Maggio 28th, 2014 Riccardo Fucile LAVORANO A UNA LOOSE ASSOCIATION DI 60 EURODEPUTATI DI NOVE PAESI: MA UNO E’ PER LE RINNOVABILI, L’ALTRO PER IL NUCLEARE, UNO PER GLI EUROBOND E L’ALTRO CONTRARIO… LE BASI DELL’ACCORDO: OGNUNO FARA’ QUELLO CHE GLI PARE
Una “loose association”. Con queste parole Nigel Farage ha incuriosito Beppe Grillo. 
Due ore di incontro durante le quali il leader degli indipendentisti inglesi ha spiegato al fondatore del Movimento 5 stelle come vede una collaborazione europea che per i britannici è già cosa fatta.
“Beppe, noi vogliamo fare un gruppo aperto”, ha spiegato il trionfatore delle elezioni oltremanica durante centoventi minuti di conversazione, un po’ in inglese un po’ in italiano, entrambi assistiti dai rispettivi staff. Grillo ha varcato il portone affiancato da Claudio Messora, che con sapienza sta tessendo i contatti a Bruxelles, Farage è uscito alla chetichella dal suo ufficio, per evitare i giornalisti.
Un incontro che ha fatto emergere posizioni dissonanti.
Il leader stellato ha molto insistito sul tasto delle energie rinnovabili, il suo interlocutore è un accanito sostenitore del nucleare.
L’ex comico ha rilanciato con gli eurobond, ma il britannico da quell’orecchio non ci vuol proprio sentire.
Fonti dell’Ukip raccontano che le rughe sulla fronte di Grillo si siano distese quando Farage ha pronunciato le due paroline magiche: “loose association”.
“Beppe – gli ha spiegato – io non voglio fare una cosa chiusa, militarizzata. Siamo tutti diversi, ognuno ha le sue specificità . Io voglio semplicemente che ci si sieda attorno a un tavolo, e si cerchi una posizione comune su tutti i vari temi. Se non ci si riesce ognuno è libero di votare come vuole, l’Europa è bella perchè è varia”.
Parole che sono suonate come il miele per il fondatore del M5s, che ha la preoccupazione di gestire le perplessità di tanti che nel Movimento non vedono di buon occhio l’alleanza.
Ma lo staff è tranquillo: nel codice di comportamento dei candidati all’europarlamento si fa esplicito riferimento a Grillo come unico titolato a seguire la partita delle trattative. Il passaggio sulla rete rappresenta solo una fase successiva.
Gli inglesi sono rimasti colpiti dalla grande intesa che si è subito sviluppata tra i due, tra grandi sorrisi, battute e pacche sulle spalle.
La loro pianificazione è a un punto avanzato: “Abbiamo già l’appoggio di partiti di otto diversi paese – raccontano – se entrassero anche i grillini potremmo contare su oltre sessanta deputati, il quarto gruppo a Strasburgo, più numeroso dei Verdi”.
Gli ecologisti oggi hanno sbattuto la porta in faccia al Movimento: “Le differenze sono troppo grandi, con loro non ci alleiamo”, hanno fatto sapere.
Un ulteriore elemento per far dire agli sherpa di Farage, una volta usciti dall’incontro, che “l’accordo è praticamente fatto”.
Dal fronte stellato sono più cauti, parlano di feedback positivi, ma spiegano che “il cantiere è ancora aperto”.
La campana britannica è più ottimista, ma la sostanza non cambia. Grillo ha posto come condizione essenziale che il nome Efd – Europa della libertà e della democrazia – venga cambiato. Era il gruppo che nel Parlamento uscente ospitava la Lega, e la delegazione italiana vuole evitare qualsiasi possibilità di accostamento con il passato.
Farage ha sorriso: “Certo Beppe, abbiamo già pensato a questo. Noi proponiamo un nome diverso: che ne dici di Alleanza per l’Europa?”. Grillo ha annuito, ci ha riflettuto su e ha ribadito: “Mi sembra un ottimo nome. Vorrei solo che vi venisse inserito qualche riferimento alla democrazia diretta”.
Obiezione accolta dal leader dell’Ukip, che ha già dato incarico di studiare una variazione sul tema.
Altra condizione imprescindibile posta dall’ex comico è stata la più totale distanza dal gruppo neopopulista di Marine Le Pen.
Anche qui ha trovato una porta aperta: “Da loro abbiamo già preso le distanze – è stata la risposta – su quello non ti devi preoccupare”.
Tanti i punti d’intesa nelle due ore di colloquio. Farage ha rassicurato Grillo sul fronte immigrazione, uno dei nodi che più lo preoccupavano alla vigilia della trasferta belga.
Ha magnificato il contributo degli immigrati in Gran Bretagna, provenienti dalle ex colonie nei cinque continenti: “L’unica cosa che noi vogliamo è avere regole comuni e certe”.
“Anche per noi è così – ha convenuto il megafono dei 5 stelle – non siamo contro gli immigrati, ma non è possibile che l’Europa abbia mille coste e il problema venga scaricato unicamente sui paesi di primo arrivo. Vogliamo che Strasburgo se ne faccia carico”.
Nell'”organizzazione blanda” che prevede Farage Ukip e M5s marceranno compatti sul fronte economico (eurobond a parte).
Farage, provenendo da un paese che batte moneta propria, è meno sensibile al tema euro, ma la battaglia contro l’austerity di Angela Merkel è stato uno dei temi su cui è stata registrata massima sintonia.
I due hanno suonato lo stesso spartito anche sul tema trasparenza: “L’Europa è una macchina oscura dalla quale non esce nulla, della quale si fa fatica a capire il funzionamento”, ha spiegato Farage. Trasparenza dei meccanismi e massima informazione ai cittadini sono due dei punti che costituiranno la base del rapporto fra i due.
Che si torneranno a vedere nelle prossime settimane, lasciando che i capi delle diplomazie Claudio Messora e Emmanuel Bordez limino i dettagli e sciolgano i nodi ancora insoluti.
Anche se la parolina magica “loose association” è la medicina che ha fatto sorridere Grillo.
Altro che Maalox.
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 28th, 2014 Riccardo Fucile LA BASE CINQUESTELLE CONTESTA IL CURRICULUM DI GIULIANA MOI: DELLE SUE VANTATE SCOPERTE NON C’E’ TRACCIA… E SI SCOPRE CHE NEL 2010 SI ERA PRESENTATA CON L’UNIONE CRISTIANI POPOLARI
Se la trasparenza diventa un mantra, il dogma che rende possibile la partecipazione politica, ogni spazio opaco rischia di alimentare sfiducia e critiche.
Soprattutto dalle parti del MoVimento Cinque Stelle, che proprio della trasparenza ha fatto la sua bandiera.
Ad essere “accusata” di poca chiarezza è Giulia Moi, sarda, neo eletta a Bruxelles.
A puntare il dito sono alcuni militanti grillini, che le chiedono maggiore precisione sul curriculum da lei presentato al MoVimento.
Poche righe, in cui la Moi dichiara di aver “scoperto una molecola efficace nella cura della leucemia e del melanoma”.
I militanti chiedono delucidazioni.
La risposta della Moi: “I vincoli contrattuali a cui è sottoposta la mia ricerca mi impediscono di fornire ulteriori precisazioni”.
Una risposta che non si allontana dal novero del possibile. Ma che molti grillini ritengono evasiva. E le domande non si fermano.
Inizia tutto quando il curriculum della nuova europarlamentare viene pubblicato sul portale che nel sito di Beppe Grillo è dedicato alle europee.
La Moi, laureata in Scienze Biologiche, elenca i passi della propria carriera. Tra cui una specializzazione al King’s College di Londra.
Poi un link a una sua pubblicazione, del 2007, e la seguente dichiarazione: “Ho scoperto una molecola proveniente da una pianta della foresta Sud-Africana efficace per la leucemia e il melanoma, premiata per la scoperta dal King’s College e dalla Stiefel/GSK”.
E qui, secondo i militanti del MoVimento, iniziano i problemi.
A metà maggio, sul sito movimentocinquestelle.eu, compare una lettera aperta rivolta alla Moi e sottoscritta da parecchie decine di persone.
Vi si legge: “Della sua dichiarata attività di ricercatrice non ha fornito alcun riscontro, nè è possibile trovarne in Internet?”.
Ancora: “Dichiara di aver scoperto una molecola efficace nella cura della Leucemia”. Infine le questioni aperte: “Ci può dire come si chiama questa molecola? Quali premi ha ricevuto? Si tratta di un lavoro individuale o di un team di ricerca?”.
E le domande arrivano perchè “di questa scoperta così come della sua specializzazione e ricerca post-dottorato non riusciamo a trovare pubblicazioni in merito”.
La lente dei grillini si fa spietata. E “dalla rete” non arriva nessun riscontro.
La pubblicazione indicata – della quale peraltro su Google Books, al link fornito dalla Moi nel suo curriculum, è disponibile solo il titolo e il numero di pagine – risulta essere l’unica.
Si tratta della sua tesi di dottorato. Fin qui nessuno dubbio. Poi nessun altro articolo, nessuna altra pubblicazione, neanche collettiva.
Del resto, l’interesse della comunità scientifica per le proprietà anti tumorali della Kingelia Pinnata – la pianta africana oggetto di ricerca della Moi – risale ai primi anni ’80.
E studi importanti sono stati effettuati nel 1994 e intorno al 2000. Ben prima del 2007, quindi. E anche dopo il 2007, le più importanti pubblicazioni sulla Kingelia non riportano il nome della Moi.
Dopo la lettera dei militanti, passano poche ore e arriva la risposta della futura europarlamentare. “Da giorni gira una lettera di accuse nei miei confronti. È stata messo in discussione il mio Phd. Inoltre chi è ricercatore sa bene che i progetti di ricerca finanziati da compagnie internazionali possono essere soggetti a restrizioni di pubblicazione dati sul lavoro svolto a causa di strettissimi vincoli contrattuali”.
Tutto possibile.
Ma qui la questione diventa politica: come si coniuga l’impianto ideologico del MoVimento Cinque Stelle – trasparenza, aprire tutto come una scatola di sardine, il palazzo di vetro – con le “restrizioni” imposte dalle “compagnie internazionali”, cioè dalle multinazionali della farmacologia?
E soprattutto: che ricadute ha – sull’etica professionale e sulla vita dei malati – ammettere che una scoperta che potrebbe aiutare la cura della leucemia è soggetta, appunto, a simili restrizioni?
Contattato da Repubblica.it, lo staff della Moi aggiunge: “Giulia ha lavorato per il suo Phd a Londra. Esito di anni di impegno. Lì ha ricevuto una borsa di studio. Nei termini del contratto erano presenti alcuni vincoli: tutte le “scoperte” e gli esiti della ricerca sarebbero restati nelle mani dei committenti”. Ovvero della Stiefel\Gsk.
“Poi Giulia è tornata in Sardegna. Voleva continuare la sua ricerca ispirata come sempre dall’animalismo, per questo ‘lavora’ sulle piante”.
Ancora: “Ma qui ha trovato solo impedimenti e una burocrazia asfissiante. Perciò decide di impegnarsi in politica”.
I primi passi non sono tra i Cinque Stelle. ” Sì. È vero: c’è stata una candidatura nell’Unione Popolare Cristiana, nel 2010″.
Da riempi-lista la Moi ottiene 16 voti. Poi la scelta di entrare nel MoVimento. Proprio per combattere contro le zone grigie del Paese.
Ma le domande continuano ad attraversare l’animo dei militanti.
I commenti sul sito movimentocinquestelle.eu sono ancora lì. Osservazioni e critiche. Ma anche tante “difese”.
Dario Fassini scrive: “Se ha fatto un brevetto non vedo perchè lo tenga nascosto, se non ha ancora brevettato mi pare strano che dica ai quattro venti che nella pianta tal dei tali c’è una molecola contro leucemie e melanomi”.
Ma i più, criticano proprio la scarsa trasparenza: “Bisogna far luce su questa cosa”, “Fate chiarezza”, “Trovo normale chiedere delle delucidazioni”.
Delucidazioni che si trovano nella zona grigia tra “diritto a sapere” e “ragioni delle multinazionali”.
Carmine Saviano
(da “La Repubblica”)
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Maggio 28th, 2014 Riccardo Fucile LA BEFFA DEI TICKET, COSI’ TRIPLICA IL PREZZO DI UN TEST
.Gli italiani saranno forse tutti uguali davanti alla legge, ma per quanto riguarda il diritto alla
salute non sembra proprio.
Tra i costi degli esami e tempo necessario per avere un appuntamento col medico, il nostro paese sembra una giungla in cui perdersi.
Perchè tutto cambia a seconda del reddito e soprattutto in base a dove vivi.
Basta fare qualche decina di chilometri e gli stessi identici test clinici possono costare anche il triplo e la lista di attesa allungarsi a dismisura.
Così per farsi visitare da uno specialista in Valle d’Aosta il 35 per cento dei pazienti aspetta una settimana, nel Lazio questa fortuna capita solo al 14 per cento di loro.
A fotografare il rapporto degli italiani col sistema sanitario, nell’anno in cui per la crisi economica il 13 per cento ha rinunciato a farsi curare, è Altroconsumo.
L’associazione, ha messo a confronto quanto si paga per lo stesso servizio da nord a sud, raccontando con un questionario distribuito a 5000 persone come gli italiani boccino la loro sanità regionale.
Su una votazione da 1 a 100 punti ne hanno dati in media solo 57.
Partiamo dai costi.
Con la stangata del superticket, introdotto nel 2011 su ogni ricetta o prestazione del valore di oltre 10 euro, i prezzi sono diventati geograficamente ondivaghi.
Una prima visita specialistica costa dai 18 euro in Basilicata ai 28 in Lombardia per finire al record di 39 euro del Friuli, ovvero più del doppio che a Potenza.
Stesso discorso per gli esami del sangue di routine che possono più che triplicare, passando dai 13,20 di Trento ai 35 delle Marche oppure variano tra i 14 e 44 euro nella stessa Toscana.
A parità di prestazioni, quindi, costi molto diversi.
Questo perchè quattro regioni non applicano il superticket (Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Basilicata e Sardegna), nove lo applicano nella misura dei dieci euro fissi a ricetta, quattro invece, come la Toscana e l’Umbria, lo differenziato a seconda del reddito e altre tre in base al valore della ricetta.
Per dimostrare il peso del superticket sulle nostre tasche, Altroconsumo ha preso in considerazione casi comuni.
Il primo è un sospetto di calcoli renali per i quali il medico di base ha chiesto un esame delle urine, una visita dal nefrologo, una radiografia e un’ecografia.
Dove non si applica il superticket il costo totale è sui 90 euro, ma balza a 160 dove c’è come in Piemonte, mentre in Toscana, dove questo è calcolato in base al reddito al paziente può costare dai 92 ai 212 euro.
Stessa storia per sospetti noduli alla tiroide che prevedono visita dall’endocrinologo, esami del sangue, e un ago aspirato.
Per un costo minimo in Basilicata di 118 euro, in Friuli di 177 euro e un’oscillazione tra questi due estremi in alcune regioni come l’Umbria dove il superticket viene calcolato in base al reddito.
Variabili anche i tariffari regionali, che sono quanto versa la regione alla struttura che fa il test o la visita, e a quali bisogna aggiungere il superticket per capire quanto poi alla fine paga il cittadino.
Così in Abruzzo il tariffario prevede per una radiografia al torace 15,49 euro mentre in Friuli per la stessa prestazione è previsto quasi il doppio: 27,90.
Una radiografia al polso in Campania è valutata 14,20 euro mentre nel Veneto ben 27,90. In Puglia un elettrocardiogramma è messo in tariffario a 10,81 euro contro i 15 euro del Friuli.
Per un esame delle urine il costo nella provincia autonoma di Trento è di 1,85 euro, quasi tre volte tanto in Piemonte.
Il superticket, secondo l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, ha fatto diminuire del 17-20 per cento in un anno le prestazioni.
«E a guardare questi dati è comprensibile, perchè è palese la disparità dei cittadini sulla salute, che è legata alla regione in cui vivono e al reddito. Il tutto a dispetto dall’uguaglianza sancita dalla Costituzione », commenta Paolo Martinello, presidente di Altroconsumo.
Caterina Pasolini
(da “La Repubblica”)
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Maggio 28th, 2014 Riccardo Fucile ANTONELLO LIORI E’ L’INDAGATO N° 66, ERA ASSESSORE ALL’INDUSTRIA NELLA GIUNTA CAPPELLACCI
C’è il 66° indagato nell’inchiesta sui fondi ai gruppi del Consiglio regionale: è Antonello Liori (Fratelli d’Italia), ex assessore all’Industria nell’ultima parte della legislatura Cappellacci.
Prima aveva guidato la Sanità e il Lavoro con la bandiera del Pdl (l’ingresso nel partito della Meloni è dell’anno scorso).
Liori, però, non sarebbe l’unico ad aver ricevuto l’avviso di garanzia in questa nuova fase investigativa del pm Marco Cocco che fa comunque riferimento alla XIII legislatura, quando Liori era di An.
È lo stesso ex assessore, l’unico tra i nuovi indagati, ad annunciare pubblicamente il suo ingresso nell’inchiesta bis aperta dalla Procura di Cagliari lo scorso anno.
Liori lo fa con un comunicato stampa diffuso alle 19,30, nel quale si si legge: “Oggi ho ricevuto l’invito del pm Cocco a presentarmi come persona sottoposta ad indagini in relazione all’inchiesta dei fondi dei gruppi regionali. Mi presenterò fiducioso davanti al pubblico ministero, convinto di aver sempre speso i fondi nell’ambito dell’attività politico-istituzionale”.
Liori è dunque il solo di questa probabile rosa di dieci indagati a uscire allo scoperto. E precisa ancora: ”Ovviamente, come dirigente di Fratelli d’Italia, ho informato i vertici nazionali e attendo le loro decisioni a tutela dell’onorabilità del partito”.
Indiscrezioni sugli altri consiglieri regionali (o ex) che hanno ricevuto l’avviso di garanzia, non ce ne sono.
Ma il pm stava procedendo per gruppi, quindi è possibile che la lente della Procura si sia allungata sulla stessa area politica dell’ex assessore.
Il metodo è stato più volte spiegato dallo stesso pubblico ministero, sebbene le indagini sui pidiellini Mario Diana, Onorio Petrini, Sisinnio Piras e Carlo Sanjust siano state accelerate parallelamente alle verifiche fatte sui gruppi del Pd e dell’Udc. Questo perchè la posizione dei 4 berlusconiani veniva considerata grave dalla Procura, tanto che Diana, Piras e Sanjust sono anche finiti in carcere, ma per spese sospette relative alla penultima legislatura, la XIV, dal 2009 al 2014.
Per la Procura di Cagliari, i fondi ai gruppi non venivano usati per finalità politico-istituzionali: di qui il presunto peculato su una torta di 24 milioni spalmati in due legislature.
Finora sono stati condannati solo Adriano Salis (ex Idv) e Piras, entrambi a un anno e otto mesi.
Il primo andato a giudizio col rito abbreviato, mentre il pidiellino ha patteggiato il 6 maggio scorso.
(da “Sardiniapost“)
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Maggio 28th, 2014 Riccardo Fucile “MATTEO HA MANDATO UN MESSAGGIO DI CAMBIAMENTO SENZA AVVENTURA”
“Se Bersani non avesse truccato le primarie, avremmo da due anni un Paese ben governato”.
Chi lo dice?
Fabrizio Rondolino, ex portavoce di D’Alema.
Provi a truccarli Rondolino, tre milioni di voti; poi ne parliamo. Io al massimo ho truccato lo statuto per far correre alle primarie anche Renzi..
Sono in tanti a dire che se alle elezioni del 2013 ci fosse stato Renzi al posto suo, Bersani, non sarebbe finita così.
Guardi, per me la ditta è il partito riformista del secolo, un percorso in cui ognuno fa il suo pezzo di strada. Dopo la caduta del Muro l’Italia si è data un sistema politico provvisorio, occasionale, personalista, demagogico. Per affrontare la decadenza del Paese serve una grande formazione politica che sopravviva ai suoi leader: siano Prodi, Veltroni, Bersani, Renzi.
Resta il fatto che Renzi ha vinto, la vostra generazione no.
Il premier è stato bravissimo, ha trovato un’empatia con un Paese impaziente Sono stato contento nel vedere i volti nuovi del Pd nella notte della vittoria: ma non sono spuntati dal nulla, li abbiamo portati in Parlamento nel 2013. Allora pagammo il prezzo dell’austerità , del sostegno a Monti che doveva evitare il precipizio. Ma conquistammo una base parlamentare che per la prima volta ha consentito al Pd di fare un governo, anzi due. E, a proposito delle ironie su “smacchiamo il giaguaro”…
Ancora?
Berlusconi non ha più potuto imporre leggi ad personam . Senza il risultato del 2013, sarebbe passata una norma di due righe, e avremmo ancora Berlusconi in Parlamento, con Alfano al suo fianco. Un giorno, qualcuno riconoscerà queste cose. Il mio limite è sempre stato vedere le cose nel tempo medio, e non nell’immediato, come si chiede oggi ai politici.
È stato così anche con Grillo?
Vada a rivedersi il famoso streaming, quando avverto i grillini: “Arriverà il momento in cui direte: avremmo potuto dire, avremmo potuto fare”. Sapevo, dai segnali dei giorni precedenti, che avrebbero rifiutato. Ma ero disposto anche a farmi insultare e irridere, pur di dimostrare che ero disponibile a un governo di cambiamento».
Grillo è in calo, dopo il picco del 2013. Come mai?
Quella volta si sfogò il voto innocente a Grillo. Fu un voto in libertà . Il giorno dopo, di fronte all’impotenza e all’allarme, si è affermata una centralità del Pd, su cui Renzi ha investito. Chapeau. È stato bravissimo. Ha trovato un’empatia con un Paese impaziente, dimostrandosi impaziente lui stesso. E ha mandato un messaggio di cambiamento senza avventura.
È la parafrasi di una formula democristiana. In effetti si parla del Pd renziano come di nuova Dc.
In termini di civilizzazione, la Dc insieme con il Pci fece molto; e anche adesso c’è un Paese da tenere insieme, diviso da corporazioni e localismi. Pensi alle sciocchezze su Nord e Sud che si sentono negli stadi. L’altro giorno ero a Bergamo: la campagna elettorale mi ha rimesso in forze, questo Matteo mi ha perfino ridato la salute. Ai bergamaschi ho detto che avremmo dovuto cantare “Canzone marinara” e “Te voglio bene assaje”; perchè sono opere di Donizetti, un loro concittadino.
Parlavamo di nuova Dc.
Qualcuno mi chiede dov’è finita la sinistra. Gli rispondo di non preoccuparsi: la sinistra, intesa come sentimento di eguaglianza e di dignità , è incomprimibile. Il Pd deve esserne il contenitore.
Cosa direbbe oggi a Renzi?
Di spendere in Europa la forza di questo risultato magnifico, aprendo una fase nuova. Non basta sconfiggere l’austerità ; c’è da registrare lo scontro tra l’Europa e la globalizzazione, che ha prodotto populismi anche in Paesi dove la crisi ha morso di meno. Oggi il Nord Europa chiede meno solidarietà , e il Sud meno austerità . Non vorrei che ci si intendesse sui due “meno”: tu allenti un po’ le briglie a casa tua, ma non ti aspettare una politica di solidarietà europea.
Che fare allora?
Fossi in Matteo direi così: non chiediamo sconti o allentamenti; chiediamo una discussione sulle politiche europee che finora hanno prodotto più disoccupazione, più debito, più populismi. La Bce sta lavorando contro la deflazione. Sta a noi trovare un meccanismo per smaltire una parte del debito a costi più bassi. E per investire, anche con gli eurobond, in modo da creare lavoro»
Renzi si è scontrato con la Cgil. Sbaglia?
Renzi deve capire che l’ha votato una parte di quelli che ce l’hanno con la Cgil, ma l’ha votato pure la Cgil. Glielo testimonio io. Superare i ritualismi della concertazione è sacrosanto. Ma l’Italia non può essere un’orchestra felliniana, bisogna parlarsi. Sa come nascono le uniche due leggi che oggi creano un po’ di lavoro? Il bonus per le ristrutturazioni edilizie, che ho voluto io, me lo suggerirono gli artigiani della Cna: non ci sarei mai arrivato. E la legge Sabatini sui macchinari industriali recupera una norma del 1965. Quando si governa ci vuole umiltà . A volte torna utile una cosa antica, o una cosa suggerita da chi vive nel mondo.
A Renzi serve umiltà , quindi?
Molta umiltà . Mi pare che l’abbia capito. Ho apprezzato la sua conferenza stampa dopo il voto
Renzi oggi è premier e segretario del partito. Può mantenere entrambi i ruoli?
Può farne anche tre. Ma non da solo. C’è un proverbio cinese che dice: chi beve si ricordi di chi ha scavato il pozzo. L’albero deve allargare le fronde; purchè non dimentichi le radici
Chi sarà il presidente del Pd?
Non ne ho la più pallida idea. La cosa dirimente è insediare un grande partito riformista che possa giovare al Paese. Ci vogliono sia la velocità che il passo dell’alpino, ma non bastano; bisogna marciare su un solco politico e culturale, bisogna avere radici, perchè verranno anche momenti difficili e servirà tenuta. La situazione economica dell’Italia resta grave.
Ci sono le coperture per gli 80 euro?
Ci sono. Ma molte sono una tantum. Bisognerà trovare le coperture anche per l’anno prossimo, e sarà un passaggio complicato. La spending review non si fermerà ai famosi sprechi; arriverà alle sorgenti della spesa pubblica»
Sta dicendo che Renzi deve saper fare anche politiche impopolari?
Il consenso va costruito anche nel medio periodo. La lotta all’evasione fiscale, ad esempio, può essere impopolare. Ma se sarà condotta a fondo, con tutti gli strumenti a disposizione, dalla tracciabilità alle banche dati, nel medio periodo darà frutto, anche in termini di consenso».
L’Italicum va cambiato?
Sì. Resto convinto che debbano essere rivisti i meccanismi di rappresentanza: sbarramenti, soglia per il premio di maggioranza, scelta dei parlamentari. Siamo democratici e adesso governiamo: dobbiamo garantire per tutti il metodo democratico, non basta più dire che tanto noi facciamo le primarie.
Prima o poi potrebbe riaprirsi la partita del Quirinale. L’ultima volta fu durissima. Come sarà la prossima?
Sarà meno difficile. La prossima volta ci sarà lealtà ».
Aldo Cazzullo
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 28th, 2014 Riccardo Fucile “MISTER PREFERENZE” HA STRACCIATO TOTI E ORA VUOLE LE PRIMARIE, RISCHIO BALCANIZZAZIONE
Un uomo di nome Raffaele Fitto. Il più votato, un mister preferenze rimasto sulla cresta dell’onda nel momento del peggior risultato di sempre per Forza Italia. Condannato in primo grado per corruzione, ma detentore di 284mila voti personali. Unico forzista vincitore nel nulla rappresentato dal resto, soprattutto dallo sconfitto Giovanni Toti.
Un uomo, insomma, che ora è la spina nel fianco più dolorosa per l’ex Cavaliere. L’altra sera, davanti al lungo tavolo della sala da pranzo di Arcore, Silvio Berlusconi, consapevole dell’avvicinarsi di un redde rationem interno al partito difficilmente controllabile, ha messo un punto fermo: “A questo tavolo mi sembra che nessuno abbia intenzione di mettere in discussione la mia leadership, se non sbaglio: i risultati sono sotto gli occhi di tutti e senza di me non so come sarebbe finita”.
Fitto lo ha interrotto, parlando invece della necessità di fare subito le primarie e guardare ad nuovo partito, una frase che ha fatto schizzare la tensione alle stelle. Perchè tutti, per primo il cerchio magico “delle badanti” che ormai tiene in “ostaggio” il leader, ha capito che quella di Fitto altro non era che una vera e propria “opa” lanciata su Forza Italia.
Fitto, insomma, vuole prendersi il partito.
Sennò lo spaccherà e se ne farà uno suo.
Vuole lui la leadership, la pretende dopo il risultato elettorale. Pascale, Rossi, Verdini, ma persino Brunetta, Romani, la Gelmini e Deborah Bergamini sono rimasti impietriti, ma il Cavaliere ha capito subito che non dando seguito a queste richieste di riorganizzazione interna, il risultato non potrà che essere un’ulteriore balcanizzazione di un partito ormai senza bussola.
Teme il complotto, Berlusconi, e ha considerato la richiesta di primarie avanzata da Fitto, come una vera minaccia. Vi ha scorto un invito implicito a farsi da parte.
Ecco perchè ha deciso di non dare segni di cedimento, anticipando ad oggi pomeriggio la resa dei conti nell’ufficio di presidenza di San Lorenzo in Lucina.
Appuntamento al tramonto. Con un Cavaliere deciso a imporre una nuova linea; l’asse con Renzi sulle riforme non ha affatto pagato nell’urna, anzi, l’analisi del voto non ha lasciato dubbi.
Ecco perchè il prossimo passo non potrà prescindere da un ritorno all’opposizione dura su Italicum e riforma del Senato, nel timore — non infondato — che Renzi si prenda tutto, costruendo le nuove norme a sua immagine e somiglianza.
Verdini è netto: “Meglio far saltare la trattativa tenendo la legge attuale, piuttosto che farsi fregare”.
Già , Denis Verdini. Nella faida di queste ore, in palio c’è soprattutto la sua testa, sinonimo di controllo dell’organizzazione interna, che significa anche scelta dei candidati nelle liste, ma non solo.
Il segnale di un suo ridimensionamento era stata la nomina della Rossi ad amministratore di Forza Italia, ma ora il ras toscano vede vacillare anche il suo rapporto con Renzi e, dunque, preferisce il blocco di ogni trattativa piuttosto che lo strappo che potrebbe essere fatale anche — e soprattutto — al suo ruolo accanto al Cavaliere.
Un intricato gioco di scacchi e di convenienze personali, dunque, dentro quella che, vista soprattutto dall’interno, appare come il segnale d’inizio della diaspora.
A Palazzo Madama, è da prima delle elezioni che si parla di una falange di 15 senatori forzisti pronti a migrare chi tra le braccia di Alfano, chi verso il gruppo misto in attesa che si chiarisca il quadro, con una nebbia che, però, stenta a diradarsi in tutto il centrodestra, a causa di tensioni, sospetti e un clima avvelenato che avvolge anche il Nuovo Centrodestra di Alfano.
Tra i “traditori” alfaniani, infatti, il clima non è migliore.
Il risultato elettorale ha fatto riemergere la marginalità della compagine che, a questo punto, avrebbe bisogno di una vera leadership costruttiva, anche solo per poter pensare di non essere polverizzati nelle urne delle prossime politiche.
Che, saranno pure lontane, come dice Renzi, ma vai a sapere.
Ecco che, dunque, la guerra tra Alfano e Lupi (sempre più vicino a lasciare il governo per andare a Strasburgo) si è fatta intestina, con l’attuale leader che non ne vuol sapere di mollare il Viminale per dedicarsi solo al partito, come gli chiede la base.
Di sicuro, c’è che un futuro “apparentamento” con Forza Italia oggi appare più lontano; il Cavaliere guarda alla Lega Nord di Matteo Salvini, non al suo ex delfino, per l’alleanza futura e la ricostruzione del centrodestra.
E i pochi, veri moderati di Forza Italia, questa svolta pesante verso la destra lepenista non hanno alcuna intenzione di avvallarla. Nè di digerirla causa forza maggiore; c’è un limite anche per loro.
La diaspora, dunque, è solo questione di ore. Perchè oggi è il giorno della conta a San Lorenzo in Lucina.
Il mandato del cerchio magico parla anche della spasmodica ricerca di un “nuovo Bonaiuti” capace di tenere sotto controllo l’informazione considerata più ostile; in gioco c’è il nuovo corso possibile, anche in senso mediatico, che per i più lucidi dentro Forza Italia non può che chiamarsi — politicamente — Raffaele Fitto, uno che anche a carichi pendenti se la può battere senza vergogna con il Cavaliere.
E che, soprattutto, ha più voti di tutti, che ha salvato la faccia al partito e che ha “tenuto” strettamente in mano il portafoglio elettorale del Sud.
Un Raffaele Fitto che, insomma, nelle prossime ore, potrebbe diventare il primo, vero nemico del Cavaliere.
La guerra è cominciata.
Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 28th, 2014 Riccardo Fucile I DUBBI SUL VINCITORE E IL TRASFORMISMO ITALICO
Il dato strutturale che emerge dall’esito delle elezioni europee è che il trasformismo rimane una
costante della politica italiana.
Oltre il 40% di elettori ha premiato le promesse e gli annunci riformistici di Matteo Renzi, producendo un miracolo: la trasformazione del Pd e del governo in una sorta di berlusconismo di sinistra.
Il «ciclone» Grillo è stato scongiurato anche con l’aiuto di media che hanno promosso il Pd a qualcosa di diverso da ciò che è stato ed è: l’erede culturale del Pci, un partito ideologico, novecentesco, antiriformista, per la sua componente marxista; antimodernista e totalitario, per la sua parte rousseauiana, quella della «volontà generale».
Il Partito democratico è diventato, con queste elezioni, la «diga», a contrasto dell’estremismo palingenetico, ma senza il disincantato pragmatismo della vecchia Dc, ma il modo con il quale ciò è avvenuto non è incoraggiante per il futuro del Paese.
Renzi è un ragazzotto che se la cava bene a chiacchiere. Non ha altro da esibire; perciò fa dell’ottimismo della volontà la propria bandiera, spacciandola per programma politico.
Ma non pare avere nè la preparazione, nè la forza e la volontà politiche per riformare davvero il Paese e liberarlo dal dispotismo burocratico.
Insomma, secondo copione dopo ogni elezione, qualcosa è cambiato affinchè nulla cambi.
Renzi, sulla scia di Monti, ha aumentato le tasse; il Paese, caduto in una recessione economica devastante, attraversa una crisi culturale dalla quale non si vede come possa uscire.
Ora, gli italiani – lo erano stati per anni quando ancora credevano nelle capacità riformistiche di Berlusconi – attendono, in privato, senza grandi speranze; in pubblico, animati da ottimismo di maniera – che annunci e promesse di Renzi si traducano in fatti.
Scriveva Piero Gobetti agli albori del fascismo: «La lamentata incultura dei deputati rappresenta l’incultura e la confusione del Paese. Le corruzioni demagogiche, le indulgenze verso il parassitismo… corrispondono alle nostre condizioni storiche e indicano appunto l’incapacità e l’impossibilità di porre il problema nostro che determinerebbe ogni chiarezza, il problema dell’antitesi fra Nord e Sud (…) In sostanza, l’Italia, patria di tutte le ideologie e di tutte le ribellioni, si riduce a un Paese di conservatori».
È cambiato qualcosa da allora e dopo vent’anni di fascismo e quasi settanta di democrazia ? A me pare di no.
Siamo il solo Paese al mondo che festeggia una sconfitta bellica e, con essa, la caduta di una dittatura alla quale aveva dato il suo consenso.
I tedeschi non celebrano la sconfitta bellica che non nascondono di dovere agli Usa e all’Urss.
Non festeggiano la caduta del nazismo, perchè l’hanno elaborata e rimossa, con Ragione luterana, dal proprio immaginario e cancellato, con essa, il relativo senso di colpa.
Noi continuiamo a celebrare la caduta del fascismo, agostinianamente il nostro peccato originale del quale non ci siamo ancora liberati, peraltro senza aver riflettuto su ciò che esso è stato e quanto di esso ancora rimanga nelle istituzioni e nel modo di pensare. Il 25 aprile è diventato, così, una sorta di confessione collettiva e liberatoria perchè celebrata in perfetta sintonia con l’altro totalitarismo novecentesco, il comunismo.
Il mestiere che faccio è un ottimo osservatorio per capire gli umori dei miei concittadini.
Molti di quelli che si credono la forza motrice del progresso ripetono, spesso parola per parola, ogni versione ufficiale dei fatti correnti, diligentemente divulgata dai media.
Abbiamo il sistema informativo, nel mondo, più antinomico che ci sia della democrazia.
Siamo individualmente e collettivamente incapaci di esercitare lo spirito critico e, come diceva Gobetti degli italiani della sua epoca, non sappiamo fare opposizione, facciamo (solo) la fronda e (poi) votiamo Mussolini.
Il mito dell’«Uomo della Provvidenza» ha accompagnato gli ultimi tre governi, Monti, Letta, Renzi, nati non attraverso libere elezioni, ma per partenogenesi del presidente della Repubblica, diventato un monarca costituzionale un po’ per ambizione personale, molto per dilatazione «materiale» della Costituzione formale parecchio pasticciata di suo.
In conclusione. Non saranno il successo di Renzi e la sconfitta di Grillo a salvarci.
Ci vuole altro.
Dalla scuola secondaria all’università , dall’Ordinamento giuridico al sistema politico alla cultura dominante, «gli è tutto da rifare», come diceva la buonanima di Bartali. Ma non si vede chi e come lo possa fare.
Uno che assomigli a Bartali non c’è; di certo, Renzi non è, diciamo, Coppi; neppure Magni …
Piero Ostellino
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 28th, 2014 Riccardo Fucile IL MINISTERO ERA GUIDATO DA ALEMANNO…ACCUSA DI CONNIVENZA ANCHE DIANA E DUE SINDACI PD
“So benissimo di quali delitti mi sono macchiato. Sto spiegando un sistema di cui la camorra non è l’unica responsabile”. Sono le prime dichiarazioni del boss dei Casalesi Antonio Iovine che da poco ha deciso di collaborare con la giustizia.
I verbali sono stati depositati in un processo in corso al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Oltre a depositare i verbali, il pm ha chiesto di interrogare Iovine, che dovrebbe riferire vicende legate ai suoi rapporti con imprenditori. Il collegio ha accolto la richiesta e fissato l’interrogatorio per sabato 7 giugno.
Iovine ha rivelato anche che finirono nelle casse del clan dei casalesi alcuni finanziamenti del Ministero dell’Agricoltura per il rimboschimento nell’alto Casertano.
La vicenda viene collocata da Iovine nei primi anni Duemila.
“Si trattava – si sottolinea nel verbale – di lavori appaltati attraverso finanziamenti del Ministero dell’Agricoltura e Della Volpe Vincenzo ottenne di essere colui che avrebbe gestito per conto del clan i relativi appalti”.
Della Volpe, secondo il pentito, “utilizzò anche imprese del napoletano, vivai che avevano le categorie giuste per accedere a questi finanziamenti. Se non sbaglio – ha aggiunto Iovine – questi finanziamenti si riferiscono al periodo in cui il ministro dell’Agricoltura era Alemanno e ricordo il particolare che il ministro venne a San Cipriano per una manifestazione elettorale al cinema Faro su invito di mio nipote Giacomo Caterino, anche lui impegnato in politica tanto che è stato candidato alle elezioni comunali e provinciali ed è stato anche sindaco di San Cipriano”.
‘In questo ambito naturalmente – ha aggiunto Iovine – si deve considerare anche la parte politica ed i sindaci dei comuni i quali avevano l’interesse a favorire essi stessi e alcuni imprenditori in rapporto con il clan per avere dei vantaggi durante le campagne elettorali in termini di voti e finanziamenti. Non aveva alcuna differenza il colore politico del sindaco – ha concluso Iovine – perchè il sistema era ed è operante allo stesso modo”.
“C’erano soldi per tutti in un sistema che era completamente corrotto”, soldi anche per sindaci.
“Generalmente – ha affermato Iovine – io ero del tutto indifferente rispetto a chi si candidava a sindaco nel senso che chiunque avesse vinto automaticamente sarebbe entrato a far parte di questo sistema da noi gestito”.
“Devo però anche dire – ha aggiunto – che altre persone del clan potevano avere passione per la politica e comunque un interesse per un candidato piuttosto che per un altro”.
Esiste, ha detto il boss, una “mentalità casalese inculcata fin da giovani”. È quella che si può definire “la regola del 5 per cento, della raccomandazione, dei favoritismi, la cultura delle mazzette e delle bustarelle che, prima ancora che i camorristi, ha diffuso nel nostro territorio proprio lo Stato che invece è stato proprio assente nell’offrire delle possibilità alternative e legali alla propria popolazione”.
Pur ammettendo le proprie responsabilità in “gravissimi delitti”, nell’interrogatorio reso nei giorni scorsi al pm Ardituro l’ex boss del clan ha affermato: “le nostre condotte sono anche conseguenza di questo abbandono che abbiamo percepito da parte dello Stato”.
Tali considerazioni – ha sottolineato – sono anche alla base della sua decisione di collaborare con la giustizia.
“Forse non mi crederà – ha aggiunto – ma quando nel 2008 il governo emanò dei provvedimenti emergenziali che miravano nelle intenzioni di chi li predispose a dare delle risposte di legalità maggiori per il nostro territorio, io ne fui contento”.
Iovine ha aggiunto: “Anche la parte politica che dovrebbe rappresentare la parte buona dello Stato è stata quantomeno connivente con questo sistema se non complice. Sicuramente era del tutto consapevole di come andavano le cose”.
“Era noto a tutti – ha detto – che quella era un’impresa di Antonio Iovine eppure nessuno si è mai opposto a questo sistema. Per esempio, a San Cipriano una personalità come Lorenzo Diana che pure ha svolto un’azione politica dura di contrasto alla criminalità organizzata facendo parte anche della commissione antimafia, ha permesso che noi continuassimo ad avere questi appalti anche quando erano sindaci Lorenzo Cristiano e Angelo Reccia della sua stessa parte politica. Il sistema – ha concluso – è andato avanti fino al 2008 e allo stesso modo nulla ha avuto da ridire il sindaco Enrico Martinelli che era invece del centrodestra”.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 28th, 2014 Riccardo Fucile CURRO’: “GRILLO SI DIMETTA”… CINQUESTELLE IN FIBRILLAZIONE E LUNEDI’ ASSEMBLEA CONGIUNTA
Gli strateghi della Casaleggio associati pensavano di aver fatto piazza pulita del dissenso. 
E invece le chat interne al Movimento, le riunioni carbonare e le saette lanciate dai dissidenti raccontano un film diverso: Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, per la prima volta, sono sul banco degli imputati.
Non a caso Tommaso Currò si spinge fino all’impronunciabile: «Beppe aveva promesso che in caso di sconfitta avrebbe lasciato. Ora lasci».
Fra i grillini, intanto, cresce il fronte di chi vuole mettersi in gioco sulle riforme.
È stanco, il leader. I falchetti lo implorano di mostrarsi subito a Roma: «Beppe, qui esplode tutto! ».
Lui è netto, però: «Forse non ci siamo capiti: io sono distrutto. Ho bisogno di stare con la mia famiglia. Ora dovete lasciarmi in pace per un po’».
E infatti in serata, a bordo di una Smart, raggiunge un ristorante di Santa Margherita Ligure. Pesce, ostriche e la compagnia di un amico. Ma il pressing sul comico non si allenta, nè Casaleggio può concedergli di sparire dai radar, perchè a Roma c’è chi sta organizzando un vero e proprio processo.
La resa dei conti è prevista in occasione del summit congiunto di deputati e senatori.
Non è ancora fissato, ma potrebbe tenersi solo lunedì prossimo. Spinge per lo slittamento la Casaleggio associati. E d’altra parte il tornante è pericoloso, come dimostra la mail collettiva inoltrata dal capogruppo Giuseppe Brescia: «Lasciamo qualche giorno per elaborare, poi ci incontreremo ».
In tanti però, anche tra i “moderati” del grillismo, esigono un chiarimento: «Qualcosa non ha funzionato ammette Massimo Artini — ora è normale interrogarsi sulle responsabilità ». Un primo assaggio, comunque, ci sarà già stasera, in una riunione aperta ai soli deputati. Non mancheranno le scintille.
E già , perchè i dissidenti sono fuori controllo.
Currò, come detto, picchia duro: «Basta con il cerchio magico dei servitori di Grillo ».
Qualche nome? I Di Battista e Di Maio che «si sentono più puri del puro».
Conversando con l’Espresso, il deputato mostra il petto: «Che mi caccino, se ritengono ».
Non è però solo Currò a farsi sentire. Aris Prodani, per dire, è criptico: «Qualcosa si sta muovendo…».
In effetti, la reazione dei vertici pentastellati l’immobilismo, di fatto — non lascia bene sperare. Per spiegare una sconfitta epocale Grillo si è limitato a un video di un minuto e mezzo circa. Casaleggio neanche quello. E i due leader meditano anche di disertare l’incontro congiunto.
Terreno di scontro, ancora una volta, sarà l’atteggiamento da tenere in Parlamento.
Basta “manette” e atti clamorosi, per cominciare: «Dobbiamo implementare le azioni eclatanti spiega il capogruppo al Senato Maurizio Buccarella — con una comunicazione più “istituzionale” ». E poi sulle riforme sarebbe meglio scongelare un patrimonio di voti parlamentari in freezer: «Altrimenti Renzi — giura Currò — le fa da solo con Berlusconi ».
Soprattutto a Montecitorio c’è chi è pronto a riaprire il dialogo con i democratici.
«Confrontarci non significa allearsi nè sostenere il governo — azzarda Tancredi Turco — ma sedersi attorno a un tavolo per verificare se ci sono punti in comune». In parecchi la pensano così.
E poi ci sono i talk show.
Casaleggio ha già decretato la sospensione temporanea delle ospitate sul piccolo schermo. Vanno interrotte, congelate:
«Ci hanno danneggiato — ragiona il guru — e avevamo ragione a dire che la tv è davvero morta». Ma il vero nodo è la presenza fissa in video di pochi eletti.
Che è poi il tema sollevato prima delle Europee dalla senatrice Serenella Fucksia in una mail interna: «Dobbiamo essere tutti fighetti alla DIBA (Alessandro di Battista, ndr), il più amato dalle italiane, il santo subito?».
Ecco, i dissidenti chiedono lo “scioglimento” del cerchio magico, unico depositario del diritto di talk.
Chi osserva il braccio di ferro con un qualche interesse è Federico Pizzarotti.
Il sindaco di Parma, da mesi sul libro nero della Casaleggio, ha implorato un’autocritica: «È doverosa, dobbiamo riconoscere la sconfitta».
Anche ieri ha contattato i dissidenti della Camera e li incontrerà presto.
Interpreta il malessere Marco Bosi, il suo capogruppo in consiglio comunale: «Se vogliamo diventare forza di governo dobbiamo diventarlo nella maturazione politica prima che nei numeri e nei voti. È ora di dare più spazio a chi si è fatto le ossa».
Mentre a Roma si duella, a Bruxelles si attende l’approdo dei primi pentastellati.
E fervono le trattative per costituire un gruppo con altre forze politiche. L’idea è legarsi agli euroscettici di Nigel Farage. Un movimento conservatore, spiccatamente di destra, con una ragione sociale chiara: l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa. Nascerebbe un’imponente pattuglia di una sessantina di eurodeputati, ma non tutti gradiscono.
C’è chi pensa un’intesa con i Verdi.
E neanche il referendum promesso da Casaleggio per dirimere la questione pare più così certo.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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