Maggio 30th, 2014 Riccardo Fucile
DALL’IMMIGRAZIONE ALLE SPESE MILITARI: I DUE PARTITI HANNO IDEE RADICALMENTE DIVERSE SU DIFESA, AMBIENTE E WELFARE
Dopo le numerose proteste dei militanti, oggi Beppe Grillo ha difeso il suo tentativo di alleanza con il partito di estrema destra Ukip (Uk Independence Party) attraverso un post sul suo blog.
Nella circostanza, il leader M5S ha sottolineato le convergenze tra il partito britannico e il Movimento, come la lotta all’euro e all’Unione Europea di oggi (dalla Germania alla troika), il sostegno alla democrazia diretta, il ripudio della guerra e di ogni razzismo (almeno in linea teorica, perchè diversi esponenti dell’Ukip, tra cui lo stesso Farage, negli ultimi anni si sono distinti per alcune frasi da molti definite xenofobe). Anche altri esponenti del Movimento 5 Stelle, come Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio, hanno difeso Farage, esortando i militanti a non seguire “la stampa di regime”.
Tuttavia, al di là delle polemiche su ultradestra e fascismo, il Movimento 5 Stelle, che a livello nazionale ha sempre esecrato ogni alleanza, sta cercando di unirsi a un partito che ha posizioni molto diverse, a tratti radicalmente opposte, come su immigrazione, difesa ed energia.
Vediamo come, nel dettaglio.
Immigrazione.
La posizione dell’Ukip, seppur ufficialmente antirazzista (in pratica un po’ meno, a sentire alcune dichiarazioni dei suoi esponenti), è stata sempre netta: riduzione del numero degli immigrati sul suolo britannico mediante uno stop agli ingressi di cinque anni e misure molto drastiche sull’espulsione degli immigrati irregolari.
Su questo tema, il Movimento 5 Stelle è stato sempre piuttosto vago, almeno fino a qualche mese fa, quando c’è stato un durissimo scontro interno tra i fondatori Grillo e Casaleggio (a favore del reato di clandestinità ) e i parlamentari (che hanno votato per abolirlo). Alla fine i due leader sono stati sconfessati dagli stessi militanti, che online hanno votato a favore della cancellazione del reato.
Difesa.
E’ uno dei punti più controversi, nonostante il post rassicurante dell’ex comico di oggi. Il Movimento 5 Stelle si è sempre battuto, strenuamente, per tagli radicali alla Difesa italiana, in primis al programma F35, per cui ha chiesto la revoca totale. Nonostante il suo viscerale anti-interventismo, l’Ukip, come scritto nel suo manifesto 2013, ha proposto invece un aumento delle spese militari in Uk del 40 per cento, delle forze militari del 25 per cento e l’acquisto di 50 aerei da guerra e tre nuove portaerei.
Ambiente ed energia.
Uno dei punti cruciali del programma del M5S è il ricorso, assoluto, all’energia pulita. Addirittura, durante il suo ultimo comizio a Milano, Grillo ha annunciato che, in caso di governo pentastellato, il Movimento avvierebbe riforme per far sì che l’energia italiana sia prodotta interamente da fonti pulite e rinnovabili entro il 2020 (obiettivo francamente molto difficile, dal momento che la stessa Germania, che ha già avviato un programma simile, non riuscirà nell’intento prima del 2026).
L’Ukip, al contrario, non vuole investire nelle rinnovabili, ha chiesto il divieto di installazione delle “disgustose” pale eoliche, nega il cambiamento climatico – tanto che anni fa invocava il divie
Una scomoda verità – e ha una politica di sostegno per il carbone e l’energia nucleare. Che, negli obiettivi di Farage, dovrebbe fornire il 50% dell’energia totale.
Europa.
Entrambi i partiti hanno posizioni molto critiche sull’Unione Europea attuale. Ma anche su questo tema non mancano le divergenze.
L’Ukip, partito di un paese che non ha l’euro come valuta, chiede da tempo addirittura l’uscita dall’Unione Europea.
Il Movimento 5 Stelle ha sì chiesto un referendum per uscire dall’euro (di difficilissima attuazione, comunque, perchè non contemplato dalla Costituzione), ma, almeno sinora, non ha mai detto di voler abbandonare l’Ue.
L’Ukip, inoltre, non si riconosce assolutamente nè nella Convenzione di Ginevra sui rifugiati, nè nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Fisco e welfare.
Se il Movimento 5 Stelle ha una posizione molto statalista su diversi punti e propone il reddito di cittadinanza, l’Ukip ha una linea opposta: Farage vuole tagliare radicalmente le tasse (al 31 per cento dagli 11mila euro in su di reddito), rivoluzionare e frammentare il sistema sanitario nazionale “per ridurre gli sprechi” e vuole tagliare la spesa pubblica addirittura ai livelli del 1997, sacrificando così due milioni di lavoratori pubblici.
Antonello Guerrera
(da “La Repubblica”)
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Maggio 30th, 2014 Riccardo Fucile
IL BLOG SOMMERSO DI CRITICHE SULLA POTENZIALE ALLEANZA, ARRIVANO PROTESTE DA ITALIANI IN GRAN BRETAGNA….MOLTI VEDREBBERO BENE UN’INTESA CON I VERDI
La crepa è visibile. E la questione Farage rischia di creare una frattura non ricomponibile tra Beppe Grillo e i militanti a Cinque Stelle.
Perchè, semplicemente, nell’animo degli elettori grillini “uno vale uno” è un principio non derogabile. E perchè tra le “Cinque Stelle” – intese come programma politico del MoVimento – non compaiono nè il razzismo nè le posizioni a dir poco retrograde su donne e omosessuali incarnate dal leader dell’UPIK.
Basta aprire il “blog di Beppe” e le pagine social del MoVimento: contenitori di critiche e di richieste di fare un passo indietro.
Certo, in tanti giustificano la fuga in avanti del capo politico del MoVimento. Ma lo scontro è acceso.
“Farage è un’estremista di destra. Il capo di persone che hanno tutto fuori che il cervello. Mi spiace, ma cadere così in basso non me lo sarei mai aspettato”, scrive Enrico P. da Amsterdam.
Servono a poco le chiarificazioni di Grillo.
Servono a poco i post in difesa della sua scelta, la pubblicazione dello statuto dell’Upik.
Perchè, oltre al contenuto, qui è in discussione la forma attraverso cui è stata presa questa decisione.
Un commento tra i tanti: “Mi associo a quelli che richiedono che siano gli iscritti, attraverso votazione on line sul portale del Movimento, a decidere se ed in quale gruppo inserirsi nel Parlamento Europeo”, scrive Roberto Arnoldi.
Parole chiare a difesa del principio sul quale è fondata tutta l’azione politica e l’esistenza stessa del MoVimento. Perchè “qualsiasi decisione unilaterale violerebbe il principio fondante dello “ognuno vale uno” e della Democrazia Diretta”, ancora Roberto Arnoldi.
Ancora: “È difficile immaginare qualcosa di più antidemocratico e scorretto. Dovevate dirlo prima che volevate associarvi all’UKIP. Avreste preso qualche milione di voti in meno, tra cui il mio, ma almeno sareste stati onesti e fedeli ai principi del Movimento. Continuate così, che alle prossime politiche anzichè l’IVA prenderete un prefisso telefonico”, il commento di Marco M..
E non manca chi scrive a Grillo direttamente dall’Inghilterra.
Testimonianze in presa diretta della vera natura dell’Ukip. Alessandro Cappellotto scrive: “Caro Beppe, come qualcun altro che ha commentato questa notizia, vivo anch’io in Inghilterra da molti anni. Mi spiace, ma credo che tu debba veramente venire qui e passare un po’ di tempo per capire chi cosa è l’UKIP: stai prendendo la strada sbagliata”.
Ancora da Londra il commento di Met Rom: “Ormai diamo proprio di testa: io ci vivo in Inghilterra e so bene chi è Farage e soprattutto con chi si accompagna: razzisti, bigotti, pro nucleare, contro l’energia rinnovabile, uomini forti della City”.
Poi, chi dopo aver partecipato alla campagna elettorale, si sente semplicemente preso in giro: “La prossima volta dovete dirlo dal palco con chi avete intenzione di allearvi nel post-voto così gli elettori saranno in grado di scegliere se votarvi o no”, l’invettiva di Pasquale Corvino.
Non manca chi cerca di fare un passo in avanti. Suggerendo – proprio sulla base del programma politico del MoVimento – di cercare alleanze con altri gruppi del Parlamento Europeo. In tanti insistono sul tema dell’ambiente.
“Il punto delle rinnovabili è centrale. Ripartiamo da lì e cerchiamo un’alleanza con i Verdi”. Posizione molto condivisa.
Da Iacopo Bartolini, per esempio: “Andare con i Verdi è la scelta naturale. Anche perchè se ci alleiamo con l’estrema destra, io lascio tutto”.
E perchè “la politica energetica dell’UKIP a sostegno del carbone e del nucleare mi lascia molto perplesso”.
Una discussione animata, che non accenna a concludersi. Anche perchè si tratta di un’occasione per risolvere la questione identitaria all’interno del MoVimento: “Non vedo l’ora che ci sia un voto sul sito, cosi ci contiamo e capiamo una volta per tutte che valori ed idee abbiamo”.
Carmine Saviano
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Maggio 30th, 2014 Riccardo Fucile
UN’AUTOCRITICA A FASI ALTERNE: LA COMUNICAZIONE RESTA IL TALLLONE D’ACHILLE DEI CINQUESTELLE
Il risultato delle elezioni europee ha fatto scoprire al Movimento 5 Stelle una dimensione inedita: la sconfitta.
Di fronte a una novità , stanno reagendo esattamente come tutti quelli che ci sono passati prima di loro. Scontri, psicodrammi, autoanalisi.
Elaborare una delusione, anche in politica, non è mai stato facile. Ingrediente primo dovrebbe essere una seria autocritica, che però al momento si palesa a fasi alterne.
C’era nel video di Grillo in cui prendeva un Maalox, non c’è nel mirror climbing del “tutto sommato abbiamo vinto”, “è colpa di giornalisti e pensionati”.
O, peggio ancora, nella teoria dei brogli e del complotto.
È vero, come scriveva ieri Di Battista, che in Italia quasi 6 milioni di voti alle Europee sono “un trionfo” per un movimento giovane e anomalo. Il problema è che, dopo mesi di “vinciamo noi”, sarebbe parso deludente anche un 28%.
La comunicazione resta un tallone d’Achille per M5S ed è proprio questo aspetto a rivelarsi nuovamente critico nella elaborazione della sconfitta.
È di ieri la faida tra i “responsabili della comunicazione” e il tandem Grillo-Casaleggio.
Primo aspetto: Biondo, Messora e Casalino hanno fatto molti errori, ma a metterli lì sono stati proprio Grillo e (più che altro) Casaleggio.
In un primo momento c’era pure Martinelli, che durò meno di Tabarez al Milan e fu cacciato dai deputati stessi del Movimento (oggi Martinelli sverna a Matrix ed è bravissimo a desertificare il consenso. Persino più di Becchi).
Secondo aspetto: i responsabili della comunicazione, nel merito, hanno ragione.
Nel dossier scrivono: “Abbiamo trasmesso energia distruttiva”; “L’hashtag #vinciamonoi scelta paradossale con effetto perverso”; “Parlamentari percepiti come saccenti”; “Bisogna prendersi le piazze mediatiche degli altri”. Condivisibile anche Silvia Virgulti, Tv-coach esterna allo staff che — riferiscono fonti parlamentari — ha criticato la comunicazione “negativa” di Grillo e il messaggio “inquietante e non rassicurante” di Casaleggio.
La Virgulti ha ragione anche quando afferma che i voti sarebbero stati molti di meno se i parlamentari più bravi non fossero andati in piazze e tivù.
Casaleggio e Grillo non hanno gradito, ed è un eufemismo, sia per il contenuto (e qui hanno torto) sia per il modo (e qui non hanno torto).
La disillusione ha sdoganato il protagonismo a tutti i costi, tramutando chiunque in eroe che conosce la cura.
Se poi Biondo e Casalino paiono avere le idee chiare, non le hanno sempre avute in passato, ora mandando parlamentari allo sbaraglio mediatico (Carla Ruocco a Otto e mezzo) e ora impedendogli di frequentare determinati talk-show.
Quel dossier doveva restare interno, ma è diventato una mannaia pubblica che erotizza gli avversari. E se i responsabili della comunicazione sbagliano la comunicazione, ricevendo strali anzitutto da chi gli ha dato quel ruolo, il cortocircuito è totale.
Nel delirio generale è rispuntata fuori anche Roberta Lombardi.
Ieri, dopo aver tuonato per la millesima volta contro i dissidenti brutti, sporchi e cattivi, ha oltrepassato la leggenda: “Sui palchi o in tv ci vanno Di Battista, Morra, Di Maio o la sottoscritta semplicemente perchè siamo più bravi”.
Lombardi ha citato nomi effettivamente bravi, eccezion fatta chiaramente per il suo: se tutti i parlamentari fossero come lei, M5S prenderebbe il 2%.
A inizio legislatura ha fatto più danni della grandine e la sua boria esibita in streaming resterà negli annali, eppure non l’ha ancora capito: qualcuno abbia il buon cuore di dirglielo (magari la Virgulti).
Il Movimento 5 Stelle è in difficoltà ed è naturale. Tutto è risolvibile, tranne forse una cosa: l’alleanza con un figuro improponibile come Farage.
Un’idea poco meno che allucinante. Per ora Grillo parla solo di “sondare il terreno”, ma con uno come Farage ci si dovrebbe fermare assai prima: cosa vuoi sondare con uno come Farage? La deputata 5 Stelle Giulia Sarti, che forse adesso verrà inserita tra i “dissidenti” dalle talebane-tafazzi tipo Lombardi, ha detto: “Appena ho saputo dell’incontro, ho pensato: perchè l’Ukip? La sua campagna elettorale l’ho schifata più ancora di quella della Le Pen. Poi se il Movimento facesse un gruppo con l’Ukip, saremmo anche costretti, noi qui in Italia, a votare contro le loro posizioni in Europa, ad esempio sull’immigrazione. M5S non ha nulla in comune con Farage”.
Parole condivisibili e inattaccabili. Da scolpire sulla pietra.
Chissà se Grillo e Casaleggio, per una volta, ammetteranno in tempo lo sbaglio.
Andrea Scanzi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 30th, 2014 Riccardo Fucile
IN AIUTO ALLA FAMIGLIA RIVA, IL GOVERNO SOSTIENE I NUOVI “CAPITANI”… PRESENTE ANCHE EMMA MARCEGAGLIA, PRESIDENTE DELL’ENI… RISCHIA SOLO BONDI
“Un cambio di passo per l’Ilva”. Così ha detto Matteo Renzi ieri, nel corso della direzione Pd, parlando della crisi dello stabilimento di Taranto.
“Un cambio di passo per l’Ilva”. Le stesse, identiche, parole aveva utilizzato la scorsa settimana il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, chiedendo al governo, a nome dei “padroni dell’acciaio”, di finirla con il commissario Enrico Bondi inviato a Taranto dalla famiglia Riva, e poi entrato in rotta di collisione con questi dopo la nomina a commissario straordinario.
Il cambio di passo auspicato da Renzi ha iniziato a prendere forma ieri pomeriggio in una girandola di incontri tra l’esecutivo, i “padroni dell’acciaio” e la famiglia Riva, con i sindacati a fare da osservatori.
Un triangolo incestuoso, al quale non ha esitato a prendere parte anche Emma Marcegaglia, in rappresentanza della famiglia nonostante sia stata appena nominata alla presidenza dell’Eni.
Triangolo che è stato allestito per stringere d’assedio proprio Bondi, il quale al tavolo sul futuro della siderurgia non è stato invitato, mentre è stato ricevuto a Palazzo Chigi per un colloquio con il sottosegretario Graziano Delrio.
Silenzio tombale sull’esito dell’incontro da entrambe le parti, ma il mandato di Bondi scade il 4 giugno.
Nelle stesse ore, al ministero dello Sviluppo economico, si è invece riunito il gotha dell’acciaio per discutere di futuro della siderurgia: Gozzi (Duferco), Arvedi, Marcegaglia (Antonio e Emma), Tenaris, il commissario straordinario della Lucchini, Piero Nardi, fresco di condanna a otto anni dal Tribunale di Taranto per l’amianto all’Ilva, il ministro Federica Guidi, i sindacati.
A latere si è poi avuto l’incontro tra il ministro Guidi e la famiglia Riva.
In ballo c’è l’ipotesi di allestire una “cordata” insieme alla franco-indiana Arcelor-Mittal che garantisca i Riva e i loro, come li definisce Gozzi, “legittimi interessi proprietari”. Interessi che passano per la messa in soffitta del piano industriale predisposto da Bondi, sulla base della vigente legge e definito dai Riva “poco credibile e privo di solidità finanziaria”.
Il piano, che per legge prevede il benestare dei Riva, prevede 4,8 miliardi di investimenti fino al 2020 di cui 1,8 per la bonifica ambientale.
I Riva non hanno gradito il progetto che prevede un prestito-ponte da parte delle banche di 7-800 milioni ma anche — è qui c’è il nodo — l’utilizzo degli 1,8 miliardi sequestrati ai Riva dalla magistratura milanese e che Bondi vorrebbe reinvestire in azienda ai fini dell’ambientalizzazione.
“I legittimi interessi” dei Riva sono qui, oltre che negli asset tarantini.
Nel piano di Bondi, inoltre, non piace l’ipotesi di riconvertire l’azienda nel preridotto di ferro, tecnologia che ridurrebbe le emissioni di anidride e, in prospettiva, eliminerebbe le cokerie.
“Bondi se ne deve andare” ha detto Federacciai la scorsa settimana nella sua assemblea annuale.
I Riva hanno giocato più diplomaticamente ma con l’intervista dell’altro ieri — la prima dopo tanto tempo — concessa al Sole 24 Ore hanno esplicitato i giudizi taglienti sul commissario: “L’unica cosa sicura è che l’Ilva perde 80 milioni al mese, con noi guadagnava”.
Quello di Claudio Riva, figlio di Emilio, l’unico della famiglia titolato a parlare, è un invito agli industriali italiani di tirare fuori i soldi al posto della famiglia.
Il senatore Pd, Massimo Mucchetti, teme invece lo scorporo tra “l’Ilva di Novi e quella di Genova a disposizione dei privati e Taranto a Mittal che ne ridurrebbe la produzione a 5 milioni di tonnellate tagliando l’occupazione”.
La novità resta comunque “il dialogo avviato con Renzi” che ha preso di sorpresa i sindacati dubbiosi sulle reali intenzioni dei nuovi “capitani” dell’acciaio.
“Di cordate all’italiana ne abbiamo viste tante”, spiega al Fatto Marco Bentivogli della Fim-Cisl: “Per l’Alcoa, Terni, Lucchini. Ma alla fine sono sparite tutte”.
Cauta anche la Fiom che più genericamente, con Rosario Rappa, avverte Renzi che “il semestre di presidenza italiano della Ue” è insufficiente per una “soluzione automatica ai problemi del settore”.
Il timore, diffuso, è che tutto ruoti attorno a un nuovo intervento governativo che appoggi l’operazione al ribasso degli industriali italiani.
“Del resto, aggiunge Bentivogli, il profilo dell’imprenditoria italiana si riassume in una Marcegaglia che si rifugia all’Eni o in una Todini alle Poste”.
Bondi, quindi, a meno che non decida di modificare il piano industriale, potrebbe avere i giorni contati.
Lo si deduce anche dalle parole di Nichi Vendola, presidente pugliese: se Renzi vuole chiudere la gestione commissariale sarebbe positivo, dice il leader di Sel, “visto che Bondi era l’uomo scelto dai Riva come amministratore delegato e dal governo come commissario che doveva estromettere gli stessi Riva nella gestione dell’azienda”.
Una contraddizione evidente la cui soluzione, però, oggi significa il ritorno dei Riva.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 30th, 2014 Riccardo Fucile
IL DATO DI BANKITALIA: LA SCELTA IN MANO AI COMUNI
La scelta è in mano ai Comuni. Se l’aliquota Tasi scelta da tutte le amministrazioni sarà quella massima del 2,5 per mille il prelievo sulle prime case salirà del 60% rispetto al 2013, tornano ai livelli dell’Imu 2012.
Se ci si limiterà all’aliquota base dell’1 per mille l’aumento sul 2013 sarà del 12%. È quanto calcola la Banca d’Italia.
Il caso Tasi, dunque, non è ancora finito.
L’accordo per lo slittamento del pagamento al 16 ottobre, che ha di fatto dato la possibilità ai Comuni di rinviare la decisione sulla fissazione delle aliquote, sembrava aver placato gli animi. Ma il braccio di ferro tra Anci e Tesoro va avanti.
I Comuni puntano ad ottenere dal governo l’anticipazione di tutti gli ammanchi in bilancio legati al mancato incasso.
Cosa praticamente fatta per il presidente dell’Anci, Piero Fassino. Ma non così semplice per il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che conferma la compensazione, ma solo nelle disponibilità del governo. Probabilmente non molte dopo l’impegno per il bonus Irpef.
I dati, elaborati dalla Banca d’Italia su dati dell’Agenzia delle Entrate, sono contenuti nella relazione annuale. «Un’analisi per i Comuni capoluogo di regione evidenzia – scrive Bankitalia – una significativa contrazione del prelievo locale sulle abitazioni principali non di lusso nel 2013, complessivamente di circa il 40 per cento».
«Nel 2014, nell’ipotesi di applicazione della Tasi ad aliquota base, il prelievo aumenterebbe di circa il 12 per cento (rimanendo comunque ben al di sotto del livello registrato nel 2012). Se ciascun capoluogo applicasse un’aliquota pari al 2,5 per mille, il prelievo complessivo crescerebbe di oltre il 60 per cento».
L’analisi, spiegano le note, è riferita alle imposte pagate da un nucleo famigliare di 3 persone di cui un figlio convivente con meno di 26 anni, che risiede in un immobile di proprietà con una rendita e superficie pari alla media dei valori stimati per i capoluoghi regionali.
(da “La Stampa”)
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Maggio 30th, 2014 Riccardo Fucile
ORCHESTRATO DA RENZI, SCATTA IL PROGETTO FUSIONE PER SCELTA CIVICA E SEL
Molto c’è da festeggiare per il Pd. Ma Matteo Renzi, scusandosi con “la volontaria dei tortellini di Modena” – che ha tutto il diritto di voler far festa per una vittoria storica del partito alle europee – elenca subito le sfide da vincere e non c’è tempo da perdere.
L’obiettivo è «cambiare l’Italia, cambiare la Ue: l’Europa o cambia o non si salva».
Il primo passo però è affrontare «la madre di tutte le battaglie», cioè quella sul lavoro. Partire anche con una politica industriale di rilancio
Elenca poi il timing delle riforme: il 13 quella della Pubblica amministrazione, il 20 sulla competitività , quindi la delega fiscale.
Giugno sarà un mese cruciale per la riforma del Senato, per quella della giustizia e entro l’estate la nuova legge elettorale dovrà essere stata incassata.
Colpo di acceleratore su tutto anche sul partito che avrà il 14 giugno, data dell’Assemblea nazionale, una nuova segreteria unitaria e il nuovo presidente.
Se qualcuno aveva pensato a una direzione di pacche sulle spalle, complimenti e rinvii, aveva sbagliato.
Il premier-segretario striglia: «Chiediamoci se il 40% è un accidente della storia, un colpo di fortuna o un obiettivo stabile». Per Renzi deve essere «casa nostra, dobbiamo metterci la residenza».
Mostrare di essere a tutti gli effetti ciò che il voto delle europee ha indicato, cioè un «partito della nazione, dell’Italia, della speranza».
Per questo partito hanno votato oltre 11 milioni di italiani e bisogna esserne all’altezza. Quindi le stoccate a Grillo. Innanzitutto sul punto più basso raggiunto in campagna elettorale: la canzone contro Napolitano sul palco grillino.
Rincara: «Si fa lo streaming quando si fanno i dibattiti, ma quando si vanno a trovare i populisti inglesi ci si va di nascosto. M5Stelle sapevano da prima con chi sarebbero stati in Europa». Comunque il Pd di Renzi è il partito della “volontaria dei tortellini di Modena” e dell’artigiano del Nord est. E qui Renzi racconta un retroscena su Bonaccini e Guerini che nella notte del trionfo elettorale hanno evocato Berlinguer e De Gasperi, la storia dell’orgoglio dem.
Renzi è pronto ad accogliere i naufraghi. In direzione è stato chiaro: «Non facciamo campagna acquisti ma dobbiamo essere disponibili a riflettere immaginando che l’orizzonte della legislatura sia quello del 2018».
D’altra parte se l’obiettivo è quello di «fissare la residenza» allo straordinario risultato del 40,8% delle europee, il Pd deve allargarsi ad altri mondi e consolidarsi come il vero «partito della nazione».
Un processo di cui l’incorporazione di Scelta civica, e degli altri centristi che ci staranno, costituisce solo uno dei passaggi.
Lo stesso Mario Monti, dando implicitamente luce verde all’operazione, ha ammesso che «se Renzi avesse vinto contro Bersani, Scelta civica non sarebbe nata».
E ora «l’agenda Renzi è l’agenda Monti». Fosse solo per l’ex premier sarebbe cosa fatta.
Ma nelle stanze dei montiani l’opzione di una resa incondizionata crea divisioni.
Per questo è stato affidato a un comitato di quattro saggi il compito di trovare una via d’uscita, coinvolgendo anche le assemblee locali del movimento.
I più determinati nel percorso di avvicinamento al Nazareno sono Andrea Romano, Irene Tinagli, Linda Lanzillotta e Pietro Ichino.
Proprio dalla Lanzillotta, ex dem, vice presidente del Senato, arriva l’endorsement più netto: «Il Pd di Renzi è quello che avrei voluto quando l’ho lasciato nel 2009».
Sul fronte opposto invece stanno l’ex presidente del partito Alberto Bombassei, Andrea Causin, Gianfranco Librandi, che veleggerebbero verso il Nuovo centrodestra di Alfano.
Quanto al ministro Stefania Giannini, segretario dimissionario, fa premio il rapporto personale con Renzi.
Non si diluiranno subito nel gruppo democratico ma il primo passo sarà un nuovo nome che richiami l’obiettivo della “unità democratica”. Un modo che consentirebbe ai parlamentari mantenere gli uffici che hanno attualmente.
Il Pd allargato a cui pensa Renzi non può guardare solo ai centristi.
La sinistra dem pretende uguale capacità attrattiva anche nei confronti di Sel e dei fuoriusciti 5Stelle.
Quella che Pippo Civati definisce «l’area del nuovo centrosinistra». E molti civatiani stanno insistendo con il vice segretario Lorenzo Guerini perchè lo stesso Civati entri nella segreteria unitaria che partirà a metà giugno. La pax renziana si estende anche alle riforme.
E proprio per trovare un compromesso la presidente Anna Finocchiaro ieri ha spostato alla prossima settimana il termine per la presentazione degli emendamenti al nuovo bicameralismo.
Il «terreno d’atterraggio» studiato da Finocchiaro – anche per venire incontro alle richieste di Ncd, Lega e Forza Italia, che insistono per un Senato elettivo – è quello di un’elezione alla francese, di secondo grado, da parte di una vasta platea di amministratori locali: consiglieri comunali, regionali e deputati del territorio.
Sarebbero loro a scegliere i futuri senatori.
Una proposta identica a quelle presentate ieri dal renziano Andrea Marcucci, dal rappresentante dei senatori franceschiniani Franco Mirabelli e dal bersaniano Miguel Gotor.
Ma se il “lodo francese”, benedetto anche dal ministro Boschi, riunifica le varie anime del Pd, Forza Italia sembra andare in direzione opposta.
Del resto l’avvicinamento di Berlusconi alla Lega e Fratelli d’Italia è sotto gli occhi: la carta su cui è stato scritto il patto del Nazareno appare sempre più ingiallita.
«Per noi – ragiona il capogruppo forzista Paolo Romani – un Senato alla francese è inaccettabile. Parliamo di 140-150 mila amministratori, in gran parte di sinistra. Allora tanto vale far votare tutti gli italiani». Quanto al patto del Nazareno, che pure prevedeva un Senato non elettivo, per Romani «rischia di essere ormai una gabbia. Queste elezioni hanno dimostrato che è difficile far capire alla nostra gente che siamo all’opposizione di Renzi ma collaboriamo sulle riforme. Nei prossimi giorni andrà fatta una riflessione»
Francesco Bei e Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)
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Maggio 30th, 2014 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA, PARTITA LA RACCOLTA FONDI: DONAZIONI DA 5 A 5.000 EURO PER COPRIRE IL BUCO IN BILANCIO… L’ANNO SCORSO BERLUSCONI HA MESSO 17,8 MILIONI NELLE CASSE DEL PARTITO
“Servono soldi, il partito è con l’acqua alla gola”. Lo ha detto chiaro due giorni fa Silvio Berlusconi nel corso di un burrascoso comitato di presidenza di Forza Italia. Detto, fatto. Sì, perchè bastano 5 euro per diventare “azionisti della Libertà ”.
E restituire il sorriso a Berlusconi.
E’ infatti online dall’8 maggio, ma diventa centrale oggi grazie alla campagna di mail bombing da parte dello staff di Forza Italia, il sito http://sostieni.forzaitalia.it/ cui il leader affida il compito di rastrellare soldi tra simpatizzanti, iscritti ed elettori (sempre meno, stando ai dati delle ultime elezioni europee).
Il versamento, con bollettino postale o bonifico parte da 5 euro ma sotto la voce “altro” si può arrivare a 5mila. Non di più.
Il perchè lo spiega un messaggio firmato dallo stesso Berlusconi: l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti “mi impedisce di continuare a sostenere Forza Italia”.
La festa, in effetti, è finita con gli ultimi due assegni da 17,8 milioni che ha staccato nel 2013 (secondo quanto riporta oggi il Corriere della Sera, in 20 anni il Cavaliere avrebbe versato 98 milioni nelle casse del partito).
Il 20 febbraio scorso è infatti entrata in vigore la legge che abolisce progressivamente i rimborsi e introduce la contribuzione agevolata, consentendo ai privati la donazione diretta sotto il tetto dei 100mila euro e di destinare ai partiti il 2 per mille del reddito soggetto all’Irpef.
“Con la nuova legge mi hanno impedito di continuare a sostenere Forza Italia”, accusa oggi l’ex Cavaliere.
Anche se in realtà non dovrebbe recriminare più di tanto, visto che Forza Italia quella legge l’ha votata compatta, dopo aver ritirato tutti i suoi emendamenti.
Non farlo allora, del resto, avrebbe danneggiato l’immagine del partito. Non solo.
A detta di molti ex fedelissimi, quella legge a Berlusconi andava benissimo per motivi di “bottega”.
Negli ultimi due anni, infatti, da Arcore aveva mandato espliciti messaggi d’insofferenza ai suoi rispetto all’autofinanziamento a senso unico: occhio ragazzi, Forza Italia mi sta costando un occhio della testa.
Di lì, le contromisure come il trasferimento di sede da via dell’Umiltà a Piazza San Lorenzo, sempre in coincidenza con un risultato elettorale deludente (le amministrative).
Un messaggio chiaro, concreto, per far capire a dirigenti e quadri di partito che il Bengodi del miliardario come leader non poteva continuare.
E oggi ci risiamo. Incassato il flop dalle urne Berlusconi lancia ufficialmente l’operazione di found rising che a giugno dell’anno scorso gli era stata suggerita dalla triade Verdini-Santanchè-Capezzone.
E lo fa senza soppesare più di tanto l’implicito paradosso per cui il più ricco d’Italia chiede soldi agli italiani (tutti meno fortunati di lui) per mandare avanti il suo progetto politico.
L’operazione di raccolta fondi era stata anticipata, in parte, nel corso del comitato di presidenza di Forza Italia, quello in cui Berlusconi ha richiamato i suoi dopo la dèbacle elettorale e ha messo i puntini sulle “i” in fatto di leadership.
Niente figli in politica, per ora.
Ma l’ex Cavaliere tiene famiglia, e soprattutto un partito da tirare avanti al quale non può (e non vuole) staccare ancora assegni milionari. E il perchè è presto detto.
Con un reddito dichiarato di 4,5 milioni di euro l’anno è ancora il Paperone del Parlamento.
E tuttavia nel 2011 ne dichiarava molti di più, 35,4 milioni. Vai a sapere cosa c’è dietro, ma di fatto è scattata l’operazione salva-Silvio.
Nella riunione Denis Verdini ha illustrato un piano di tesseramento straordinario sui “territori” che dovrebbe coinvolgere qualcosa come 1.942 comuni. Il sito internet farebbe il resto.
Nella foga Berlusconi, o il suo staff, dimentica di ricordare il beneficio della detrazione al 26% per chi dona da 30 euro in sù.
Thomas Mackinson
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Maggio 30th, 2014 Riccardo Fucile
INTERVISTATO DAL “TELEGRAPH” GRILLO INSISTE SULL’ALLEANZA CON IL DISCUSSO LEADER FARAGE: “POSIZIONI VICINE SU IMMIGRAZIONE E DEMOCRAZIA DIRETTA”
Beppe Grillo detta al britannico Telegraph le sue riflessioni su Nigel Farage, leader dell’Ukip incontrato ieri a Bruxelles per sondare una possibile alleanza tra euroscettici all’Europarlamento di Strasburgo.
Mossa, quel faccia a faccia, che ha fatto lievitare ulteriormente la tensione all’interno del Movimento 5 Stelle, già vicina al livello di guardia dopo la diffusione di un documento riservato dell’ufficio comunicazione del movimento contenente una dura analisi degli errori commessi nell’ultima campagna elettorale.
Il “comico” Grillo non può che apprezzare in Farage il “senso dello humor e dell’ironia”, riporta il Telegraph.
Ma per Beppe, soprattutto, Nigel non è razzista. E con l’Ukip, afferma ancora il leader M5s, esistono punti in comune sul tema dell’immigrazione. “Farage non è come viene descritto – le parole di Grillo -, così come io non sono il fascista e il nazista descritto dai giornali italiani. Vuole controllare i flussi migratori in Europa così come lo vogliamo noi”.
E, a riprova di quanto sia ingiusta la patente di “razzista” affibiata al leader di Ukip, Grillo ricorda che Farage ha scelto di non stringere alleanze con la Lega Nord.
Grillo comunque precisa che ancora non esiste alcun accordo tra M5s e Ukip. “Ho incontrato Farage per conoscerlo. Era necessario un incontro faccia a faccia” spiega, aggiungendo che Farage gli è piaciuto. Ma ora la parola passa ai sostenitori di M5S, che attraverso la rete rifletteranno sull’esistenza di ogni possibile denominatore con la formazione inglese e decideranno se e quali posizioni in comune il movimento ha con l’Ukip.
“Non cambieremo il nostro programma, non cambieremo le nostre idee, ma se parliamo di concetti come quello della democrazia diretta allora abbiamo qualcosa in comune”.
Nell’intervista Grillo ricorda anche che il movimento è tenuto a cercarsi dei partner nel parlamento europeo: “Con 17 parlamentari, se formi un gruppo autonomo, sei tagliato fuori”. Dopo l’incontro tra Farage e Grillo mercoledì a Bruxelles, l’Ukip ha rilasciato una dichiarazione per precisare che, in un potenziale nuovo gruppo, i partiti potrebbero fare campagna e votare come meglio credono pur restando nel quadro di un accordo di massima.
Per contro, a dimostrazione che i malumori non sono affatto rientrati, tra qualche ora sarà resa pubblica la petizione di un gruppo di attivisti M5s di Bari, sottoposta da ieri al vaglio e alla firma dei militanti, che alla luce del risultato deludente delle Europee chiede a Grillo di fare un passo indietro.
Nella petizione si fa notare che “una delle frasi più ricorrenti sentite in questa campagna elettorale è stata ‘il Movimento mi piace, ma Grillo mi fa paura’, oppure ‘ma Grillo non propone nulla’, o ancora ‘Grillo e’ stato vago nelle risposte, ha gridato un’ora e non ha detto niente'”.
Esprimendo stima per il leader, “che ha rivoluzionato il sistema socio-politico italiano, costringendo tutti ad inseguire milioni di italiani su temi come onestà e coerenza”, la petizione si richiama proprio al valore della coerenza quando dice che “Grillo dovrebbe, alla luce di questi risultati, alla luce delle sue dichiarazioni di qualche mese fa e quindi in virtù della coerenza che da sempre contraddistingue il M5S, fare un passo quantomeno di lato”.
Perchè “Grillo è diventato un boomerang per il Movimento. Chi apprezza i Cinque Stelle li apprezza a prescindere da Grillo, chi odia o non apprezza Grillo lo fa a prescindere dai Cinque Stelle. La sua risonanza mediatica ha toccato evidentemente il massimo della sua efficacia, e ora è diventata stagnante. Si è trasformata in un repellente di consenso che non permette alla gente di avvicinarsi al M5S per approfondirne la vera natura”.
“Caro Beppe – conclude il documento -, se ami davvero questo movimento, se tieni al futuro di questa Nazione, rimetti ai cittadini la decisione sul ruolo che da oggi dovrai ricoprire”.
Mentre dovrebbe essere un “parlamentare” il “volto mediatico stabile” del Movimento. “La popolarità e la credibilità dei vari Di Maio, Di Battista, Sarti, Taverna, Ruocco, Morra, Di Stefano, Castelli hanno ormai quasi eguagliato popolarità e credibilità di Grillo. Bisogna sfruttare questa possibilità “.
(da “La Repubbica“)
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Maggio 30th, 2014 Riccardo Fucile
PIAZZO’ LADY MATACENA COME TESORIERE DEL PDL E LA FECE PEDINARE PER GELOSIA
Arrivano le primi ammissioni dal carcere romano di Regina Coeli.
L’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola avrebbe confessato ai pm – in un interrogatorio il cui contenuto è stato secretato – di essersi informato sulle procedure per il riconoscimento dell’asilo politico in Libano.
Come scrive Fiorenza Sarzanini sul Corriere l’ex ministro avrebbe poi confessato di aver aiutato Chiara Rizzo, la moglie di Matacena, a trovare lavoro: “La feci lavorare con il tesoriere del Pdl Ignazio Abrignani” avrebbe detto Scajola ai pm.
Le affermazioni sulle ricerche di asilo politico secondo gli inquirenti si riferiscono ad Amedeo Matacena anche se Scajola avrebbe evitato di farne esplicitamente il nome. L’ex ministro dell’Interno aveva già fatto un’affermazione simile in una telefonata intercettata dalla Dia con l’imprenditore catanzarese Vincenzo Speziali, l’uomo che si accreditava come il mediatore con l’ex presidente libanese Gemayel e che ora risulta indagato nella stessa inchiesta che ha portato all’arresto di Scajola.
Nella conservazione, che è agli atti dell’inchiesta, Scajola dice: “Ho fatto già predisporre dai suoi avvocati una richiesta motivata di asilo. Tu pensi che riusciamo a farla accogliere?”.
Scajola fece pedinare Chiara Rizzo Secondo quanto riferito ai pm dalla segretaria di Matacena, Maria Grazia Fiordalisi, anche lei in carcere.
Particolare che trova riscontro nelle intercettazioni e nei pedinamenti affidati agli investigatori della Dia, secondo i quali il “controllo” esercitato dall’ex ministro sarebbe frutto di gelosia.
Scajola avrebbe infatto mal digerito la relazione tra Caltagirone e la Rizzo. Quest’ultima intanto, interrogata nel carcere reggino di Arghillà , avrebbe risposto in maniera precisa e puntuale alle domande dei pm.
(da “Huffingtonpost”)
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