Giugno 30th, 2014 Riccardo Fucile
LE DICHIARAZIONI DI BERLUSCONI NEGLI ANNI SCORSI
“Vado a canonizzarmi perchè mi sono ritrovato gay e di sinistra” (da Bruxelles, 22 marzo 2005)
“Mi hanno dato del mafioso e della persona poco per bene. Mi hanno detto di tutto, tranne che sono gay: e ogni tanto bisogna dimostrare di non esserlo” (21 maggio 2006)
“Gli uomini arrivano sempre dopo. Le donne hanno più intuito, quell’intuito tipicamente femminile che non hanno gli uomini e nemmeno i gay. Ma i gay sono tutti dall’altra parte, a sinistra” (6 febbraio 2007)
“Mi dicono di tutto, ci manca solo che dicano che sono gay” (14 giugno 2009)
“Meglio essere appassionati di belle ragazze che di gay” (2 novembre 2010)
“Io non so dire di no, fortuna che nessun gay è mai venuto a farmi una proposta perchè alla terza volta avrei chiesto di spiegarmi tecnicamente come si fa, e ci sarei stato” (14 dicembre 2010)
“Finchè governeremo questo Paese, le unioni omosessuali non verranno mai equiparate alla famiglia tradizionale! Mai adozioni per le coppie gay!” (26 febbraio 2011)
“Tutti noi abbiamo un 25% di omosessualità . Ce l’ho anch’io, solo che dopo un approfondito esame ho scoperto che la mia omosessualità è lesbica” (16 aprile 2011)
“Mi hanno accusato di tutto: l’unica accusa che non mi hanno mai fatto è di essere gay” (20 ottobre 2011)
“Non ho nulla contro gli omosessuali, sia chiaro. Anzi ho sempre pensato che più gay ci sono in giro meno competizione c’è” (6 febbraio 2012)
“Con l’avvento della sinistra non vorremmo assistere all’apertura delle frontiere agli immigrati irregolari e alla proliferazione di matrimoni gay” (26 dicembre 2012)
“Le accuse dalla sinistra sono state tante, le uniche che mancano sono quelle di rubare i soldi agli italiani e di essere gay … io comunque ho tanti amici gay, sono estremamente divertenti, simpatici ed intelligenti” (31 dicembre 2012)
(da “L’Espresso”)
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Giugno 30th, 2014 Riccardo Fucile
LA MOSSA A SORPRESA E LA SVOLTA “PASCALIANA”…. MA GASPARRI, COME SEMPRE, SI PERDE E SBAGLIA STRADA
Pochi se lo aspettavano. Soprattutto tra i suoi. ![](https://fbcdn-sphotos-e-a.akamaihd.net/hphotos-ak-xpa1/t1.0-9/10410754_10202911023309198_5260826327664881109_n.jpg)
Silvio Berlusconi ieri ha rilasciato una dichiarazione che apre al mondo gay e alle unioni omosessuali: “Quella per i diritti civili degli omosessuali è una battaglia che in un paese davvero moderno e democratico dovrebbe essere un impegno di tutti”, ha detto il leader di Forza Italia sull’onda forse delle manifestazioni omosessuali che si sono svolte in Italia e all’estero.
E ancora: “Da liberale ritengo che attraverso un confronto ampio e approfondito si possa raggiungere un traguardo ragionevole di giustizia e di civiltà ”.
Sembra un’altra persona rispetto al leader che appena nel novembre 2010, parlando del caso Ruby, aveva detto: “Meglio appassionarsi alle belle ragazze che essere gay”.
Il primo segnale della svolta berlusconiana era, però, già arrivato nei giorni scorsi quando la compagna del leader di Forza Italia, Francesca Pascale, si era iscritta all’Arcigay (insieme con l’ex direttore del Giornale, Vittorio Feltri), precisando che l’adesione nasceva dalla condivisione delle “battaglie in favore dell’estensione massima dei diritti civili e della libertà ”.
La scelta della Pascale era stata accolta con soddisfazione dal presidente dell’Arcigay, Flavio Romani: “A Francesca Pascale chiediamo di farsi capofila di un movimento all’interno di Forza Italia, che metta al centro le nostre istanze e che ci porti entro settembre ad avere un numero consistente di parlamentari azzurri disposti a sostenere e migliorare le proposte di legge che riguardano le persone lgbt (lesbian, gay, bisexual and transgender). C’è molto da fare in questo Paese, non fateci mancare il vostro aiuto”.
Ma la presa di posizione di Berlusconi, forse dettata anche dal nuovo corso “pascaliano”, pare destinata a creare divisioni nel centrodestra e nella stessa Forza Italia. Maurizio Gasparri ha voluto subito ribadire: “Bisogna rispettare i diritti ed evitare discriminazioni. Ma resto convinto che matrimoni gay e le adozioni da parte di coppie omosessuali siano una scelta sbagliata che non condivido. Oggi, come ieri”. Insomma, non sono soltanto le riforme e le primarie a dividere il partito dell’ex Cavaliere.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 30th, 2014 Riccardo Fucile
UNO VUOL FARE UN PARTITO, L’ALTRO L’ALLENATORE PER SCOVARE GLI “ANTI-RENZI”: CORRERANNO INSIEME?
Di diverso, al momento, hanno solo la strategia.
Uno vuole fare un partito, l’altro per il momento si accontenta di assemblee «movimentiste», «tanto le elezioni sono lontane – ha spiegato – è inutile parlare oggi di leader e alleanze».
Ma, per il resto, Corrado Passera e Gianfranco Fini sembrano parlare un linguaggio comune. E possono vantare persino un «link» umano, quella Giulia Bongiorno che ha deciso di aderire al progetto dell’ex banchiere ma al tempo stesso ha inviato un messaggio al suo leader ai tempi di Fli.
«L’assemblea di Fini? Ci sarei andata – aveva spiegato a Il Tempo alla vigilia – ma purtroppo sarò fuori per lavoro».
Non è lei l’unico punto in comune tra Passera e l’ex presidente della Camera.
Dopo aver archiviato le convention con le quali – a distanza di due settimane – entrambi hanno lanciato le loro nuove operazioni politiche, si è scoperto che condividono anche analisi e soluzioni per l’attuale crisi italiana.
A partire dal principale antagonista, quel Matteo Renzi che per Passera «alle Europee ha preso il 40% perchè ha giocato senza avversari» e per Fini «rischia di governare per altri 20 anni se la destra non si riorganizza».
Anche le ricette si assomigliano.
Entrambi, a livello europeo, escludono un’uscita dalla moneta unica ma auspicano una svolta della Ue verso una politica meno orientata all’austerity e più agli investimenti. Ma è difficile, di questi tempi, trovare qualcuno che sostenga il contrario.
Infine, anche il recente pedigree partitico li vede vicini.
Entrambi, infatti, hanno sostenuto fortemente il governo Monti dal 2011 al 2013.
Uno da ministro dello Sviluppo e l’altro da sponsor politico. A Passera, peraltro, va dato atto di aver intuito in anticipo il fallimentare destino dell’operazione Scelta Civica, mentre Fini dall’alleanza elettorale con il «Prof» è uscito con le ossa rotte e ora parla di errori come il «non aver fatto le liste uniche per la Camera» e «non aver lanciato un messaggio riconoscibile per l’elettorato di destra».
Le due strade, che sembrano procedere in parallelo, almeno per il momento non sembrano destinate a incontrarsi.
Fini, in particolare, ha più volte guardato con scetticismo all’operazione di Passera: «Renzi, di questo gli va dato atto, ha riportato la politica al centro. L’epoca dei tecnici è finita».
L’ex banchiere, dal canto suo, non sembra aver alcun interesse a far salire a bordo l’uomo che da una parte della destra italiana è considerato l’affossatore dell’unione dei moderati.
Eppure alla fine i loro destini potrebbero anche incrociarsi se dovesse prevalere la speranza che, come diceva Josè Samarago, «due debolezze non fanno una debolezza maggiore, ma una forza nuova».
Sia la convention di Italia Unica del 14 giugno che l’assemblea #partecipa di sabato scorso hanno avuto qualche titolo sui giornali e un po’ di gente in platea, ma per il resto al centro della scena è restato l’attivismo del premier Matteo Renzi, tanto in Italia che in Europa.
Al punto che Passera continua a denunciare i rischi di un bipolarismo senza opposizione: «Stiamo parlando di dare all’Italia l’altra gamba della democrazia» ha detto ieri a Telecamere, «perchè ci devono essere due gambe con valenza maggioritaria, Non stiamo parlando di terzi poli o di un piccolo spazio al centro. Ma di un cantiere del tutto aperto per raggruppare coloro che si trovano sul programma».
Anche Fini?
(da “il Tempo”)
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Giugno 30th, 2014 Riccardo Fucile
IL RESOCONTO DELLA PRIMA USCITA PUBBLICA DEL NUOVO MOVIMENTO: RICOMPORRE LA DIASPORA DELLE FORZE MODERATE
Il ritorno di Gianfranco Fini è stato ufficializzato nell’assemblea aperta e permanente “L’Italia che
vorresti. La tua idea per una destra che non c’è”, promossa al Palazzo dei Congressi di Roma da Partecipa.info e LiberaDestra.
UN MONDO VARIEGATO
Un’iniziativa che ha visto la partecipazione di antichi e nuovi protagonisti della travagliata e magmatica galassia conservatrice, moderata, nazionale, liberale.
Alla presenza dei compagni di viaggio di Futuro e Libertà Roberto Menia, Enzo Raisi, Aldo Di Biagio, Flavia Perina, Giuseppe Consolo, si affianca quella di Giuseppe Tatarella e del leader dei Cristiano riformisti Antonio Mazzocchi.
Ma la figura che più di ogni altra ha suscitato sorpresa tra gli addetti ai lavori è l’ex segretario della Fiamma Tricolore Luca Romagnoli, che condivise con Pino Rauti l’avversione radicale alla storica Svolta di Fiuggi.
FUORI DAL PALAZZO
Ripartire da zero è la parola d’ordine che anima il movimento di Gianfranco Fini. Il quale riconosce gli errori compiuti nel corso di 4 difficili anni seguiti alla “rottura dolorosa con Silvio Berlusconi”.
Nessuna seduta psicoanalitica fatta di recriminazioni, rimpianti, accuse, sfoghi. La destra, spiega l’ex presidente della Camera dei deputati, è troppo divisa e frammentata tra ripicche e rivalse. È bene guardare avanti.
E guardare avanti vuol dire rivolgersi ai cittadini delusi dall’offerta politica di tutte le formazioni di centro-destra, non ai partiti presenti in Parlamento.
La strada per “restituire valore a un’identità gloriosa e pulita” non passa per le alleanze tattiche tra oligarchie nè per una sommatoria delle sigle esistenti.
NO AL PASSATO
Ricalcando la traiettoria tracciata pochi giorni fa dal leader di Italia Unica Corrado Passera, Fini denuncia lo stallo di una destra che rischia di far governare l’abile e pragmatico Matteo Renzi per vent’anni a causa della mancanza di una credibile alternativa. E punta, con toni più morbidi e senza evocare rottamazioni, a una ricomposizione della diaspora conservatrice.
Ma al contrario degli esponenti di Forza Italia, l’ex capo della Farnesina non ritiene realistico aggregare in un caravanserraglio variopinto realtà incompatibili su Europa, moneta unica, immigrazione come Nuovo Centro-destra, Lega Nord, Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale.
UN SILENZIO SIGNIFICATIVO
Il rinnovamento della destra richiede per Fini la creazione di una nuova classe dirigente.
La “sintesi di tradizione e modernità ” esclude logiche di cooptazione ma anche una selezione generalizzata dal basso che a suo parere premierebbe chi ha più risorse economiche. La ricetta è l’adozione di criteri meritocratici. Ma gli strumenti per applicarla restano evanescenti.
Allo stesso modo nessun passaggio del suo intervento tocca i fermenti sorti attorno alla proposta di una “Leopolda Blu” per l’azzeramento del ceto dirigente moderato e la scelta della nuova leadership tramite elezioni primarie.
E non una parola viene pronunciata in merito ai temi eticamente rilevanti e alle libertà civili su unioni civili, testamento biologico, fecondazione assistita, ricerca scientifica. Problematiche che avevano connotato il profilo “laico” della proposta di Fini negli ultimi tempi provocando conflitti e polemiche aspre nel centro-destra.
L’OPINIONE SULLA MOGHERINI
La “destra repubblicana” prefigurata dall’ex leader di AN osteggia i populismi demagogici a partire da quelli anti-euro. È fortemente europeista e non teme la condivisione della sovranità .
Punta sull’Europa delle patrie prospettata da Charles De Gaulle. E spera che, in una UE protagonista sul piano politico, diplomatico e militare, Federica Mogherini diventi la responsabile della politica estera e di difesa comunitaria.
SPESA E DEBITO
Sul terreno economico-finanziario europeo l’ex presidente di Montecitorio reputa essenziale una strategia unitaria per sostenere la valuta unica, non limitandosi al rispetto dei parametri di bilancio.
E rendere più flessibili tali vincoli come è riuscito a ottenere il premier Matteo Renzi “non può tradursi in alibi per alimentare una spesa pubblica improduttiva”.
LA DESTRA LEGALITARIA
Grande rigore, unito a una sottile allergia verso lo spirito garantista, caratterizza la visione del nuovo soggetto politico nel campo della giustizia.
Combattere la corruzione diffusa e onorare chi serve lo Stato vestendo una divisa. Evitare di essere feroci con i più deboli e accondiscendenti verso i privilegi e le illegalità dei potenti: “Perchè chi viene coinvolto in indagini giudiziarie scabrose deve fare un passo indietro rispetto al suo ruolo pubblico”.
Riconoscere la cittadinanza a chi lo merita e lo vuole rifiutando le tendenze xenofobe. Sono queste le idee-forza enunciate da Fini.
UNA RICETTA LIBERALE
Lontana da velleità stataliste, la nuova “destra repubblicana” riprende e attualizza la “rivoluzione liberale” del 1994: Stato credibile, leggero ed efficiente. Leggi comprensibili e burocrazia efficace nei confronti di chi compie il proprio dovere.
Fulcro del tessuto economico, rimarca l’ex leader del MSI, è la creazione reale di ricchezza e non la finanza che ne è lo strumento. Per tale ragione “bisogna ridurre una pressione fiscale intollerabile per il reddito da lavoro e per i nuclei familiari, mantenendo una tassazione significativa verso le rendite speculative”.
LAVORO E BUROCRAZIA
Ma è paradossale, osserva Fini, che le forze del centro-destra rimangano silenziose o guardino altrove nel momento in cui il governo Renzi prefigura un cambiamento rilevante nel mercato del lavoro e nel welfare, sfidando i veti conservatori della CGIL: “Ragionamento analogo vale per il pacchetto di interventi innovatori sulla Pubblica amministrazione”.
I POTERI DELLE REGIONI
Un capitolo che presenta profondi legami con il percorso di riforme istituzionali. Riguardo al quale Fini valuta positivamente il confronto per archiviare il bicameralismo perfetto, ma preferirebbe passare a un assetto mono-camerale. Puntando al contempo sull’elezione popolare del Capo dello Stato, antica bandiera della destra italiana.
Ma l’autentica modernizzazione riguarda a suo giudizio l’aggressione alla montagna della spesa regionale — “vera causa del debito pubblico” — provocata da una revisione costituzionale che ha conferito agli enti territoriali troppe competenze spesso concorrenti con le prerogative dello Stato.
LA RIFORMA ELETTORALE
Ragionamento opposto a quello su un altro tema caldo dell’agenda parlamentare. Fini rifiuta di pronunciarsi sul contenuto del meccanismo di voto all’esame di Palazzo Madama: “La riforma elettorale è l’ultimo dei problemi per i cittadini”.
Argomentazioni singolari per un leader politico che nel 1999 aveva promosso con i Radicali un referendum per abrogare la quota proporzionale del Mattarellum e giungere a una legge maggioritaria uninominale di stampo britannico. Favorendo un regime di tendenziale bipartitismo e la costruzione di una grande forza unitaria liberal-conservatrice, plurale e aperta, che manca tuttora nel nostro paese.
Edoardo Petti
(da “Formiche”)
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Giugno 30th, 2014 Riccardo Fucile
RENZI UTILIZZA LE REMORE EUROPEE VERSO IL NOSTRO PAESE SOLO PER ACQUISTARE MAGGIORE POTERE IN ITALIA
Il Guerriero torna in Italia dopo una grande tenzone, in cui ha ottenuto molto o poco (si vedrà , e se ne discute molto) ma che è comunque la più grande partita politica in corso, e sapete di cosa si occuperà in Italia per prima cosa? Ebbene sì, della riforma del Senato.
Un progetto che, secondo gli spinner di Palazzo Chigi, il Premier vede come la prima di tutte le riforme che ci chiede l’Europa, “la prima dei mille giorni, quella più attesa dal paese, e la più temuta della Casta”.
Inizia così una settimana in cui questo legame sarà sottolineato dagli eventi stessi: lunedì il Senato vota sulla riforma di se stesso, e mercoledi il Premier aprirà con un discorso il semestre europeo a guida italiana.
Una perfetta narrativa del nuovo corso. Se non fosse per un dubbio: davvero l’Europa vuole da noi le riforme istituzionali, e lasciamo pur stare il prima di tutto? Davvero i governi fratelli si sentiranno rassicurati, tireranno un sospiro di sollievo dal passaggio della riforma del Senato?
L’Europa in effetti vuole da noi molte cose, tantissimi impegni di gestione economica virtuosa – soprattutto il pareggio di bilancio (inflessibili non a caso nel confermarne la scadenza già per l’anno prossimo) e la riduzione della spesa pubblica.
Le riforme di cui si parla nei documenti ufficiali riguardano poi sostanzialmente il mercato del lavoro, la giustizia, la pubblica amministrazione, ai fini di creare, semplifichiamo, condizioni per una gigantesca deregulation – meno rigidità nelle assunzioni e nei licenziamenti, meno regole che rallentano gli investimenti e creano complessità alle gestione delle aziende, e più sicurezza e trasparenza nelle azioni giudiziarie.
Insomma, l’Europa di oggi , non a caso da anni a guida conservatrice, vuole che l’Italia diventi come gli altri paesi, una nazione dove un imprenditore straniero possa con sicurezza e velocità investire, partecipando a bandi che non siano “corrotti”, con la possibilità di gestire la mano d’opera con il minimo di condizionamenti sindacali e legali, con tasse credibili e velocità di attuazione delle regole. Una sintesi un po’ brutale ma veritiera di quel che si intende per riforme in Europa.
Fra queste riforme non c’e’ di sicuro quella delle istituzioni, ancor meno quelle specifiche del bicameralismo . Ne’ l’Europa potrebbe farlo – per ovvie ragioni di sovranita’ nazionale.
L’Unione Europea, ma anche I governi vari, e i mercati, e le istituzioni sovranazionali, valutano, questo sì, se il paese sia governabile, sia cioè stabile, dunque affidabile. Nella lunga crisi in cui siamo immersi questa richiesta di funzionamento politico dell’Italia è stato il “problema” indicato come la base della disfunzionalita’
Ma non si tratta di richiesta, ancor meno di una richiesta di riforma.
Quel che vale la pena notare è che, a fronte di questa generica indicazione, vari governi italiani, e non solo l’attuale, hanno invece usato negli ultimi anni proprio questo argomento come uno dei principali strumenti di formazione della politica
E’ stato in nome della governabilità chiestaci dall’Europa che abbiamo infatti avuto prima il governo Monti, poi il governo Letta.
Anche Renzi il cambia-verso si allinea a questa metodologia, senza cambiare affatto verso.
La riforma accelerata del Senato, come prima casella per la trasformazione del nostro sistema istituzionale, è anche lui da brandita come necessaria per la governabilità , e anche da lui in chiave “lo vuole Bruxelles “. Vi aggiunge un po’ di colore anticasta, ma siamo li’. Come per tutti i suoi predecessori, anche da lui questa nuova Europa finisce giocata in chiave squisitamente interna.
Alla vigilia di una “settimana decisiva per le riforme”, questo elemento di continuità con il passato è forse il punto più debole dell’operazione riforme del rivoluzionario Renzi.
Al di la’ dei sospetti di autoritarismo che solleva, il Premier attuale si allinea qui a una lunga linea di predecessori che appena arrivati a Palazzo Chigi hanno cominciato a brigare intorno all’assetto istituzionale per poter consolidare la “governabilità del paese”, ma anche il loro personale destino politico.
Prima di lui lo ha voluto fortemente Silvio Berlusconi, e ancora prima Bettino Craxi ma ne sono stati sempre tentati anche la vecchia Dc in fase di passaggio politico, vedi De Mita, e il vecchio Pd, uno per tutti D’Alema.
A nessuno di loro e’ riuscito. Anzi per tutti loro le riforme sono state il filo elettrico su cui si sono spesso arrestati.
Forse il giovane Fiorentino, che è indubbiamente leader di grande abilità , riuscirà dove i suoi predecessori non sono riusciti .
Ma per favore, Renzi, almeno tu, consapevole di tutto quello che e’ venuto prima di te, non venderci questo progetto politico istituzionale, squisitamente italiano nel nome dell’Europa.
Che poi anche per cose come queste l’Europa finisce spesso per risultarci incomprensibile, irritante. Ingiustamente.
Lucia Annunziata
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 29th, 2014 Riccardo Fucile
UN TERZO DELLE SOCIETA’CHE DIPENDONO DAGLI ENTI LOCALI E’ IN ROSSO
Una miriade di società che sono costate lo scorso anno solo alle casse dello Stato 26 miliardi.![](https://scontent-a-ams.xx.fbcdn.net/hphotos-xpa1/t1.0-9/10505584_10202908350802387_7642788072545299983_n.jpg)
Sono le partecipate pubbliche, imprese di un mondo ancora poco conosciuto e poco trasparente e che necessita al più presto di “un disegno di ristrutturazione organico e complessivo”.
E’ la sollecitazione che arriva dalle Corte dei Conti, la quale sottolinea anche un altro dato preoccupante: un terzo delle 5.258 partecipate che dipendono dagli enti locali è in perdita.
Nell’ultima rilevazione della Corte le partecipate sono in tutto circa 7.500: 50 dallo Stato e 5.258 dagli enti locali cui si sommano altri 2.214 organismi di varia natura (consorzi, fondazioni ecc…).
Il numero è però “variabile, in quanto le società sono soggette a frequenti modifiche dell’assetto societario”.
Per il loro peso finanziario e per la dimensione economica, gli enti partecipati – sottolinea il procuratore generale Salvatore Nottola nel suo giudizio sul rendiconto generale dello Stato – “hanno un forte impatto sui conti pubblici, sui quali si ripercuotono i risultati della gestione, quando i costi non gravano sulla collettività , attraverso i meccanismi tariffari”.
Il movimento finanziario indotto dalle società partecipate dallo Stato, costituito dai pagamenti a qualsiasi titolo erogati dai Ministeri nei loro confronti ammontava a 30,55 miliardi nel 2011, 26,11 miliardi nel 2012 e 25,93 nel 2013; il “peso” delle società strumentali sul bilancio dei ministeri è stato di 785,9 milioni nel 2011, 844,61 milioni nel 2012 e 574,91 milioni nel 2013.
Un mondo così variegato e ricco di implicazioni “richiederebbe una assoluta trasparenza del fenomeno ma la realtà è diversa”.
L’assetto delle società è mutevole e soggetto a vicende che i magistrati contabili definiscono “complesse”, con aspetti contabili che sono “spesso oscuri”
Da qui la richiesta di porre mano “ad un disegno di ristrutturazione organico e complessivo, che preveda regole chiare e cogenti, forme organizzative omogenee, criteri razionali di partecipazione, imprescindibili ed effettivi controlli da parte degli enti conferenti e dia a questi ultimi la responsabilità dell’effettivo governo degli enti partecipati”.
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Giugno 29th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX MINISTRO DELLA GIUSTIZIA E’ CONSULENTE DEL GOVERNO DI PECHINO
La Cina è il paese del comunismo, ma non della giurisprudenza.
Per questo, quando ha avuto bisogno di un parere per scrivere il suo codice civile, la Cina si è rivolta a un comunista italiano: Oliviero Diliberto, per anni segretario del Pdci.
Colui che, ironizzando, propose di portare la mummia di Lenin in Italia.
Uno, quindi, che con il comunismo internazionale ha sempre avuto a che fare. E che nel 1999, quando era ministro della Giustizia, ha aperto una vera e propria collaborazione con le università e il ministero cinese per aiutare la Cina a sviluppare il suo codice civile.
“Tutto nasce da un’intuizione di Sandro Schipani – racconta Diliberto – che nel 1988 capisce che la Cina, dovendosi aprire al mercato internazionale, avrebbe avuto bisogno di regole”.
Da quel momento si inizia a tradurre in cinese la giurisprudenza romana, fino a quando, nel 1996, il Parlamento cinese decide di dotarsi di un codice civile basato sul modello romano.
Si arriva così al 1999, quando Diliberto, in quanto ministro, ma soprattutto comunista e insegnante di diritto romano, avvia una collaborazione ufficiale con la Cina.
Così, aumenta il numero di studenti cinesi che vengono a prepararsi in Italia per poi poter collaborare alla realizzazione del codice in patria.
Come funziona l’apporto dato da Diliberto e altri docenti italiani, l’ex ministro lo spiega chiaramente: “Il codice lo scrivono loro, ma noi forniamo un supporto, diamo consigli e pareri quando richiesti”.
“Ad esempio – racconta Diliberto – abbiamo suggerito una soluzione sulla proprietà privata, ovvero quella di concedere a privati e a comunità le terre di proprietà dello Stato, rendendole redditizie e risolvendo il problema della proprietà che così rimarrebbe dello Stato”.
Proprio quello della proprietà privata è uno degli aspetti più dibattuti in Cina: “Ci sono voluti tre anni per decidere – continua Diliberto – il punto chiave era quello di conciliare uno stato socialista con le leggi di diritto. Fatto quello, nel 2006, si è aperta la strada a tutto il resto”.
Dopo la carriera politica – dalla quale Diliberto non si è del tutto ritirato, “rimanendo nel suo partito ma lasciando largo ai giovani” – le soddisfazioni arrivano dalla giurisprudenza per il docente di diritto romano della Sapienza: “Vedere la propria materia applicata nel presente e nel più grande paese del mondo – racconta – è una soddisfazione grandissima, un contributo a un pezzo di storia di cui essere orgoglioso come italiano”.
Diliberto, insomma, si “consola con la Cina”. “Sono soddisfatto della mia carriera politica – continua – ho fatto cose che non mi sarei mai aspettato”, ma ora la strada è dura.
“Mi auguro che i comunisti possano tornare in Parlamento, ma nella sinistra prevalgono le spinte centrifughe e le divisioni: ci sono stati spessi errori delle classi dirigenti, da cui non mi tiro fuori”.
E neanche il processo di riforme di cui si parla oggi convince Diliberto: “Quella del Senato sembra aberrante, le larghe intese mi sembrano innaturali” e anche su Renzi il giudizio è “critico”.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 29th, 2014 Riccardo Fucile
TUTTE HANNO DOVUTO LASCIARE GLI APPARTAMENTI PER EVITARE LA REITERAZIONE DEL REATO
“Olgettine” non lo sono più da un pezzo. Perchè la diaspora, da quel palazzo signorile che prende il nome
dall’omonima via, è ormai quasi completa.
Alcune di loro fanno le emigranti, di lusso, negli Stati Uniti. O almeno così dicono. Altre, più semplicemente, si sono spostate in umili appartamenti in affitto nella zona di piazzale Loreto, a due passi dalla (ormai ex) agenzia di Lele Mora, la LM Management, alla quale adesso la magistratura ha posto i sigilli, il quartier generale di vip e soubrette da dove — nelle calde notti del Bunga Bunga – auto cariche di affascinanti fanciulle partivano dirette alla volta di Arcore.
Di sicuro, si guardano bene dal mettere ancora piede a Mediaset. Visto che per molte, nell’ultimo anno, la sorpresa è stata amara: si sono viste annullare i sostanziosi contratti che avevano firmato con l’impero televisivo del Cavaliere e si sono ritrovate di punto in bianco disoccupate.
Come se ci fosse una invalicabile rete di sicurezza per tenere a distanza quelle stesse ragazze che fino a pochi anni fa animavano le serate di villa San Martino.
Quindi che fine hanno fatto le papi-girls, a quattro anni dalla bufera giudiziaria che ha travolto l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e che ha svelato al mondo intero i segreti delle notti di Arcore?
Il processo Ruby è ormai in fase di Appello, la sentenza potrebbe arrivare già il 18 luglio, e mentre pubblica accusa e difesa ripercorrono in aula davanti alla corte tutte le tappe che hanno segnato questa inchiesta — dalla notte in Questura della minorenne marocchina alle serate del “Bunga Bunga” — c’è ancora un dubbio che attanaglia i magistrati: le olgettine sono ancora oggi a libro paga di Silvio, come rivelarono loro stesse un anno fa in aula, oppure il leader di Forza Italia ha davvero tagliato i ponti con ognuna di loro, come vorrebbe far credere?
Ufficialmente sembrerebbe di sì, a sentire i loro racconti.
Alcune di loro si sono riciclate aspiranti cantanti, aspiranti attrici, ragazze immagine, businesswomen in attesa di aprire una loro linea di vestiti e persino cameriere.
E girano il mondo fra hotel di lusso
La questione non è secondaria, visto che molte di queste ragazze sono indagate nel terzo filone dell’inchiesta Rubygate, il cosiddetto “Ruby ter”, il processo-costola che vede coinvolte 45 persone, fra cui una trentina di olgettine.
Le ragazze del Bunga Bunga, in particolare, sono infatti sospettate di essere state corrotte da parte di Berlusconi e dei suoi avvocati per alleggerire la posizione dell’imputato nel processo principale.
Le indagini preliminari sul Ruby-ter, infatti, sono formalmente ancora in corso. E se i magistrati titolari del fascicolo, il procuratore aggiunto Pietro Forno e il pubblico ministero Luca Gaglio, dovessero riscontare che gli “aiuti economici” alle fanciulle del Bunga Bunga proseguono ancora oggi, per il leader di Forza Italia sarebbero guai seri.
Sarebbe accusato di reiterazione del reato, e per lui potrebbe scattare anche il congelamento dei conti correnti dai quali sono partiti questi versamenti.
Molte delle olgettine, in tutto una trentina, infatti, per loro stessa ammissione, non avrebbero solamente ricevuto un bonifico mensile di 2.500 euro per rimediare “ai danni d’immagine provocati dall’inchiesta” ma anche e soprattutto case, appartamenti, automobili, versamenti e gioielli. Come hanno confermato loro stesse — candidamente – davanti ai giudici. Tutte transazioni economiche comprovate dalle indagini.
Loro, però, spiegano che i generosi rubinetti della società “Dolcedrago srl” amministrata direttamente dal ragionier Giuseppe Spinelli, uomo di fiducia di Berlusconi, si sarebbero chiusi da un pezzo.
“Il mitico Spinaus? Non lo sentiamo più”, rispondono unanimi le olgettine. “Silvio ci aveva aiutato perchè per colpa di questa inchiesta non riuscivamo a trovare lavoro e tutti ci additavano come poco di buono”.
In effetti, molte delle papi-girls, il lavoro lo hanno perso per davvero.
Come la bionda Giovanna Rigato, ex concorrente del Grande Fratello, che fino a un anno fa era retribuita con un contratto annuale in casa Mediaset da 50mila euro all’anno per partecipare a trasmissioni e talk show.
Contratto che, oggi, è sfumato nel nulla. E così la procace veneta medita di trasferirsi all’estero: “Parlo tre lingue, se non salta fuori qualcosa qui in Italia sono pronta a lasciare il Paese”.
Più o meno quello che è accaduto ad Aris Espinosa, che lavorava nel corpo di ballo di molte trasmissioni del Biscione, di punto in bianco lasciata a casa, tanto da essere stata costretta a lanciare un appello: “Non mi fanno più lavorare, dovrò andarmene da qui”.
All’estero sono emigrate, anche, la 36enne Barbara Guerra, Barbara Faggioli, Alessandra Sorcinelli e la ex bad-girl Marysthell Polanco, ex valletta di Colorado Cafè nonchè presenza fissa ad Arcore, che è da poco diventata mamma per la seconda volta.
Anche per loro niente più ingaggi in televisione e pochissimi contatti con il mondo dello spettacolo.
La Guerra, in particolare, stava meditando di aprire una linea di intimo e costumi da bagno. E nel frattempo si fa fotografare su Twitter in pose sensuali nelle suite di lusso in giro per il mondo.
Dopo intere stagioni passate sulle copertine di tutti i rotocalchi, non vuole più far sapere nulla di sè neanche la “regina” del Bunga Bunga, Nicole Minetti, ex consigliere regionale lombardo.
Di sicuro, però, la bella Nicole non se la passa male: durante le indagini sul processo Ruby sono risultati a lei intestati, nel residence di Segrate, ben quattro appartamenti. Mentre nel 2011 la Banca d’Italia ha segnalato a suo favore pure un bonifico da 100 mila euro.
Oggi è proprietaria di un appartamento in via della Spiga.
Un’incognita è anche la vita di Iris Berardi, origini brasiliane e un’impressionante somiglianza fisica con Ruby Rubacuori. Pure lei, come la giovanissima marocchina, quando entrò nel circo di Arcore per la prima volta aveva solo 17 anni. Almeno, è il sospetto dei magistrati. Iris è una delle pochissime a non aver lasciato il residence di via Olgettina.
E lei, la protagonista assoluta Karima El Mahroug detta “Ruby Rubacuori”? Neomamma, dopo una lunga avventura in Messico dove meditava di aprire insieme al compagno Luca Risso uno stabilimento di pasta fresca, ora è ritornata mestamente a Genova.
“Ho cercato lavoro come cameriera ma nessuno mi voleva assumere”, ha dichiarato pochi giorni fa in un’intervista a Il Giornale, “ora forse ho trovato posto in un ristorante a Milano”. Eppure, stando ad alcune testimonianze, la giovanissima Ruby, coperta di gioielli, sarebbe stata vista pochi mesi fa negli Emirati Arabi mentre depositava un sostanziosissimo gruzzolo di denaro alla “National Bank of Abu Dhabi”.
Non tutte le papi-girls, però, sono state scaricate dal Cavaliere. Silvia Trevaini, giornalista professionista, anche lei indagata nel Ruby-ter, si tiene ben stretto il suo contratto a tempo indeterminato con Videonews, la testata di casa Mediaset che si occupa di programmi e approfondimento.
Durante il processo, la giovane cronista aveva spiegato ai giudici che oltre al proprio regolare stipendio da 3mila euro percepiva, anche, un bonus mensile di 2.500 euro per “i danni di immagine subiti”.
A lei, inoltre, oltre a macchine e a regalìe varie, nel corso degli anni sono state versati più di 800mila euro che le sono serviti per comprare prima un appartamento a Milano Due e poi un altro nel pieno centro di Milano. Oggi anche la bella Silvia ha dovuto rinunciare al bonus, tenendosi però casa e stipendio fisso.
Pur essendo stata una delle ragazze più “fortunate” della cerchia delle olgettine, c’è da giurare però che neppure lei abbia potuto mantenere ancora contatti con Silvio.
Così come è successo con tutte altre, estromesse dalla vita dell’ex premier in un’accuratissima operazione di presa di distanza.
“Berlusconi? Anche se volessi sentirlo non è più contattabile da noi ragazze”, rivela la Rigato all’Huffington Post, “non possiamo più avvicinarlo. Ci hanno espressamente detto che è bene mantenere le distanze con tutte le persone che sono state coinvolte nell’inchiesta giudiziaria, Lele Mora compreso”.
(da “Huffington Post”)
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Giugno 29th, 2014 Riccardo Fucile
I NOSTRI ANZIANI PAGANO PIÙ IMPOSTE RISPETTO A QUANDO LAVORAVANO…. PER OGNI ESERCIZIO CHE NASCE NE MUOIONO DUE
Pensionati supertassati e negozi che chiudono: questo il quadro a tinte fosche dell’Italia nei primi mesi del 2014, presentato da Confesercenti e Confcommercio
PENSIONI
L’Italia è il paese più longevo d’Europa, ma anche quello che tratta peggio i propri pensionati. Gli anziani, dopo una vita di contributi, pagano proporzionalmente più tasse di quando lavoravano.
“Un anziano che riceve un assegno mensile di 1500 euro lordi detrae 72 euro in meno rispetto a quanto fa, invece, un lavoratore dipendente con un reddito dello stesso importo”, ha spiegato il presidente Marco Venturi, durante la festa nazionale della Fipc (Federazione Italiana Pensionati del Commercio).
L’anomalia maggiore, però, è che il prelievo fiscale è tanto maggiore quanto più la pensione è bassa.
Le pensioni sotto i 1500 euro, infatti, possono detrarre 131 euro in meno dei lavoratori con lo stesso reddito.
Le pensioni, però, non vengono erose solo dalle tasse.
Nel 2014 i nonni italiani hanno perso 1419 euro di potere d’acquisto rispetto al 2008. “Sono oltre 118 euro al mese, sottratti a consumi e ai bilanci delle famiglie” ha specificato Venturi, secondo cui è sempre più indispensabile una riforma del sistema fiscale, che estenda anche ai pensionati il bonus fiscale, in modo da ammortizzare, almeno in parte, la perdita su base mensile.
EUROPA
Opposta la situazione nel resto d’Europa: sulla stessa pensione da 1500 euro, un nonno romano paga il doppio rispetto a un suo “collega” spagnolo, il triplo rispetto a un inglese e cento volte di più rispetto a un tedesco.
“Un pensionato italiano paga il circa 4000 euro l’anno di tasse, il 20,7% di quanto riceve dall’Imps — ha spiegato Venturi — in Germania quello stesso pensionato invece è tassato allo 0,2, pari a 39 euro annui”.
E il discorso non cambia nemmeno quando si considerano pensioni più basse: chi riceve circa 750 euro, -1,5 volte il trattamento minimo — è tassato al 9,17%.
La stessa pensione in Germania, Francia e Spagna sarebbe, invece, esentasse.
COMMERCIO
Nei primi cinque mesi dell’anno, per ogni nuovo negozio aperto due hanno chiuso.
I più colpiti sono stati bar e ristoranti, aumentano invece le licenze per il commercio ambulante
Unica per quanto magra consolazione è che il dato — fornito dall’Osservatorio sulla demografia delle imprese della Confcommercio — è comunque migliore rispetto a quello registrato nello stesso periodo nel 2013: 52.716 esercizi chiusi quest’anno, contro i 55.815 dell’anno scorso.
Il più colpito è il Meridione, con 17mila imprese in meno.
Secondo l’Osservatorio, i dati confermano come non ci siano ancora segnali concreti di una vera ripresa, anche se “le imprese stanno riuscendo a contenere gli effetti della crisi, nonostante una domanda interna stagnante, l’elevata pressione fiscale e i mancati pagamenti dei debiti della p.a.”.
Giulia Merlo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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