Giugno 30th, 2014 Riccardo Fucile
RICERCA USA: IL 36% DEI POLITICI TRAVOLTI DAGLI SCANDALI SI RIPRESENTA E UNO SU SEI RICONQUISTA LA POLTRONA…DA BOSSI A POMICINO, DA PREVITI A DELL’UTRI
Le inchieste giudiziarie riescono davvero a fare pulizia, a spazzare via i politici corrotti?
Oppure l’Italia è condannata a farsi governare da caste di inquisiti, impermeabili agli scandali?
Mentre le indagini sul Mose di Venezia e sulle cupole degli appalti di Milano rilanciano l’allarme su una corruzione massiccia e sistematica, una ricerca documentatissima misura per la prima volta l’effettivo livello di ricambio della nostra classe politica, a partire dal terremoto giudiziario di Mani Pulite.
I risultati non sono confortanti: persino dopo lo storico ciclo di inchieste con migliaia di indagati del 1992-1994, più di un terzo dei politici inquisiti di livello nazionale (per l’esattezza il 36 per cento) è riuscito a farsi ricandidare in almeno una delle elezioni successive.
E il 17 per cento, cioè uno su sei, ce l’ha fatta: passata la bufera legale, ha riconquistato una dorata poltrona in Parlamento.
Così sono tornati in politica condannati come Umberto Bossi, Paolo Cirino Pomicino, Antonio Del Pennino o Alfredo Vito.
Così come Cesare Previti e Marcello Dell’Utri, tra gli altri.
La ricerca è stata condotta da un giovane studioso italiano, Raffaele Asquer, che vive e studia a Los Angeles, dove sta completando un dottorato in scienze politiche alla Ucla, la prestigiosa università della California.
Aiutato da alcuni tra i maggiori esperti italiani, il ricercatore ha esaminato il rapporto tra politica e giustizia con metodi scientifici, raccogliendo una montagna di dati sul rientro in politica non solo dei parlamentari, ma anche degli amministratori locali (comunali e regionali) che erano stati inquisiti nelle maxi-inchieste di Tangentopoli. Ecco cosa ha scoperto
Duecentodiciannove sotto accusa
Il lavoro di Asquer parte dall’elenco completo dei 163 onorevoli e 56 senatori dell’undicesima legislatura (1992-1994) che sono stati accusati formalmente, con il sistema allora in vigore delle richieste di autorizzazione a procedere (un privilegio abolito proprio sull’onda delle indagini di Mani Pulite), dei reati di corruzione, concussione, finanziamento illecito, abuso d’ufficio con arricchimento patrimoniale, truffa per incassare finanziamenti pubblici, ricettazione di tangenti.
Lo studio documenta tutti i casi di rientro in politica nei 15 anni successivi, analizzando le elezioni locali e nazionali dalla fine del 1993 al 2008. Il risultato più inatteso, come osserva Asquer, è che «i parlamentari inquisiti sono stati ricandidati e rieletti in proporzioni molto maggiori rispetto agli amministratori locali; il rientro in politica, in particolare, è stato più facile a livello nazionale che nei consigli regionali, mentre si è rivelato più difficile nei comuni».
Più i politici sono importanti, dunque, più diventano intoccabili. Dal 1994 al 2006 continua a crescere il numero di indagati che riescono a farsi rimandare a Roma.
E solo nel 2008 c’è la prima inversione di tendenza: le ricandidature sono dimezzate e unicamente dieci inquisiti di Tangentopoli riescono a rientrare (o a restare) in Parlamento.
I risultati della ricerca non sorprendono Alberto Vannucci, che insegna all’università di Pisa ed è uno dei più autorevoli studiosi della corruzione in Italia: «Il passare del tempo attenua l’effetto negativo sulla reputazione del politico. Gli elettori tendono a dimenticare le accuse, anche perchè i processi spariscono o quasi dai mezzi d’informazione, e per i capi dei partiti cadono i freni inibitori: da un lato si riduce il rischio di essere danneggiati da candidature imbarazzanti, dall’altro cresce la tentazione di godere delle reti clientelari di potere e di consenso costruite dagli indagati. Che spesso beneficiano del potere di ricatto verso i complici non indagati. Non a caso la tendenza s’inverte tra il 2007 e il 2008: è il periodo della campagna “Parlamento pulito” e dei primi libri sulla casta. Solo allora chi decide le candidature comincia a temere che certi personaggi facciano perdere più voti di quanti ne portino».
A volte ritornano a Roma
Il problema dei riciclati in politica è tutt’altro che accademico.
I principali arrestati delle nuove inchieste milanesi (Expo, appalti nucleari e tangenti sanitarie) sono tutti pregiudicati della Tangentopoli di vent’anni fa: Gianstefano Frigerio, dopo aver subito tre condanne definitive come tesoriere della Dc lombarda, è stato eletto parlamentare dal 2001 al 2006 con Forza Italia; l’industriale Enrico Maltauro, che aveva confessato e patteggiato un anno di pena (sospesa) per le mazzette di Malpensa 2000, è tornato a guidare l’azienda di famiglia; Primo Greganti, il cassiere delle tangenti del vecchio Pci, si è riciclato come faccendiere delle cooperative rosse.
Anche Piergiorgio Baita, il manager che ora ha confessato dieci anni di fondi neri e corruzioni per il Mose, era stato pesantemente coinvolto nella Tangentopoli veneta del 1992, uscendone indenne grazie alla prescrizione.
In questi mesi, quando sono stati riarrestati, nessuno di loro occupava cariche elettive, eppure gli atti d’accusa documentano che sono rimasti tutti al centro di troppi affari illegali collegati alla politica.
Ma il caso Expo e le nuove Tangentopoli riportano alla ribalta personaggi che non entrano nella ricerca della Ucla, che riguarda solo la riconquista di cariche elettive.
Entro questi confini, lo studio sfata infatti l’opinione secondo cui le indagini per corruzione servirebbero a poco o niente.
«I dati dimostrano che i politici indagati nel 1992-94 hanno avuto minori probabilità di essere ricandidati nelle cinque elezioni successive rispetto ai non indagati», spiega Asquer: «Tra i parlamentari inquisiti, in particolare, c’è uno scarto del 22 per cento in meno rispetto ai non indagati». Lo stesso ricercatore però avverte che «restano esclusi da questo studio tutti i casi di rientro in aziende pubbliche, segreterie di partito, associazioni politiche o imprese private».
Dunque, il tasso complessivo di rientro dei tangentisti in posizioni di potere è molto più alto.
«La ricerca conferma che il politico inquisito paga un pedaggio anche in Italia, ci mancherebbe altro», osserva il professor Vannucci.
«Ma sarebbe interessante fare un confronto con le economie più avanzate: ho la sensazione che in Germania, Stati Uniti, Gran Bretagna o Svezia la percentuale di inquisiti che vengono rieletti in parlamento sia prossima allo zero.
Inoltre la ricandidatura non è sempre la strategia principale: come dimostrano i casi di Frigerio o di Mario Chiesa, il primo arrestato di Mani Pulite tornato in carcere nel 2009, in Italia è normale riciclare sotto altra veste il capitale di contatti costruiti nella precedente carriera politica. È come avere un know-how di competenze illecite e cattiva reputazione. E se non ha cariche elettive, il faccendiere è meno esposto, dunque fa correre meno rischi a sè e ai complici».
Ma perchè la società italiana non riesce a liberarsi di una corruzione sistematica neppure dopo vent’anni di arresti, processi e condanne?
Grazia Mannozzi, docente di Diritto penale e autrice con il giudice Piercamillo Davigo, ex pm di Mani Pulite, di vari saggi sull’effettivo livello della corruzione in Italia, risponde che «in Italia c’è un problema storico di debolezza del voto e di forza delle reti clientelari e corruttive. Ma, da penalista, vedo anche una questione di diritto: l’iscrizione tra gli indagati e la stessa condanna non bastano a veicolare il messaggio della criminosità della corruzione. Passa l’idea che il politico sia un po’ disonesto, ma non un vero criminale. Molti colpevoli evitano la condanna grazie alle scandalose regole italiane sulla prescrizione, che poi viene presentata come un’assoluzione. Anche nei casi di condanna, gran parte delle sentenze restano sotto il limite dei due anni, con la pena sospesa. E il nostro patteggiamento non presuppone alcuna ammissione di colpevolezza, anzi dopo soli cinque anni la fedina penale torna pulita. Negli Stati Uniti invece chi patteggia deve confessare, dichiararsi colpevole, risarcire tutti i danni e chiedere scusa ai cittadini. E nessuno si sogna di attaccare i magistrati, dichiarandosi vittima di complotti o dicendo che così fan tutti.È l’impunità quasi totale che permette di non rovinarsi l’immagine e ripresentarsi in politica o nelle aziende. La giustizia italiana non riesce a mostrare al Paese il volto dei colpevoli nè i danni della corruzione. Quindi il corrotto conserva un serbatoio di voti di cui il capo-partito fatica a rinunciare».
Comuni nuovi, Regioni no
A livello locale, la ricerca si è concentrata sui politici indagati dalle Procure di Milano e di Napoli, che nel 1992-1994 hanno avuto un ruolo trainante nella lotta alla corruzione.
Lo studio analizza, in particolare, quei casi di rientro che rappresentano una specie di prova di forza degli inquisiti: il consigliere comunale indagato che riesce a farsi rieleggere nella stessa assemblea cittadina; il politico regionale che si ricandida e vince in Lombardia o in Campania.
Col senno di poi, il dato più interessante è che alle elezioni locali dell’autunno 1993, cioè in piena Tangentopoli, non è stato ricandidato nessuno dei consiglieri comunali inquisiti, nè a Milano nè a Napoli.
Nelle tre elezioni successive, invece, il quadro cambia: a Milano si ricandida il 10 per cento degli indagati, contro il 17 per cento di Napoli. Al Sud è più alta anche la quota di rieletti: 10 su cento a Napoli, 7 a Milano.
Agli indagati nelle regioni va ancora meglio: a partire dal 1995 in Lombardia rispunta in lista il 23 per cento degli inquisiti e il 15 per cento vince.
In Campania il tasso di riciclaggio supera il livello-record del Parlamento nazionale: la percentuale di ricandidati sale a quota 36 e la metà esatta conquista la rielezione.
Se i processi in Italia fossero un’antologia di errori giudiziari, come sostengono certi politici, si potrebbero liquidare questi dati sostenendo che riguardano i meri indagati, cioè presunti innocenti, ma l’obiettivo dello studio americano era proprio quello di misurare l’effetto del semplice coinvolgimento in un’inchiesta per corruzione, anche senza condanna.
Ma i condannati ai processi di Tangentopoli, celebrati a Milano dal 1992 al 2002, sono stati ben 1.281.
Tra tutti gli indagati, più del 25 per cento se l’è cavata con la prescrizione. Solo il 15 per cento ha ottenuto una vera assoluzione nei tre gradi di giudizio.
«In Italia il livello di corruzione era e resta insostenibile», conclude Vannucci.
«Il sistema di Tangentopoli era centralizzato e gerarchizzato: tendenzialmente tutte le imprese pagavano per tutti gli appalti; e a riscuotere era un gruppo selezionato di tesorieri e fiduciari dei partiti. Oggi la corruzione è diventata policentrica: ci sono diversi gruppi organizzati di faccendieri e politici, affiancati da consorzi di imprenditori e cricche di alti funzionari. Sembrano mancare quelle figure centrali che fino a vent’anni fa erano in grado di garantire il rispetto dei patti corruttivi in tutta Italia. Con un’eccezione tragica: nei territori dominati dalle organizzazioni mafiose, anche la corruzione è ancora centralizzata. E fare da garanti tra imprese e politica sono i boss mafiosi».
Paolo Biondani
(da “L’Espresso”)
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Giugno 30th, 2014 Riccardo Fucile
“ALTRO CHE PERSECUTORI, SIAMO NOI CHE DOBBIAMO FRENARE L’IRA POPOLARE”
Due giudici, il gip e il gup, e il tribunale del Riesame si sono espressi sul vostro lavoro. Come ne esce l’inchiesta?
«Decisamente rafforzata. Proprio sabato il Riesame ha confermato il carcere per due indagati chiave, l’assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso e il suo assistente. E anche quando le misure sono state mitigate, ciò è avvenuto non per il venir meno degli indizi, ma perchè il tribunale non ha ravvisato esigenze cautelari restrittive. L’impianto probatorio ha retto».
Che siano stati creati fondi neri dal Consorzio Venezia Nuova è ormai assodato. Sono meno evidenti, invece, gli indizi che i soldi siano finiti alla politica. Avete trovato riscontri oggettivi?
«Parte dell’inchiesta è ancora segreta e quindi non posso rispondere. Mi limito a dire che la corruzione era indirizzata maggiormente a singoli individui, non necessariamente inseriti nella politica».
E però l’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni e il deputato Giancarlo Galan, lamentano, esplicitamente o meno, il fumus persecutionis. E così?
«Difendersi con tutti gli argomenti disponibili è un diritto sacrosanto. Il gip, però, ha rigettato l’istanza di patteggiamento proposta da Orsoni, e accolta dalla procura, perchè troppo mite. Ha detto che siamo stati troppo buoni, non persecutori»
Era proprio necessario chiedere i domiciliari per Orsoni
«Le richieste della procura sono agli atti, e a esse mi richiamo senza commentare. Osservo però che l’indagato è stato tenuto agli arresti domiciliari, cioè a casa sua, non ai piombi o in carcere duro»
Gira voce che alcuni pm abbiano ammesso di “essere stati troppo severi” con lui
«È assolutamente falso. Nessuno di noi si è mai sognato di dire una cosa del genere»
Nel parere positivo alla revoca dei domiciliari, la procura ha descritto le pressioni del Partito democratico su Orsoni per costringerlo a chiedere i fondi a Mazzacurati. Che responsabilità hanno i partiti, dal Pd al Pdl?
«Il nostro parere favorevole alla richiesta di patteggiamento del sindaco nasceva dal fatto che abbiamo considerato plausibili le sue spiegazioni: aver assecondato le richieste del partito. Del resto le varie reazioni sui costi della politica e sulla quasi inevitabilità di finanziamenti clandestini dimostrano che il problema è ancora insoluto»
Molti reati, tra cui il finanziamento illecito di cui è accusato l’ex sindaco, finiranno in prescrizione.
«Non è detto. Noi siamo sicuri di poter concludere il nostro segmento di processo entro un anno, almeno per le posizioni più a rischio».
Galan sostiene che il lavoro della Guardia di Finanza sia stato “omissivo”. Perchè avete preso in considerazione i suoi redditi solo dal 2000 in poi
«Tutto quello che c’è a carico a Galan lo abbiamo scritto negli atti».
Perchè non lo avete voluto ascoltare? I suoi legali ve lo hanno chiesto tre volte…
«A un’audizione inevitabilmente lacunosa e dispersiva, quale sarebbe stata quella di Galan, abbiamo ritenuto più utile avere una memoria articolata e documentata. Si è poi visto che essa è stata presentata solo al Parlamento e pare sia di settecento pagine: quanto tempo ci sarebbe voluto per spiegarle tutte oralmente, in modo organico e sistematico?».
Ma non c’è stata neanche una valutazione sbagliata, o perlomeno affrettata, da parte vostra?
«Non credo. Anche se il rischio di incorrere nell’errore giudiziario è sempre dietro l’angolo».
Minutillo, Baita, Mazzacurati, Buson…sono i vostri testimoni chiave. Che prove avete della loro attendibilità
«Anche in questo caso non posso rispondere. Dico però che le loro versioni sono assolutamente coincidenti. E sono state avallate dagli interrogatori degli indagati»
Come ha reagito la politica alla vostra inchiesta?
«Una volta tanto non ci sono state reazioni scomposte, tutti hanno riconosciuto la serietà del nostro lavoro. E di questo siamo umilmente fieri».
L’indagine sul Mose può aver influenzato il voto della Camera sulla responsabilità civile per i giudici?
«Non credo. La responsabilità civile è argomento serio, che va affrontato in termini razionali e non emotivi, come invece si sta facendo in questi giorni quando sento dire “chi sbaglia paga”».
E la città di Venezia, come l’ha presa?
«La gente è molto arrabbiata. Si complimenta con noi e ci chiede “la libbra di carne”…Siamo noi che dobbiamo controllare l’ira popolare».
Lei si è occupato, negli anni Novanta, della Tangentopoli veneta. Quali analogie ha trovato con questa nuova stagione di mazzette?
«L’avidità insaziabile e l’assoluto disinteresse verso la buona gestione delle risorse pubbliche dei protagonisti. Oggi però le tangenti sono molto più consistenti, e sono coinvolti anche soggetti investiti di funzioni di controllo».
Avete segnali che i tanti project financing emessi dalla Regione Veneto siano stati “inquinati”?
«No comment»
Possibile che ogni grande opera pubblica in Italia finisca sotto inchiesta?
«In questi anni non si è fatto nulla per combattere veramente la corruzione. Ci si è limitati ad agire sulle leggi penali, ora mitigando le pene, come nel falso in bilancio, ora aggravandole, come nella corruzione. Senza riflettere che ai corrotti non interessa niente la sanzione minacciata, quando poi, nel collasso del nostro sistema, i processi si sgretolano nel tempo. Bisognava ridurre le leggi, semplificare le procedure e ridurre le pene, rendendole però certe. Vasto programma, direbbe De Gaulle».
(da “La Repubblica“)
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Giugno 30th, 2014 Riccardo Fucile
L’ANALISI DI TITO BOERI
È una flessibilità … molto rigida quella che ci è stata concessa dal vertice europeo. Quantificabile in circa 2-3 miliardi in più a disposizione nel 2015 e in un processo di riduzione del debito più lento negli anni successivi, a condizione però di attuare riforme importanti del lavoro, della pubblica amministrazione o dell’istruzione.
Per fortuna le prime due riforme sono nell’agenda del governo Renzi, sebbene ancora molto lontane dal traguardo.
Speriamo che negli accordi presi a Bruxelles ci sia di più di quanto scritto nei comunicati ufficiali.
Perchè l’Europa, non solo l’Italia, ha bisogno di politiche espansive della Germania, di programmi infrastrutturali da finanziare in comune, a livello europeo, e di un accordo per lasciare svalutare la moneta comune.
In ogni caso, invece di cantar vittoria, il governo italiano farebbe bene ad usare la condizionalità di Bruxelles per completare entro l’anno almeno una delle riforme in programma, rendendola pienamente operativa, con il varo dei rilevanti decreti attuativi
Il testo sottoscritto dai capi di governo della Ue si limita a ribadire che c’è già abbastanza flessibilità nel Patto di Stabilità e Crescita e conferma che non possiamo spostare al 2016 l’obiettivo del bilancio strutturale in pareggio.
Il messaggio è molto chiaro: i vincoli che ci impone l’Europa sono già flessibili, perchè fissano obiettivi di finanza pubblica che tengono conto della congiuntura, dunque meno restrittivi quando l’economia va male e più stringenti quando l’economia tira.
Quel che conta è il bilancio strutturale al netto delle misure una tantum.
Il problema è che non è facile stabilire quanto del deficit pubblico è dovuto a fattori ciclici e quanto è strutturale.
È una stima che ha margini di errore, in qualche modo arbitraria.
Quella del governo italiano, che ha previsioni più ottimistiche di quelle della Commissione sulla crescita nel 2014 e 2015, ci consente uno 0,1 di pil in più di deficit di quella della Commissione.
Possiamo sperare che la Commissione allinei le sue stime a quelle del governo italiano, che potrà far valere l’assurdità dell’imposizione di correzioni alla politica fiscale di un paese sulla base di parametri soggetti a un forte grado di discrezionalità (gli stessi documenti ufficiali della Commissione riconoscono «l’incertezza che circonda queste stime»).
Non sarà facile se il Commissario per gli Affari Economici sarà Jyrki Katainen anche nella nuova Commissione, dato che l’ex-premier finlandese ritiene che «non c’è nessuna ragione per andare più a fondo nel processo di integrazione della politica fiscale a livello europeo».
Un altro miliardo e mezzo potrebbe venire dal non considerare il cofinanziamento italiano dei fondi strutturali nel computo del bilancio strutturale, ammesso e non concesso di riuscire da qui alla fine del 2014 a raddoppiare la nostra velocità nell’impegnare queste risorse, la cui destinazione (spesso discutibile) è comunque negoziata con Bruxelles.
In ogni caso non sarà comunque questo 0,2% di pil in più a disposizione, tra revisioni delle stime e cofinanziamenti non contabilizzati, a cambiare la nostra vita. Possiamo, infine, ambire ad allungare il percorso di rientro del debito, su cui siamo peraltro già in forte ritardo rispetto agli impegni presi.
Ma questo solo se sapremo fare delle riforme strutturali. Prima le facciamo, meglio è, ma per il momento non possiamo certo invocare questa clausola.
Speriamo, dunque, che la vera flessibilità sia quella che non è scritta nei comunicati ufficiali, che la Germania, colpita dall’ondata populista nei paesi del Sud, abbia deciso di caricare su di sè almeno un po’ del peso dell’aggiustamento sin qui richiesto unicamente ai paesi periferici, spendendo di più anzichè chiedere agli altri di tagliare nel mezzo di una recessione o stagnazione.
Speriamo anche che a Bruxelles si sia deciso di varare grandi programmi su beni pubblici europei, a partire dall’energia e dalla banda larga, finanziandoli con l’emissione di titoli garantiti in solido da diversi paesi
In ogni caso la politica economica del governo Renzi dovrà passare dalla cruna dell’ago e non può permettersi alcun ridimensionamento del piano di tagli alla spesa pubblica che originariamente prevedeva 15 miliardi di risparmi nel 2015.
Non basteranno certo i 5 oggi preventivati, soprattutto perchè la metà di questi risparmi era già stata impegnata dal governo Letta.
Occorrerà anche sfruttare al meglio ogni euro disponibile migliorando la composizione di entrate fiscali e spese e giocando su operazioni di rientro del debito più graduali, ad esempio allineando i contributi previdenziali dei lavoratori dipendenti a quelli degli autonomi, un’operazione che fa aumentare il disavanzo, ma non il debito implicito, perchè i minori contributi di oggi equivalgono a meno spesa pensionistica in futuro.
Fondamentale trovare al più presto coperture definitive per il bonus di 80 euro, sin qui finanziato solo con interventi temporanei. Solo in questo modo lo si renderà sostenibile, dunque credibile agli occhi di chi deve decidere se spendere questi soldi o metterli da parte in previsione di nuove tasse.
I primi dati sui consumi di cui ha dato notizia questo giornale sembrano indicare che il bonus sin qui non ha avuto gli effetti desiderati sui consumi perchè i beneficiari hanno preferito mettere questi soldi da parte, temendo per il loro futuro. Le indagini campionarie ci dicono che gli italiani oggi sono eccessivamente pessimisti su quali saranno le loro pensioni.
Per informarli adeguatamente basterebbe mandare a tutti i contribuenti italiani un estratto conto previdenziale con previsioni sulle loro pensioni future.
In presenza di molti testimoni, il Ministro Poletti si è impegnato a mandare a casa di tutti i contribuenti questi rendiconti, il cui formato è già stato da tempo definito dall’Inps e dal Ministero del Lavoro, entro l’inizio del mese di luglio.
Vorremmo ricordargli che mancano ormai solo 3 giorni alla fine del mese. Speriamo che le buste siano già partite.
Tito Boeri
(da “La Repubblica”)
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Giugno 30th, 2014 Riccardo Fucile
RISCHIANO IN 50.000… POLETTI PARLA DI PRESTITO PREVIDENZIALE AGLI ESODATI
Il governo non sta preparando alcun intervento di correzione sui conti pubblici, ma entro quest’anno dovrà , tra l’altro, reperire un miliardo di euro per fronteggiare l’emergenza dei lavoratori in cassa integrazione e in mobilità in deroga.
Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, spiega che ancora non è stata presa una decisione su come attuare quella parte della riforma Fornero sul mercato del lavoro che fissa criteri più rigidi per l’accesso agli ammortizzatori sociali in deroga (quelli pagati dalla fiscalità generale e non dai versamenti delle imprese) e ne limita la durata anche con l’obiettivo di ridurne gli abusi.
La Cgil stima che, da qui alla fine dell’anno, c’è il rischio che perdano il sostegno al reddito circa 50 mila persone.
Si aggraverebbe ulteriormente la situazione occupazionale. Fronte delicatissimo anche sul piano politico.
Poletti ribadisce che il Jobs Act non prevede alcun intervento diretto sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori come invece propongono alcuni settori della maggioranza.
E alla affermazioni del ministro dello Sviluppo, Federica Guidi, ex presidente dei Giovani di Confindustria, secondo cui la legge del 1970 sarebbe datata, Poletti replica: «Lo Statuto continua ad avere il suo valore per la tutela dei diritti dei lavoratori».
Per i giovani bisogna insistere sul piano Garanzia Giovani: 100 mila sono state le registrazioni in questo primo mese e dalle imprese sono arrivate oltre 3.500 offerte di impiego.
(da “La Repubblica“)
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Giugno 30th, 2014 Riccardo Fucile
ENZO JACOPINO POLEMICO CON NAPOLITANO
“A me piace rispettare le persone da vive anzichè da morte. Non riesco a stare zitto, dovete perdonarmi“.
E’ il polemico commento che Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti, ha pronunciato sulla lettera del presidente della Repubblica in omaggio a Giorgio Almirante, ricordato in un convegno alla Camera dei deputati in occasione dei 100 anni della sua nascita.
Iacopino, moderatore della conferenza organizzata dalla fondazione Giorgio Almirante, ha ricordato con toni commossi lo storico leader del Msi: “Ricordiamo una persona che per noi è stata amico, fratello e nel mio caso anche un po’ papà probabilmente“.
E ha sottolineato che, a dispetto dei suoi onerosi impegni come quelli inerenti alla discussione sull’equo compenso per i giornalisti, non si è sottratto all’evento-tributo al politico: “Io non credo che ci sia impegno istituzionale che si possa non rinviare se si ha la volontà di testimoniare rispetto per una persona o per un uomo che ha segnato per molta parte della vita di questo Paese come ha fatto Giorgio Almirante. Ci sono doveri e sentimenti che prevalgono e che debbano prevalere”.
Probabilmente un’altra stoccata a Giorgio Napolitano, che non ha partecipato al convegno, ma ha inviato un’epistola in ricordo del leader missino, missiva letta da Giuliana de’ Medici, figlia di Donna Assunta Almirante.
Nel corso dell’incontro, Iacopino ha ricordato molti episodi della vita del politico, esprimendo un sentimento di riconoscenza personale e professionale.
Non sono mancate allusioni pungenti alla politica attuale: “Quando Giorgio prefigurava la necessità di riforme istituzionali agli inizi degli anni ’80, e adesso tutti arrivano e parlano di riforme istituzionali. ipotizzando il presidenzialismo, all’epoca potevi perfino giudicarlo un visionario”.
Il presidente dell’Ondg ha poi citato il calabrese Giuseppe Santostefano, e Stefano e Virgilio Mattei.
E su Sergio Ramelli ha osservato: “Ci sono voluti 40 anni perchè il sindaco di Milano si ricordasse che lo avevano ammazzato. Io so per consapevolezza diretta che senza di lui la insopportabilmente lunga catena di dolore di questo Paese sarebbe stata ancora più lunga e dolorosa”.
Iacopino ha anche raccontato l’imputazione a carico di Almirante, accusato nel 1972 di aver ricostituito il partito fascista, non senza una frecciata polemica alla magistratura milanese.
Non è mancata la citazione di Giorgio Albertazzi e Nino Benvenuti, anche loro tra il pubblico : “Nella loro vita non hanno mai risentito del flusso delle maree”.
E infine il tributo conclusivo: “Non so dove sia oggi Almirante. Da cattolico francamente una speranza ce l’ho, anche se lui era un po’ discolo. Ma quale che sia il luogo, c’è sicuramente un girone riservato agli onesti e quel posto gli spetta, perchè noi, amici tutti, abbiamo buona coscienza. E possiamo andare orgogliosi di questo”
Gisella Ruccia
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 30th, 2014 Riccardo Fucile
RIAPPARE IN PUBBLICO IL CARABINIERE FERITO NEL 2013 DAVANTI A PALAZZO CHIGI
«È una doppia promozione», hanno commentato sorridendo alcuni carabinieri dopo aver visto il collega parlare con i giornalisti e intrattenersi con gente sconosciuta che si avvicinava per salutarlo come si fa con gli amici.
Perchè Giuseppe Giangrande, il sottufficiale ferito nell’attentato del 28 aprile 2013 davanti a Palazzo Chigi, non ha avuto soltanto l’onore di un passaggio di gradi (è stato promosso maresciallo per meriti speciali), ma sabato, dopo più di un anno, per la prima volta ha avuto la forza di mostrarsi in pubblico e ha partecipato all’inaugurazione del nuovo parco attrezzato e del giardino per la riabilitazione dell’istituto di Montecatone, nell’Imolese, dove è stato ricoverato nuovamente da febbraio.
«Ringrazio di cuore tutti gli operatori del centro – ha detto Giangrande -. Sono stati straordinari. Le mie condizioni non facevano sperare nulla di buono ma loro si sono prodigati, hanno fatto cose grandi. E poi mi ha colpito il clima di solidarietà , con i malati e i loro parenti. Che dire ancora? Devo solo ringraziare, ringraziare, ringraziare».
Il maresciallo Giangrande era accompagnato dalla figlia Martina, una ragazza eccezionale, che segue il babbo continuamente.
L’ha assistito nella casa di Prato e continua a farlo adesso nel centro di riabilitazione
«Questa inaugurazione è stata anche una scusa per mettere mio padre alla prova – racconta Martina – e si è rivelata un punto di svolta. Adesso babbo si sente meglio, è pronto ad affrontare quella che sarà la sua vita. Il passo che gli mancava in più era quello di affrontare la normalità , le cose di tutti i giorni, gli altri».
L’esame Giangrande l’ha superato.
Anche se, come racconta la figlia, a metà pomeriggio era distrutto dalla fatica. «Devo imparare a vedermi e farmi vedere così some sono ora. Sono stanco ma mi sono divertito», ha confessato a Martina
Il nuovo ricovero di febbraio doveva protrarsi tre o quattro mesi.
«Poi sono arrivate complicazioni e imprevisti e non sappiamo quando potremo tornare a Prato – spiega Martina, che ha affittato un appartamento a Imola -. Speriamo presto perchè credo che entrambi ci siamo meritati un po’ di tranquillità ».
Marco Gasperetti
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 30th, 2014 Riccardo Fucile
NAVE STRACOLMA, 600 PERSONE IN MENO DI 30 METRI…JUNCKER PENSA A UN COMMISSARIO UE AD HOC E AD AIUTI ECONOMICI ALL’ITALIA
Dopo la nuova strage di migranti nel Canale di Sicilia sembra smuoversi qualcosa in Europa. Jean-Claude Juncker, designato dai 28 come prossimo presidente della Commissione europea, sta pensando di inserire nella sua squadra per il nuovo Esecutivo Ue un commissario dedicato alla questione delle migrazioni, anche se una decisione definitiva sarà presa dopo il 16 luglio, giorno in cui Juncker sarà eletto ufficialmente.
Si tratta di una svolta significativa se si pensa che finora il tema dell’immigrazione è solo una delle competenze del commissario agli Affari interni.
Parole di supporto all’Italia arrivano dal presidente tedesco Joachim Gauck, che ha esortato la Germania a essere più solidale sulla questione dei profughi: “I profughi che approdano in Italia o a Malta non sono un problema solo dell’Italia o di Malta”, ha detto in un discorso a Berlino.
Anche il commissario europeo agli Affari Interni, Cecilia Malmstrom, ringrazia l’Italia per aver salvato 5mila migranti negli ultimi giorni, ma allo stesso tempo richiama gli altri stati a fare di più.
Malmstrom ha chiarito che l’Ue sta cercando il modo di “contribuire maggiormente” dal punto di vista finanziario, ma “nell’ambito delle risorse esistenti”, per “aiutare l’Italia nei suoi sforzi di gestione della pressione crescente di migranti e richiedenti asilo”.
E annuncia un piano Ue contro il traffico di migranti, che coinvolga tutti gli attori rilevanti, in particolare Europol e Frontex, e che sarà attuato in collaborazione con i paesi terzi coinvolti.
Ma come sempre in questi casi infuria la polemica in Italia.
La nuova tragedia del mare ha scatenato la solita ignobile speculazione del segretario della Lega Nord Matteo Salvini, che torna ad attaccare il governo e la missione Mare Nostrum. “Altri 30 morti su un barcone. Altri 30 morti sulla coscienza di chi difende Mare Lorum. Fermare le partenze, aiutarli a casa loro, subito! Le camicie di Renzi e Alfano sono sporche di sangue. O no?”.
Il rifiuto padano preferiva forse affogarli di persona, come accadeva ai vecchi tempi dei respingimenti di un governo assassino che ha sulla coscienza centinaia di morti grazie all’accordo con il delinquente di Tripoli a cui l’Italia aveva pure regalato 20 miliardi per fargli fare il lavoro sporco.
Il clandestino Salvini non conosce le leggi del mare che impongono di salvare chi è in difficoltà , non conosce le norme internazionali sui profughi e i trattati che l’Italia (di cui lui è ospite, essendo padagno) ha firmato.
Lui è notoriamente abituato a vedere il mare da Portofino, protetto dalla scorta dello Stato italiano.
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Giugno 30th, 2014 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI GIUSEPPE COSTANZA: “IN QUESTO PAESE PER ESSERE RICORDATI BISOGNA ESSERE MORTI”
Il 23 maggio del 1992 Giuseppe Costanza era in macchina con Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo.
Avrebbe dovuto guidare lui la macchina della scorta, una Fiat Croma.
E invece Falcone, atterrato da Roma, chiese di mettersi alla guida per “riaccompagnarsi” a casa.
Quella macchina però a casa non ci arrivò mai perchè, come tutti sanno, esplose all’altezza di Capaci.
Morirono Falcone, la moglie e tre uomini della scorta ( Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro).
Lui, Costanza, che in quell’occasione sedeva dietro si salvò. Un miracolato.
La volontà , come scrive Giovanni Terzi sul Giornale, di guidare la macchina di Falcone e il sedersi dietro la Fiat Croma di Costanza determinò il limite tra la vita e la morte.
Quel giorno, il 22 magio 1992, la vita di Costanza è cambiata per sempre: “L’ultima cosa che ricordo di Falcone – racconta – è che gli chiesi quando dovevo andare a riprenderlo: mi rispose lunedì mattina”.
Poi il botto e il vuoto.
Sopravvivere un segno del destino ma anche una condanna: “Per me e per i miei figli” dice al il Giornale.
Una ferita lacerante, un dolore insopportabile a cui ha fatto seguito l’indifferenza delle istituzioni .
In 22 anni, racconta Costanza, non è mai stato invitato a una commemorazione ufficiale, invisibile per le istituzioni.
Completamente, continua Terzi, dimenticato dallo Stato: “In questo paese per essere ricordati bisogna essere morti” dice provocatoriamente.
Oltre al disagio morale c’è anche una causa aperta con il Tribunale per i benefici di legge per le vittime di attentati di mafia: “Le sembra possibile – dice – che io debba fare causa per avere ciò che mi sarebbe garantito per legge? Non dovrebbe essere lo Stato – si chiede – che in modo autonomo cerca di risarcire le vittime?”.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 30th, 2014 Riccardo Fucile
UNO DEGLI INTERVENTI PIU’ “PARTECIPATI” ALL’INCONTRO “L’ITALIA CHE VORREI” PATROCINATA DA GIANFRANCO FINI ALL’EUR… SALVATORE CASTELLO E LA SUA “POLITICA DI PROSSIMITA'”
Mi chiamo Salvatore Castello — per gli amici Totò – e sono un imprenditore napoletano con la passione per la musica e la politica, impegnato anche nel settore della promozione culturale, soprattutto nelle zone disagiate di Napoli: Miano, Scampia, la Napoli dei borghi e dei luoghi abbandonati.
Politicamente non sono nessuno.
Sono solo uno scugnizzo. Un uomo innamorato della propria terra, della propria gente e di una specifica idea politica.
Un uomo che non si è mai arreso e che mai lo farà .
Non ho mai fatto politica in passato e tutto quello che faccio da quasi un anno, lo consumo esclusivamente per spirito di cittadinanza, per senso civico, per impegno pre-politico e per dovere di promozione culturale e valoriale.
Dopo le ultime elezioni politiche mi sono sentito politicamente orfano: la Destra non c’era più.
E la perdita è stata immensa soprattutto in un momento drammatico per la mia gente e per la mia terra, travolti dall’emergenza della “Terra dei Fuochi!”
In quel periodo feci come fanno in tanti: inizia ad utilizzare facebook, i social, per cercare di parlare ai politici chiedendone l’intervento ma ottenni in risposta solo silenzi…
Volevo impegnarmi, dare il mio piccolo contributo, ma in giro non c’era nulla.
Poi un giorno una news su facebook: “oggi, a Roma, è nata “Blu per l’Italia!”. Mi informai ed aderii aprendo il primo Comitato Territoriale in tutta Italia, il comitato “Blu per l’Italia — Napoli”.
Da lì l’inizio di una militanza in rete e nelle vie della città .
Anzi, col trascorrere dei mesi, io ed il mio gruppetto di lavoro, composto da una ventina di amici appassionati ed accomunati dalla stessa “idea”, abbiamo radicalizzato territorialmente l’idea dando vita all’Associazione Politico-Culturale “Right BLU — La Destra Liberale” di cui sono il Presidente/Speaker.
Non sono al vertice di nulla e non sono “nessuno”: nei limiti del possibile e nei termini in cui ne sarò capace, la mia è solo una posizione, un ruolo funzionale al servizio della mia terra, della mia gente e di un’idea.
Abbiamo sempre detto che la nostra associazione vuole semplicemente essere un “laboratorio per una nuova stagione di idee!”.
Non abbiamo mai chiesto adesioni economiche. Non abbiamo mai chiesto a nessuno di iscriversi e di corrispondere una quota associativa.
Tutto quello che abbiamo sempre detto è che il nostro sito internet ed i nostri canali social, sono uno strumento a disposizione di chi voglia sensibilizzare, denunciare e richiamare l’attenzione sulle questioni, sulle problematiche e sulle necessità del nostro territorio e della nostra gente.
Quando ero ragazzo ricordo che c’era il senso della militanza attiva.
A Napoli, a via Foria, c’era una sezione di Alleanza Nazionale molto attiva ed attenta. Oggi non esiste più niente.
Noi, nel nostro piccolo, siamo ripartiti da quello perchè siamo dell’avviso che la nuova Destra non rinascerà sulla scorta di operazioni romanocentriche o, comunque, calate dall’alto, ma dai territori, ridandosi l’audacia delle sfide importanti e riconquistando la nostra gente, agendo ed operando sui social e nelle vie della città con manifesti, volantini, momenti di confronto, raccolte firme e petizioni perchè l’impegno di oggi deve avere soprattutto carattere civco, pre-politico e culturale.
Politica di prossimità , insomma, facendo “rete” anche coi vari attori del territorio, rimettendosi tra la gente ed insieme alla gente per consumare una audace rivoluzione culturale e valoriale che ridia alla Destra il senso ed il sapore delle cose davvero autentiche.
E’ quella la strada. Una ridda di associazioni territoriali che svolgano una funzione civica, pre-politica e culturale, perchè sarà la militanza nei territori a riconquistare la nostra gente, a farne sentire la voce ed i bisogni e a dirci chi meriterà un giorno l’onore della rappresentatività .
Nel nostro piccolo abbiamo consumato la bellezza della magia quando, ad esempio, dopo mesi di sensibilizzazione, articoli e petizioni, abbiamo visto che il Sindaco di Napoli, un sindaco comunque di sinistra, è in qualche modo intervenuto sulla questione della prostituzione maschile e femminile nei pressi del centro direzionale.
La risposta non è stata delle migliori in termini di soluzione ma l’attenzione c’è stata. E questa volta, a sensibilizzare, a denunciare, a richiamare l’attenzione, c’eravamo anche noi e questo risultato, anche piccolissimo, ce lo siamo “portati a casa”, perchè saranno anche queste cose che faranno riappassionare la nostra gente.
Sono queste piccole cose a dare il senso della militanza attiva.
Sono queste le cose che dobbiamo fare.
Sono queste le cose che faranno nascere quella destra di cui c’è bisogno.
Una Destra democraticamente incendiaria.
Salvatore Castello
Right Blu – la Destra liberale
argomento: destra, Fini | Commenta »