l’Italia tornerà a crescere, ma a ritmo lento, più lento rispetto alle previsioni del Governo.
Numeri che fotografano nel debito pubblico e della disoccupazione i principali fattori di rischio, più dell’inflazione che viaggia comunque su livelli troppo bassi.
Una delle novità maggiormente positive dello scenario italiano è proprio il segno più davanti ai consumi.
Nel 2014, secondo le stime dell’Istat, la spesa per consumi delle famiglie italiane tornerà a crescere per la prima volta dopo tre anni consecutivi di flessione, facendo segnare un +0,2%.
Un trend su cui avrà un “effetto minimale” la misura principale del Governo Renzi: gli 80 euro mensili in busta paga per i redditi più deboli.
Il reddito disponibile è previsto crescere in misura superiore all’inflazione al consumo e il potere d’acquisto delle famiglie tornerebbe a migliorare per la prima volta dal 2007. L’impatto degli 80 euro viene maggiormente trascurato dalla Commissione europea nelle sue previsioni, che confermano però il ritorno alla crescita dei consumi: il commissario Ue agli affari economici ad interim Siim Kallas parla di “effetto neutrale sulla crescita nel breve periodo”, che potrebbe diventare “positivo nel lungo termine se sarà finanziato razionalizzando e migliorando l’efficienza della spesa”.
D’altro canto era stato il Governo stesso nel Def a segnalare che la riduzione del cuneo fiscale — che costerà circa 6,6 miliardi di euro — sosterrà il Pil di uno 0,1%, per poi spingerlo dello 0,3% nel 2005, dello 0,4% nel 2016 e dello 0,6% nel 2017 e 2018.
Queste valutazioni alimentano ulteriormente l’accesissimo dibattito attorno agli 80 euro, difesi strenuamente da Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan dinanzi alle perplessità tecniche sulle coperture finanziarie del provvedimento — da ultime quelle dei tecnici del Senato — e alle accuse politiche sulla natura elettoralistica dell’intervento — lungo l’elenco, che vede in prima fila Beppe Grillo e ultimo in ordine di tempo Carlo De Benedetti.
Nuovamente oggi il presidente del Consiglio si affretta a definire gli 80 euro “solo un antipasto”.
La scommessa ora è anche con Istat e Commissione Ue, che invece concordano nel porre l’asticella della crescita sotto il segno posto da Renzi e Padoan.
Per l’Istituto di Statistica e per Bruxelles nel 2014 l’Italia crescerà dello 0,6%, mentre il Governo si spinge fino al +0,8%; nel 2015 l’Istat stima un rialzo dell’1%, mentre la Commissione Ue si spinge fino al +1,2%, ma sempre sotto il +1,3% previsto dal Governo italiano.
(da “Huffington Post“)
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Maggio 5th, 2014 Riccardo Fucile DOVEVANO ESSERE IL SIMBOLO USATO DA RENZI PER DIMOSTRARE CHE SI TAGLIANO LE AUTO BLU
Blindate e di lusso, le Maserati volute dal 2011 dall’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa su
eBay proprio non si vendono.
Per le nove auto messe all’asta dal governo il 28 aprile non è arrivata ancora nessuna offerta.
“Venghino signori venghino. Volete comprare l’auto che ha utilizzato La Russa? Perchè no?!”. Scherzava così il premier Matteo Renzi, il 12 marzo scorso alla conferenza stampa di presentazione dell’asta online delle auto blu.
Lo slogan del presidente del Consiglio però non ha funzionato proprio con quelle vetture, parte di un parco di 19 mezzi, che il ministero acquistò nel 2011 al costo di 117 mila euro l’una. Un’operazione che scatenò varie polemiche e fu alla base di un’interrogazione parlamentare da parte dell’allora deputato Pd Emanuele Fiano al quale Ignazio La Russa rispose: “Le Maserati acquistate costano meno e sono italiane, rispetto alle Audi che c’erano prima”.
A scoraggiare i possibili acquirenti potrebbe essere il prezzo di partenza delle aste, la cui media tocca quasi i 60mila euro. Una cifra decisamente più alta rispetto a quella delle prime 52 auto blu vendute dal governo (che hanno fruttato nel complesso più di 370mila euro), che si aggirava intorno ai 4 mila euro.
La base d’asta della più economica delle vetture messe in vendita questa volta è di 23 mila euro. Si tratta di una Maserati immatricolata nel 2005 con poco più di 71mila chilometri.
Ed è l’unica autovettura non blindata di questa tranche.
Le due berline più costose hanno invece una base minima di oltre 96 mila euro e risalgono al 2011. Sono entrambe nere metallizzate, con gli interni in pelle, la blindatura e pochissimi chilometri: 5.820 e 6.727.
In tutto sono 151 le auto di cui Palazzo Chigi ha annunciato la vendita su eBay nel corso dell’anno.
Una decisione definita un’operazione di facciata, a fine marzo, a seguito di uno scoop de ilfattoquotidiano.it: che rivelò che sono in corso convenzioni Consip per oltre 70 milioni di euro da cui ancora le amministrazioni possono attingere.
E da poco tempo si è chiusa l’ultima gara per 210 vetture blindate, dal valore di 25 milioni di euro.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 5th, 2014 Riccardo Fucile SANTORO PARLA DI “LEGITTIMA DIFESA”, VAURO DI “ALTO LIVELLO DI FANATISMO”
“Mi auguro che Grillo smetta di usare toni illiberali. Se non smetterà di parlare a vanvera, ci batteremo nelle piazze per la libera informazione. Sarà un’operazione di legittima difesa“.
“La guerra a distanza tra Michele Santoro e Beppe Grillo si arricchisce di una nuova puntata. Presentando ‘Announo’ — la prosecuzione di ‘Servizio Pubblico’ ma presentato fino a fine stagione da Giulia Innocenzi — il conduttore riprende il filo della polemica abbandonato, apparentemente, solo tre giorni fa.
Quel due maggio quando sul blog del fondatore del Movimento 5 stelle era comparso il nome di Michele Santoro come “giornalista del giorno”, come protagonista, cioè, della rubrica in cui lo stesso comico genovese chiedeva agli attivisti di segnalare gli articoli ostili al M5S: un’iniziativa, quella di Grillo, che aveva suscitato sin da subito aspre critiche già a partire dal primo giornalista “segnalato”, il 16 dicembre 2013, cioè Maria Novella Oppo, cronista dell’Unità .
Ma perchè Santoro era finito nel mirino del blog di Grillo?
Tra gli ospiti della trasmissione andata in onda il primo maggio, aveva preso la parola Mirko Lami, operaio della Lucchini di Piombino che aveva fortemente criticato il leader M5S.
“Quello incazzato sono io e non Grillo che è già stato smentito riguardo ai soldi che intente sbloccare in Europa — aveva detto Lami — Quando si dice che l’altoforno di Piombino produce debiti, non è vero. Voglio chiudere l’altoforno e noi siamo incazzati”. Nel post il giorno seguente, si ricordava che l’operaio era stato candidato con il Pd nel 2008 per il Senato in Toscana.
“Vorrei una semplice risposta dall’operaio della Lucchini (candidato Pd in Toscana???) — si leggeva nel testo a firma di Paola L. di Verona — Perchè tutto questo accanimento contro Grillo?
Da parte di Santoro non era arrivata a Grillo alcuna risposta ufficiale.
A replicare, il giorno seguente, era stato Vauro ospite alla trasmissione di La7 ‘L’aria che tira’. “Nel Movimento 5 Stelle sento una gran puzza di fascismo – aveva detto il vignettista riferendosi all’espressione usata da Grillo – ‘peste rossa’ — in campagna elettorale davanti alla acciaieria Lucchini di Piombino.
“Non mi stupisce quello che ha scritto Grillo su Santoro nel suo blog. Lui è abituato a fare le liste di proscrizione, rientra nella sua cultura — aveva proseguito Vauro definendo “molto alto il livello di fanatismo degli adepti alla setta del guru Grillo”.
Il vignettista aveva poi nuovamente accostato al Movimento 5 stelle la parola “fascismo”: “Grillo teorizza l’era post-ideologica, cioè il superamento di destra e sinistra, però, se si studiasse un po’ la storia di questo Paese, vedrebbe che è stata la teoria che ha dato origine al fascismo storico in questo Paese”
Non è la prima volta che Vauro taccia di “fascismo” il Movimento cinque stelle.
Già dopo il V-day del primo dicembre scorso, quando Grillo dal palco di Genova aveva gridato un “vincere e vinceremo” di mussoliniana memoria, Vauro aveva scritto una lettera aperta al Premio Nobel per la letteratura Dario Fo, anche lui presente quel giorno accanto al leader pentastellato intitolata “caro Dario scendi da quel palco”: “Condivido rabbia e sdegno, ma non posso condividere parole macabre e di macabra memoria — scriveva Vauro a Fo — Tu credo mi possa comprendere perchè sai meglio di me quanto le parole siano anche contenuto. Allora scusami Dario per quello che ti chiedo. Ti chiedo di scendere da quel palco. Compagno Dario. Scendi per favore”.
Parole a cui l’artista aveva risposto sia dalle pagine de L’Unità durante la riunione di redazione in diretta streaming del fattoquotidiano.it: “Caro Vauro, io, ti giuro, non ho nessun risentimento nei tuoi riguardi e quando ti vedrò per esempio, sul palco di Servizio Pubblico , contornato da personaggi da contrappunto orrendo, mi guarderò bene dal gridarti: “Che ci fai lassù? Scendi, ti prego, compagno!”. Ma al contrario ti dirò: “Usa bene le tue battute, raccontaci storie divertenti e piene di ironia”, chè questo è il nostro mestiere di pagliacci“.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 5th, 2014 Riccardo Fucile C’ERA UNA VOLTA IL MITO DI “ITALIA-GERMANIA, 4 A 3”: OGGI LO SCARTO TRA I DUE PAESI SEMBRA INCOLMABILE… LORO HANNO BENEFICIATO DELL’EURO MA IL PRIMATO SE LO SONO CONQUISTATO. E ORA INCASSANO
Italia-Germania 4 a 3” è più di un simbolo. Oltre l’amore per il gioco del calcio è l’emblema di un
riscatto personale che in quel 1970 coincideva con un futuro di speranze.
L’Italia si è crogiolata a lungo sul senso di quella partita e si è baloccatanell’idea che quel risultato continuasse a segnare i rapporti tra i due paesi.
Che quelle cifre costituissero la giusta ripartizione dei meriti e delle colpe.
L’ultimo ventennio ha rappresentato invece una doccia fredda. La Germania si è confermata quello che è quasi sempre stata, una potenza economica mondiale mentre l’Italia ha perso quota, andando in affanno nel processo di unificazione europea e accumulando un ritardo forse incolmabile. I numeri sono impietosi.
Un paese in pole position
Il paese di Goethe, Bach e Hegel è infatti la prima economia dell’Unione europea con un Pil che rappresenta il 29% di quello dell’Eurozona. Non si tratta solo di 2.700 miliardi prodotti ogni anno da una popolazione di 80 milioni o di una disoccupazione al 6,9%.
La Germania è anche il paese che sfrutta il settore manifatturiero, il 25,5% del Pil in cui occupa il 33% della manodopera europea del settore. È quella del surplus della bilancia commerciale con un attivo di oltre 188 miliardi di euro nel 2012.
Questa realtà continuerà a essere inaggirabile a prescindere dalle sorti dell’euro.
In particolare per l’Italia che ha nella Germania il primo partner commerciale. Nel 2013 l’interscambio bilaterale ha raggiunto circa 101 miliardi di Euro, quasi pari alla somma degli interscambi fra Italia e Francia e fra Italia e Regno Unito insieme.
La Germania è il primo Paese di provenienza di turisti stranieri nel nostro, con la cifra record di 10,2 milioni toccata nel 2012 e un afflusso di 6,4 miliardi.
Con queste premesse appare difficile per il nostro paese liberarsi dall’abbraccio tedesco anche se dovesse affermarsi l’ipotesi di un’uscita dall’euro.
Eppure, la Germania è indicata, e in parte lo è, come la regista delle politiche monetarie che hanno strozzato i paesi dell’area mediterranea a cominciare dalla Grecia.
Ma è davvero così? Chi propugna il ritorno a una moneta nazionale non ha dubbi.
I dati reali dell’economia consentono però qualche cautela.
La Germania, infatti, ha beneficiato più di tutti dalla moneta unica e dall’unificazione monetaria. La possibilità di debellare, tramite l’euro, le svalutazioni competitive di concorrenti-alleati come Francia e Italia, è stata un elemento chiave.
Mentre tutti sono stati costretti a correre al ritmo dei successi dell’euro – cresciuto, sul dollaro, dallo 0,85 del 2001 all’1,59 del 15 luglio 2008 per poi ridiscendere all’odierno 1,36 — la Germania aveva già quell’andatura nelle gambe.
Il paradosso è che non si tratta di un merito della “cattiva” Merkel ma del suo predecessore, Gerhard Schroeder.
Fu lui, al potere tra il 1998 e il 2005, a consentire all’industria tedesca di accumulare vantaggi competitivi a scapito del lavoro.
L’Agenda 2010 ha rappresentato un’abbuffata di riduzione degli oneri sociali per le imprese, facilitazioni nei licenziamenti, sviluppo dei lavori precari, stretta sulle pensioni che hanno abbattuto i costi della produzione.
La “cura Schroeder” ha distrutto la Spd, che da allora non si è più ripresa, ma ha consentito ad Angela Merkel di presentarsi come leader in grado, addirittura, di mitigare le misure di austerità del cancelliere socialdemocratico e di vincere tre elezioni di fila.
Di quella stagione si ricorderanno in particolare i “mini-job” nati in seguito alle “leggi Hartz” che hanno coinvolto circa 5 milioni di lavoratori a 400 euro al mese.
Roba da far invidia a mezza Europa.
I meriti di Angela e quelli di Gerhard
La Germania di Angela Merkel ha approfittato di questa eredità e poi dell’opportunità offerta dalla moneta unica.
Le politiche di dosaggio dell’inflazione imposte alla Bce sono servite a tenere alta la quotazione dell’euro, a legare le mani agli alleati europei e a gestire al meglio il principale vantaggio competitivo tedesco ereditato dal crollo del muro di Berlino: lo sfondamento a est.
Qui, le fortune della Germania iniziano a separarsi dalle disgrazie degli altri paesi europei.
Un sistema industriale, quello orientale, dell’ordine di circa 600 miliardi di euro fu inglobato per l’87% da imprese della Germania occidentale e grazie a questa “annessione” — per utilizzare il termine dell’economista Vladimiro Giacchè, autore del libro Anchluss — il paese è dilagato verso l’intera Europa orientale con il suo mercato e, soprattutto, la sua forza lavoro a basso costo.
Si è così costituita un’area di influenza formata da un indotto a basso costo e da un mercato di sbocco.
Se gli investimenti esteri della Germania nel 1995 si indirizzavano per 19 miliardi in Francia, 7,3 miliardi nell’Europa orientale e 1,1 miliardi in Cina, nel 2012 questa proporzione cambia significativamente: cresce la Francia a 63 miliardi ma l’Europa orientale schizza a 83 e la Cina si amplia fino a 30 miliardi.
Ecco che emerge la seconda caratteristica tedesca e ne spiega il successo, l’internazionalizzazione.
La specializzazione in beni strumentali e in vetture di alta gamma consente alla Germania di beneficiare al meglio del boom dei paesi emergenti degli anni 2000. L’export sale dal 23,7% in relazione al Pil del 1995 al 51,9 del 2012, quello extra Ue sale dall’8,5 al 18%.
La Germania e il mondo
Il commercio con l’estero avviene al 57% nell’Unione europea, l’11,9% con i paesi europei extra-Ue, tra cui Russia e Turchia, il 16,3% con l’Asia e l’11,7% con l’America.
Accanto all’occidente si apre il mercato asiatico come dimostrano i risultati eccezionali della Volkswagen in Cina.
La Germania, quindi, ha certamente beneficiato del mercato unico e dell’unione monetaria ma le politiche della Ue sono state concertate da tutti i governi e l’intreccio delle economie dei principali paesi europei aiuta a capirne le ragioni.
Non è detto però che le cose non possano cambiare.
La Germania è un paese che sta invecchiando, alcune previsioni indicano per il 2060 nel 33% la quota di anziani sopra i 65 anni di età con una popolazione che potrebbe scendere dagli 80 milioni ai 67.
Nel dibattito tedesco è forte l’allarme di trovarsi con una quota di anziani fortemente impoveriti nei prossimi decenni.
Lo stesso boom dei paesi emergenti si sta riducendo e paesi come Cina o Turchia inizieranno ben presto a costruire da sè i beni strumentali che oggi acquistano a Berlino. In questo cambiamento, anche il rapporto con l’Italia potrebbe mutare.
Ma servirebbe un paese che recuperasse i venti anni persi sul fronte della modernizzazione.
Fino ad allora, nel confronto con i tedeschi, non ci resta che ricordare la mitica “Italia-Germania, 4 a 3”.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 5th, 2014 Riccardo Fucile “SONO LO SPECCHIO DI UNA SOCIETA’ MALEDUCATA”
“Il bullismo politico a cui stiamo assistendo è destinato a crescere ed è lo specchio perfetto della società italiana che è diventata maleducata”.
È questa l’opinione del politologo Gianfranco Pasquino, rilasciata all’HuffPost, a proposito dello scambio di insulti che stanno accendendo la corsa alle elezioni europee e amministrative del 25 maggio.
E in prima fila nello scambiarsi parole al vetriolo l’uno contro l’altro ci sono proprio i leader dei principali partiti italiani: Matteo Renzi, Beppe Grillo e Silvio Berlusconi.
Ormai non passa giorno in cui i “temi” usati nella campagna elettorale non siano accuse personali, offese, attacchi che esulano completamente dai contenuti dei programmi.
“Non illudiamoci – dice Pasquino -: questa situazione non cesserà . I toni accesi ormai sono diventati sistematici, anche se per motivi diversi. Da una parte abbiamo Beppe Grillo che si gioca tantissimo in questa tornata elettorale e deve diventare a tutti i costi il secondo partito”.
Dall’altra parte invece c’è Berlusconi, che proprio domenica scorsa ha paragonato il leader M5s a Robespierre “a chi promette – ha affermato l’ex premier – la Gerusalemme celeste portata in terra e poi quando arriva non fa niente e sottopone la popolazione ad un bagno di sangue”. “Berlusconi – spiega il politologo piemontese -, a differenza di Grillo, è in difficoltà e per rimettersi in pista e guadagnare i voti persi deve conquistare le prime pagine dei giornali e quindi alza i toni. E non si preoccuperà affatto di continuare su questa strada”.
Anche il premier Renzi non risparmia attacchi frontali ai suoi principali competitor, da ultimo bollando Grillo come sciacallo. Che ha contraccambiato paragonando il primo ministro a Genny ‘a carogna, il capo ultrà del Napoli al centro delle cronache dopo la finale di Coppa Italia. “Anche Renzi – dice Pasquino – non è esente da questo linguaggio. Le parole che usa non sono sempre fini: pensiamo alla parola ‘rottamazione’ scelta come uno dei suo primi slogan e ultimamente al ‘professoroni’ per attaccare i docenti che l’hanno criticato per le riforme. Attenzione: così si insultano le competenze e le persone che hanno studiato”.
“Purtroppo – aggiunge Pasquino – sarà molto difficile cambiare questo trend. Ormai siamo arrivati al punto in cui i politici non pensano più alle parole che utilizzano, ma si chiedono solo cosa sia utile per il proprio consenso elettorale. E così non si preoccupano di amplificare ogni giorno lo scontro e le volgarità che hanno ormai invaso il nostro Paese”.
Un clima talmente aspro che anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha affermato di essersi sentito aggredito nell’ultimo anno e ha aggiunto che l’Italia ha bisogno “di un clima nuovo per pacatezza, rispetto reciproco, impegno e rigore nello sciogliere i nodi reali dello Stato democratico”.
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 5th, 2014 Riccardo Fucile NEI SOTTERRANEI DELL’OLIMPICO L’OK ALLA PARTITA DECISO DA AZZURRI E VIOLA
C’è stato un punto di svolta nella notte degli spari sul calcio. 
Sono le 21 e 15, dieci agenti della Digos sfilano dentro la pancia dello stadio Olimpico fino all’area ospitalità nascondendo due ultrà della Fiorentina: il passo è veloce, l’atmosfera tesa, molto tesa perchè la finale di Coppa Italia fra il Napoli e il club della famiglia Della Valle è appesa a un filo.
Chi devono incontrare i capi del popolo viola?
Ad aspettarli c’è «Gennaro ‘a carogna», pochi minuti prima seduto sulla balconata che divide la curva napoletana dal prato dello stadio.
«Noi non tifiamo. E voi?», la domanda agli avversari fiorentini.
«Anche noi resteremo in silenzio», la risposta di chi guida la curva della Fiorentina.
La trattativa è veloce. Pochi i protagonisti, ma decisi.
Il capo-ultrà partenopeo aveva chiesto e ottenuto il colloquio con il capitano Marek Hamsik e ora il secondo tempo della partita più surreale del nostro calcio deve tradursi in un faccia a faccia fra capi popolo.
La Digos ascolta, lo Stato è presente. «Gennaro ‘a carogna» detta la sua agenda.
Come sta il tifoso ferito? È sotto i ferri o c’è dell’altro? E voi viola rispetterete il silenzio?
Tre interrogativi, tre risposte che vanno nella direzione cercata dalla curva partenopea.
E la sfida può cominciare.
Dentro i settori del tifo più acceso, però, qualcosa non torna. Non tutti sono d’accordo nel tapparsi la bocca una volta che il pallone prenderà le sue direzioni in campo.
E allora? «Ci hanno tirato i bomboni per invitarci a stare zitti. Loro in basso, noi più in alto», racconta Pasquale.
Sono quasi ventimila nel settore Nord dello stadio Olimpico. Ventimila e divisi fra oltranzisti e chi vorrebbe gridare forza Napoli e basta.
«Ci chiedevamo cosa sarebbe potuto accadere se ci avessero aperto i cancelli. E se i romanisti si erano radunati là fuori? Lo scontro sarebbe stato inevitabile…», così Ciro, calmo e appassionato tifoso.
Ma, là dentro, nella parte calda della curva, «in molti parlavano di organizzarsi per andare a Catania dove avrebbe giocato la Roma in campionato.
Gli ultras del Napoli e quelli etnei sono gemellati, l’occasione era ghiotta», riprende il filo del discorso Pasquale.
Trattativa breve e riuscita, dunque. A Catania, ieri, non sono arrivati cento tifosi della Roma perchè il treno sbarcato in Sicilia si è presentato vuoto.
«C’era il rischio di agguati passando da Napoli», fa sapere un investigatore.
Passare da Napoli, oggi, per i giallorossi è come una dichiarazione di guerra che merita vendetta per la sorte dell’ultras in lotta con la vita.
«La finale di Coppa Italia all’Olimpico è stato il nostro fiore all’occhiello in questi anni, guardate come è andata Lazio-Roma dell’anno scorso. Ora si rischia di aver rovinato tutto», una voce dal Viminale.
E, l’Olimpico, adesso potrebbe diventare stadio vietato proprio per le finali.
A cominciare da Juventus-Napoli del prossimo agosto per la Supercoppa Italiana.
(da “La Stampa“)
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Maggio 5th, 2014 Riccardo Fucile ASPETTANDO MARINA….
L’ultima volta s’era alzato e se n’era andato.
Stavolta non avrebbe potuto neanche volendo visto che l’intervista di Silvio Berlusconi In mezz’ora di Lucia Annunziata si svolgeva a casa sua, causa i noti problemi di mobilità connessi alla condanna.
L’ultima volta, vale a dire durante la campagna 2013, il fu Cavaliere con le sue sparate occupava il dibattito pubblico e recuperava nei sondaggi: era ancora il Giaguaro da smacchiare. Stavolta, al limite, è il terzo incomodo.
Non è che non ci provi: il repertorio, all’ingrosso, è il solito, l’impegno e la faccia tosta pure. Solo che non sfonda, è passato.
Per metà dell’intervista, per dire, Berlusconi sembra un uomo che affidi il suo lascito ai posteri più che un candidato in cerca di futuro
“È un periodo difficile… Insomma non posso dire che sono allegro, ma sono sicuro che questo sarà un periodo eroico”, spiega.
Buon per lui che l’autostima non gli manca, come pure una certa capacità di rimozione dei fatti. “L’Italia non è un paese governabile e poi in vent’anni ha subìto quattro colpi di Stato”: il primo con Tangentopoli; il secondo quando “Scalfaro convinse Bossi” a far cadere il suo governo nel 1994; il terzo quando Napolitano — in concorso con ignoti — organizzò “la tempesta perfetta” che nel 2011 lo estromise da palazzo Chigi (“mi consigliò di dimettermi”); il quarto non s’è capito, ma probabilmente ha a che fare con la condanna e relativa incandidabilità .
Ora, dice ammiccando a future rivelazioni sul golpe (il terzo), “lascio alla storia chiarire tutti i fatti. Sono convinto che succederà presto e io ne uscirò mondato da ogni accusa: io diventerò un padre della patria”.
In attesa della santificazione, ci resta un uomo che tenta come può di gestire il declino: non più asticella al 20% per Forza Italia, ma “oltre il 25”; Renzi ha “i vecchi vizi della sinistra” e vuole “una patrimoniale da 400 miliardi; “alzeremo le pensioni minime a mille euro” (le ultime due, le dice al telefono con una manifestazione di partito a Bari).
Sulla riforma del Senato un po’ rinnega l’accordo col premier e un po’ no.
“Renzi ha presentato un’ipotesi inaccettabile e io non credo che la presenteranno perchè sarebbe bocciata”: “Il nostro capogruppo al Senato Romani parla con il loro, Zanda, e stanno cercando di trovare un accordo”.
Non solo, pure lui è “in contatto quasi quotidiano” con Roberto Calderoli per “trovare una soluzione ragionevole”.
Il ministro Boschi, che ha firmato la proposta “inaccettabile”, non pare preoccupata: “Facciano pure. Noi aboliremo il Senato quanto prima”.
A parte il teatrino, c’è solo un momento in cui Silvio Berlusconi sembra avere una qualche visione del futuro: è quando, in sostanza, nomina Marina futuro capo di Forza Italia.
“Penso sarebbe un leader perfetto — sostiene — ma spero proprio che non accada. Comunque è una decisione che non riguarda me, ma mia figlia e soprattutto gli elettori”. Se ne parlerà in autunno, in vista delle politiche, perchè “Renzi più di un anno, un anno e mezzo non dura”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 5th, 2014 Riccardo Fucile UN VIDEO SMENTISCE LA DIFESA DEL SINDACO CHE AVEVA NEGATO DI AVER FATTO IL GESTACCIO… MA SE TUTTI EVITASSERO DI RAGIONARE PER TRIBU’?
Il sindaco Piero Fassino ha alzato il dito medio ai tifosi che ieri lo hanno contestato al
Filadelfia durante la giornata di festa in memoria del Grande Torino («Gobbo di m…»).
Quando in serata la notizia del gesto aveva iniziato a circolare, Fassino e il suo staff avevano categoricamente smentito di aver fatto una cosa simile.
Anche in un’intervista a La Stampa, il primo cittadino ha sostenuto: «Ma figuriamoci. Ho fatto una battuta rivolto a chi urlava dicendomi gobbo di m…. Ho detto: “Sarò anche gobbo, ma il gobbo è quel sindaco che ricostruisce lo stadio Filadelfia”».
Invece, oggi, un video diffuso su You Tube dimostra la smentita alla smentita.
Fassino – sotto il palco, bersaglio di cori – ha alzato due volte il dito medio ai granata. A questo punto la tensione e i cori contro il sindaco sino cresciuti.
Nel video – che riproduce anche al rallentatore il gesto – si sente poi una donna, tifosa granata, dire: “Non sono arrivata alla mia età per farmi fare il dito medio dal sindaco”. Altre grida arrivano dallo stadio: “Vergognatevi”, e poi: “Ci sono i bambini….”.
A questo punto il sindaco è stato costretto a lasciare lo stadio.
E ai cori diventati ancora più duri contro il sindaco, Fassino risponde salutando con una mano.
Le immagini riprendono infine la Delta scura che si allontana rapidamente.
(da “La Stampa“)
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Maggio 5th, 2014 Riccardo Fucile “IN INGHILTERRA ORA PARLANO DI “ITALIANI ANIMALI”… “LE AUTORITA’ SANNO BENE CHI SONO: VADANO A PRENDERLI E LIBERINO IL CALCIO”
A un passo dai 60 anni, a Marco Tardelli sono rimaste più domande che risposte: “Ai politici in tribuna vorrei chiedere: ma quando avete visto parlare Hamsik con quel tipo appollaiato sulla curva, non avete pensato di scendere in campo o andar definitivamente fuori dai coglioni? Via dallo stadio, da un posto ormai irrimediabilmente trasformato in arena, in cui si chiedeva il permesso per giocare a un capo ultrà e in cui si fischiava ripetutamente l’inno nazionale?”.
Con la solita chiarezza espositiva, l’uomo che emozionò Pertini a Madrid e vide da testimone oculare la notte dell’Heysel, osserva lo sport di un’esistenza intera morire a poco a poco: “E basta di dire che va tutto bene e che quello che è accaduto l’altra sera non ha nulla a che vedere con il calcio.
La dinamica della sparatoria non è chiara e forse l’episodio è un regolamento di conti, ma è evidente che sono storie che nascono ai margini di un mondo che va completamente riformato. Ci vogliono leggi durissime. Io sono in Inghilterra, a Londra. Qui hanno sconfitto gli hooligans. Ieri sera parlavano degli italiani e ci dicevano ‘animali’. Non riuscivo a dargli torto. Dentro e fuori dall’Olimpico c’erano gli animali. E con gli animali selvatici non si è gentili. Non si tratta. Ci si difende”.
È indignato?
Disgustato. Se mi passa il paragone, in Italia non si è trattato neanche con le Brigate Rosse. Come si possa scendere a patti con i capi della curva mi rimane incomprensibile.
Le autorità negano.
Le autorità sanno perfettamente il tessuto sociale che è alla base di chi orchestra il gioco e detta le regole. Sanno cosa succede nelle curve. Vadano a prenderli. Liberino il calcio.
Come diceva Capello è prigioniero degli ultrà ?
Di un universo in cui il presidente di una delle più importanti società italiane permette al suo capitano, Hamsik, di andare a parlare con un ceffo che ha una maglietta che incita all’assassino di un poliziotto. Ma le sembra possibile? Ma De Laurentiis non ha niente da dire in merito? La verità è che in Italia nessuno fa niente. Non si muove una foglia. La politica prende le distanze, passano due ore e si ricomincia sempre da capo.
In tribuna c’era molta politica.
Mi pare che il Presidente del Senato, Grasso, non abbia detto cose eclatanti nè fatto la scelta giusta. Di fronte a quello scempio avrebbe dovuto andarsene immediatamente e si è mostrato debole. Scrivere che si sarebbe voluto essere altrove su un social network non equivale a lasciare la propria poltrona. Il teatro per marcare le distanze e dare l’esempio c’era. È mancato il coraggio.
Manca sempre?
Sempre. Anni di ragionamenti sulla violenza negli stadi e poi siamo sempre a chiederci come fanno i petardi a superare i controlli. Sabato a Roma c’era un’atmosfera tremenda, un’insopportabile aria di ricatto. Ecco, il pallone è ricattato da persone che hanno interessi economici radicati. Bisogna iniziare a colpire quelli, togliere ai teppisti la base d’approvigionamento, reagire con l’esclusione alla radice. Altrimenti non se ne esce.
Succederà qualcosa?
Mi piacerebbe, ma ne dubito. Lega e Federazione hanno le loro colpe, ma la responsabilità principale è della politica. Ogni domenica, dalle serie minori alla serie A si spendono milioni per controllare l’ordine pubblico. Forse è ora di ripensare al sistema in toto. Stabilire la sanzione e ristabilire il concetto di condanna. Se non è troppo tardi o troppo ingenuo credere possa accadere davvero.
Malcom Pagani
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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