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LA UE NON CI DÀ UN ANNO IN PIÙ PER FAR SLITTARE IL PAREGGIO DI BILANCIO

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

IL TESORO MINIMIZZA, MA ORA CI SONO DA TROVARE DUE MILIARDI

La questione è più politica che strettamente contabile.
La bocciatura del rinvio del pareggio di bilancio decisa dall’Ecofin a metà  giugno e ratificata nel vertice del Consiglio europeo appena concluso di cui parla oggi Repubblica peserà  poco nella lista della spesa che il premier si prepara ad affrontare al ritorno della vacanze a settembre in vista del varo della legge di stabilità .
Meno di due miliardi, sempre ammesso che le stime di crescita su cui si regge tutto l’impianto previsionale del governo non si rivelino poi infondate.
Ma non passa comunque inosservata la coincidenza dei tempi: mentre il presidente del Consiglio era a Bruxelles per negoziare, a parole, maggiori margini di flessibilità  all’interno del rispetto dei trattati esistenti, contemporaneamente lo stesso vertice sanciva nero su bianco la bocciatura alla prima e unica richiesta formale fatta dal governo di deroga ai patti europei.
E dire che, mentre si discute di ben più consistenti spazi di manovra da poter sfruttare all’interno delle strettissime maglie dei trattati comunitari, la richiesta formalizzata ad aprile dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan era stata — pur dovuta —piuttosto esigua.
Vale a dire uno slittamento minimo rispetto al pareggio di bilancio in termini strutturali: dal 2015 chiesto dall’Europa al 2016 fissato nel Documento di Economia e Finanza, arrivando comunque a un passo (-0,1%) già  il prossimo anno.
“Il governo — aveva scritto il ministro nella sua missiva a Bruxelles – si impegna a rispettare il piano di rientro del debito con il raggiungimento dell’ obiettivo pieno nel 2016 e sostanziale nel 2015”.
Anche per questo dal Tesoro trapela serenità . Un po’ perchè le raccomandazioni erano note almeno dalla metà  di giugno, quando l’Ecofin ha corretto, in peggio, il testo uscito dalla Commissione all’inizio di giugno.
Il via libera di qualche giorno fa, si spiega, è un atto di normale prassi istituzionale. Ma il punto più importante sta proprio nelle parole utilizzate dal ministro Padoan.
Le nuove raccomandazioni, pur irrigidite rispetto al testo uscito dalla Commissione, non impongono nè manovre correttive nè interventi straordinari per il prossimo anno, fanno sapere da via XX settembre.
Il pareggio di bilancio verrà  “sostanzialmente” raggiunto già  il prossimo anno, rispettando così anche le richieste formulate dal Consiglio. Anzi, quello 0,1% di differenza tra l’obiettivo europeo e la tabella di marcia italiana potrebbe costituire un primo banco di prova in Europa della flessibilità  di cui tanto si parla in questi giorni.
Diversamente, la correzione nella legge di bilancio per il prossimo anno sarebbe stata ancora più robusta di quanto già  non sia destinata ad essere.
Già  ora ci sono 20 miliardi da trovare. A partire dai 10 miliardi per rendere strutturale il taglio dell’Irpef che solo in una minima parte, circa 3 miliardi, sono già  stati trovati in modo permanente nel decreto varato ad aprile.
Senza contare il fatto che l’estensione della platea per la concessione del bonus, promessa tanto da Renzi quanto da Padoan, rischia di far lievitare sensibilmente la cifra.
A questi — ed altri 5 miliardi che il governo dovrà  trovare per spese indispensabili come il rifinanziamento delle missioni internazionali o la cassa in deroga — si aggiungono i 4,9 miliardi con cui il governo sa già  di dovere fare i conti per abbassare il deficit strutturale.
La previsione era di dovere scendere di “0,5 punti percentuali” dallo 0,6 del 2014 fino allo 0,1 “grazie ad una manovra di consolidamento interamente finanziata da riduzioni di spesa pari a 0,3 punti percentuali di pil sul primario”. I 4,9 miliardi.
Aggiustamento che, a questo punto, potrebbe essere eventualmente leggermente più caro.

(da “Huffingtonpost”)

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SONDAGGIO SWG: SALGONO PD, FORZA ITALIA E LEGA, SCENDONO M5S, SEL E FDI, STABILE NCD

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

IL CENTROSINISTRA SI ATTESTA AL 45,8%, IL CENTRODESTRA AL 32,7%

Il Partito democratico vola nei sondaggi: se dovesse votare oggi, il 42,6% degli italiani voterebbe per il Pd.
E’ quanto emerge da un’indagine di SWG, che rileva una percentuale in crescita per il Pd rispetto alle intenzioni di voto rilevate una settimana fa (41% il 19 giugno) e rispetto alle europee del 25 maggio (40,8%).
Scende invece al 2% Sinistra Ecologia e Libertà  (3,1% il 19 giugno e 4% alle europee).
Complessivamente il centrosinistra si attesta al 45,8% (46% una settimana fa e 45,4% alle europee), mentre il centrodestra al 32,7% (31,4% il 19 giugno e 31,1% alle europee).
Forza Italia nelle intenzioni di voto recupera, salendo al 18,1% (16,7% il 19 giugno, 16,8% alle europee), Ncd è al 4,4% (4% il 19 giugno e 4,4% alle europee), Fratelli d’Italia al 3,3% (3,8% il 19 giugno, 3,7% alle europee), Lega al 6,6% (6,6% il 19 giugno, 6,2% alle europee).
M5S in leggero calo al 19% (20,6% il 19 giugno, 21,2% alle europee), Scelta Civica all’1% (0,7% sia il 19 giugno che alle europee).
Una percentuale consistente invece non si esprime sulle proprie intenzioni, il 39,6%.

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GRANDI RIFORME? NO, SOLO LINEE GUIDA DEL PARTITO DELLA FUFFA

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

DALLE SLIDE AI PROCLAMI: IL METODO DEL RENZISMO SPOPOLA IN TV E ARRIVA IN EUROPA… E I FATTI SONO COME LA NEBBIA MILANESE DI TOTà’ E PEPPINO, CHE C’È MA NON SI VEDE

Il renzismo c’è ma non si vede. Esattamente come la mitica nebbia milanese nella mala-femmina di Totò e Peppino.
L’ultimo sviluppo della tradizione orale imposta dalla nuova era di Matteo Renzi ingloba adesso anche la delicatissima materia della giustizia, al centro dello scontro politico nel ventennio breve berlusconiano.
Il dibattito sulla presunta riforma, annunciata dal Guardasigilli in un’intervistona a Repubblica, ferve da due giorni ma si basa appunto su proclami e intenti.
Di scritto, nulla. Falso in bilancio, stretta o meno sulle intercettazioni, prescrizione, giustizia civile, responsabilità  dei magistrati sono questioni tornate d’attualità  solo in pagine di giornali e dichiarazioni d’agenzia.
Qualcosa di concreto dovrebbe arrivare lunedì prossimo ma attenzione: nel Consiglio dei ministri la Grande Riforma della giustizia sarà  truccata sotto forma di linee guida.
Tutto il renzismo è impregnato di linee guida: la riforma della Pubblica amministrazione (sfociata poi in due decreti), quella del terzo settore, la presidenza del semestre europeo e ora la giustizia.
Le linee guida sono un caposaldo della tradizione orale del governo (già  raccontata da Salvatore Cannavò sul Fatto del 19 giugno scorso) e rischiano di trasformare il Pd non solo nel PdR, cioè il Partito di Renzi, ma anche nel nuovo Pnf, secondo la strepitosa battuta di Pietrangelo Buttafuoco: Pnf come Partito nazionale della fuffa.
Di questo passo il renzismo postideologico del Terzo millennio porrà  un serio problema agli storici di domani.
Lo stesso che ha assillato generazioni di studiosi dell’Africa. La storia del continente nero è infatti definita come “civiltà  della parola” per mancanza di fonti scritte e stabili. Tutto deriva della tradizione orale, appunto.
Oltre alla maschera delle linee guida, resa più sexy dal culto delle slide, un altro concetto chiave della propaganda delpremier è il fatidico metodo.
Il “metodo” si sta affermando in questi giorni europei molto intensi. Ancora non si sa cosa porterà  a casa di fattuale Renzi, ma i suoi aedi girano di trasmissione in trasmissione ad annunciare che il “metodo di Matteo” ha spopolato in Europa. Esemplare, in merito, il sottosegretario Sandro Gozi, ex prodiano, che ha una faccia da secchione pignolo.
L’altra mattina, a Omnibus, i giornalisti lo incalzavano sulla natura dei risultati raggiunti da Renzi nell’Ue.
Lui, con ossessiva ripetitività , ha opposto sempre “la vittoria del metodo”. In che cosa consista il metodo non è però ben chiaro. Si torna alla metafora della nebbia di Totò e Peppino. Il metodo c’è ma non si vede.
Sulle promesse e sulle linee guida Renzi ha messo la faccia centinaia di volte. Memorabile il suo duetto con Bruno Vespa nel marzo scorso, a Porta a Porta, sul pagamento dei debiti alle aziende da parte della Pubblica amministrazione.
Il premier annunciò, sicurissimo di sè, l’azzeramento delle richieste entro la fine dell’estate.
Il conduttore si mostrò scettico e lui rilanciò: “Al 21 settembre, ultimo giorno d’estate, se noi abbiamo pagato tutti i debiti della pubblica amministrazione Bruno Vespa fa un pellegrinaggio a piedi da Firenze e Monte Senario”.
Il 21 settembre si avvicina, mancano meno di tre mesi, ma l’unica certezza è che l’Italia è stata colpita da una procedura di infrazione europea. Non solo. Tutti i pagamenti fatti sinora, 23,5 miliardi di euro su un totale di 68, sono merito soprattutto dei soldi stanziati dai precedenti governi di Mario Monti ed Enrico Letta.
Archiviato il tormentone degli 80 euro, approvati per decreto quasi un mese dopo le elezioni europee (la specialità  del Pnf è l’azzardo), il premier ha puntato tantissimo anche sulle riforme istituzionali, ridottesi alla fine nella querelle sul Senato non elettivo e di fatto congelando l’Italicum, la nuova legge elettorale.
Qui, sul Senato, il renzismo delle linee guida e del metodo dovrà  fare i conti con una variabile impazzita che ha già  ingannato molti a sinistra: Silvio Berlusconi.
Il Cavaliere, in vista della sentenza d’Appello del processo Ruby, sembra sempre più intenzionato a legare i suoi guai giudiziari al patto del Nazareno, sottoscritto con “Matteo”.
Senza dimenticare i mal di pancia trasversali sul nuovo Senato, cosa succederà  quando l’ennesima Grande Riforma resterà  sulla carta per la marcia indietro dell’ex Cavaliere, gravato da una nuova condanna definitiva sulle spalle?
Giustizia, Pubblica amministrazione, riforme istituzionali.
Il renzismo, a parole, non si è risparmiato nulla. Un altro grandioso annuncio è stato il Jobs Act, il piano per il lavoro.
Ma tra spacchettamenti e legge-delega bisognerà  attendere almeno il 2015 per vedere qualcosa di concreto.
È la conferma ulteriore che siamo precipitati in una civiltà  della parola.
E quando gli storici rinverranno le slide renziane come fonti storiografiche, aggiorneranno il catalogo delle forme della tradizione orale.

Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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RENZI FA DA SCUDO ALLA BOSCHI: “L’IMMUNITÀ L’HO VOLUTA IO”

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

SAREBBE STATO LO STESSO PREMIER A DECIDERE IL RITORNO DELL’IMMUNITA’ PER I SENATORI, LA BOSCHI HA SOLO ESEGUITO

Una riforma con l’immunità  al centro e i balletti intorno.
Ci sono i ribelli in Forza Italia, le ridotte al Nazareno, le furerie in zona Nuovo Centro Destra. Tutti vigili poco incisivi.
E la riforma di Palazzo Madama scivola verso il tira e molla di sub-emendamenti (oltre 500) di lunedì in Commissione Affari costituzionali e, fra un paio di settimane, finirà  in aula. In stiva, protetta, viaggia l’immunità  per i futuri senatori che poi senatori non saranno, non come oggi, non eletti, non equivalenti ai deputati, ma consiglieri regionali, sindaci e nominati.
L’immunità  non è apparsa per caso, e per caso potrebbe restare.
Com’è andata lo spiegano fonti di Palazzo di Chigi, che rispondono a precisa domanda: il 17 giugno, due giorni prima che terminassero le mediazioni in Commissione, Matteo Renzi e una delegazione di senatori democratici hanno siglato un compromesso e riesumato l’immunità .
Questa è la novità . Un particolare schiacciante che aiuta a interpretare l’immobilismo di Maria Elena Boschi, il ministro competente e piuttosto riservata e silente su questa vicenda.
I passaggi sono numerosi, però, e vanno messi in fila.
Per fare ordine. Roberto Calderoli, il leghista relatore in Commissione assieme ad Anna Finocchiaro, ha ricostruito le origini di quest’apparizione. Calderoli e Finocchiaro, per non ignorare la questione, introdurre o escludere l’immunità  per una Camera non più paritaria, volevano coinvolgere l’arbitro più preparato e imparziale che si possa coinvolgere: la Consulta.
I democratici avevano fretta. Il ministro per le Riforme aveva fretta.
Calderoli ha consegnato al Fatto il contenuto di un paio di email provenienti dal dicastero per le Riforme che certificano un elemento: Boschi sapeva dell’immunità  — siamo al 19 giugno, giovedì — e non ha modificato il documento.
Ma non poteva intervenire: la decisione l’aveva timbrata Matteo Renzi.
Il 17 giugno, raccontano fonti di Palazzo Chigi, Renzi ha incontrato una delegazione di senatori democratici e, in quella sede, è emersa la convinzione che fosse necessario ripristinare l’immunità  per Palazzo Madama in versione aggiornata.
I motivi. Aumentati poteri legislativi, di controllo e di garanzia, l’immunità  era invocata da gran parte dei senatori in Commissione e da un gruppo di costituzionalisti che hanno osservato l’evoluzione di un testo che, in fase di approvazione preliminare (Cdm del 31 marzo), non prevedeva l’ombrello contro l’arresto, le perquisizioni e le intercettazioni senza la tradizionale autorizzazione, articolo costituzionale numero 68.
Il faccia a faccia tra i senatori e il segretario-premier è servito anche a reperire la formula più adatta per aggiornare il testo: un emendamento dei relatori.
E dunque il governo, ricevuto il via libera da Renzi, non ha eliminato l’immunità  e ha confermato — come dimostrano i documenti pubblicati ieri dal Fatto e come ammettono le fonti di Palazzo Chigi — le proposte teleguidate dei relatori.
Non è stato un incidente burocratico. Non è stato un equivoco fra uffici. Non è stata una dimenticanza, una spietata leggerezza.
Ma è stata una volontà  politica, vidimata fra i doppi livelli di esecutivo e partito. Unica differenza: il governo non ha accettato, in quei giorni frenetici, il suggerimento di Calderoli e Finocchiaro che volevano (e vogliono ) interpellare la Consulta.
Il leghista, autore di porcate elettorali e dotato di sagacia tattica, non voleva sembrare uno sprovveduto nè un difensore di una nuova categoria di privilegiati: i senatori non eletti, di fatto una squadra di fortunati politici locali.
E così Calderoli ha sfidato il ministro Boschi a negare l’evidenza: l’immunità  è un desiderio di Palazzo Chigi, non l’estremo, non l’unico, ma comunque di proprietà  di Palazzo Chigi. Boschi non ha replicato a Calderoli, non ne ha avvertito l’esigenza.
Ma non ha più importanza: perchè Palazzo Chigi si è intestato la paternità  di questa scelta.
L’arcano non esiste più. Anzi, non è mai esistito.
Il ministro Boschi ha degradato a questione non “dirimente” (testuale) l’immunità  perchè era a conoscenza degli accordi fra Renzi e un gruppo di senatori.
Non poteva smentire il premier. E il premier non ha smentito l’ultimo testo.
Ma non hanno più valore le frasi di circostanza, le esternazioni quasi piccate di chi sosteneva con sicumera: se l’immunità  è un problema, la togliamo.
Forse adesso è un problema, ma l’hanno voluta. E sta lì, nel documento, come richiesto.

Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano”)

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FINI IN CAMPO CON UN NUOVO MOVIMENTO: “RINNOVAMENTO, NON ROTTAMAZIONE”

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

UN NUOVO PROGETTO TRA PARTECIPAZIONE, MONOCAMERALISMO ED ELEZIONE DIRETTA DEL CAPO DELLO STATO

A volte ritornano (anche in politica).
Dopo l’annuncio di discesa in campo di Corrado Passera, stavolta è toccato a Gianfranco Fini lanciare un nuovo progetto politico di centrodestra: «Partecipa, l’Italia che vorresti». Nome provvisorio, visto che «quello del nome è l’ultimo problema».
Non un partito, almeno per il momento – ci tiene a precisare – ma un «movimento partecipativo dal basso».
Il processo è ancora lungo: l’ex presidente della Camera lo ha lanciato oggi al palazzo dei Congressi di Roma; da qui partirà  l’organizzazione delle assemblee regionali in vista di un nuovo incontro nazionale per prendere le decisioni sul futuro del progetto voluto da Fini.
Il suo nuovo ruolo è quello di un «allenatore» – come lui stesso si definisce – di una «squadra che deve tornare a vincere».
Il team di cui parla è quello del centrodestra, «diviso da ripicche e personalismi». Per ricostruirlo, però, non servono le alleanze, ma le idee e i contenuti, spiega l’ex leader di An e FdI.
Scelta obbligata per chi sta fuori dal Parlamento e sostiene di voler fare politica all’esterno del Palazzo, per «passione e non per le poltrone».
L’iniziativa di Fini nasce anche da uno spettro agitato dall’ex presidente della Camera: «Non ci sono competitori credibili a Renzi, non lo sono nè Grillo nè il centrodestra ora, e il rischio è che il leader del Pd governi per vent’anni».
Allora quello che serve è un rinnovamento: «Non una rottamazione», come quella renziana, perchè «l’esperienza può aiutare sempre, anche i più giovani».
Non solo di prospettive future ha però parlato Fini: non sono mancati gli agganci con l’attualità .
L’euro, ad esempio; oggetto dello scontro con il centrodestra: «Non si fa l’interesse nazionale quando si dice di uscire dalla moneta unica – sostiene Fini riferendosi a Lega e FdI – ma l’euro rischia di non stare insieme senza una politica economica e sociale».
E di Ue l’ex leader di An ha parlato anche in merito alle nomine di cui si discute in questi giorni: «Mi auguro sia l’attuale ministro degli Esteri Mogherini la nuova Lady Ashton dell’Ue, ma serve una vera politica estera europea».
E, infine, le riforme: «Spero che sia la volta buona», si auspica Fini svelando di vedere di buon occhio il dialogo aperto da Berlusconi con la sinistra.
Ma non manca una provocazione: «Perchè non passare al monocameralismo al posto del Senato delle autonomie?».
E magari anche all’elezione diretta del capo dello Stato, come chiede Fini in piena sintonia con la posizione di tutto il centrodestra.

(da “La Stampa“)

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IL RITORNO IN POLITICA DI FINI MOVIMENTISTA: “SI PUO’ GIOCARE UNA PARTITA VINCENTE”

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

DOPO UN ANNO DI SILENZIO, L’EX LEADER DI AN LANCIA “PARTECIPA”, IL SUO NUOVO PROGETTO PER IL CENTRODESTRA

Aveva preannunciato la sua ridiscesa in campo con un video promozionale nelle vesti di allenatore. E oggi, al Palazzo dei Congressi dell’Euro, Gianfranco Fini dopo un anno di silenzio ha presentato la sua nuova idea di centrodestra, lanciando l’iniziativa “Partecipa, l’Italia che vorresti”.
L’ex leader di An guarda al futuro, non recide le radici profonde della destra a partire da Almirante mai nominato ma evocato, non rottama ma rinnova e, soprattutto, sceglie di mettersi in gioco in prima persona e in solitudine.
Una convention che già  nel format declina i punti di riferimento e lo ‘schema’ scelto da Fini per quella che lui stesso definisce “una partita difficilissima” da giocare.
A scaldare la platea è un video in cui scorrono campioni come Federica Pellegrini e Valentino Rossi, mentre lo spot dell’evento è un filmato in cui Fini appare in veste di allenatore che manda giovani calciatori in campo.
Poi è lo stesso ex presidente della Camera a indicare le premesse indispensabili per “giocarsela”: “Si deve guardare avanti senza agitare una ideale scimitarra. Sarà  deluso chi si aspetta da me chissà  quali polemiche e recriminiazioni. Faccio un appello, evitiamo lo sterile sfogatoio o la seduta psicanalitica collettiva”. Ancora, serve una sana autocritica: “Dobbiamo guardare avanti coscienti di aver vissuto momenti difficili e dolorosi, in cui sono consapevole di aver commesso errori. Il che non significa essere pentiti perchè il tempo è galantuomo”.
Infine, l’obiettivo, chiaro: “Dobbiamo ragionare rivolgendoci non tanto ai partiti di destra e centrodestra ma agli italiani delusi dalla situazione della destra e del centrodestra, a quelli che gli hanno voltato le spalle”.
Fini poi annuncia al termine della convention l’avvio delle assemblee regionali e quindi di una fase di radicamento di un movimento che oggi è ancora senza nome: “E’ l’ultimo problema, prima parliamo tra di noi, poi pensiamo ai nomi”.
Quindi, fuori dal Palazzo, senza una vera organizzazione, “senza un centesimo” è il perimetro della sfida del Fini ‘movimentista’ che ha deciso di giocare quasi in solitudine.

(da “La Repubblica“)

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IL RITORNO DI GIANFRANCO FINI: “LA POLITICA E’ PASSIONE NON UN SEGGIO IN PARLAMENTO, SERVE UNA NUOVA DESTRA”

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

L’EX PRESIDENTE DELLA CAMERA: “SE LA DESTRA NON SI MUOVE RENZI GOVERNERA’ PER 20 ANNI”… VIA ALLE ASSEMBLEE ORGANIZZATIVE REGIONALI

Sostiene che non vuole scendere in campo ma allenare una squadra per tornare a vincere.
Al di là  delle metafore calcistiche Gianfranco Fini presenta la sua idea per una «destra che non c’è».
Questo lo slogan scelto nella convention di Roma «Partecipa, l’Italia che vorresti» durante la quale l’ex leader di Alleanza Nazionale ha illustrato un nuovo progetto politico dopo l’esperienza infelice di «Futuro e Libertà ».
Parte proprio da qui, da un’autocritica, il nuovo percorso: «Sono consapevole di aver commesso errori, il che non significa essere pentiti, perchè il tempo è galantuomo. Abbiamo ottenuto un risultato catastrofico, negativo oltre ogni previsione, da tenere a mente con umiltà  per fare tesoro degli errori commessi».
«Fuori dal palazzo»
Critico verso Alfano parla di una «di una destra che non c’è o che è troppo divisa da ripicche e personalismi». E senza un avversario «Renzi può governare per 20 anni, con lui si è chiuso il commissariamento della politica. Grillo rappresenta la protesta ma nessun italiano pensa che possa governare. La destra è statica, immobile».
Si sente ormai fuori dal palazzo da tempo: «La politica è passione non un seggio in Parlamento. E non avrà  senso nei prossimi mesi parlare di alleanze. Siamo fuori dal palazzo e dobbiamo agire da fuori, ascoltando la società  e il paese»
Un movimento dal basso che non punta a «rottamare» ma a «rinnovare».
Le posizioni sono quelle di una destra europea liberale, spiega: difesa dell’euro, sistema unicamerale, apertura alle unioni civili. Il prossimo passo? L’organizzazione di assemblee regionali per ramificare la formazione sul territorio, «poi vedremo se ci sono le condizioni per andare oltre».

(da “il Corriere della Sera”)

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IL BONUS DA 80 EURO RIMANE NEL PORTAFOGLIO: IMPATTO ZERO SUI CONSUMI

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

LE GRANDI CATENE DELLA DISTRIBUZIONE CONCORDI: I CONSUMI SONO RIMASTI FERMI ANCHE DOPO IL PRIMO BONUS DI GIUGNO

In questi giorni per la seconda volta dieci milioni di italiani trovano sui conti bancari, nelle buste paga e nei cedolini della pensione, gli 80 euro (circa) del bonus Irpef.
Giugno è stato il primo mese nel quale il loro potere d’acquisto è aumentato con lo sgravio concesso dal governo.
Per tirare le somme è presto. Impossibile capire se davvero si sia innescato il circolo virtuoso sperato: una spinta ai consumi e uno stimolo alla domanda di beni e servizi, tale da far ripartire le vendite e dunque anche la produzione delle imprese rivolte al mercato italiano.
Non è presto però per cercare di misurare se i primi 80 euro in busta paga (o nel cedolino previdenziale), quelli versati un mese fa, abbiano provocato un primo risveglio delle vendite al dettaglio.
La risposta, per il momento, è no. Non sembra sia successo.
Nè la ristorazione a basso costo, nè la grande distribuzione organizzata sembrano aver registrato il benchè minimo incremento dell’attività  in giugno rispetto a maggio.
Nè Esselunga, nè la rete dei punti vendita Coop riferiscono di aver notato un’inversione, soprattutto non in senso positivo.
Sommate, le due grandi concorrenti italiane pesano per quasi un terzo della rete di supermercati e ipermercati sul territorio nazionale, con un fatturato annuo cumulato di quasi venti miliardi.
Ma per nessuna delle due, per il momento, il bonus da 80 euro sembra aver fatto alcuna differenza.
Francesco Cecere, direttore del marketing Coop, in giugno non ha notato svolte nella capacità  di spesa degli italiani.
Però ha trovato la conferma di un nuovo fenomeno: «Le famiglie di età  medio-alta stanno incrementando i consumi, mentre quelle giovani continuano nella tendenza alla contrazione». Secondo le analisi svolte a Coop, molti giovani con figli mangiano sempre meno spesso a casa propria e preferiscono andare dai genitori, per risparmiare.
Tocca a questi ultimi, spesso pensionati, magari beneficiari del bonus Irpef a differenza dei figli che non guadagnano abbastanza per avervi diritto, a fare più spesa: devono mettere a tavola anche figli e nipoti.
Roberto Masi, amministratore delegato di McDonald’s Italia, conferma le stesse tendenze.
Il fatturato in Italia della catena americana è in calo del 3% rispetto a un anno fa e in lievissima flessione, decisamente meno dell’1%, in giugno rispetto a maggio.
Gli italiani non hanno speso i loro 80 euro di bonus andando più spesso a mangiare un hamburger con una bibita. Masi osserva che possono esserci spiegazioni episodiche: «Nel mese dei mondiali, le famiglie preferiscono restare a casa a guardare le partite — dice — Gli italiani escono meno spesso».
Soprattutto, il mancato aumento dei consumi nel primo mese del bonus può avere motivazioni più generali.
In una parte dei Comuni a metà  giugno i proprietari di casa hanno dovuto pagare la Tasi, la nuova tassa sui servizi urbani. Per le imprese, anche quelle a conduzione familiare, sono arrivate poi le scadenze Iva.
Serviranno dunque alcuni mesi per valutare se il bonus possa avere un impatto al netto degli impegni fiscali.
Un sondaggio dell’Istat pubblicato giovedì segnala però che potrebbero esserci altre forze a frenare. In giugno il clima di fiducia dei consumatori è sceso, così come i giudizi sulla situazione economica della famiglia e sulle prospettive familiari future. Non tutto è negativo.
Segnala Cecere, di Coop, che le risposte ai sondaggi dei loro consumatori mostrano «un ritorno di speranza nel futuro, se non proprio di fiducia».
Certo in Italia il clima sull’economia rilevato dalla Commissione Ue è ancora in calo, mentre in Spagna è ai massimi dal 2007.
E il motivo è facile da capire: secondo l’Istat, in giugno sono aumentate le persone che prevedono o temono la disoccupazione.
I big della grande distribuzione: giugno magro nonostante gli aiuti Scadenze fiscali e disoccupazione allontanano la gente dai negozi Un bilancio sull’impatto degli 80 euro è dunque prematuro.
Ma non lo è per azzardare una previsione: non aiuteranno a far ripartire i consumi, fino a quando le imprese non saranno in condizioni di riprendere a creare posti di lavoro.
Ma per quello, forse, serve qualcosa più di uno sgravio da 80 euro sull’Irpef.

Federico Fubini
(da “La Repubblica“)

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LITE BRUNETTA-VERDINI SULL’OK A RENZI

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

FORZA ITALIA SPACCATA: BRUNETTA INSISTE PER IL NO, VERDINI SI APPELLA A BERLUSCONI: “ATTENTO, IL PD PUO’ FAR TUTTO DA SOLO”

A dispetto dei ribelli forzisti e dei dissidenti della maggioranza, l’intesa tra Renzi e Berlusconi tiene.
Lo conferma il premier da Bruxelles, definendo «un compromesso molto buono» quello raggiunto in commissione: «Sono molto ottimista che l’accordo terrà ».
Quindi, aggiunge, «già  dalla prossima settimana o la fine della successiva» ci saranno «i primi voti in commissione e Aula».
La battuta feroce è contro i dissidenti interni: «Trovo davvero sorprendente che tutte le volte che andiamo all’estero c’è parte del Pd, ancorchè minoritaria, che riapre discussioni che sembravano chiuse sulle riforme: è un atteggiamento che si giudica per quello che è e non ha bisogno di parole ulteriori».
A sentire gli altri contraenti del patto del Nazareno le cose stanno filando per il verso giusto.
Il ministro Boschi e Luca Lotti, mentre Renzi era impegnato al summit Ue, hanno tenuto i rapporti con i forzisti Paolo Romani e Denis Verdini.
«Il lavoro istruttorio è quasi finito», spiega Romani. Manca solo il timbro ufficiale del governo alla principale richiesta di Forza Italia, quella di introdurre un correttivo proporzionale nella scelta dei futuri senatori, in modo che dalle Regioni (oggi quasi tutte in mano al centrosinistra) non vengano inviati a Roma solo senatori di una parte politica.
Ma la scelta politica di Berlusconi di non far saltare il patto sembra ormai irreversibile, almeno in questo primo passaggio parlamentare.
La commissione affari costituzionali inizierà  a votare gli emendamenti lunedì pomeriggio, ma il punto più contrastato, quello del Senato non elettivo, slitterà  sicuramente alla settimana successiva.
Il fatto è che giovedì sia il Pd ma soprattutto il Pdl terranno le loro assemblee parlamentari. E in casa forzista sarà  l’ora della verità .
Negli ultimi giorni, dietro le quinte, si è consumato uno scontro molto duro tra lo stesso Verdini e Renato Brunetta proprio sull’atteggiamento da tenere nei confronti del governo.
Nelle riunioni di vertice con Berlusconi il capogruppo ha insistito sulla linea dura, quella dell’opposizione senza sconti al governo e del no al ddl Boschi sul Senato. Tanto che Verdini, esasperato, si è rivolto direttamente al leader: «Nessuno ha il coraggio di dirtelo, ma la verità  è che Renzi le riforme al Senato le può fare anche senza di noi. Ho calcolato che gliele possono votare 180-190 senatori. E allora tu saresti tagliato fuori da tutto e messo in un angolo. E Renzi potrebbe fare una legge elettorale che ci farebbe scomparire dalla scena. E questo che vuoi presidente?».
Da qui è nata l’idea dell’assemblea di tutti i parlamentari forzisti.
Perchè Romani e Verdini, a questo punto, preoccupati per le voci su una fronda sempre più consistente, hanno chiesto al leader di metterci la faccia.
E dunque sarà  Berlusconi stesso a spiegare la necessità  di “baciare il rospo” e votare sì al Senato non elettivo.
«A quel punto – pronostica una fonte berlusconiana – quanti senatori di quei 35 senatori che hanno firmato il documento di Minzolini resteranno sulle loro posizioni? Non più di 3 o 4».

Francesco Bei
(da “La Repubblica”)

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