Maggio 14th, 2014 Riccardo Fucile
PERCHE’ “L’UOMO DEL FARE” NON LO TIENE APERTO LUI, DURANTE LA NOTTE DEI MUSEI? PER UNA VOLTA FAREBBE QUALCOSA DAVVERO
I musei italiani aprono per una notte e il più importante di tutti, il più visitato (5 milioni e 400mila persone
l’anno), il Colosseo, resta chiuso. Una beffa.
E un danno, per la Capitale e per il Paese, di fronte al quale il ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, alza le mani: «Non ho strumenti per intervenire, e posso solo lanciare un appello…».
Già , un appello, cioè una resa che da sola dimostra quanto i nostri monumenti, a partire dai 420 musei statali, che tutti riempendosi la bocca definiscono “il più grande patrimonio nazionale”, in realtà sono in ostaggio di un corporativismo sfrenato e di una mancanza di organizzazione che mescola l’impotenza della politica e della pubblica amministrazione con uno straripante potere di veto dei sindacati, anche i più piccoli.
La Notte dei Musei, il 17 maggio, è un’occasione straordinaria non tanto per aprire i luoghi del Bello fuori dagli orari ordinari, in questo caso dalle 20 alle 24, ma quanto per avvicinare di più cittadini e turisti a ciò che rende unica l’Italia nel mondo e alla nostra storia.
Il Colosseo resta fuori dalla partita solo perchè un accordo sindacale, uno dei tanti accordi firmati dai rappresentanti dello Stato in ginocchio, prevede l’adesione volontaria di almeno un terzo dei dipendenti interni dell’Anfiteatro Flavio.
E tra i custodi cinque volontari, solo cinque, pronti a lavorare fuori orario con relativi straordinari, non si trovano e non possono essere sostituiti.
Un museo non è un’azienda, certo, ma chi ne ha la responsabilità , in questo caso il ministero dei Beni Culturali, deve anche avere il diritto-dovere di poterlo proteggere e valorizzare, come dice la legge, in condizioni normali, e non sotto il ricatto permanente del «qui comando io».
D’altra parte, il ministro Franceschini in pochi giorni ha fatto il bis in termini di resa di fronte all’inevitabile: già il Primo Maggio aveva tentato, inutilmente, di convincere le organizzazioni sindacali a consentire l’apertura del Colosseo.
E se al ministro va riconosciuta almeno la limpidezza della sua auto-denuncia di impotenza, altri commenti dal versante politico sembrano dettati su misura per trasformare lo scandalo di un Paese anormale in una barzelletta da Italia del bar dello Sport.
Come le parole del sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri, che parte lancia in resta per chiedere di sostituire i custodi con i condannati ai lavori socialmente utili (ma in quale legge o in quale provvedimento amministrativo ha letto questa possibilità ?), come il sindaco di Roma, Ignazio Marino, che volteggia invocando il «sacrificio di cinque persone».
O come l’ex deputato Stefano Pedica, membro della direzione regionale del Pd, che ne approfitta per fare uno spot gratuito al suo senso civico: «Sono pronto a fare il custode volontario».
Chissà , forse e nonostante tutto il Colosseo aprirà la notte del 17 maggio: ma il senso di vergogna, di avvilimento, che si prova di fronte a tanta scelleratezza, quello non si spegnerà , nè di notte nè di giorno.
Antonio Galdo
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Maggio 14th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO VENT’ANNI DI TASK FORCE ANTICORRUZIONE, LE MAZZETTE SONO PASSATE DA 5 A 60 MILIARDI DI EURO
Sono vent’anni che in Italia si approvano “codici etici” e intanto si ruba come prima più di prima.
Vent’anni che si arruolano “task force anti-corruzione” e intanto la corruzione galoppa: nel ’92 costava agli italiani — secondo il Centro Einaudi di Torino — 10 mila miliardi di lire all’anno e oggi 60 miliardi di euro (12 volte in più); vent’anni fa l’Italia era al 33° posto nella classifica di Transparency International dei paesi meno corrotti, oggi è al 69° dietro il Ghana.
Dal ’94 si sono avvicendati tre governi di centrodestra, quattro di centrosinistra, due tecnici, uno di larghe intese e uno di strette: tutti, a parole, anti-corruzione; tutti, nei fatti, pro-corruzione a suon di leggi che allungavano i processi, abbreviavano la prescrizione, depenalizzavano reati dei colletti bianchi, depotenziavano la lotta alle mafie, condonavano delitti, indultavano delinquenti, cestinavano prove, incoraggiavano l’omertà .
L’idea che, per sconfiggere la corruzione, occorra cambiare le regole è ingenua e dannosa: una volta ripristinati reati come l’abuso d’ufficio anche non patrimoniale e il falso in bilancio, e introdotti quelli mancanti come l’autoriciclaggio, e aumentate le pene e bloccate le prescrizioni, c’è poco da cambiare le regole.
Bisogna armare chi deve scoprire e punire chi non le rispetta.
E poi isolare con la morte civile chi non le ha rispettate.
Mission impossible in Italia, dove i delinquenti già condannati ricattano con l’arma del silenzio i delinquenti non ancora scoperti. Garantendo a se stessi e agli altri carriere eterne, visto che non esistono bollini di scadenza (questi sì da introdurre) sulle poltrone pubbliche.
La Parmalat di Tanzi, come del resto Enron e Lehman Brothers, aveva un codice etico formidabile: s’è visto com’è finita.
Il gruppo Maltauro — consultare il sito per credere — ha un Codice Etico della madonna: “Nel Codice Etico sono formalizzati i principi fondamentali cui le singole società del Gruppo sono tenute a uniformarsi e che consistono nella scrupolosa osservanza della legge, nel rispetto degli interessi legittimi del cliente, dei fornitori, dei dipendenti, degli azionisti, della concorrenza leale, delle istituzioni e della collettività ”.
L’Ad che l’ha firmato, Enrico Maltauro, è stato filmato dai finanzieri mentre si sfilava una mazzetta dalla giacca e la passava a un faccendiere di Expo in cambio di appalti.
Si poteva evitarlo? Sì, visto che il Maltauro era già stato beccato nel ’93 a fare la stessa cosa per gli appalti dell’aeroporto di Venezia e aveva patteggiato la pena: basterebbe una norma che escluda da appalti e contratti pubblici gli imprenditori e i manager condannati.
Tre anni fa si scoprì che anche la Rai aveva un Codice Etico: fu usato la prima volta non contro i tg che taroccano le notizie e i programmi che le censurano, bensì contro la Gabanelli che, dandole, aveva dato noia a Tremonti.
Per salvarsi dal plotone di esecuzione, dovette allestire un Report riparatorio pro Tremonti.
Il Codice Etico Rai fu rispolverato contro Santoro e contro Celentano (reo di leso Vaticano al Festival di Sanremo), poi se ne persero le tracce.
Nel 2010 Cesare Prandelli varò, d’intesa con i giocatori, il Codice Etico della Nazionale: fuori gli autori di gesti scorretti o violenti.
Ora però ha deciso di convocare lo juventino Chiellini, appena squalificato per tre giornate dopo che la prova tv ha immortalato la sua gomitata al romanista Pjanic: “Alla fine decido io”. Per carità , forse fa bene, ma allora sostituisca il Codice Etico con il Codice Decidoio.
La legge sugli appalti prevede che debba vincerli il migliore offerente dopo una gara trasparente. Ma otto giorni fa, con la scusa degli appositi ritardi, si decise di esentare i lavori sotto i 150 mila euro dalle verifiche antimafia.
Tutti d’accordo: Alfano, Maroni, Pisapia, Sala. Tanto a vigilare su Expo c’erano già ben 23 organi di controllo: 5 interni e 18 esterni.
Senza dimenticare la mirabolante task force voluta da Formigoni con l’ex generale Mori e l’ex capitano De Donno, reduci dalla trattativa Stato-mafia. Risultato: non controllava nessuno.
Ora arriva un’altra task force, ovviamente anti-corruzione.
Ne facessero una pro-corruzione, magari qualche ladro riuscirebbe a prenderlo.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 14th, 2014 Riccardo Fucile
IL MAGISTRATO RESTA ALL’ANTI-CORRUZIONE E SARà€ SOLO SUPERVISORE
La task force arriverà . Non si sa quando, da chi sarà composta nè quali poteri effettivi avrà . L’unica
certezza è che non sarà presieduta in prima persona da Raffaele Cantone.
L’ex pm, da poche settimane a capo dell’Autorità anti-corruzione (Anac), farà da supervisore.
Ieri, al vertice convocato nel tentativo di salvare il salvabile di Expo, ha ribadito che vuole avere pieni poteri di controllo. Lui e l’autorità che presiede si “assumono la responsabilità della supervisione delle procedure e della trasparenza amministrativa di Expo 2015 e garantiscono il presidio delle commissioni di gara per l’aggiudicazione degli appalti”, ma la guida della task force pretesa dall’Ad Giuseppe Sala dopo gli arresti di giovedì scorso spetterà ad altri.
I nomi sono molti, a partire da Roberto Arditti, già oggi manager dalla società .
Si dovrà attendere il decreto d’urgenza della Presidenza del Consiglio che dovrebbe arrivare entro una settimana, stando almeno a quanto ha garantito Renzi ai presenti al vertice: Sala, il sindaco Giuliano Pisapia, il governatore Roberto Maroni, tra gli altri. Al tavolo presenti anche i ministri Maurizio Martina e Maurizio Lupi.
Nel frattempo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è stato costituito un ufficio per il coordinamento tecnico-amministrativo con il fine di “curare la messa in atto dei provvedimenti necessari alla realizzazione e allo svolgimento dell’esposizione universale”.
In pratica si crea un ufficio a Palazzo Chigi per creare la task force su Expo che sarà poi controllata dall’Anac.
Durante la riunione, cominciata con un’ora di ritardo per aspettare l’arrivo di Renzi, è stato deciso il sostituto di Angelo Paris, il dg finito in manette: già da oggi a prendere il suo posto sarà Marco Rettighieri che proviene da Italferr.
Rettighieri avrà l’incarico di Paris, ma la sua sfera di azione si amplierà appena varata la task force.
Inoltre, secondo quanto sostiene Sala, avrebbe “già visitato il sito di Expo e preso visione del cronoprogramma”.
La riunione di ieri è stata anche l’occasione per chiedere ancora una volta al premier come pensa di trovare le coperture mancanti.
In particolare i 60 milioni di euro che deve versare la Provincia di Milano, unico dei cinque soci di Expo ad essere oneroso.
Renzi ha garantito che troverà una soluzione entro il 4 giugno, giorno in cui ha convocato l’assemblea straordinaria sempre a Milano.
Oggi, intanto, arriverà da Parigi il segretario generale del Bie, Vicente Gonzalez Loscertales, per verificare l’avanzamento delle opere e lo stato dell’arte dell’Expo milanese.
Il Bie è l’organismo che assegna l’esposizione e poi ne controlla l’esecuzione. Toccherà a Sala tentare di spiegargli quanto accaduto nell’ultima settimana.
L’Ad, ieri, si è detto “tranquillo” , nonostante dopo gli arresti avesse espresso il desiderio di riflettere sulla sua permanenza alla guida di Expo.
Ieri ha spiegato di aver messo in fila le cose che rimangono da fare: “Sono tre”, ha detto. La prima è “ristrutturare i contratti con gli operatori, ci sono riserve, agevolazioni e su questo chiederemo una mano a Cantone e stiamo già lavorando con il Consiglio di amministrazione perchè questo tipo di cose devono essere ben fatte”. La seconda cosa da fare entro il primo maggio del 2015: gli allestimenti e l’Ad ribadisce la richiesta della società di affidarli direttamente a Fiera Milano. L’aiuto di Cantone infine verrà richiesto anche sulla regolamentazione e il contratto.
Cantone ribadisce la piena disponibilità “per il Paese” ma garantisce: “Non ho alcuna intenzione di fare da capro espiatorio”.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 14th, 2014 Riccardo Fucile
“QUEI PIZZINI A BERLUSCONI E MARONI”-… E IL MANAGER AVVERTI’ PARIS: “STA SBAGLIANDO, COSI’ FINISCE MALE”
Dai verbali dell’indagine della procura di Milano sull’Expo spuntano i pizzini a Berlusconi e Maroni: «Andavamo ad Arcore ogni lunedì».
Gli inquirenti hanno individuato le date in cui Gianni Rodighiero, collaboratore di Gianstefano Frigerio, è andato nella villa dell’ex presidente del Consiglio.
I contatti del faccendiere Gianstefano Frigerio, più volte condannato, con Silvio Berlusconi e con la Regione trovano ancora più credito leggendo 104 pagine, quelle con cui la procura chiede l’arresto del manager Expo Angelo Paris.
Come per il caso Ruby e per il Bunga Bunga, così per il caso Expo: ai pubblici ministeri basta incrociare i telefonini degli indagati con la cella telefonica di Arcore per avere i riscontri che servono.
In cinque date, ecco che Gianni Rodighiero, collaboratore di Frigerio, si trova ad Arcore. E, una volta, ci vanno Rodighiero e Frigerio insieme.
«Tale dato – scrivono i pubblici ministeri – conferma la veridicità dei riferimenti effettuati da Frigerio ai suoi contatti con i massimi livelli politici del partito (…) per sponsorizzare ai massimi livelli la posizione di Angelo Paris».
La ricostruzione dei fatti è limpida.
Siamo a poche settimane fa. Il 28 marzo 2014 è un giorno importante per la «cupola». All’hotel Michelangelo, dove Berlusconi lancerà la campagna per le Europee, s’incontrano alle 11,35 Frigerio e Paris
Nel frattempo (poco dopo le 11) Rodighiero è con Sergio Cattozzo, democristiano, ora Udc, beccato giovedì, al momento delle perquisizioni, con alcuni post-it, che aveva tentato di nascondere.
Non c’è riuscito, aveva segnato l’importo delle tangenti ricevute dall’imprenditore Enrico Maltauro: 590mila euro in due anni, 490 più 100), con accanto lettere dell’alfabeto, date, suddivisioni, le percentuali dello 0,3 e dello 0,5 a seconda dell’appalto.
I due parlano. Cattozzo: «Tieni conto che Gianstefano (incomprensibile) aver parlato di Berlusconi e Berlusconi…».
Rodighiero: «Sì, e anzi gli ha parlato e in più gli ha anche scritto, perchè l’ho visto io (inc.) andare ad Arcore. Sai che, non dico tutte le settimane, ma il lunedì e il venerdì (impreca), ci ho sempre la lettera da portare. Solo che adesso bisogna stare più abbottonati, c’è il cerchio magico di Berlusconi».
I due passano dalla portineria dell’ufficio intitolato a Tommaso Moro e usato come base della cupola.
I VERBALI
Sono pertanto effettivamente emersi i seguenti dati: Rodighiero, dicono i detective, era ad Arcore il 22 novembre (venerdì), il 20 dicembre (venerdì), il 23 dicembre (lunedì), il giovedì 6 febbraio 2014 e il giovedì 27 febbraio 2014.
Com’è noto, Paris il 3 febbraio 2014 aveva partecipato «a una cena ristretta presso Villa San Martino, evento collegabile a Frigerio ».
Per quanto riguarda la Regione, si sa dalle intercettazioni e dalle carte giudiziarie che Frigerio incontra una volta per caso Roberto Maroni, che dice di mandargli messaggi per sollecitare «il lavoro delle vie d’Acqua», vantandosi subito dopo per gli interventi del governatore lombardo: «Lo vedi che ho scatenato Maroni sulle vie d’acqua».
Ed ecco ancora una volta Rodighiero che compare in Regione per portare questi «pizzini».
È lui che il 24 marzo 2014 manda un sms a Gianluigi Frigerio, il nipote prediletto di Gianstefano, dicendo: «Sono giù in Regione», e la cella telefonica si attiva due volte nella zona di Palazzo Lombardia.
Con Mario Mantovani il rapporto è ancor più stretto, Frigerio senior e junior si sono impegnati «in coincidenza con la campagna elettorale regionale del 2013», scrivono i magistrati, e «fattivo» è stato il «contributo di Frigerio Gianluigi».
Risulta a Repubblica che Gianlugi sia diventato un funzionario della Regione Lombardia.
Sta nella «sottounità operativa delle politiche urbane e interventi per l’attrattività e la promozione integrata del territorio». Più che di millanterie, Frigerio sembra insomma disporre di «maniglie» solide.
Uno dei suoi quartieri generali è una saletta del bar del Westin Palace. È qui che Frigerio incontra il direttore generale degli acquisti di Expo, Angelo Paris.
Serve «una soluzione d’emergenza destinata a ripartire solo tra i principali appaltatori già assegnatari dei lavori da svolgere».
Quindi: «Prendete le più grosse – ordina Frigerio a Paris – gli date dieci per una. Semplifica. Se è l’unica via!».
Il professore chiede di esercitare pressioni anche sul commissario straordinario: «Con Sala insisti!». I diktat vengono eseguiti: il 21 febbraio Paris mette ansia a Simona Trapletti, responsabile area patrimonio Infrastrutture lombarde.
Le dice che entro fine luglio devono concludersi i lavori «underground dei lotti ». Il progetto dev’essere inviato categoricamente entro il 30 aprile: «Se entro quella data non mi mandi il progetto – minaccia – lo faccio io d’ufficio ».
Esattamente come da istruzione del «professore»
Ma dentro la società Expo sale la tensione, e si scatena la battaglia tra “buoni” e “cattivi”.
Il 25 febbraio il direttore generale della divisione partecipanti Expo, Stefano Gatti, contatta Paris per lamentarsi proprio della lettera inviata alla Trapletti.
Da alcune parole di Gatti – scrivono i pm nell’integrazione d’arresto del manager Expo – «emerge la volontà di Paris di scavalcare in qualche modo Giuseppe Sala al fine di far prevalere le sue intenzioni sulla realizzazione dei padiglioni e sulla relativa tempistica».
È categorico Gatti: «Mi arrivano in mano cose che sono totalmente diverse da quello che è stato deciso… io continuo a concordare delle cose con Peppe (Sala, ndr) e poi mi arrivano delle cose da te che sono completamente diverse ». Gatti avverte Paris: «Stai entrando in un circuito di una pericolosità pazzesca che finirà con incidenti pazzeschi con i Paesi (espositori, ndr ) ».
Il manager si scaglia contro il collega, accusandolo di voler «far saltare in aria l’intero progetto». I rimproveri proseguono con quella che Gatti considera l’anomalia della gestione del padiglione cinese: «Paese a cui viene lasciato un eccessivo margine di autonomia». «Perchè – prosegue Gatti – diamo il messaggio al cinese “tana libera tutti”, se a un certo punto passa il messaggio che il cinese fa come cazzo gli pare, tutti gli altri dicono scusa, ma perchè a me hai rotto i coglioni?».
Non è casuale che proprio la gestione degli spazi di Pechino sia particolarmente agevole. Per i pm, infatti «rappresenta uno degli affari di massimo interesse per Primo Greganti, circostanza ben nota al Paris».
Emilio Randacio e Piero Colaprico
(da “La Repubblica”)
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Maggio 14th, 2014 Riccardo Fucile
MISTERI ITALIANI: TUTTI NEGANO DI AVERLO VISTO E NON RISULTA ALCUN PASS A SUO NOME
Tutti i mercoledì Primo Greganti andava in Senato. 
Racconta il Corriere della Sera che gli investigatori della Procura di Milano lo pedinavano, ma poi, per evitare che si accorgesse della loro presenza, lo abbandonavano sulla porta di Palazzo Madama.
E dunque, gli inquirenti non sanno cosa andava a fare, chi andava ad incontrare.
Dopo che la cosa è stata resa nota e il Senato si è attivato per capire chi andasse a trovare, non è che se ne sappia più di prima. Anzi.
A quanto risulta al presidente, Pietro Grasso “il compagno G.” in Senato non c’è mai nemmeno entrato.
Uno dei tanti gialli che accompagnano la vita del fu protagonista di Tangentopoli , ora arrestato nell’ambito dell’inchiesta sull’Expo. Misteri.
Un po’ come quello della tessera del Pd: Greganti risultava iscritto a Torino, nel circolo 4 di San Donato-Campidoglio nel 2012 e nel 2013, e in attesa di rinnovo per il 2014. Ora è stato sospeso.
Resta la domanda, su come è possibile che un personaggio con quel curriculum giudiziario, sia stato riammesso tra i democratici.
Ieri , dopo le rivelazioni sulle sue frequentazioni dei Palazzi, è partita la “caccia” agli amici del compagno “G” in Senato.
Primi sospettati, i senatori democratici. “Io non l’ho mai visto, non veniva da noi. Magari andava a cercare altri”, dicono dal gruppo Dem.
E tutti quelli interpellati negano assolutamente di aver mai visto Greganti aggirarsi per i corridoi del Senato.
Ugo Sposetti, l’ex tesoriere Ds, additato da componenti di altre forze politiche come il primo indiziato, a chi glielo chiede direttamente, nega.
“Non l’ho mai visto. E neanche l’avrei riconosciuto”, scherza il lettiano Francesco Russo.
Però, la necessità di capire effettivamente cosa ci facesse Greganti nelle stanze della Camera alta è condivisa.
Ieri mattina a presentare richiesta formale al presidente del Senato, Pietro Grasso, è stato il democratico Felice Casson.
Perchè in realtà per varcare le soglie del Parlamento italiano serve un permesso (sia un accredito stampa, un pass di un senatore o di qualcuno che ci lavora), che deve essere regolarmente registrato.
Computer in tilt per tutta la mattinata, Grasso in un primo momento non riesce a rispondere. Poi, nel pomeriggio è il capogruppo Pd, Luigi Zanda a chiedere delucidazioni.
La risposta di Grasso è sconcertante: non ci sono tracce dell’ingresso del compagno G..
A stare agli atti ufficiali del Senato, nessuno gli ha mai dato il permesso di accedere. Di più, lui in realtà non è mai entrato.
Il mistero si infittisce.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 14th, 2014 Riccardo Fucile
TROVATO UN TELEFONO DA ZONE DI GUERRA… LE VISITE AL SENATO OGNI MERCOLEDI’
Che ci faceva Primo Greganti quando il mercoledì, giorno di rigore delle sue visite a Roma, entrava in Senato?
Chi andava a incontrare non si sa, perchè gli investigatori della Procura di Milano che lo pedinavano hanno sempre dovuto abbandonarlo una volta varcato il portone di Palazzo Madama, ovviamente per evitare che il «compagno G» si potesse accorgere di essere seguito. Del resto, se si pensa che tutta questa inchiesta è stata fatta sul campo da soli sette finanzieri – argomento che forse potrebbe meritare qualche riflessione tra i tanti esponenti delle istituzioni accalcatisi ora a congratularsi in buona o cattiva fede con l’autorità giudiziaria –, si intuisce come gli inquirenti temessero di poter prima o poi essere riconosciuti dagli indagati che erano pedinati quasi sempre dalle stesse persone: al punto che una donna del team investigativo, per non dare nell’occhio di fronte ai medesimi pedinati, si è procurata un gran numero di parrucche, con le quali cambiare almeno sommariamente il proprio look da un giorno all’altro
Anche intercettare non è sempre stato agevole.
Frigerio faceva spesso «bonificare» dalle microspie il centro culturale in cui operava. E ora c’è curiosità per quello che potrà essere verificato in un telefono satellitare sequestrato a Greganti nella perquisizione a casa sua.
Utilizzato di solito dagli inviati di guerra in zone senza copertura ordinaria, è ingombrante, peraltro con una grossa antenna-parabola, costa migliaia di euro e anche la telefonata ha un alto costo al minuto, insomma è incongruo per un utente ordinario.
In teoria, però, può avere un altro appeal: se un telefono satellitare chiama un altro satellitare, la conversazione viaggia appunto solo via satellite e non «aggancia» mai alcun ponte radio delle compagnie telefoniche nazionali, quindi non ricade nella modalità tecnica ordinaria delle intercettazioni disponibili dall’autorità giudiziaria.
Soltanto una perizia sull’apparecchio potrà ora verificare se il satellitare corrispondesse a una utenza diversa da quelle note di Greganti e già indirettamente intercettate, e se ne siano recuperabili almeno gli ultimi numeri chiamati
Ieri di questo tema, come pure dei suoi rapporti con le cooperative rosse, non si è parlato nel breve interrogatorio in cui Greganti, difeso dagli avvocati Roberto Macchia e Nicola Durazzo, ha negato di aver mai ricevuto o chiesto soldi a qualunque titolo, ha affermato di non aver mai avuto dagli indagati alcun beneficio economico o vantaggio di lavoro, ha detto di non sapersi spiegare perchè gli altri indagati parlino talvolta di lui come di una persona alla quale dare soldi in funzione di suoi interventi.
Greganti sostiene invece di aver solo promosso da anni la cosiddetta filiera del legno per i suoi benefici ambientali e occupazionali nella realizzazione di edifici, e in questo ambito di aver cercato contatti con chi realizza opere pubbliche, compresi alcuni padiglioni di Expo.
Luigi Ferrarella
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 14th, 2014 Riccardo Fucile
BARROSO: “NOI SOLI A DIFENDERE L’ITALIA, ERANO ALTRI A VOLERLA COMMISSARIARE”
Un piano di alcuni funzionari Ue per far cadere il governo Berlusconi. 
A descriverlo è Stress Test, il libro fresco di stampa dell’ex ministro statunitense del Tesoro, Tim Geithner, di cui La Stampa pubblica in anteprima alcune parti.
Si tratterebbe del “complotto” tante volte evocato dall’ex cavaliere, che oggi ha rilanciato in alcune interviste le accuse nei confronti dell’Europa.
Per chiarire quanto successe nel novembre 2011 il ministro dell’Interno Angelino Alfano si è detto possibilista circa l’apertura di una commissione d’inchiesta, come chiesto da Forza Italia.
Fonti Ue però smentiscono ogni cosa e accusano: “Erano gli Usa a volere che il Paese andasse in amministrazione controllata”.
E il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso aggiunge che “l’Italia era vicinissimo all’abisso” e al G20 di Cannes “alcuni tentarono di metterla sotto la supervisione del Fmi”, ma “sarebbe stato un disastro” e “noi siamo stati quasi soli a dire che non doveva succedere”.
La versione dell’ex ministro del Tesoro Usa
Secondo la ricostruzione di Geithner alcuni funzionari europei lo avrebbero contattato nell’autunno del 2011, in piena crisi economica, chiedendogli di partecipare a un piano che convincesse l’ex premier italiano a lasciare il suo incarico.
L’ex titolare del Tesoro Usa sostiene che i funzionari “volevano che noi rifiutassimo di sostenere i prestiti dell’Fmi all’Italia, fino a quando non se ne fosse andato (Berlusconi, ndr)”.
Geithner, dopo averne parlato anche con Obama, rifiutò la proposta: “Parlammo al presidente di questo invito sorprendente, ma per quanto sarebbe stato utile avere una leadership migliore in Europa, non potevamo coinvolgerci in un complotto come quello.
‘Non possiamo avere il suo sangue sulle nostre mani’, dissi”, si legge in un passaggio del libro. L’ex ministro, invece, per superare quei mesi critici e salvare l’eurozona cercò di rafforzare la collaborazione con il presidente della Bce Mario Draghi.
La successione del senatore a vita a Mario Monti a Berlusconi sarebbe avvenuta il 12 novembre 2011 e fu ben vista dall’Europa. Geithner definisce Monti come “un economista che proiettava competenza tecnocratica”.
A questo cambiamento si aggiunse poi il massiccio finanziamento delle banche voluto da Draghi e la crisi sembrò così parzialmente superata ma rifece capolino già nell’estate del 2012.
La replica dell’ex cavaliere
“Non sono sorpreso”, ha detto in un’intervista a Corriere.it l’ex premier Silvio Berlusconi, che nel novembre 2011, va ricordato, ha rassegnato volontariamente le dimissioni dopo aver perso la maggioranza alla Camera durante il voto del rendiconto generale dello Stato.
“Ho sempre dichiarato che nel 2011 nei confronti del mio governo, ma anche nei confronti del mio Paese — afferma oggi — c’è stato tutto un movimento che era partito dal nostro interno ma poi si è esteso anche all’esterno per tentare di sostituire il mio governo, eletto dai cittadini, con un altro governo”.
Nel giugno del 2011, “quando ancora non era scoppiato l’imbroglio degli spread — continua Berlusconi -, il Presidente della Repubblica Napolitano riceveva Monti e Passera, come è stato scritto, per scegliere i tecnici di un nuovo governo tecnico e addirittura per stilare il documento programmatico. E poi abbiamo saputo anche che ci sono state quattro successive tappe di scrittura, con l’ultima addirittura di 196 pagine”.
Berlusconi, ricorda ancora “avevo la contezza che stesse accadendo qualcosa e avevo anche ad un certo punto ritenuto che ci fosse una precisa regia. Al G-20 di Cannes, addirittura, amici e colleghi di altri paesi mi dissero: ‘Ma hai deciso di dare le dimissioni? Perchè sappiamo che tra una settimana ci sarà il governo Monti…’.
E l’ha rivelato per esempio Zapatero in un suo libro che riguardava quel periodo”. L’ex premier ha affermato anche di non essere sorpreso che queste nuove rivelazioni vengano da un uomo del presidente Usa.
“Io devo dire che Obama si comportò bene durante tutto il G20. Noi fummo chiamati dalla Merkel e Sarkozy a due riunioni in due giorni consecutivi e in queste riunioni si tentò di farmi accettare un intervento dal Fondo Monetario Internazionale. Io garantii che i nostri conti erano in ordine e non avevamo nessun bisogno di aiuti dall’esterno e rifiutai di accedere a questa offerta, che avrebbe significato colonizzare l’Italia come è stata colonizzata la Grecia, con la Troika”.
Il rimpallo diplomatico tra Washington e Bruxelles
In serata è arrivata però la reazione difensiva di Bruxelles. Fonti qualificate (ma anonime) hanno fatto sapere che “Geithner si è riferito a qualcuno altro, certamente non alle istituzioni Ue, non a Barroso, Van Rompuy o Rehn”, che, in particolare a Cannes, “hanno difeso l’indipendenza dell’Italia” e “non volevano che andasse sotto amministrazione controllata, come invece chiedevano gli Usa”.
E il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, ha aggiunto che “l’Italia era vicinissimo all’abisso” e al G20 di Cannes “alcuni tentarono di metterla sotto la supervisione del Fmi” ma “sarebbe stato un disastro” e “noi siamo stati quasi soli a dire che non doveva succedere”.
Nessuna replica da parte della Casa Bianca: no comment, è il massimo che fanno sapere dallo staff di Barack Obama.
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