Agosto 5th, 2014 Riccardo Fucile
ALFANO DA’ VOCE ALLA RIVOLTA DEI PICCOLI: “RENZI DEVE TRATTARE”
È con l’idea di archiviare il “Patto del Nazareno” e di siglare il “patto del BAR” sulla legge elettorale che Alfano varca la soglia di palazzo Chigi.
Dove BAR sarebbe l’acronimo di Berlusconi-Alfano-Renzi, insomma un patto a tre e non più a due. Proprio il giorno prima dell’incontro del premier col Cavaliere.
Per questo Angelino, in versione battaglia della vita, specifica all’inizio dell’incontro col premier che non parla solo a nome del suo partito consapevole che Renzi lo considera morituro, ma del nascituro gruppo “costituente popolare” che sta per essere battezzato in Parlamento.
Il rassemblement di centristi — Ncd, Udc, quel che resta di Scelta civica e di popolari per l’Italia – i cui parlamentari si sono riuniti la mattina proprio per investire Alfano di un mandato pieno a trattare.
Affidandogli un doppio messaggio, da mettere sul tavolo di Renzi come un pistola. Uno numerico, ovvero che il nascituro gruppo conta di 95 eletti, tra deputati e senatori, quindi in Parlamento è più numeroso di Forza Italia.
Il secondo messaggio, che suona come una subordinata al primo, è che questa “seconda gamba” della maggioranza è l’alleato con cui Renzi dovrà affrontare il settembre nero, l’eventuale manovra, le difficoltà dei conti.
Pretendere di stritolarlo nell’asse con Berlusconi non sarebbe privo di conseguenze.
Alfano è un mite mediatore, ma all’interno del suo gruppo c’è già chi teorizza che “se Renzi e Berlusconi “continuano col patto a due mettendo sulla legge soglie che ci cancellano allora bisogna ragionare di crisi di governo”.
E che il nuovo gruppo nasce proprio per “trattare con maggiore forza con palazzo Chigi e rompere il patto del Nazareno”.
Basta ascoltare i ragionamenti di Roberto Formigoni e di Fabrizio Cicchitto. È per questo che Alfano propone a Renzi quella che ai suoi occhi appare come una via ragionevole. In prima battuta fa sua la proposta che Gaetano Quagliariello ha illustrato sull’HuffingtonPost — voto di lista e non di coalizione — che di fatto smonta l’Italicum. Un modo per far capire che, come si diceva una volta, a brigante brigante e mezzo.
Poi chiede, nell’ambito della trattativa sulle soglie, quella del 2 per cento per i coalizzati e il 4 per i non coalizzati, praticamente le soglie del Consultellum.
Come contropartita cede sui 120 capilista bloccati, che per un partito come il nascituro rassemblement di centro rappresentano un bel problema.
Perchè è chiaro che un partito piccolo o medio elegge un deputato per circoscrizione se gli va bene, quindi chi non è capolista non ha alcuna motivazione ad acchiappare voti e a correre.
Due e quattro. Soglie che Alfano propone anche con l’obiettivo di andare a vedere le intenzioni di Berlusconi: “Se vuole un’alleanza con noi deve dare segnali. Su questo si misurano le sue vere intenzioni”.
Perchè dietro i numeri c’è una partita politica enorme.
“Questi di Alfano non contano più nulla, con Renzi ci parliamo noi e devono ragionare come se già stessero in coalizione con noi” è il ragionamento schietto dei berlusconiani. Proprio perchè lo sa, Alfano affida alle due soglie basse le speranze di sopravvivenza.
Il quattro consente di andare da soli, se invece i sondaggi dicono che tira un’ariaccia al momento delle alleanze, il due consente di stare in coalizione e di eleggere qualcuno. Nell’ambito della trattativa è stato già messo in conto che il due diventerà tre.
Perchè è chiaro che per Berlusconi non avrebbe più nessun appeal una legge “salva-piccoli”. Renzi annota, in vista dell’incontro con Berlusconi.
Il risultato gli pare a portata di mano. È convinto di chiudere al 4 (per i coalizzati) e 5 (non coalizzati).
E di “avvitare” — così dicono a palazzo Chigi — l’accordo prima della pausa. E magari di annunciarlo già nel corso del discorso che farà giovedì al Senato.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 5th, 2014 Riccardo Fucile
UN TAGLIO DEL 7% CHE TOCCA IL 15% NEGLI ENTI PUBBLICI PREVIDENZIALI E IN QUELLI CENTRALI
Negli ultimi 5 anni il pubblico impiego ha perso circa 260.000 dipendenti, un calo del 7%, quasi il doppio di quello registrato in questo periodo per il totale degli occupati in Italia.
Negli enti previdenziali pubblici e nelle amministrazioni centrali dello Stato la riduzione è stata, rispettivamente, del 15 e del 10 per cento.
Sono principalmente gli effetti del blocco del turnover nella pubblica amministrazione rinnovato a più riprese in questi anni.
Ci si aspetterebbe che, a fronte di una così forte riduzione del numero di dipendenti pubblici, si siano registrate consistenti riduzioni della spesa pubblica, soprattutto della spesa corrente, destinata in gran parte proprio a pagare gli stipendi nella pubblica amministrazione.
Eppure non è così: la spesa corrente in questi anni ha soltanto rallentato il suo cammino trionfale.
I tagli veri, addirittura in termini nominali, hanno interessato solo la spesa in conto capitale, quella cui non dovremmo mai rinunciare se non vogliamo rinunciare al nostro futuro.
La spesa corrente non è diminuita perchè gli stipendi pubblici in meno si sono trasformati in pensioni in più da pagare, sempre a carico del contribuente.
Inoltre, se il numero di stipendi è diminuito, in molte amministrazioni ne è aumentato l’importo medio in virtù di promozioni e scatti d’anzianità (è il caso di magistrati e docenti).
I politici che si sono cimentati con il compito di ottenere risparmi nel pubblico impiego in questi anni hanno tutti ragionato a compartimenti stagni, come se spingere qualcuno verso la pensione e avere uno stipendio in meno a carico volesse dire risparmiare.
Ma se chi esce dal pubblico impiego riceve, oltre al Tfr, una pensione per 30 anni, calcolata ancora in gran parte con il generoso sistema retributivo, il risparmio per le casse pubbliche è solo virtuale.
Quello stipendio si trasformerà in trasferimento più o meno della stessa entità .
E siccome è immaginabile che l’ex lavoratore, prima di andare in pensione, avesse una produttività superiore allo zero, (anche i celebri fanigottoni non sono mai completamenti inattivi), avremo, da una parte, una persona che è sempre a carico della collettività e che per lo più viene pagata proprio per non fare nulla, e, dall’altra, l’amministrazione pubblica presso cui il dipendente operava che magari assume un lavoratore, con un contratto temporaneo, per coprire le mansioni svolte in passato da chi è andato in pensione.
Se mettiamo insieme il magro stipendio del lavoratore temporaneo e la pensione dell’ex dipendente pubblico (che spesso arriva fino all’80% dell’ultimo salario), la spesa a carico dello Stato può risultare addirittura più alta di prima.
Un altro vizio di fondo nella gestione del nostro pubblico impiego è quello di non preoccuparsi minimamente dell’esempio che si offre al settore privato.
Da sempre e a dispetto di qualsiasi affermazione di principio sulla necessità di assimilare al privato i contratti nel pubblico impiego, si concedono al datore di lavoro Stato condizioni di favore rispetto al privato.
I famigerati co.co.co., contratti di collaborazione coordinata e continuativa, ad esempio, continuano a esistere solo nel pubblico impiego, quando nel privato sono stati soppiantati dai contratti a progetto.
Per quanto la differenza tra co.co.co. e co.co.pro spesso sia più di forma che di sostanza, non si vede in base a quale principio il datore di lavoro pubblico debba poter far ciò che non viene concesso a chi crea lavoro (e entrate fiscali) nel privato, anzichè essere a carico del contribuente.
In altre parole, il pubblico si comporta come un datore di lavoro privato quando non dovrebbe affatto comportarsi come tale e si rifiuta di agire come un imprenditore privato quando sarebbe giusto farlo.
A differenza di un’impresa privata, dovrebbe preoccuparsi se manda lavoratori in pensione perchè le quiescenze graveranno pur sempre sul suo bilancio.
E dovrebbe sempre evitare di concedersi deroghe a norme che invece impone, per buoni motivi, ai datori di lavoro privati.
Purtroppo la legge delega sulla riforma della Pubblica amministrazione su cui il governo ha ottenuto la fiducia della Camera la scorsa settimana e che approderà in Senato a fine agosto, sembra seguire la stessa logica.
È stata definita rivoluzione copernicana forse perchè punta tutto su una rotazione, quella dei lavoratori al tramonto, ormai prossimi alla pensione.
I relatori della maggioranza sostengono che questo ricambio generazionale è fonte di risparmi, ma vengono smentiti dalla relazione tecnica alla riforma.
La legge votata dalla Camera reintroduce per alcune categorie di dipendenti pubblici, che non hanno nulla a che vedere con gli esodati del privato, quota 96 e la possibilità di andare in pensione prima di 62 anni senza alcuna riduzione dell’assegno pensionistico rispetto a chi va in pensione dai 65 anni in su.
Permette a insegnanti che erano andati in pensione optando per il metodo contributivo di vedersi riconosciuta la ben più ricca pensione retributiva.
Sono tutte opzioni e trattamenti negati ai lavoratori e ai datori di lavoro del settore privato che in questi anni hanno dovuto gestire esuberi di più di un milione di lavoratori non potendo, come in passato, ricorrere ai prepensionamenti.
Per fortuna il governo ieri è tornato sui suoi passi presentando emendamenti soppressivi dopo il parere negativo della Ragioneria. Ma non è solo una questione di coperture.
Con che faccia potrebbe oggi il datore di lavoro pubblico presentarsi al cospetto di esodati e imprenditori privati, trattandoli tutto sommato come categorie di serie B?
Il bello è che queste operazioni, che ci riportano indietro a prima della riforma Fornero (con la benedizione convinta di Cesare Damiano, autore di un’altra celebre controriforma delle pensioni), vengono presentate come un modo di fare spazio ai giovani.
Ma aumentando la spesa pubblica, dunque le tasse, si finisce solo per ridurre le opportunità di lavoro per i giovani.
Certo la riforma punta a parole (come le leggi già in vigore) anche sulla mobilità dei dipendenti pubblici tra un’amministrazione e l’altra.
Ma non si pone un interrogativo molto semplice: perchè nel settore pubblico la mobilità volontaria procede in direzione opposta che nel settore privato?
Perchè la migrazione del privato è dalle aree ad alta disoccupazione del nostro Mezzogiorno verso le regioni del centro-Nord, mentre sono tantissimi i dipendenti pubblici che chiedono di essere trasferiti nelle regioni meridionali?
Forse questo avviene perchè lo stesso salario vale molto di più al Sud.
Un insegnante di scuola elementare a Ragusa, ad esempio, ha uno stipendio che gli assicura un potere d’acquisto di almeno un terzo superiore rispetto a quello di un insegnante di Milano.
Questo avviene, seppur in forma più contenuta, anche nel settore privato, dove però c’è un’alta probabilità di perdere lavoro.
Il fatto che la competizione per trovare un altro impiego sia più alta al Sud che al Nord, perchè ci sono più disoccupati e meno posti vacanti, è un problema per un dipendente privato, non per un impiegato pubblico che confida, a ragione, di non venire mai licenziato.
Finchè il datore di lavoro pubblico non si darà strumenti per differenziare maggiormente le retribuzioni in base al costo della vita e per premiare le amministrazioni (più che i singoli) più efficienti al Sud tanto quanto al Nord, non ci saranno risparmi nel pubblico impiego e, soprattutto, non ci saranno miglioramenti nella qualità dei servizi offerti ai cittadini. Ma di salari e retribuzioni in questa interminabile legge delega (che darà luogo a ben 8 decreti delegati) proprio non c’è traccia.
I nostri ministri, forse perchè sono essi stessi soggetti ad un alto tasso di turnover, continuano a credere nelle virtù taumaturgiche del turnover nella Pa.
Non si preoccupano di motivare la gran massa di dipendenti, a partire dai nuovi entrati, coloro che sono destinati a lavorare a lungo, forse a vita, nella pubblica amministrazione. Perchè i nuovi dovrebbero comportarsi diversamente da coloro che si vuole “rottamare” se gli incentivi sono gli stessi di prima?
Il ricambio generazionale può servire solo se accompagnato a nuove regole retributive che cancellino definitivamente ogni automatismo negli avanzamenti retributivi e rimuovano l’egualitarismo di facciata, quello che permette divari stridenti nel potere d’acquisto fra diverse parti del paese per chi ha le stesse qualifiche e svolge le stesse mansioni.
Per cambiare queste regole, il datore di lavoro pubblico dovrà , come giusto, contrattare con il sindacato.
Può fare leva su un argomento molto forte: è un paradosso che il principio dello “stesso lavoro=stesso stipendio” venga disatteso in modo così palese proprio dove il sindacato è più forte.
Tito Boeri
(da “La Repubblica“)
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Agosto 5th, 2014 Riccardo Fucile
NEL 2014 SU IMMOBILI, AUTO E ALTRI BENI GLI ITALIANI PAGHERANNO 44 MILIARDI… CGIA DI MESTRE: NEL 2013 DALLA CASA SONO ARRIVATI 20 MILIARDI, 6 DAL BOLLO
Sarà un autunno caldo per le famiglie italiane che già si aspettano, al ritorno dalle ferie, una nuova manovra.
Anche se puntualmente smentita infatti le condizioni dell’economia sono talmente cambiate, rispetto alle previsioni, che l’intervento correttivo per compensare il calo del Pil atteso per l’anno è inevitabile.
Meno ricchezza prodotta, infatti, indebolisce il gettito stimato e dunque richiede misure che taglino le spese o che aumentino le entrate.
Nell’attesa di conoscere di quale destino devono morire i contribuenti italiani e sperando che la troika Bce-Ue-Fmi non imponga nuove misure draconiane al bilancio dello Stato si possono fare i conti con la patrimoniale «occulta» che tutti gli italiani possessori di immobili già pagano.
Sebbene avversata ideologicamente dal pensiero più liberale e detestata anche in una certa sinistra che di immobili ne possiede in gran quantità , spesso anche in amene località e centri storici, la patrimoniale in realtà gli italiani già la pagano. E anche cara.
Solo lo scorso anno, la tasse che colpiscono i beni e non il frutto del lavoro hanno garantito alle casse statali ben 41,5 miliardi di euro.
A fare i conti è stato l’Ufficio studi della Cgia che dopo averle individuate ne ha calcolato l’impatto sulle tasche dei contribuenti italiani. aggiungendo che «purtroppo, la situazione per l’anno in corso è destinata a peggiorare ulteriormente».
Non solo. La patrimoniale di quest’anno sarà ancora più pesante.
«Con l’introduzione della Tasi – ha commentato il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi – nel 2014 ritorneremo a pagare quanto abbiamo versato nel 2012: attorno ai 44 miliardi di euro. Si pensi che dal 1990 il gettito è addirittura quintuplicato. Le più onerose sono l’Imu, l’imposta di bollo, il bollo auto e l’imposta di registro: i versamenti di queste quattro imposte incidono sul gettito totale per oltre l’89 per cento».
In termini di gettito l’imposta più pesante per le tasche degli italiani è l’Imu: nel 2013 ha garantito alle casse dello Stato e dei Comuni ben 20,2 miliardi di euro.
Seguono l’imposta di bollo (6,6 miliardi di euro), il bollo auto (5,9 miliardi di euro) e l’imposta di registro (4,3 miliardi di euro).
«Le imposte patrimoniali – spiega la Cgia – sono quelle che di fatto gravano sulla ricchezza posseduta dalle persone in un determinato momento. La ricchezza è intesa in senso ampio e comprende i beni immobili (case, terreni), i beni mobili (auto, moto, aeromobili, imbarcazioni), gli investimenti finanziari, etc.
Di solito, nei manuali di diritto tributario le imposte patrimoniali sono classificate come imposte dirette.
Le imposte dirette sono quelle che colpiscono direttamente la capacità contributiva del contribuente senza attendere che si verifichino fatti o atti particolari.
L’analisi della Cgia è stata dedicata ad individuare le imposte il cui gettito complessivo sia espressione di imposizione patrimoniale in modo da studiarne l’evoluzione nel tempo.
Il criterio seguito è stato quello di considerare quelle forme di imposizione che colpiscono la ricchezza nelle diverse forme in cui questa si manifesta (ad esempio immobili, auto, barche, aeromobili, disponibilità finanziarie) sia che la tassazione riguardi la semplice detenzione che il suo trasferimento.
Le imposte patrimoniali considerate dall’Ufficio studi della Cgia sono: imposta di registro e sostitutiva; imposte di bollo; imposta ipotecaria; diritti catastali; Ici/Imu; bollo auto; canoni su telecomunicazioni e Rai Tv; imposta sulle transazioni finanziarie; imposta sul patrimonio netto delle imprese; imposta su secretazione dei capitali scudati; imposte sulle successioni e donazioni; imposta straordinaria sugli immobili; imposta straordinaria sui depositi; imposta sui beni di lusso. Lezione di scienza delle Finanze a parte resta il fatto che un ridisegno della tassazione in Italia può anche essere affrontato, visto che il mondo economico negli ultimi 10 anni è cambiato.
Ed è anche inevitabile che la sproporzione tra il peso fiscale che grava sul lavoro e quello che colpisce la rendita sia ridotta.
Come al solito, però, la rivisitazione è fatta sempre in un senso.
Alla crescita dei balzelli sui patrimoni, non è ancora corrisposta una discesa reale di quelli sui dipendenti.
Una stortura sulla quale gli italian attendono correzioni.
Filippo Caleri
(da “il Tempo“)
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Agosto 5th, 2014 Riccardo Fucile
LE PERPLESSITA’ DI GASPARRI, FITTO E CAPEZZONE
Qualcuno respinge l’ipotesi in maniera secca: «Forza Italia al governo? Non è un argomento sul tavolo, è solo fantapolitica».
Altri, tra gli azzurri, la prendono in maniera più seria, ma solo per opporsi: «Sarebbe assurdo avvicinarsi all’esecutivo. Specie in vista dell’autunno, quando i nodi economici verranno al pettine e Renzi sarà costretto a una manovra economica lacrime e sangue».
Ma c’è anche chi giura che l’ipotesi sia sul tavolo e la vede come possibile occasione di rilancio del partito: «Certo che Berlusconi ci sta pensando – assicura una fonte azzurra di rango – e sarebbe anche un bene per noi. Da quando il patto sulle riforme si è rafforzato, Forza Italia ha recuperato molto dello spazio politico che aveva perso a vantaggio di Lega e Ncd. Solo con l’appoggio a Renzi possiamo ancora contare qualcosa».
Semplificate, sono le tre posizioni che attualmente puntellano un universo azzurro tornato in fibrillazione.
Alla base di tutto c’è il pressing che starebbero esercitando sull’ex premier alcuni fedelissimi come Denis Verdini e Fedele Confalonieri.
Per loro, il patto con Renzi non solo va mantenuto sulle riforme, ma va addirittura rafforzato sulle tematiche economiche.
Berlusconi, con loro, si mostra anche possibilista. Ma fa parte del suo carattere «assecondare» gli interlocutori.
E così, quando si ritrova con i familiari, riceve spinte uguali e contrarie. Che si basano su un assunto: «La magistratura negli ultimi tempi ha allentato la presa perchè ci siamo defilati. Ma se Forza Italia tornasse al governo, ripartirebbe la persecuzione».
E così, mentre il leader si arrovella su un’operazione che resta comunque irta di insidie (sarebbe difficile per Renzi far passare ai Democratici l’ingresso di Forza Italia in maggioranza) nel partito azzurro sale la tensione tra i fautori di un accordo e chi lo respinge senza mezzi termini.
Tra i secondi, quelli che con maggior vigore nelle ultime settimane hanno criticato i provvedimenti economici del governo.
Il capogruppo alla Camera Renato Brunetta,il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri (nelle ultime settimane i suoi attacchi a Renzi sono saliti di intensità ), Daniele Capezzone, Raffaele Fitto.
E, ovviamente, l’ex tesoriere Maurizio Bianconi. Che da alcune settimane combatte una battaglia accesissima contro il premier corregionale.
E arriva a ipotizzare una «scissione» in caso di soccorso azzurro al governo.
Quel che è certo è che la sola opzione Forza Italia manda in fibrillazione gli altri alleati del premier, e in particolar modo il Nuovo Centrodestra, che negli ultimi giorni si è sentito assai poco «coccolato» da Renzi.
A far irritare gli alfaniani sono state le ultime uscite del leader del Pd, che ha tessuto a ripetizione le lodi di Berlusconi dimenticando di fare un sia minimo accenno alla componente centrista della maggioranza.
«La storia dell’ultimo anno – ha attaccato piccato Gaetano Quagliariello dal suo blog – è sufficientemente nota per indicare chiaramente errori e responsabilità e per segnalare chi è che nel campo alternativo alla sinistra può legittimamente rivendicare il proprio determinante contributo alla modernizzazione del Paese e chi invece, coi suoi alterni umori, dovrebbe andarci piano nell’atteggiarsi a padre costituente».
Tra domani e giovedì, assicurano da Forza Italia, in ogni caso il vertice con Renzi si terrà . E sarà l’occasione per rinsaldare ancora una volta il Patto del Nazareno.
Con sul tavolo il rebus delle preferenze e delle soglie.
E Berlusconi che, viste le difficoltà di Matteo sull’economia, si troverà in un’inedita posizione di forza.
Carlantonio Solimene
(da “il Tempo“)
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Agosto 5th, 2014 Riccardo Fucile
IL PALAZZO DIVENTERA’ LA SEDE DI FORZA ITALIA
La ricerca è quella di una casa che sia «più casa» e «meno luogo di lavoro». Un’abitazione dove tornare la sera e magari non trovarsi alle prese con dirigenti del partito in perenne riunione. Un appartamento «normale», insomma.
E così, due settimane fa, Silvio Berlusconi e Francesca Pascale hanno aperto un nuovo file .
La ricerca di un appartamento nel cuore della Capitale. La decisione di trovare una nuova sistemazione sarebbe stata presa all’indomani della sentenza di assoluzione nel caso Ruby, quando l’ipotesi degli arresti domiciliari è sparita definitivamente sia dagli incubi che dai radar berlusconiani.
Requisiti? Più «affitto» che «vendita», innanzitutto.
E poi, che sia spaziosa ma senza esagerare. Quindi che stia nel centro storico di Roma ma, contemporaneamente, che non sia troppo cara.
La coppia Berlusconi-Pascale, accompagnata dagli agenti di scorta di lui, ha già visitato due appartamenti.
Il primo in via Cavour, la lunga strada che collega la stazione Termini ai Fori Imperiali e lambisce da un lato il multietnico quartiere Esquilino, dall’altro la movida radical-chic del rione Monti.
Il secondo a pochi passi, indirizzo «Salita del Grillo», una traversa di via Panisperna, a pochi passi dal Quirinale.
Due appartamenti a qualche centinaia di metri di distanza l’uno dall’altro. Due visite che a quanto pare, come esito, hanno dato il più classico «belli, ora ci pensiamo» formulato dalla coppia di fronte all’agente immobiliare.
Ma se gli indizi sulla collocazione dei due stabili visitati fanno una prova, la prova è che presto – che stia ancora al Quirinale o meno – l’ex premier avrà come vicino di casa Giorgio Napolitano, che abita proprio da quelle parti.
La ricerca di una nuova residenza romana da parte della coppia Berlusconi-Pascale porta dritto dritto a un punto interrogativo.
Che ne sarà di palazzo Grazioli, lo stabile che ha scandito l’ultimo decennio della versione capitolina del berlusconismo ortodosso?
Gli affitti saranno disdetti in omaggio alla spending review di Mariarosaria Rossi, la neotesoriera che ha già fatto disdire i contratti dell’ala che un tempo era occupata dall’ufficio stampa del fu Pdl?
Tutt’altro. Il piano nobile del palazzo, che tutt’oggi è diviso tra l’ala dove vive l’ex premier e l’ala degli uffici dei dirigenti a lui più vicini, verrebbe integralmente destinato a fini politici.
La parte «politica» di questo secondo piano – dove oggi hanno le proprie stanze Giovanni Toti e Deborah Bergamini, Sestino Giacomoni (l’assistente personale dell’ex Cavaliere) e Valentino Valentini, oltre a Mariarosaria Rossi, il resto è una stanzetta in uso agli agenti della scorta – triplicherebbe insomma i propri spazi.
E riaccenderebbe il dibattito, che segretamente tra i forzisti s’è già aperto, su cosa fare della nuova sede di piazza San Lorenzo in Lucina, affittata dal partito esattamente un anno fa.
A Rossi, le cui forbici agiscono su mandato pieno del «Capo», il nuovo quartier generale forzista non piace.
Lo considera troppo grande e troppo dispendioso. Non è un mistero per nessuno, almeno per quelli che fanno parte della cerchia ristretta, che tra i desiderata della «tesoriera» ci sia quello di liberarsi quanto prima del contratto di locazione di San Lorenzo in Lucina.
Ma Berlusconi, al momento, le avrebbe chiesto di soprassedere. Della serie, «facciamo una cosa per volta, il partito ha bisogno di una sede e, soprattutto, l’abbiamo affittata da troppo poco tempo per decidere di cambiarla subito…».
Ma è evidente che, se a Palazzo Grazioli si liberasse l’ala del piano nobile occupata dall’ex premier e Pascale, il quadro cambierebbe.
E le cesoie della senatrice potrebbero agire liberalmente su quella voce di spesa in carico a una Forza Italia che, com’è noto, è in cerca di quattrini.
La novità degli ultimi giorni, che avvalorerebbe la tesi secondo cui tutta Forza Italia potrebbe trasferirsi a Palazzo Grazioli, riguarda il primo piano e il piano terra ammezzato dello stabile.
Quelli dove c’erano il mastodontico ufficio stampa dei vecchi tempi e anche il famoso «Parlamentino».
Per quell’ala, il Pdl è in causa col proprietario, il Giorgio Emo Capodilista Maldura. Quest’ultimo rivendica affitti non pagati, mentre ciò che resta dell’ex Pdl vorrebbe vedersi «scontati» dei lavori di ammodernamento che sono stati fatti dal partito.
La prossima udienza della causa è fissata per settembre. Ma pare che, tra i berlusconiani, la voglia di riprendere possesso di quelle stanze sia tornata.
Sempre che un happy end al film «Silvio cerca casa» sblocchi quel risiko che, a questo punto, riguarda tutto il partito.
Tommaso Labate
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Agosto 5th, 2014 Riccardo Fucile
COPERTURE POLITICHE E IMPRENDITORIALI HANNO PERMESSO AI BOSS DEI CASALESI DI VIVERE NEL LUSSO E SENZA PENSIERI
«La camorra si è solo inserita in un sistema già corrotto da politica e imprenditoria». E’ uno dei passaggi della requisitoria del pm Antonello Ardituro durante il processo che vede alla sbarra politici e imprenditori legati al clan di Gomorra.
Complicità , connivenze, collusioni. Proprio questo è il nuovo fronte aperto dalla procura antimafia di Napoli per stanare il secondo livello.
La direzione distrettuale antimafia punta alla borghesia che ha protetto uomini e alimentato affari della più potente organizzazione criminale campana degli ultimi anni, ora annientata nel suo dominio militare.
Gli inquirenti tanno concentrando ogni sforzo per colpire la zona grigia e sono in attesa dei risultati investigativi frutto di anni di inchieste.
Ora non ci sono più padrini e picciotti da arrestare, ma nella lista solo politici, imprenditori, professionisti e servitori infedeli dello stato che hanno prestato il loro servizio al clan dei casalesi.
Quella politica connivente contro la quale il magistrato Ardituro si è scagliato in aula: «I camorristi come Antonio Iovine si arrendono mentre i politici no. Ciò avviene perchè nel casertano la politica ha più colpe della camorra e i politici hanno più da perdere rispetto ai camorristi».
L’abbraccio mortale tra politica, clan e impresa, come lo hanno definito i pm anti-camorra di Napoli, è tutto ancora da sciogliere.
L’ultimo, in ordine di tempo, è stato Luigi Cesaro, deputato di Forza Italia, ed ex presidente della provincia di Napoli.
L’onorevole azzurro è stato raggiunto da una richiesta di arresto, ora al vaglio della Camera, per concorso esterno in associazione camorristica.
Ma erano noti alle cronache fin dagli anni ottanta, ancor prima di Nicola Cosentino, i contatti e i rapporti di Cesaro con la galassia criminale napoletana.
Nelle carte dell’inchiesta a suo carico c’è il colloquio in carcere tra il boss della nuova camorra organizzata Raffaele Cutolo che alla nipote spiegava il ruolo del politico negli anni ottanta: «Questo mio avvocato di Sant’Antimo che è diventato importantissimo…e mi deve tanto…faceva il mio autista figurati».
Da Cutolo fino ai Casalesi. Il pentito Gaetano Vassallo e il collaboratore Luigi Guida hanno confermato l’incontro con Luigi Cesaro per parlare di affari. Vassallo ha raccontato di un rapporto datato con Cesaro e fratelli.
E ha così definito il deputato di Forza Italia: «Egli non è un “politico-camorrista”, ma un “camorrista-politico” perchè solo una persona che ha una caratura camorristica può incontrarsi con un personaggio di spicco della camorra come Luigi Guida detto “’o Drink” che, al tempo, era latitante».
Dopo i due plenipotenziari di Forza Italia in Campania l’attenzione è rivolta ad altri soggetti politici, finora mai sfiorati dalle inchieste, che rischiano di finire nella rete degli inquirenti.
Non è finita con la richiesta di arresto per Cesaro, insomma.
I livelli di contaminazione della classe dirigente vanno ben oltre e queste inchieste avranno il loro epilogo nei prossimi mesi.
Con la richiesta di arresto dell’ex presidente della provincia si è chiusa una fase che ha avuto origine dalle dichiarazioni di Gaetano Vassallo, ministro dei rifiuti del clan.
Ora si sta aprendo una seconda fase di contrasto al crimine organizzato casertano. Al netto della pesante collaborazione di Antonio Iovine, primula rossa dei Casalesi, ora pentito.
Una collaborazione, quella di Iovine, che è solo agli inizi. Ma ha già prodotto i suoi effetti.
Alcune sue dichiarazioni infatti sono state inserite nel fascicolo su Cesaro: secondo il pentito il capo zona di Aversa era in contatto con il deputato, per questo, spiega ai pm, era una persona «avvicinabile».
L’atto di accusa del pm Ardituro è rivolto anche a chi, di fronte alla fine della cupola dell’organizzazione criminale, ha tentato di riabilitarsi.
Imprenditori, per esempio, che per rientrare negli appalti pubblici hanno denunciato cercando di ingannare gli inquirenti.
E politici che all’improvviso hanno scoperto la passione dell’antimafia. Per la prima volta le inchieste potranno mettere fine al teatrino.
Uno spettacolo impietoso in cui gli attori giocano al si salvi chi può, senza mai però cedere alla tentazione di collaborare con la magistratura.
Ardituro ha tuonato in aula con un «vergognatevi» rivolto ai politici imputati, e ha chiuso con un invito amaro: “Arrendetevi”.
Un consiglio anche a tutti quelli che, con i voti dei clan, hanno fatto carriera e si credono intoccabili.
Giovanni Tizian e Nello Trocchia
(da “L’Espresso”)
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Agosto 5th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO VENTI GIORNI NEANCHE IL CORAGGIO DI CONVOCARE L’AMBASCIATORE ISRAELIANO PER INTIMARGLI IMMEDIATE SCUSE E LA RICOSTRUZIONE A SPESE DI TEL AVIV
Da venti giorni “La Terra dei Bambini” di Gaza non c’è più, rasa al suolo dai bulldozer israeliani, senza alcun motivo, solo per la volontà di distruggere un simbolo (italiano) di cooperazione tra i popoli ( hanno ucciso persino gli animali di allevamento del Centro)
In questi anni erano stati tanti i progetti e le attività realizzati nella Terra dei Bambini, insieme a tutta la comunità locale: l’asilo, l’ambulatorio pediatrico, la mensa comunitaria, il training alle insegnanti, i laboratori con i bimbi, il counseling alle donne.
La “Terra dei Bambini” era definita da tutti un esempio di eccellenza della cooperazione italiana, un’oasi di pace in difesa dei diritti dei piccoli.
Un asilo che era stato costruito con fondi del nostro Ministero e della Ue e che aveva la bandiera italiana issata alla porta.
Qualsiasi Stato che avesse un minimo di dignità , alla notizia che un governo straniero si era permesso di cannoneggiarlo e poi distruggerlo con i bulldozer, avrebbe convocato l’ambasciatore israeliano e gli avrebbe concesso 10 minuti per staccare un assegno di 300.000 euro per risarcire i danni e chiedere scusa in diretta tv o non sarebbe più uscito da quella porta, se non per essere imbarcato a calci nel culo sul primo volo per Tel Aviv.
Principio che Alfano ha oggi giustamente adottato per l’iman di San Donà di Piave, ma che evidentemente non vale per i crimini israeliani.
Avevamo pubblicato le foto dell’asilo com’era prima dell’attacco, oggi mostriamo come è stato ridotto un simbolo dell’Italia solidale.
Il responsabile della struttura scrive:
“La “Terra dei bambini” esiste ancora nei pensieri delle nostre maestre che attendono con trepidazione la fine della mattanza. Nei sogni dei nostri bimbi, catapultati nell’inferno degli sfollati. Accampati nelle aule scolastiche, dormendo uno sull’altro e, se fortunati, mangiando una scatoletta di tonno al giorno. Non c’è più il profumo del pane cotto nel forno, delle falafel croccanti, delle pecore al pascolo e dei piccoli piaceri di Um Al Nasser… C’è il rumore incessante dei bombardamenti, il terrore negli occhi della madri, le preghiere di tutti. La “Terra dei bambini” quale oasi di pace, è nel cuore, qui, come a Gaza. Ci piace pensare che finchè sarà viva nella memoria e nel desiderio, viva quale modalità di diffondere un messaggio di pace e difesa dei diritti dei bambini, esisterà e resisterà . In questi giorni una moltitudine di persone e associazioni ci hanno chiesto di raccontare la sua storia… E da questa distruzione e opera di morte esala ora intenso il desiderio di costruire. Sapendo, con Elsa Morante, che “la terra sarà salvata dai bambini”. Un grande abbraccio a quanti ci sono vicini e la più tenera delle carezze per la dura notte dei bimbi di um Al Nasser.”
Sono passati venti giorni dall’azione criminale e la candidata di Renzi all’Alto Commissariato Europeo non ha avuto neanche il coraggio di convocare un ambasciatore, pensate che tempra…
Sono passati venti giorni e i soli “indignati” per il suo comportamento siamo noi (unici a destra) , Barbara Spinelli e Arturo Scotto di Sel.
La sedicente destra dei pataccari “patriottardi” in questo caso se ne fotte che la bandiera italiana sia stata oltraggiata.
Non abbiamo visto fratelli e sorelle, padagni e sacrestani strapparsi le vesti firmate e manifestare sotto l’ambasciata israeliana a Roma: ma che strano…
E che ha detto al proposito il sempre loquace Matteo Renzi? Nulla anche lui.
Se il silenzio omertoso è la qualità necessaria per candidarsi ad Alto Commissario europeo della Vergogna, allora conveniamo che la candidatura della Mogherini è quella giusta.
Ben rappresenta un governo incapace di mostrare un anelito di dignità .
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Agosto 5th, 2014 Riccardo Fucile
“RENZI HA BLINDATO IL NOSTRO ACCORDO E CON LE RIFORME SARO’ RIABILITATO”
Silvio Berlusconi dicono abbia alla fine apprezzato i toni e le aperture del premier nell’intervista a Repubblica. È il «sigillo» alle riforme e al suo ruolo di «padre riformatore» l’unica cosa che gli può interessare in questa fase.
Le spigolature, il “no” a qualsiasi ipotesi di scambio a margine del patto del Nazareno le considera scontate.
Il suo ragionamento, maturato ad Arcore durante la giornata trascorsa tra avvocati e figli, fa leva su una speranza. «Io tornerò in gioco, sarò ancora una volta candidabile, anche se nessuno modificherà la legge Severino: sarà la Corte di Strasburgo a darmi giustizia». Che poi è il refrain con il quale da tempo lo staff di legali, soprattutto Nicolò Ghedini, lo sta incoraggiando.
«L’importante — ripete — è che Renzi mi aiuti a riabilitarmi attraverso le riforme».
Ma ci vorrà tempo, mesi, tanti.
Ecco perchè Silvio Berlusconi non ha alcuna fretta, non spera neanche che Renzi vada alla deriva per tornare magari al voto nei primi mesi del 2015. Tutt’altro.
Il leader di Forza Italia rientrerà a Roma oggi in tarda mattinata, il terzo faccia a faccia con il presidente del Consiglio è confermato tra oggi e giovedì mattina.
«Dipende solo dall’agenda di Palazzo Chigi», spiegano dallo staff dell’ex Cavaliere. Può anche avvenire in giornata (meno probabile) se Renzi ritaglierà il tempo necessario, Denis Verdini ha dato massima disponibilità , è lui che tiene i contatti e che ieri si è intrattenuto col sottosegretario alla Presidenza Luca Lotti per mettere a punto gli ultimi ritocchi all’Italicum.
Oggi a pranzo intanto Berlusconi vedrà lui e Gianni Letta, i due che con molta probabilità lo seguiranno anche questa volta a Palazzo Chigi.
Con loro, con Giovanni Toti, con i capigruppo Paolo Romani e Renato Brunetta metterà a punto la strategia, ancora non del tutto definita.
Perchè per esempio proprio il “trattativista” Verdini vorrebbe imporre una sorta di linea dura: concedere al Nuovo centrodestra e agli altri piccoli in trincea per la riduzione dello sbarramento solo questa modifica (dal 4,5 al 4) e solo in alternativa le preferenze (con capolista bloccato, però).
Non entrambi i ritocchi, dal suo punto di vista sarebbe troppo.
Ma Berlusconi non ama i tecnicismi, gli interessa trattare e concedere se l’operazione consentirà di riportare in un’alleanza di centrodestra le altre forze, dai Fratelli d’Italia alla Lega passando proprio per l’Ncd.
A Renzi tuttavia l’ex premier garantirà soprattutto pieno sostegno per i prossimi passaggi parlamentari della riforma del Senato. Oltre che sulle modifiche all’Italicum che saranno concordate, norma che da lunedì 1 settembre, stando all’agenda del segretario Pd, dovrebbe cominciare il suo iter in commissione a Palazzo Madama.
«Il Paese ha bisogno di una legge fortemente bipolare e maggioritaria, non si possono modificare le soglie al di fuori di questo principio» avverte il capogruppo di Forza Italia al Senato, Paolo Romani, con un messaggio destinato per intero ai big del Nuovo centrodestra
Nell’incontro delle prossime ore (o dei prossimi giorni) Berlusconi non si attende che Renzi apra il dossier economico.
Perchè su quel fronte il premier non prende nemmeno in considerazione l’ipotesi del «soccorso azzurro». Anche lì, il leader di Forza Italia spiega ai suoi che resterà in riva al fiume.
«Spetta a Renzi il primo passo, non saremo noi a offrirci – è la strategia che in questi giorni ha dettato da Arcore – Se la situazione si fa assai complicata, se c’è bisogno di noi, non saremo un’opposizione irresponsabile. Voglio vedere che succede, se in autunno c’è il rischio di un intervento della Trojka».
Forza Italia insomma non si tira indietro. E in effetti quel che fanno ripetendo gli esponenti di punta del partito conferma la linea dell’opposizione «responsabile ».
Ieri sera Maria Stella Gelmini, intervenendo a proposito del pasticcio della cosiddetta “quota 96” si sbilanciava in favore dell’esecutivo: «Spiace per gli insegnanti, ma il governo ha agito correttamente. Il bilancio dello Stato non cambia col cambio delle maggioranze, le risorse sono scarse e i conti vanno salvaguardati».
Due giorni fa l’ex ministro si era spinto fino a parlare della disponibilità forzista a dare una mano per «misure shock per l’economia».
Ieri è stata la volta del capogruppo Romani a Tgcom 24: «La nostra posizione è quella che se ci sarà bisogno di noi per l’interesse del Paese, noi ci saremo».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Agosto 5th, 2014 Riccardo Fucile
CONFCOMMERCIO: “I COMPORTAMENTI DI SPESA NON SI SONO MODIFICATI”
L’effetto degli 80 euro in più in busta paga voluto dal governo Renzi “è quasi invisibile”.
Lo rileva la Confcommercio che diffonde l’indicatore dei consumi di giugno.
Secondo la confederazione allo stato attuale si conferma il permanere di un “quadro economico privo di una precisa direzione di marcia. Situazione che dopo un lungo ed eccezionale periodo recessivo non può non preoccupare molto”.
Inoltre gli italiani “hanno speso solo in parte le risorse derivanti da minori imposte e i comportamenti di spesa non si sono modificati”.
“Cercando l’effetto bonus a tutti i costi si può rinvenirlo nella crescita tendenziale dei consumi a giugno pari allo 0,4%, corrispondente a un +0,1% sul mese di maggio”. Troppo poco rispetto alle attese, rileva Confcommercio. “Sono segnali positivi ma straordinariamente deboli e insufficienti per affermare che la domanda delle famiglie sia giunta ad un incoraggiante punto di svolta”.
Secondo l’indicatore consumi di Confcommercio per il mese di giugno, “la cautela nell’interpretare i dati deriva anche dal peggioramento registrato a luglio proprio dal clima di fiducia delle famiglie, il secondo consecutivo, sintomo del permanere di uno stato di disagio caratterizzato dalla dominanza dell’incertezza per il futuro rispetto agli effetti reali di un maggior reddito disponibile”.
Nel dettaglio l’indicatore dei consumi di Confcommercio registra una crescita dell’1% della domanda di servizi, mentre la spesa per i beni ha registrato una variazione nulla rimanendo sugli stessi livelli dell’anno scorso.
A giugno, variazioni positive rispetto a giugno del 2013 si rilevano per la spesa reale in beni e servizi per le comunicazioni (+3,8%) grazie soprattutto all’acquisto di beni, per i beni e servizi ricreativi (+1,3%) e per gli alberghi, pasti e consumazioni fuori casa (+1,1%) settore su cui influisce l’incremento della spesa per gli alberghi.
Per la confederazione invece una crescita più contenuta si è registrata per i beni e servizi per la persona (+0,8%) e per gli alimentari, bevande e tabacchi (+0,5%).
Una riduzione particolarmente significativa, infine, ha interessato i beni e servizi per la mobilità (-1,1%).
Riduzione dei consumi si sono registrate anche per l’abbigliamento e le calzature (-1,1%) e per i beni e servizi per la casa (-0,8%).
(da “Huffingtonpost”)
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