Maggio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
IL GOVERNO DEVE TROVARE 20 MILIARDI, POI SARA’ COSTRETTO A RISPARMIARNE 17
«Decideremo domani», aveva detto l’altro ieri Matteo renzi a proposito del Consiglio dei ministri che avrebbe dovuto scegliere il successore di Attilio Befera alla guida di Agenzia delle Entrate.
Quel “domani” renziano sarebbe stato ieri. Ma ieri non si è fatto nulla. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, non si è visto a palazzo Chigi.
Lunedì scorso, su volere della presidenza del Consiglio, il Tesoro ha annunciato con una nota che la scadenza della Tasi slittava da giugno a settembre. Senza poter dare una data precisa: il 16? Il 30? Impazzano le voci, si parla già di un ulteriore slittamento a ottobre.
Tra palazzo Chigi e ministero dell’Economia, insomma, non fila tutto liscio come l’olio. E non è un bel segnale. Perchè dopo le elezioni, da lunedì prossimo, il premier si troverà intasata la scrivania di scadenze. Soprattutto di natura economica.
Intanto entro fine mese deve decidere i 200 milioni di tagli lineari ai ministeri. Entro giugno, invece, si definiranno i 2,1 miliardi di sforbiciate a copertura del decreto Irpef. Regioni e Comuni devono comunicare dove intendono trovare 700 milioni di risparmi ciascuno altrimenti dovrà intervenire il governo centrale, che comunque deve reperire altri 700 milioni a sua volta.
Poi ci sono le urgenze. Ci sono i fondi della cassa integrazione in deroga: le Regioni già lamentano che i fondi scarseggiano. E c’è da rimpinguare il fondo emergenze, dal quale si attingono le risorse per far fronte alle calamità naturali: si è esaurito.
Siamo all’inizio. Bisogna reperire gli oltre dieci miliardi per rifinanziare l’operazione 80 euro per il 2015, un altro miliardo e mezzo per estenderlo agli incampienti (coloro che hanno un reddito da zero a ottomila euro) finora esclusi.
Ci sono poi i tre miliardi della scorsa legge di stabilità da coprire a cui vanno ad aggiungersi i quasi 500 milioni di detrazioni familiari che impegnano la spending review per l’anno in corso.
Già , la revisione della spesa. Cottarelli è stato fatto sparire perchè i suoi tagli rischiavano di spaventare l’elettorato.
Non bisogna credere che il commissario ai risparmi non stia lavorando. Il governo si è impegnato (e il Parlamento lo ha votato) a tagliare la spesa pubblica per 17 miliardi per l’anno prossimo. Una cifra che appare mostruosa se si pensa che per il 2014 è stata tagliata di 3,5 miliardi: quello che sta per arrivare è quasi cinque volte di più.
Insomma, dopo il voto c’è la manovra. Renzi e Padoan (importante perduri la perfetta sintonia) devono solo stabilire quando farla.
O forse è meglio se ne occupi un governo con un mandato popolare?
Fabrizio dell’Orefice
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Maggio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
IL CINQUESTELLE BONO STACCATO, CENTRODESTRA SPACCATO CON TRE CANDIDATI DIVERSI
Dopo cinque mesi il Piemonte avrà un nuovo presidente. I candidati hanno giocato le ultime
carte con gli ultimi appuntamenti prima del silenzio elettorale.
Il favorito è Sergio Chiamparino, l’ex sindaco del capoluogo ed ex presidente della Compagnia di San Paolo, candidato del centro-sinistra sostenuto da Pd, Sel e Moderati.
Contro di lui si schierano Mauro Filingeri per l’Altro Piemonte, Davide Bono per il M5S, l’assessore Gilberto Pichetto Fratin per FI e Lega, il sottosegretario alla giustizia Enrico Costa per Ncd e Guido Crosetto per FdI.
Il vincitore prenderà il posto di Roberto Cota, il presidente leghista destituito a gennaio dal Tar del Piemonte che ha invalidato la sua elezione.
La corsa elettorale
Nel giorno in cui il Tar annulla il voto del 2010, Chiamparino, spinto dalle tante richieste che arrivano dal Pd, si mette a disposizione del partito che lo “incorona” candidato ufficiale a marzo, senza fare le primarie.
Chi invece passa attraverso la selezione dei sostenitori è il M5S: i “grillini” organizzano delle primarie on-line per eleggere i candidati consiglieri che poi, quasi per acclamazione, scelgono Bono quale candidato presidente.
A sinistra invece si cerca un’alternativa più radicale e slegata dai poteri forti del Pd e il nome scelto è quello di un sindacalista 36enne, Filingeri.
Il centrodestra è invece nel caos. La Lega è stata annichilita dalle indagini e gli ex Pdl uccidono sul nascere la coalizione.
Il candidato più forte a livello mediatico è Crosetto, di Fratelli d’Italia, ma gli altri esponenti dell’area non vogliono sottostare all’ex sottosegretario alla difesa.
Così Forza Italia spinge verso Pichetto Fratin, assessore al bilancio di Cota, mentre Ncd presenta il cuneese Costa, sottosegretario alla Giustizia.
Gli ultimi sondaggi pubblici davano la coalizione di Chiamparino in vantaggio intorno al 40 per cento, mentre il M5S, dato sopra il 25 per cento. Il movimento potrebbe comunque risultare il primo partito e dare parecchi grattacapi alla prossima giunta. Oltre a questa difficoltà il futuro presidente dovrà fronteggiarne altre: la Regione ha un debito di quasi dieci miliardi di euro.
Per ripianarlo la giunta Cota ha ridotto le spese per il sociale, in particolare quelle per la scuola e il diritto allo studio, per gli ospedali e l’assistenza medica e quelle per i trasporti, dei tagli che hanno aggravato la situazione dei piemontesi, già colpiti dalla crisi industriale.
Andrea Giambartolomei |
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Maggio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
IL GOVERNATORE USCENTE CHIODI INDAGATO PER I RIMBORSI FACILI, D’ALFONSO A PROCESSO PER AVER FAVORITO IN UN APPALTO LA FAMIGLIA TOTO… E LA CINQUESTELLE MARCOZZI CON UN TESTIMONE DI NOZZE IMBARAZZANTE
Appartengono tutti alla potente famiglia Toto i testimoni di nozze più gettonati dagli aspiranti presidenti della Regione Abruzzo: Carlo Toto lo fu per Luciano D’Alfonso (Pd), mentre suo figlio, Alfonso Toto, lo è stato per Sara Marcozzi (M5S).
Entrambi, padre e figlio, sono imputati con D’Alfonso e altre otto persone nel processo Mare-Monti, attualmente in corso.
In questo procedimento, come in quello denominato Housework – ora in appello — si indaga il rapporto tra D’Alfonso (allora presidente della Provincia di Pescara) e i Toto, titolari della Toto spa, a cui andò l’appalto per la realizzazione della strada Statale 81 che finiva nella riserva naturale del lago di Penne.
Secondo l’accusa, l’appalto venne stravolto al fine di renderlo vantaggioso per l’impresa che controlla anche AirOne e la Società dei Parchi per la gestione delle autostrade A24 e A25.
Così, sebbene sia agli sgoccioli, la campagna elettorale per la poltrona da governatore regionale continua a riservare qualche colpo di scena tra compari d’anello, amicizie rinnegate e frasi criptiche.
I candidati alla presidenza, tutti tranne Maurizio Acerbo di Rifondazione, si sono sottratti il più possibile ai confronti pubblici in tv.
Il presidente uscente Gianni Chiodi, il candidato del centrosinistra Luciano D’Alfonso, e a sorpresa anche la 5 Stelle Sara Marcozzi hanno dato forfait declinando via via gli inviti a partecipare.
Hanno preferito parlare in piazza, nelle associazioni, nelle feste di quartiere, ma senza confrontarsi.
E così da tre si è passati a due, da due a uno e alla fine Acerbo si è ritrovato da solo nello studio di un’emittente locale.
Eppure i momenti più esplosivi di questa campagna elettorale sono stati registrati proprio davanti alle telecamere.
Nel fuorionda dopo una diretta tv, D’Alfonso e Acerbo si sono parlati a cuore aperto. “Io pesco in un bacino elettorale di centinaia di migliaia di persone, tu peschi in un bacino elettorale di tre voti”, gli dice D’Alfonso.
E il leader abruzzese di Rifondazione ribatte: “Ne sono fiero. Anche Ciancimino prendeva 100mila voti. Lui faceva primo come fai tu”.
Sempre in televisione si è registrata la frase più enigmatica e forse anche la più velenosa, quando D’Alfonso rivolgendosi alla Marcozzi la zittisce con un “parliamo di fiaccolate e… certi ingegneri”.
Una frase cifrata, pronunciata a voce più bassa ma colta dai presenti.
A cosa faceva riferimento, forse alla vicenda giudiziaria che anni fa ha visto coinvolto il padre della Marcozzi, noto ingegnere teatino? Lo abbiamo chiesto a D’Alfonso, che “non ricorda”.
Lo abbiamo chiesto alla Marcozzi, e anche lei “non ricorda quella frase”, ma tiene a smentire le voci sul conto del genitore: “Mio padre ha subito un procedimento penale per turbativa d’asta nel quale è stato assolto perchè il fatto non sussiste, e sono passati vent’anni”.
D’Alfonso e Marcozzi non si guardano quasi mai in faccia in quel raro confronto tv: lei non lo attacca, lui si limita a tenerla a bada con frasi enigmatiche.
Eppure i due antagonisti hanno qualcosa in comune, perlomeno qualche amicizia di peso, come quella con l’ingombrante famiglia Toto da cui la Marcozzi prende le distanze. “Alfonso Toto non è stato il mio testimone di nozze, ma quello di mio marito, e mi sono anche separata”, spiega, dividendo i testimoni sull’altare.
Un’altra conoscenza in comune tra D’Alfonso e la 5 Stelle è il parlamentare Pd Giovanni Legnini, anche lui rinnegato dalla candidata grillina che nel suo studio ha svolto gli anni di pratica forense.
“Di solito si cerca di fare pratica in studi prestigiosi”, afferma Marcozzi, “io l’ho fatta lì, ma me ne sono andata perchè non volevo crescere professionalmente e umanamente in quell’ambiente. Il mio è stato un atto di coraggio”.
E ancora c’è un altro rinnegato eccellente nelle parole della giovane candidata (il più ovvio), ed è Gianni Chiodi. In tv ammette di averlo votato alle passate elezioni regionali, ma assicura di essersi pentita: “Questa volta non lo rivoterò”.
Chiodi non può rispondere perchè non è presente. E non ci sarà neppure la volta successiva.
Però si fa sostituire da una missiva in cui spiega come negli ultimi cinque anni si sia sentito “ingiustamente oscurato” dall’emittente televisiva in questione, motivo per cui non onorerà con la sua presenza il dibattito (con buona pace degli elettori abruzzesi). Eppure il presidente uscente, solo qualche mese fa, ha saputo ben utilizzare i mezzi di comunicazione in una conferenza stampa in grande stile, in cui ha provato a venire fuori dall’impasse di un’inchiesta giudiziaria sui “rimborsi facili” per le missioni istituzionali.
Soldi pubblici con cui avrebbe pagato, tra le altre cose, la notte nella famosa stanza 114 dell’hotel Sole di Roma, divisa con una donna poi nominata consigliera di Parità . Nessuna spintarella ha assicurato Chiodi, neppure per la sorella della sua dama, assunta poco dopo in Regione.
Melissa Di Sano
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
“HANNO VANDALIZZATO IL CAMPER DEL GRUPPO EVENTI”: MA SUL WEB SI AVANZANO DUBBI
La notizia viene diffusa su Twitter da “M5S Montecitorio”, quindi dal gruppo Cinquestelle
alla Camera “Assurdo, hanno vandalizzato il camper del Gruppo Eventi @M5SRoma, i ragazzi che stanno organizzando San Giovanni! #m5s pic.twitter.com/oQ7C2Xeb6k”.
Poco dopo viene ripreso da Cinquestelle Roma “Dicono che i #m5s non fa nulla… evidentemente però a qualcuno diamo fastidio! @beppe_grillo #vinciamonoi pic.twitter.com/euZKoMvAkX
I #5Stelle di Roma raccontano quindi che gli hanno vandalizzato il camper.
Un furgone Ford degli anni ’70 (in foto) che avrà un parabrezza vecchio di 40 anni e che qualcuno commenta ironicamente su Fb “semmai s’è rotto da solo perchè c’è cascata sopra una pigna”.
Sul web iniziano le prime perplessità : “ci facciano vedere il libretto di circolazione e il bollino della revisione perchè abbiamo forti dubbi che un mezzo coperto di ruggine con un motore a benzina normale possa passare la revisione”
Poi qualcuno sottolinea: “sul parabrezza c’è solo un buco netto e i vetri sono all’esterno, se vandalizzi un cristallo lo fai crollare tutto. Vedete bene da soli che il vetro è completamente collassato, gli sarebbe bastato sfiorarlo per distruggerlo completamente. Un vandalo molto pigro”
La foto ingrandita è questa: https://pbs.twimg.com/media/BoJ5bTCCQAEYakT.jpg:large
A quel punto Daniela conferma: “Controllando la targa presa da un’altra foto il risultato è che il veicolo non esiste!!!!”
E Marco precisa: “se anche non fosse assicurato o revisionato può benissimo stare nel parcheggio di casa mia, basta che non circoli sulla strada pubblica”
“Come fa un camper così a circolare per i Grandi eventi” diventa il dubbio di molti sul web.
E qualcuno malignamente conclude: “Già che ci siamo, siccome #Grillo circolava in Sicilia con un camper con l’assicurazione scaduta parcheggiando nei posti riservati ai disabili, ci facciano vedere anche l’assicurazione. Mettano in pratica la sparenza #M5S.”
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Maggio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
“VEDO CON SODDISFAZIONE IL POPOLO SOFFRIRE”
Di questi tempi sia la schiena che il cuore stanno dando qualche problema a Licio Gelli.
Il 96enne Venerabile della Loggia P2, nonostante la voce affaticata, mantiene una certa energia verbale: “Lei deve sapere che sono entrato nei Servizi di intelligence dello Stato italiano dopo un incontro con Mussolini che voleva conoscermi. Io, il volontario ‘Licio Gommina’ della guerra civile di Spagna, nella quale aveva perso la vita mio fratello. Il Duce mi chiese quale poteva essere la ricompensa che lo Stato italiano poteva dare alla mia famiglia. In quella occasione, gli dissi che senz’altro mi sarebbe interessato conoscere il mondo dei Servizi segreti… Da allora non ne sono più uscito”.
Ma che ne pensa dell’attualità italiana e di Renzi?
Renzi è un bambinone, visto il suo comportamento che è pieno di parole e molto ridotto nei fatti: non è destinato a durare a lungo… Comunque, non è mai stato (nè lui nè i suoi familiari) nella massoneria. Vedo che nel suo governo ci sono molte giovani donne che io personalmente vedrei molto meglio a occuparsi d’altro… ”.
E le riforme del premier?
Quelle di Renzi, per la legge elettorale e il Senato, sono goffe. Per quanto riguarda Palazzo Madama, mi fa piacere pensare che, nonostante tutti mi abbiano vituperato, sotto sotto mi considerano un lungimirante propositore di leggi; una quarantina di anni fa, con Rodolfo Pacciardi, scrivemmo, su invito dell’allora presidente Giovanni Leone, il cosiddetto Piano R., di Rinascita nazionale. Prevedeva una serie di norme e riforme che avrebbero potuto creare i fondamenti per uno Stato più efficace. Leone fu eletto presidente della Repubblica grazie ai voti della massoneria: lui mi ringraziò e poi mi chiese questo contributo. Così gli facemmo avere il testo del Piano R., cui lui non diede mai alcun riscontro e, anzi, da allora evitò di incontrarmi… Riguardo al Piano di Rinascita democratica, sfogliando le pagine di quel testo, si ritrova – nella parte riguardante le riforme istituzionali – una quasi totale abolizione del Senato. Riducendone drasticamente il numero dei membri, aumentando la quota di quelli scelti dal presidente della Repubblica e attribuendo al Senato una competenza limitata alle sole materie di natura economica e finanziaria, con l’esclusione di ogni altro atto di natura politica. L’intento era ed è ancora oggi chiaro. Dare un taglio effettivo a un ramo del Parlamento che, storicamente, ha maggiore saggezza e cultura non solo politica, a favore di una maggiore velocità nel fare leggi e riforme. Ricordo di averne parlato in seguito, quando veniva a trovarmi ad Arezzo, anche con la mia amica Camilla Cederna”
In tema di amici, che ne pensa della carriera letteraria di Luigi Bisignani?
Più che mio amico, Luigi è mio figlioccio. Quando era ancora giovane, dopo la scomparsa di suo padre, sia io che Gaetano Stammati ci prendemmo cura di lui. Avevo e ho sempre avuto una grande stima di Luigi. Tanto che, quando nacque il progetto dell’Organizzazione Mondiale del Pensiero e dell’Assistenza Massonica, a Roma, il 1 gennaio 1975, decidemmo di affidargli l’incarico di addetto stampa, perchè eravamo certi di poter fare pieno assegnamento sulla sua preziosa collaborazione… ”.
Lei con la Svizzera ha un rapporto particolare, conosce bene le galere ma anche le banche di quel Paese…
Sì, soprattutto quando mi sono stati sottratti dai giudici milanesi diversi milioni di franchi che risultavano il frutto lecito di mia mediazione internazionale e che furono destinati a risarcire piccoli azionisti del Banco Ambrosiano dopo le note vicende che mi videro ingiustamente coinvolto. Ma nonostante tutto, ho accettato questo risarcimento forzato. La cosa più sorprendente, però, è che quei soldi non sono stati mai destinati a piccoli azionisti, tanto che da tempo io, assieme al loro legale, l’avvocato Gianfranco Lenzini di Milano, ho presentato richiesta di chiarimenti in tutte le sedi, ma senza alcun risultato”.
Come spiega il caso Renzi, la sua veloce ascesa, e cosa prevede per il futuro?
Beh, Renzi è un fenomeno parzialmente italiano, e mi risulta che fra i suoi mentori politici ci siano persone che vivono a Washington. È circondato, però, da mezze tacche: gli ex lacchè di Berlusconi. Fini, che ho conosciuto bene, quando faceva l’attendente ossequioso di Giorgio Almirante cui prestavo denari per il Msi. Soldi sempre resi… quello sì che era uomo di parola. E poi Schifani, Alfano: personaggi non certo di livello. Berlusconi ha sbagliato con le giovani donne, ma soprattutto circondandosi di personaggi di bassa levatura… Penso a Verdini, un mediocre uomo di finanza; è un massone… credo, ma non della nostra squadra. Il più alto livello di maturità politica in Italia c’è stato con Cossiga e Andreotti che avevano entrambi dei sistemi di controllo politico, uno con ‘Gladio’ e l’altro con ‘Anello’, cosa che Berlusconi non è mai riuscito a ripetere. E si sono visti i risultati di questa sua incapacità … ”.
Per concludere, che ne pensa dell’Italia, e del suo futuro?
Non le nascondo che vedo, con una certa soddisfazione, il popolo soffrire. Non mi fraintenda: non sono felice di questa situazione. Sono felice, invece, che vengano sempre più a galla le responsabilità della cattiva politica. Perchè, probabilmente, solo un tributo di sangue potrà dare una svolta, diciamo pure rivoluzionaria, a questa povera Italia”.
Marco Dolcetta
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
BILANCIO DELLA CAMPAGNA “RIPARTE IL FUTURO” SULLE CANDIDATURE: SU 282 FIRME TOTALI QUELLE CHE ARRIVANO DALL’ITALIA SONO SOLO IL 29,4%, DI CUI IL 26,5% DI APPARTENENTI “L’ALTRA EUROPA PER TSIPRAS”
Europee 2014, i candidati italiani sono “poco trasparenti”. È il bilancio finale della campagna
sulle candidature al Parlamento di Strasburgo “Riparte il futuro”, promossa dalle associazioni Libera e gruppo Abele in collaborazione con Avviso pubblico, Mafia nein danke (in Germania), Libera France e Anticor (in Francia).
La fotografia finale, scattata a meno di una settimana dal voto, è impietosa: dei 282 candidati europei che hanno sottoscritto gli impegni di trasparenza previsti dall’iniziativa (nata nel nostro Paese), solo 83 sono italiani, il 29,4% del totale.
Il maggior numero di adesioni proviene da L’altra Europa con Tsipras, seguito da Pd, M5S e Green Italia. Mentre chiudono la classifica Forza Italia, Lega nord e Fratelli d’Italia.
La campagna “Riparte il futuro”, la mobilitazione digitale più grande d’Italia sui temi della corruzione, forte di 500mila firme dei cittadini, chiedeva ai candidati al Parlamento europeo di impegnarsi su pochi e concreti compiti: per gli italiani, quello di rendere pubblici il proprio curriculum vitae, la condizione patrimoniale e reddituale, una dichiarazione sulla loro storia giudiziaria e i potenziali conflitti d’interesse.
Per tutti, italiani e stranieri, l’impegno alla costituzione, se eletti, di un intergruppo contro la corruzione e le mafie che, attraverso concreti interventi normativi, rilanci il contrasto al crimine organizzato e all’illegalità .
Tra le quasi 300 adesioni europee si contano quelle del presidente del parlamento europeo Martin Schulz, del greco Alexis Tsipras e dell’eurodeputata spagnola (gruppo socialista) Elena Valenciano.
Al primo posto della classifica nazionale per numero di adesioni figura L’altra Europa per Tsipras, con 22 candidati, pari al 26,5% del totale delle adesioni dall’Italia, seguita dal Partito democratico con 13 adesioni (15,6%). In terza posizione, in parità , Movimento 5 Stelle e Green Italia — Verdi Europei con 11 candidati (13,2%).
Seguono l’Idv, 9 adesioni (10,8%), Scelta Europea, 7 adesioni (8,4%) e il Nuovo Centrodestra-Udc 4 adesioni (4,81%).
Agli ultimi tre posti Forza Italia, con 3 candidati (3,6%), Lega Nord con due nomi (2,4% del totale) e Fratelli d’Italia, con l’1,2% e una sola adesione alla campagna sulla trasparenza e la lotta alla corruzione.
“Mentre in Europa i candidati firmano e ci mettono la faccia, in Italia i candidati che hanno accettato di aderire alla campagna di “Riparte il futuro”, sostenuta da oltre 500.000 cittadini, sono ancora troppo pochi. Di fronte al ripetersi di scandali come quelli dell’Expo 2015 — spiega Enrico Fontana, coordinatore nazionale di Libera — servono cambiamenti concreti e verificabili. E la risposta deve arrivare dalla politica. Con leggi più efficaci e candidature trasparenti”.
Elena Ciccarello
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Maggio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
INDAGATO PER AGGIOTAGGIO L’AD CIMBRI… IL GRUPPO CROLLA IN BORSA PER L’INDAGINE DEI PM DI MILANO: CONTESTATI I CONTI ALLA BASE DELLA FUSIONE CON LA COMPAGNIA DEI LIGRESTI
E se il salvatore fosse più malmesso del salvato? Se il medico fosse più malato del paziente?
Quando Unipol “salvò” Fonsai, questa era solo un’ipotesi giornalistica, aspramente contrastata dai protagonisti.
Ora è diventata atti d’indagine: ieri i finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria di Roma, guidati dal colonnello Giuseppe Bottillo, sono andati a perquisire gli uffici bolognesi di Carlo Cimbri, amministratore delegato di Unipol-Sai, la supercompagnia d’assicurazioni nata dalla fusione di Unipol (area coop rosse) e Fonsai (gruppo Ligresti).
Hanno chiesto documenti anche alla Consob di Giuseppe Vegas, l’Autorità di controllo che avrebbe dovuto vigilare sulla fusione.
Cimbri è indagato dalla Procura di Milano, pm Luigi Orsi, per aggiotaggio: avrebbe continuativamente fornito al mercato informazioni non vere sul valore della sua compagnia, durante il lungo percorso che ha portato al matrimonio d’interesse tra l’“assicurazione dei comunisti” e le aziende in difficoltà di Salvatore Ligresti.
Indagati per aggiotaggio anche i “testimoni degli sposi”, due di parte Unipol (oltre a Cimbri, Vanes Galanti, allora presidente del consiglio d’amministrazione di Unipol Assicurazioni) e due di parte Ligresti (Roberto Giay, già amministratore delegato di Premafin Finanziaria, e Fabio Cerchiai, ex presidente del consiglio di amministrazione di Milano Assicurazioni).
Le false comunicazioni, secondo l’ipotesi d’accusa, riguardano i derivati che riempivano la pancia di Unipol al momento della fusione e che avrebbero un valore di molto inferiore rispetto a quello dichiarato a bilancio.
La storia comincia nel 2012, quando diventa evidente la crisi del gruppo Ligresti.
La nuova Mediobanca di Alberto Nagel, in accordo con Unicredit, chiude i rubinetti del credito a don Salvatore e decide di “salvare” Fonsai.
Per “proteggere la nostra esposizione”, spiegherà Nagel.
Il “salvatore” è individuato in Cimbri, che ha a sua volta un bel pacchetto di debiti nei confronti di Mediobanca: se il matrimonio va in porto, Nagel risolve non uno, ma due problemi.
Quanto vale davvero, però, Unipol? A che valori fissare il concambio Unipol-Fonsai, al momento della fusione?
A questo punto la vicenda si slabbra, i contorni della storia diventano opachi.
Uno studio di Ernst&Young, il “Progetto Plinio” (realizzato su incarico di Fondiaria, quindi di parte) calcola che a fine 2011 Unipol ha un patrimonio netto rettificato di 302 milioni, ben lontano da quello scritto a bilancio come patrimonio contabile (1,1 miliardi di euro).
Anzi, “Plinio” sostiene addirittura che il valore intrinseco della società potrebbe essere negativo. Se fosse vero, la fusione in corso sarebbe destinata a saltare, o almeno a essere conclusa su valori ben diversi da quelli proposti.
La Consob potrebbe diradare la nebbia. Invece contribuisce a confondere le carte.
Una sua sezione tecnica, l’ufficio Analisi quantitative, guidato da Marcello Minenna, sostiene che effettivamente i derivati in pancia a Unipol ne zavorrano il valore.
Il bilancio 2011, per esempio, non avrebbe contabilizzato 2 o 300 milioni di perdite relative a titoli strutturati.
Le perdite potrebbero però essere maggiori, visto che non c’è chiarezza sui titoli infilati nel portafoglio della compagnia bolognese.
Il presidente di Consob, Vegas, mette però in un angolo Minenna e tiene all’oscuro di tutto uno dei commissari, Michele Pezzinga.
E denuncia addirittura per aggiotaggio informativo due giornalisti (Giovanni Pons e Vittoria Puledda, di Repubblica) che avevano osato riportare notizie (vere) sui conti traballanti di Unipol.
Il matrimonio , evidentemente, s’ha da fare. A ogni costo.
Inizia così un lungo, curioso, misterioso ping-pong tra Consob e Unipol, in cui l’Autorità sembra un consulente privato, più che un’agenzia di controllo: raccomanda, suggerisce, consiglia; e il vigilato via via corregge, rettifica, svaluta, depura.
Toglie dal bilancio una quarantina di milioni nel dicembre 2012. Altri 240 milioni nell’aprile 2013. Quindi qualcosa di vero c’era, nei conti choc di “Plinio” e nelle tabelle terribili di Minenna.
A fine 2013 la fusione si fa. Diventa operativa il 6 gennaio 2014, giorno della Befana. Da una parte Unipol, dall’altra le tre società di Ligresti: Prema-fin, Fonsai, Milano Assicurazioni.
È l’unione di due debolezze: Fonsai è uscita devastata dalla gestione dei Ligresti, che pure sono stati nutriti dalla banca di piazzetta Cuccia, tra il 2003 e il 2012, con l’incredibile cifra di 1 miliardo e 200 milioni; Unipol ha un debito con Mediobanca di almeno 400 milioni.
Il risultato è comunque la nascita di un gigante delle polizze, con 10 milioni di clienti, la più grande compagnia assicurativa italiana nel ramo danni, per il resto seconda solo a Generali.
Grande operazione di sistema: buttato alle ortiche don Salvatore Ligresti, che per decenni aveva fedelmente servito il sistema, ma era diventato infine indifendibile, Mediobanca e le altre banche creditrici individuano in Cimbri il nuovo player per continuare a giocare vecchie partite.
Perfetto, nel nuovo clima di larghe intese aperto dall’uscita di scena di Silvio Berlusconi (che deve lasciare la guida del governo) e di Cesare Geronzi (che deve abbandonare le stanze dorate della finanza).
È la rivincita dei “furbetti del quartierino”: la bicamerale degli affari, aperta nel 2005 da Giovanni Consorte, allora presidente di Unipol, oggi è arrivata a compimento.
Peccato si siano messi di mezzo alcuni guastafeste: pochi giornalisti, il commissario Pezzinga, qualche funzionario onesto come Minenna.
E un pm di Milano che ora sta esaminando la documentazione sequestrata ieri in Unipol e in Consob.
Luigi Orsi avrà da lavorare, nelle prossime settimane.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
I MAGISTRATI E LA GRANDE ATTESA PER LA CONFESSIONE
“Se Antonio Iovine parla dei rapporti tra la camorra e la politica potrebbe arrivare fino a Roma.
Potrebbe non fermarsi ai politici del Casertano. Aveva appoggi forti nella capitale e interessi personali negli affari del gioco d’azzardo, attraverso il cugino Mario, nelle società che hanno bisogno di concessioni dai monopoli di Stato”
La notizia che il boss dei Casalesi ha iniziato a collaborare con la giustizia è ancora fresca di stampa mentre Rosaria Capacchione ce ne offre una prima analisi.
La Capacchione, giornalista de Il Mattino in aspettativa da quando è stata eletta senatore nel Pd, vive sotto scorta da sei anni per le minacce del clan.
Ma già nel 1996 il pentito Dario De Simone raccontò ai magistrati di un progetto per ucciderla.
Fu incaricato il cugino di Iovine, Michele, capozona di Casagiove. Doveva procurarsi la foto e fare gli appostamenti. Il piano fu accantonato.
Michele Iovine è stato poi assassinato nel 2008, due mesi prima del proclama in aula dell’avvocato del boss, Michele Santonastaso, in seguito al quale furono decise le misure di protezione per la giornalista.
O Ninno (il Bimbo) canta, i pm della Dda di Napoli Antonello Ardituro e Cesare Sirignano lo ascoltano, l’indiscrezione finisce su Il Mattino e Repubblica, ed ora in molti tremano.
A cominciare da quel grumo oscuro di intrecci tra politica, camorra e imprenditoria intorno al business dell’emergenza rifiuti in Campania.
In atti all’inchiesta su Cipriano Chianese, l’imprenditore leader del traffico illecito della spazzatura in Campania, si trovano le dichiarazioni sulla nascita di Ecologia89, la prima società che tratta l’affare della monnezza: Antonio Iovine ne era di fatto uno dei tre proprietari.
Fu l’atto di nascita dell’ecomafia come ‘sistema’. Un modus operandi creato da Iovine e Francesco Bidognetti, il ‘ministro dei rifiuti’ della camorra, insieme alla parte bidognettiana del clan che aveva i contatti con Licio Gelli tramite Gaetano Cerci, un cugino di Bidognetti, che entrava e usciva da Villa Wanda.
Iovine è nato a San Cipriano d’Aversa 50 anni fa. Insieme a Michele Zagaria si è trovato a reggere le sorti del clan dei Casalesi dopo gli arresti di Francesco Bidognetti e Francesco Schiavone, avvenuti tra il 1993 e il 1998.
Legatissimo alla famiglia Schiavone, ha finito per acquisirne il controllo delle truppe. Condannato all’ergastolo al termine del processo Spartacus, O Ninno è stato catturato il 17 novembre 2010 dopo 14 anni di latitanza.
Durante i quali ha curato affari e strategie della cosca, il traffico di droga, il racket, le infiltrazioni negli appalti pubblici, il modo di riciclare i proventi nel centronord. Trovando però il tempo di viaggiare, conoscere il mondo, fare un po’ di bella vita. Esistono sue foto a Parigi e in Costa Azzurra.
“E’ l’unico dei grandi boss che non è stato catturato in un bunker sottoterra — ricorda la Capacchione — e quindi era l’unico che verosimilmente poteva pentirsi, non avendo legami viscerali col territorio”.
“I pentimenti sinceri — sottolinea il ministro degli Interni Angelino Alfano — giovano al contrasto alle mafie, lo abbiamo scoperto grazie alle intuizioni di grandi magistrati come Giovanni Falcone e abbiamo inferto colpi durissimi alla mafia ed alla ‘ndrangheta. Se la stessa cosa avverrà per la camorra si potrebbero aprire scenari investigativi interessanti e potremmo arrivare alla sconfitta della camorra”.
Il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti ritiene la collaborazione di Iovine “di grande aiuto per le inchieste contro la camorra”.
L’inizio della collaborazione sarebbe avvenuta una decina di giorni fa. Preceduta da un paio di segnali: il cambio degli avvocati e il trasferimento di tutti i parenti a rischio in località segrete: la moglie, Enrichetta Avallone, 45 anni, finita in carcere nel 2008 per una vicenda di estorsione e tornata in libertà nel luglio del 2011; e il figlio, Oreste, 25 anni, che invece è tuttora detenuto: fu fermato il 19 ottobre del 2013, insieme ad altre quattro persone vicine alla fazione del clan guidata dal padre, con l’accusa di associazione mafiosa, estorsione e traffico di droga.
Vincenzo Iurillo
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Maggio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
DA PRIMO MINISTRO DEL VATICANO SINO ALLE CENE A CASA DI BRUNO VESPA E ALLA RETE DI RAPPORTI COI POTENTI
Tarcisio Bertone e il modello della Chiesa trionfante e mondana, sedotta dal potere temporale e dal colore dei soldi.
Scena prima. Roma, piazza di Spagna, nel luglio di quattro anni fa. Il cardinale Bertone esce dalla casa spettacolare di Bruno Vespa e sale a bordo di una Mercedes nera che ha la targa del Vaticano.
Il segretario di Stato della Santa Sede ha partecipato a una cena per le nozze d’oro di Vespa con il giornalismo. Spaghetti alle vongole, filetto di spigola, torta caprese .
Il convivio raduna due banchieri, Cesare Geronzi e Mario Draghi, l’allora premier Silvio Berlusconi e il suo fedele gran visir Gianni Letta, il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini.
Per Berlusconi è un’estate di fuoco. Fini sta preparando la scissione di Fli e B. vuole sostituirlo con Casini. Arrivati quasi alla fine, Berlusconi mette una mano sulla spalla di “Pier” e lo incita: “Dai Pier, ascoltami, saremo noi due, io e te, la nuova Dc”.
Bertone annuisce con evidente soddisfazione, come il vero padrone di casa. Del resto, la reggia di Vespa è di proprietà di Propaganda Fide, controllata dal segretario di Stato.
Al recalcitrante Casini, “Silvio” offre pure una doppia poltrona: vicepremier e ministro degli Esteri.
Andrà diversamente.
Quello scippo alla Cei
Tarcisio Bertone viene nominato segretario di Stato il 15 settembre 2006 da papa Ratzinger. In quel momento è arcivescovo di Genova. Ma i due, il cardinale e Benedetto XVI, vantano un rapporto strettissimo sin dal 1995, quando Bertone va a fare il segretario della Congregazione per la Dottrina per la Fede, l’ex Santa Inquisizione, presieduta proprio da Ratzinger.
Ed è qui che “Tarcisio” inizia a costruire la sua fama di pasticcione con la pubblicazione lacunosa del terzo segreto di Fatima.
Salesiano e juventino, l’inclinazione all’intrigo di Bertone viene fuori con la successione di Camillo Ruini alla Cei, la conferenza dei vescovi italiani. Il segretario di Stato vuole scippare la delega politica alla Cei e così manda questo messaggio, nel 2007, al nuovo presidente Angelo Bagnasco: “I vescovi pensino alla catechesi e alla pastorale, sarà la Santa Sede a occuparsi delle relazioni con le istituzioni politiche”.
Gianni Letta, faccendieri, P4 e massoni
Per gran parte dei sette anni trascorsi alla segreteria di Stato, la rete politica di Bertone coincide con il cerchio magico andreottian-romano di Berlusconi.
Quello di Gianni Letta, ambasciatore di faccendieri pregiudicati e massoni che gestiscono affari, nomine e ministre (Luigi Bisignani della P4) e di gentiluomini di Sua Santità appassionati di incontri gay e appalti (Angelo Balducci della cricca di Anemone e il giovane Marco Simeon). Anche i cardinali fedeli a Bertone orbitano nel centrodestra.
Nei verbali dell’inchiesta Expo, il famigerato Gianstefano Frigerio ostenta rapporti familiari con Giuseppe Versaldi, già agli Affari economici.
Negli atti di un’altra indagine, quella su Scajola e lady Matacena, è invece Francesco Coccopalmerio, altro principe bertoniano della Chiesa, a incoraggiare “Sciaboletta” per la corsa alle prossime Europee.
Un ulteriore link con Scajola è Luciano Zocchi, caposegreteria dell’ex ministro e intimo di Bertone. È tutto quell’universo della Curia bersagliato dai corvi vaticani e finito sotto accusa nella congregazioni segrete tenute prima del conclave che ha eletto papa Francesco.
Il G8 de L’Aquila e il metodo Boffo
Nell’estate del 2009, a Bertone sfugge la mano su una vicenda destinata a segnare la storia del centrodestra. All’Aquila c’è il G8 e Berlusconi è minacciato dagli scandali sessuali che rivelano la sua satiriasi.
Pure il moderato Avvenire, quotidiano della Cei diretto da Dino Boffo, vacilla. Così qualcuno passa al Giornale di Vittorio Feltri la notizia che Boffo è stato condannato per una storia di molestie omosessuali.
La campagna va avanti, con il nome di metodo Boffo, e il direttore di Avvenire si dimette. Tempo dopo, Bertone e un giornalista di primissimo livello verranno indicati come i mandanti delle carte arrivate al Giornale.
La strategia del segretario di Stato si dimostra però autolesionista. La campagna di Feltri fa saltare infatti la cena della pace tra Berlusconi e lo stesso Bertone organizzata da Gianni Letta in occasione della festa della Perdonanza, all’Aquila, alla fine di agosto.
Il primo ministro vaticano avrebbe voluto perdonare pubblicamente il suo omologo italiano per gli scandali a luce rosse ma le nuove tensioni scoppiate con le dimissioni di Boffo azzerano tutto. Un pasticcio da capolavoro.
Quando poi, nel novembre del 2011, Mario Monti sostituisce B. a Palazzo Chigi, a Palazzo Chigi va anche Federico Toniato, pupillo di Bertone.
Uno spettacolo mostruoso e il mistero Simeon
L’inventore della Chiesa trionfante, potenza armata e temporale, è stato Giulio II. Da poco, Einaudi ha pubblicato il bellissimo Giulio di Erasmo da Rotterdam.
Un dialogo tra un papa descritto come ubriacone e omosessuale, e Pietro, il primo pontefice, che non vuole farlo entrare in Paradiso. Giulio si lamenta dell’accoglienza e Pietro risponde: “Quello che vedo è uno spettacolo incredibile, senza precedenti, per non dire mostruoso”. Ecco, Bertone ha fatto vedere uno spettacolo incredibile e mostruoso, senza precedenti.
Al punto che per abbattere il suo potere, i corvi hanno rubato documenti nell’appartamento del papa.
Accanto al potere, Bertone ha coltivato il lusso, tuttora vive in attico di 700 mq, e gli affari finanziari (le mire sul San Raffaele e sull’Istituto Toniolo, la cacciata di Gotti Tedeschi dallo Ior) e l’ombra più incredibile sul suo settennato proviene da Marco Simeon, sconosciuto omosessuale ligure che d’improvviso rimbalzò nel mondo di Geronzi e della Rai.
Protetto di Bertone, Simeon, amico del massone Bisignani, è persino socio di un centro di benessere nel centro di Roma, di proprietà della solita Propaganda Fide.
Il nome del centro è quello di un’icona gay e trans, Priscilla.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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