Destra di Popolo.net

INTERVISTA ALL’ECONOMISTA REALFONZO: “LA PRECARIETA’ NON CREA LAVORO”

Maggio 15th, 2014 Riccardo Fucile

“I DATI DICONO CHE LA FLESSIBILITA’ FA AUMENTARE LA DISOCCUPAZIONE”

La flessibilità  produce occupazione?
“È la grande bugia dei nostri tempi. Basterebbe esaminare i dati ufficiali per scoprire gli insuccessi di queste politiche”.
Dati che Riccardo Realfonzo, economista, docente di economia politica all’Università  del Sannio ed editorialista del Sole 24ore ha pubblicato sulla rivista economiaepolitica.it .
“Vi è evidenza empirica che gli interventi di liberalizzazione del mercato del lavoro, anche con specifico riferimento al lavoro a termine, hanno fallito nel determinare la crescita occupazionale – si legge nel documento – Non si comprende, quindi perchè l’Italia e l’Europa dovrebbero continuare lungo una strada che ha ampi costi sociali”.
Lo studio si fonda sui dati Ocse, “cioè quell’istituzione di cui il ministro Padoan è stato capo economista”.
Tutto rientra negli indicatori dell’organizzazione parigina. “Basta incrociarli con la media delle variazioni del tasso di disoccupazione”.
E cosa si scopre?
Che non c’è alcuna correlazione. Prendiamo l’indice che misura il grado di protezione del lavoro in un Paese (Epl). A eccezione di Francia, Austria e Irlanda, tutti i Paesi dell’Eurozona hanno ridotto le tutele dei lavoratori. Per l’Italia, l’indice è calato di oltre il 40 per cento dal 1990 a oggi.
Con quali risultati?
Nessuno, se non pesantissimi costi sociali. All’aumentare della flessibilità  la disoccupazione nell’Eurozona tende semmai ad aumentare. Paesi come Spagna e Grecia hanno deregolamentato molto il mercato del lavoro, senza alcun effetto.
Però nel frattempo è intervenuta la crisi.
Per questo abbiamo effettuato anche una analisi relativa al solo periodo pre-crisi, fino al 2007, e il risultato non cambia. Ma questo studio non può destare sorpresa. Già  l’Employment Outlook pubblicato nel 2004 dall’Ocse spiegava che la maggiore flessibilità  non determina più occupazione. Ma Padoan non è stato capo economista dell’Ocse? Non li ha letti quei numeri? Come fa a difendere la liberalizzazione del lavoro a termine? Nel passato l’Ocse non è stata nemmeno una voce isolata.
Chi altro?
Anche l’attuale capo economista del Fmi, Olivier Blanchard, nel 2006 ha spiegato che la flessibilità  non favorisce l’occupazione.
Perchè intervenire sulla flessibilità  non è servito?
Perchè frena i salari, rallentando la domanda interna.
Il ministro del lavoro Giuliano Poletti ha detto che il decreto produrrà  occupazione.
Poletti crede nella precarietà  espansiva, l’idea che la flessibilità  possa aumentare l’occupazione. Una idea totalmente smentita dall’analisi scientifica. È preoccupante, gli spunti più interessanti del Jobs Act, e cioè gli interventi di politica industriale, sembrano accantonati per la mancanza di risorse. Ci sono i vincoli europei da rispettare. L’unica cosa che viene fuori è la precarietà  espansiva di Poletti. Che non ci porterà  da nessuna parte.

Carlo Di Foggia

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COLOSSEO, DA ANFITEATRO A SPARTITRAFFICO: GLORIA E TRAMONTO DI UN SIMBOLO

Maggio 15th, 2014 Riccardo Fucile

I ROMANI E IL MONUMENTO: 1.500 ANNI DI DIFFICILE CONVIVENZA

È più o meno da mille e cinquecento anni che i romani non sanno bene che fare del Colosseo.
L’utilizzo di successo della seconda metà  del Novecento – grande rotatoria – si è (quasi) esaurito da che il sindaco Ignazio Marino ha reso (quasi) pedonale metà  di via dei Fori Imperiali.
In fondo la funzione di spartitraffico non è stata la più umiliante per l’anfiteatro costruito sul laghetto di Nerone e inaugurato nell’80 dopo Cristo con cento giorni di bagordi e ammazzamenti: nel Medioevo fu anche un deposito di concime.
Il problema di allora è il medesimo di oggi, e cioè come trarre utilità  da un gigantesco edificio posto da un incidente della storia sulla gobba della capitale.
Per quattro secoli abbondanti fu l’ombelico godereccio e sanguinoso del mondo, ma all’arrivo dei barbari era già  fatiscente.
Il trasloco della capitale dell’Impero a Costantinopoli (Istanbul) aveva impoverito Roma e non c’erano i denari per aggiustare e mantenere in attività  uno stadio da circa ottantamila spettatori.
Le pietre che cascavano venivano portate via e riciclate per innalzare nuove case; qualche bella scossa di terremoto contribuì al recupero del materiale e al buon umore degli operai, e alcuni dei fori che si vedono ancora oggi sulle pareti esterne originano dall’estrazione delle grappe di ferro, utili e costose.
Insomma, generalizzando, i romani dal Colosseo succhiano il succhiabile ma non lo amano più di tanto, anche ora nell’età  del turismo, che il Grande Molare Cariato (soprannome dei detrattori) è una miniera d’oro.
La vicenda degli introvabili cinque custodi per la notte dei musei è esemplare: la vecchia arena dà  uno stipendio. Finita lì. Il resto sono scocciature.
C’entra l’andazzo complessivo italiano, ma c’entrano anche quindici secoli di lotta fra l’anfiteatro e l’Urbe.
Il caso perfetto è quello di papa Sisto V (1521-1590), colto e amante del bello. Prima ebbe l’idea un po’ drastica di radere al suolo il Colosseo, di modo da congiungere enfaticamente San Pietro a San Giovanni in Laterano. Troppo costoso.
Allora pensò di riconvertirlo in lanificio e i lavori partirono pure, ma dovettero essere fermati sempre per l’esorbitanza delle spese.
Nel frattempo si continuò a scambiare il Colosseo per una specie di cava. I marmi furono portati via dai nobili ad abbellire gli sfarzosi palazzi del Rinascimento romano. Alcune delle pietre si dice siano tornate buone per la Basilica di San Pietro, mentre è certo che servirono a edificare Palazzo Barberini e Palazzo Venezia, da dove il Duce teneva i suoi discorsi alla folla eccitata
E intanto che pezzo a pezzo il gioiello di Vespasiano se ne andava in giro per la città , dentro se ne ricavò spazio per una fabbrica di colla, per una chiesa, per le stazioni della Via crucis, e alla sera vi si radunavano gli animatori della movida, a bere vino e cantare, intanto che fra gli archi coppie di giovinastri o di fedifraghi improvvisavano l’alcova.
Certo, non è stato un destino esclusivo del Colosseo. Lo è stato di quasi tutta la Roma imperiale.
Il Colosseo aveva quel difetto in più che tutto l’accanimento della storia non bastò a completare la distruzione. Subito dopo la caduta dell’Impero, e per secoli, dentro e a ridosso dell’anfiteatro vennero costruite capanne, stalle, fienili, botteghe di maniscalchi, di speziali, di ciabattini.
Nei secoli crebbe una tale vegetazione che nell’Ottocento furono classificate quattrocento specie diverse di fiori ed erbe.
Arrivarono gli archeologi, e soprattutto la tronfia ambizione del fascismo, a restituire onore e gloria al Colosseo.
Eppure oggi è semplicemente il regno di finti gladiatori e di venditori ambulanti, oltre che di turisti sbigottiti in perenne fila davanti a uno scheletrone.
Vietato sfruttare lo stadio più famoso e struggente del pianeta per concerti o spettacoli, facilitarne la visita, aprire librerie e negozi: sarebbe volgare commercializzazione.
Quando poi il Colosseo volgare nacque e volgare visse, e volgare andrebbe bene pure in vecchiaia.

Mattia Feltri
(da “La Stampa“)

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INTERVISTA AL REGISTA CIPRI’: “LA MIA SICILIA CATATONICA. IL PRIMO CHE ARRIVA E URLA SI PRENDE UN MARE DI VOTI”

Maggio 15th, 2014 Riccardo Fucile

“NON CI SONO SOLDI PER FARE NIENTE, ASPETTIAMO GODOT”

Interrompe il montaggio del suo cortometraggio surreale sui campi di concentramento e viene al telefono per parlare della sua Sicilia «catatonica», terra di conquista elettorale: prima affascinata da Berlusconi ora osannante Grillo (si aspetta il botto dei 5 Stelle nell’isola).
Daniele Ciprì, regista del film «È stato il figlio» con Toni Servillo e inventore insieme a Franco Maresco del cult «Cinico tv», è stranito.
«Perchè chiedi a me un’intervista su cose politiche? Guarda che io non vedo la tv e non leggo i giornali, ma insegno cinema ai ragazzi e quando posso me ne torno nella mia casa di Ortigia a Siracusa dove sento il mare. Ho lasciato Palermo … Vedo la grande confusione, che non è solo dei siciliani, ma di moltissimi italiani».
In Sicilia vanno forti gli urlatori.
«Urlatori, chi la spara più grossa e la mia Sicilia catatonica abbocca sempre. Anche i giovani riempiono le urne di voti per Grillo, che secondo me è un dittatore: urla e non risolve niente. Ora c’è questo marziano di Renzi che ci promette novità  e noi attendiamo Godot. Speriamo che ci porti qualcosa di nuovo, ma non voglio dare un messaggio di disperazione, non dirò mai meglio la raccomandazione, perchè farsi raccomandare (cultura siciliana sempreverde) è la cosa più umiliante che ci sia. Se dovessi dirti cosa si può fare e chi votare, non saprei cosa rispondere».
Serve ancora votare?
«Certo, serve, una scelta va fatta, assolutamente perchè non si può vivere nell’instabilità . Bisognerebbe uscire da questa situazione psicologica. È una situazione imbarazzante. In Sicilia, che è una terra meravigliosa, non la cambierei per nessun’altra al mondo, non ci sono i soldi per fare niente. Nel mio campo si potrebbe creare una industria cinematografica eccezionale: potremmo girare film di tutti i generi. E invece niente, lentezza e difficoltà  enormi. Abbiamo mortificato la cultura, siamo immersi nella spazzatura grazie al nostro grande eroe Silvio. Il mondo è diventato una televisione gigantesca».
Dimmi qualcosa per tirarmi su.
«Guarda, alla fine io spero sempre. Noi siciliani siamo un po’ schizofrenici: ci esaltiamo per una personaggio politico poi lo buttiamo giù e cadiamo in depressione. Ma questa schizofrenia è un modo di appoggiarsi disperati. Abbiamo bisogno di urlare, di ribellarci e spesso non si capisce per fare cosa. C’è sempre uno dietro di te che suona il clacson ma non sa perchè, magari non vede che davanti è tutto bloccato. Ma che suoni?, aspetta, prima o poi da questo ingorgo usciremo».
Finalmente un po’ di speranza.
«Sì, però sono anni che non abbiamo cambiamenti positivi e aspettiamo Godot».
Renzi?
«Le sue parole sono belle ma vorrei vedere i fatti. Certo ci vuole tempo e bestemmiare non serve. La verità  è che la confusione ci ha stordito, come nell’invasione degli ultracorpi».

Amedeo La Mattina
(da “La Stampa”)

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“VOGLIONO NORMALIZZARE MILANO”: CHE ACCADE A PALAZZO DI GIUSTIZIA?

Maggio 15th, 2014 Riccardo Fucile

SI E’ APERTA UNA LOTTA INTERNA CHE RISCHIA DI SCREDITARE LA GIUSTIZIA

«Normalizzare Milano ». Questa è la frase che ricorre, dentro la procura.
È questo il «timore» che serpeggia. E in qualche modo lascia intravedere che cosa ci può essere al di là  dell’attacco frontale che il procuratore aggiunto Alfredo Robledo ha sferrato a marzo al procuratore capo Edmondo Bruti Liberati.
«Normalizzare» vuol dire depotenziare, avvelenare, sminuire un ufficio in cui, da parecchi pubblici ministeri che badano al sodo, si sente dire: «Mettete in fila i nostri risultati negli ultimi quattro anni. Abbiamo scoperchiato crimini dei politici, della ‘ndrangheta e di Cosa Nostra, crimini dei colletti bianchi della Finanza, dei medici ».
Non solo: «Noi magistrati milanesi, per non sprecare tempo, abbiamo cominciato a impiegare, quando si può, i “riti immediati”.
In questo modo il tribunale riceve in tempi rapidi le carte e può giudicare in primo grado in tempi decenti, anche l’appello arriva in tempi più rapidi rispetto al passato.
Tutto questo è un bene per i cittadini, ma può dare fastidio a chi vede allontanarsi la possibilità  delle prescrizioni dei processi».
Il barometro della procura segna, come mai nel passato, brutto tempo. E le previsioni portano ancora pioggia e tempesta. Forse sino a luglio: è un mese cruciale.
Perchè il 6 ci sono le elezioni dei magistrati ed è in atto una campagna elettorale molto vivace e senza esclusione di colpi. E perchè, sempre, a luglio Bruti potrà  ottenere la proroga di altri quattro anni come capo della procura.
«Azzoppare» lui, può essere uno dei modi per «normalizzare » un ufficio che dagli anni Settanta «applica il principio che la legge è uguale per tutti».
Esagerazioni? Fatto sta che l’altro ieri Edmondo Bruti Liberati le ha cantate chiarissime all’Aggiunto. Appena chiusa l’indagine Expo coordinata da Ilda Boccassini, con sette arresti e ottanta perquisizioni, ha smentito le ricostruzioni di Robledo sull’assegnazione del fascicolo Expo; ha denunciato il rischio di «fuga di notizie» dopo il suo esposto al Csm; e ha sostenuto che Robledo, autoescluso dal vivo delle indagini, aveva persino rischiato di intralciarle con un pedinamento fuori luogo.
Infine, senza mezzi termini, Bruti — attenzione — ha chiesto al Csm più celerità  nella decisione, perchè le indagini in corso sono importanti e occorre lavorare «in un clima di normalità , fuori dai riflettori sul “preteso” scontro nella procura di Milano».
I riflettori invece aumentano la potenza. Ieri Robledo ha replicato, dichiarandosi «leso nella dignità »; assicurando che «Bruti ha detto il falso»; che «sono radicalmente inventate e prive di qualunque fondamento le affermazioni» del capo sul pedinamento. E ha chiesto di essere ancora ascoltato dal Csm.
Come era stato un «inedito» l’esposto di Robledo al Csm, così è un inedito anche quanto successo ieri: Antonio Racanelli, magistrato, membro del Csm, e di Magistratura indipendente, ha chiesto al ministro Andrea Orlando («Stanno emergendo fatti gravi», ha detto) di inviare un’ispezione alla procura di Milano.
Una richiesta che, un tempo, veniva avanzata dagli avvocati di Berlusconi, fanno notare da Milano: ormai rassegnati a resistere sotto l’acquazzone.
In questo batti e ribatti, va aggiunto che se Bruti ha ricevuto critiche al Csm sulle sue scelte da Nunzia Gatto, Ferdinando Pomarici, Nicola Cerrato e Manlio Minale, non si può scambiare per dissenso il silenzio di tre procuratori aggiunti di peso, come Nobili, Romanelli e Forno, che rispettano Bruti Liberati e le sue decisioni.
E, intorno a Milano, gli schieramenti sono molto più frammentati e risentono del clima elettorale.
Bruti — va ricordato — è stato una delle anime di Md, ma nel 2010, al suo arrivo a Milano, la corrente di Area si era spaccata tra chi (ex Md) voleva lui (che ha vinto) e chi (ex Verdi) voleva Pomarici (perdente).
E oggi, mentre Area scema nei consensi, Magistratura indipendente sale.
Robledo stava in questa corrente, considerata di destra, ma non è per niente detto che abbia l’appoggio dell’intera corrente: dentro M. I. c’è infatti qualche ruggine tra la vecchia «ala nobile» dei Davigo e dei Maddalena e i nuovi, rappresentati da Cosimo Ferri, figlio dell’ex ministro.

Piero Colaprico

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ALLA FINE NE ESCE MEGLIO GENOVESE CHE “IL GENOVESE”: L’IMPUTATO SI COSTITUISCE SUBITO, COLUI “PER CUI LA MAFIA NON ESISTE” INFANGA IL NOME DI BORSELLINO

Maggio 15th, 2014 Riccardo Fucile

LA CAMERA VOTA PER L’ARRESTO DI GENOVESE CHE SI PRESENTA IN CARCERE… IL FREQUENTATORE DI AMBASCIATE STRANIERE, SECONDO IL QUALE “LA MAFIA NON STRANGOLA LE VITTIME MA CHIEDE SOLO IL PIZZO”, STIA LONTANO DAL CITARE PAOLO, NON NE E’ DEGNO

La Camera vota si alla richiesta di arresto del deputato Pd Francantonio Genovese: 371 i si, 39 i contratri.
Forza Italia, con i suoi pochissimi presenti in aula, vota no all’arresto, insieme a Scelta Civica e Nuovo Centrodestra.
I 6 del Pd che hanno votato diversamente dal gruppo, contro la richiesta dei pm, sono i Popolari Beppe Fioroni e Gero Grassi; le siciliane vicine politicamente a Genovese Maria Gaetana Greco e Maria Tindara Gullo; Maria Amato e Tommaso Ginoble. Fisiologico.
I Dem sentono di aver evitato la speculazione elettorale a cinque stelle, ma non esultano. Votare per l’arresto di un collega con condanna non definitiva e per giunta con voto palese è roba che pesa.
Scongiurati i timori che qualcuno in aula riuscisse a raccogliere le trenta firme necessarie per chiedere il voto segreto. Nemmeno Forza Italia lo ha fatto, pur avendolo annunciato giorni fa. Il caso è chiuso.
Il deputato, imputato per associazione a delinquere, riciclaggio, peculato e truffa, si è costituito nel carcere di Gazzi a Messina: era rientrato in Sicilia da Roma e prima di consegnarsi all’autorità  giudiziaria è passato da casa a salutare i suoi familiari. Genovese è accusato dalla procura di Messina di essere stato il capo di un sodalizio criminale che attraverso truffe, riciclaggio, peculato e reati vari ha sottratto milioni di euro di finanziamenti europei alla formazione professionale per arricchirsi e fare propaganda elettorale.
Genovese si è presentato in carcere accompagnato dalla moglie Chiara Schirò.

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DELL’UTRI VERRA’ ESTRADATO, IL LIBANO VUOLE SBARAZZARSENE, DOMANI CONVOCATO IL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Maggio 15th, 2014 Riccardo Fucile

DECISIONE POLITICA: IL LIBANO NON CI STA AD APPARIRE UN COVO DI LATITANTI, DANNEGGIA L’IMMAGINE

La notizia produce ad Arcore l’effetto di una doccia gelata, in una campagna elettorale già  devastata dal clima di Tangentopoli.
In Libano non vedono l’ora di liberarsi di Marcello Dell’Utri. E l’estradizione è questione di ore. Poi, entro “una o due settimane”, il rientro in Italia.
Non è affatto escluso che Dell’Utri venga consegnato alla giustizia italiana prima delle urne del 25 maggio.
Negli ultimi giorni la pratica ha subito una notevole accelerazione.
Il Procuratore generale Samir Hammud ha già  detto sì all’estradizione e ha passato la pratica al ministro, il generale Ashraf Rifi che l’ha subito rigirata al Governo.
Ora l’ultima tappa. Il consiglio dei ministri è convocato per venerdì 16 maggio, per la decisione finale.
Ormai, stando alle informazioni che rimbalzano in ambienti berlusconiani molto informati, l’esito dovrebbe essere scontato.
Le motivazioni giuridiche le ha fornite la procura, che ha motivato come il reato di “concorso esterno” è sovrapponibile a quello di “associazione dei malfattori” previsto dal codice libanese.
Ma la sensazione è che l’accelerazione sia tutta politica.
Secondo i berlusconiani il governo libanese ha fretta di liberarsi della vicenda che sta danneggiando l’immagine del Libano, facendolo apparire come un covo di latitanti.
Cade così l’ultima speranza di Dell’Utri di guadagnare tempo. I suoi legali avevano sperato che la questione non fosse calendarizzata al consiglio dei ministri di venerdì 16 maggio, ma rimandata a dopo le elezioni presidenziali del 25 maggio.
A quel punto il dossier sarebbe passato nelle mani del nuovo governo con un conseguente slittamento dei tempi.
Lo aveva sperato anche Berlusconi. Perchè Dell’Utri, l’amico fraterno, ex numero due di Publitalia e fondatore di Forza Italia, non è nè Scajola nè Frigerio.
Se il suo rientro in Italia dovesse avvenire prima delle elezioni l’impatto sarebbe devastante.
Già  ora l’effetto “tangentopoli” ha prodotto uno tsunami sulla campagna elettorale berlusconiana e ha oggettivamente dato spinta a quella dei Cinque stelle.
Il rientro in manette di “Marcello” sarebbe il colpo di grazia.
Almeno così viene vissuto dall’inner circle dell’ex premier.

(da “Huffingtonpost”)

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GRILLO RESTA CON LE MANETTE IN MANO, RENZI LO FREGA: PER L’ARRESTO DI GENOVESE VOTA PALESE OGGI ALLE 16,30

Maggio 15th, 2014 Riccardo Fucile

ACCELERAZIONE DEL PD CHE VOTERA’ SI’ ALL’ARRESTO, CINQUESTELLE IN BRACHE DI TELA: RESTANO SENZA SCALPO DA ESIBIRE PER LE EUROPEE

Dopo una mattinata convulsa nell’aula della Camera, fatta di attacchi incrociati fra Pd, M5s e Forza Italia, la soluzione al caso Genovese si trova in pochi minuti.
Sono passate da poco le 14 quando il presidente del Consiglio Matteo Renzi dichiara a Repubblica che “il Pd chiede di votare subito, oggi stesso, per l’arresto di Genovese con voto palese”.
E dopo nemmeno mezz’ora da questa affermazione, la situazione finalmente si sblocca: la conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha deciso che la Camera voterà  sulla richiesta di arresto del deputato del Pd Francantonio Genovese alle 16.30.
Il voto sarà  palese, una decisione presa all’unanimità  da tutti i gruppi.
Il voto sull’arresto del deputato Pd accusato dalla procura di Messina di associazione a delinquere, riciclaggio, peculato e truffa, ha scatenato questa mattina il caos a Montecitorio per il rischio, prima concreto ma adesso scongiurato, che potesse essere rimandata a dopo le europee.
L’aula della Camera, infatti, ha votato la sospensione dei lavori per consentire la convocazione della conferenza dei capigruppo, fissata per le 13.45: l’ok è arrivato per 154 voti di differenza, e Forza Italia non ha partecipato allo scrutinio.
Lo stop è stato chiesto dal Partito democratico per consentire la calendarizzazione del decreto lavoro sulla casa, approvato ieri dal Senato e da convertire entro il prossimo 27 maggio.
L’ordine dei lavori della seduta prevedeva il voto sull’autorizzazione all’arresto di Genovese e la richiesta di sospensione è stata interpretata da Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Lega Nord come un tentativo di rinvio del voto sul caso medesimo.
Ma il capogruppo dem, Roberto Speranza, precisando che la vicenda Genovese “non è materia da campagna elettorale”, ha ribadito il sì del suo gruppo all’arresto e con voto palese.
Nel frattempo, i deputati grillini hanno deciso di stazionare dinanzi allo studio di Laura Boldrini in attesa dell’inizio della capigruppo: “Siamo qui   – hanno detto – in un presidio democratico. Abbiamo convocato tutti i deputati, per vigilare”
Beppe Grillo, aveva subito scritto su Twitter: “Il Pd vuole sospendere l’aula per rimandare il voto per l’arresto di Genovese! #fuorigenovese. O noi o loro!”.
A insorgere, anche Forza Italia che esprimerà  voto contrario all’arresto di Genovese e non chiederà  il vosto segreto dell’aula della Camera.
A dichiararlo era stato il capogruppo berlusconiano, Renato Brunetta, che rivolgendosi al Pd aveva detto: “Se Speranza vuole votare sull’arresto di Genovese dopo le elezioni noi siamo d’accordo. Noi siamo stati sempre garantisti, il Pd spesso non lo è stato”.
Alla fine la mossa del Pd spiazza i Cinquestelle che restano con le manette in mano.

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LA RETE USA CHE HA FAVORITO L’ASCESA DI MATTEO RENZI

Maggio 15th, 2014 Riccardo Fucile

LE STRANE AMICIZIE CON GLI AMBIENTI PIU’ REAZIONARI DEI REPUBBLICANI SPIEGANO TANTE COSE

Esce in libreria “Il Berluschino – il fine e i mezzi di Matteo Renzi” dell’ex tesoriere dei Radicali italiani Michele De Lucia. Ne pubblichiamo uno stralcio.
Appena approda sulla poltrona di presidente della Provincia, Renzi comincia a tessere una ragnatela di rapporti negli Stati Uniti: allaccia rapporti privilegiati non tanto e non solo con i settori progressisti del Partito democratico, ma soprattutto con gli ambienti più reazionari della destra repubblicana.
Nell’ottobre del 2005 Renzi riceve a palazzo Medici Riccardi l’ambasciatore Usa in Italia Ronald Spogli.
“Durante il colloquio, Spogli ha comunicato tra l’altro a Renzi che ha vinto il Visitor Program (progetto di scambi del governo degli Stati Uniti che ha un enorme impatto nel mondo e che riguarda i dirigenti che si sono distinti in giovane età ).
La visita di Renzi negli Usa si concretizzerà  il prossimo anno… Al termine dell’incontro il presidente della Provincia ha invitato l’ambasciatore alla prossima edizione del “Genio fiorentino” che si svolgerà  tra aprile e maggio del 2006” (AdnKronos, 25 ottobre 2005).
Nel novembre del 2005 l’Associazione Eunomia dei renziani Marco Carrai (responsabile relazioni esterne) e Dario Nardella (direttore) organizza a Palazzo vecchio il dibattito “La politica di Europa e Stati Uniti di fronte alla globalizzazione”. Alla presenza di Renzi e di 500 studenti italiani e americani, intervengono due pezzi da novanta dell’establishment Usa, due falchi vicini al Partito repubblicano, Michael Ledeen e Richard Perle.
Il programma della rassegna “Genio fiorentino” 2006 presenta, alla data del 16 maggio, “Opportunities and Constraints in the Conduct of Foreign Policy: evento a cura dell’Università  di Stanford e del Consolato Usa (a palazzo Medici Riccardi). Partecipano: George P. Shultz (Segretario di Stato degli Stati Uniti dal 1982 al 1989), l’ambasciatore Usa in Italia Ronald Spogli, l’ambasciatore Usa in Austria Susan Rasinski Mc-Caw, e Gerhard Camper della Stanford University”.
All’inizio del 2007 Renzi annuncia che volerà  negli Stati Uniti, e ci resterà  dal 26 febbraio al 2 marzo, per presentare una singolare iniziativa della Provincia fiorentina: “Cinquecento camere gratis ad altrettanti turisti americani che verranno a Firenze, per celebrare i 500 anni del nome America…
La speciale iniziativa, intitolata “500 anni-500 camere”, prevede che Firenze offrirà  una camera di hotel gratuita ai primi 500 americani che ne faranno richiesta sul sito”. A fine febbraio il viaggio renziano in Usa comincia da Los Angeles in quanto “la Provincia di Firenze è gemellata con una contea della California”, e tocca quattro città  in cinque giorni.
Alla fine di giugno 2007 Renzi è di nuovo a Washington, stavolta al seguito del vicepresidente del Consiglio Rutelli, e nell’occasione invita a Firenze Hillary Clinton, candidata alle primarie dei Democratici per la corsa alla Casa Bianca: “Mi auguro di rivederla presto a Firenze, in veste di presidente degli Stati Uniti”.
Sul finire del 2008 la dedizione ai legami americani di Renzi, presidente della Provincia in scadenza e aspirante sindaco di Firenze, fa un salto di qualità : il viaggio in Usa, a novembre, del renziano Dario Nardella, al momento consigliere comunale: “Non è ancora assessore alla cultura, anche se è in predicato per diventarlo in un’eventuale giunta di Matteo Renzi, ma da mesi lavora nell’ombra come se lo fosse. Tanto da salire su un aereo, volare negli Usa e, per un mese, prendere contatti con decine di fondazioni culturali e istituzioni del mondo dell’arte… È Dario Nardella, il giovane presidente della Commissione cultura di Palazzo vecchio”.
La stampa informa che Nardella negli States è stato “ospite del Dipartimento di stato americano nell’ambito di un programma internazionale di scambio”, e che è ritornato dalla missione speciale con sei progetti, uno dei quali, intitolato Cento canti a Washington, lo ha “inventato dal presidente della Provincia Renzi per la rassegna del ‘Genio fiorentino’”.
Il progetto renziano “vedrà  coinvolti cittadini americani nella lettura della Divina commedia con la collaborazione di prestigio dell’Istituto italiano di cultura a Washington”.
Il premio fedeltà  non tarda ad arrivare. Nel febbraio 2009 il Berluschino campeggia, in primo piano, sulla copertina del prestigioso settimanale Time, sotto il titolo, roboante e programmatico, “La sinistra italiana ha trovato il suo Obama?”.
È il fatto che Renzi in Usa ha rapporti privilegiati non con i settori progressisti del Partito democratico, ma con gli ambienti più reazionari della destra repubblicana. Infatti, benchè possa risultare incredibile, l’imminente Rottamatore della vecchia partitocrazia italica, l’aspirante giovane leader della “nuova” sinistra italiana, a Washington ha come amico, interlocutore privilegiato e superconsigliere un vecchio personaggio a dir poco imbarazzante: Michael Ledeen.
Un ritratto di Ledeen (con acclusa intervista) lo pubblicò un settimanale vicino a Comunione e liberazione nel marzo del 1992: “Professore di storia, giornalista, studioso di fascismo. Oppure: agente segreto, disinformatore, intrallazzatore”.
Il trait d’union fra Renzi e Michael Ledeen è ancora e sempre Marco Carrai.
Il quale, a proposito dell’imbarazzante personaggio, dichiara al quotidiano confindustriale: “A me piace andare a capire l’intelletto delle persone. Ledeen è una persona intellettualmente viva… come ce ne sono altre diecimila”.

Michele De Lucia

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LUISA TODINI PRESIDENTE DI POSTE ITALIANE NON MOLLA L’INCARICO NEL CDA DELLA RAI

Maggio 15th, 2014 Riccardo Fucile

QUANDO IL CATTIVO ESEMPIO VIENE DALL’ALTO

Luisa Todini è stata da poco nominata presidente delle Poste, il 2 maggio scorso il cda ne ha ratificato la nomina a capo del gruppo italiano delle Poste.
Prima di ricevere dal governo Renzi il nuovo incarico la Todini aveva un altro incarico: membro del cda della Rai.
Un ruolo che la neo presidente di Poste non ha intenzione di lasciare: “Non c’è incompatibilità  – dice a la Stampa – io sono e resto un consigliere della Rai”.
Una posizione ferma che ha trovato la contrarietà  bipartisan: “Non c’è incompatibilità , c’è però una questione di opportunità ” dice sempre a la Stampa il senatore a cinque stelle Airola.
E seppur con modi – scrive Paolo Festuccia – e argomenti diversi la pensa così anche il parlamentare Pd Michele Anzaldi: “Anche io come lei credo che troppe cose bene insieme non si possono fare. Anche perchè la presidente delle poste è chiamata – continua il segretario della commissione di vigilanza Rai – a un impegno gravoso da qui ai prossimi mesi”.
Anche perchè di cose da fare, di aziende da controllare la Todini ne ha eccome: nel settore pubblico e in quello privato.
Oltre Rai e Poste c’è la galassia del gruppo che porta il suo nome, il cda di Salini, la presidenza del Comitato Leonardo e il Foro di dialogo Italia-Russia di cui è co presidente.
Mai come ora le sue parole suonano come un monito: “La mia esperienza – disse – mi ha insegnato che non si possono fare bene insieme troppe cose”.
Modestamente…
Ma se fossero incarichi a titolo gratuito la penserebbe allo stesso modo?

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