Agosto 5th, 2014 Riccardo Fucile
TORNA LO SPETTRO RECESSIONE, SEMPRE PIU’ LONTANO IL PAREGGIO STRUTTURALE CHIESTO DA BRUXELLES… A RISCHIO IL RISPETTO DEL FISCAL COMPACT
L’Italia di nuovo in recessione? Possibile. Lo sapremo domani alle 11.
Quando l’Istat comunicherà la variazione del Pil nel secondo trimestre dell’anno.
Se dopo il -0,1% dei primi tre mesi arriverà un altro -0,1%, sarà recessione tecnica. Due segni negativi in due periodi consecutivi. Non si scappa. Il governo lo teme.
Al punto da aver ristretto la forchetta anticipata dall’Istituto di statistica a fine giugno. L’Istat prevedeva allora un Prodotto interno lordo oscillante tra -0,1% e +0,3%: quasi inferno e promessa di paradiso.
Intervallo ora compresso, nelle valutazioni dello staff economico di Palazzo Chigi, tra -0,1 e +0,1%.
Parlare di decimali, di zero virgola, certo non fa una grande differenza per il Paese reale fermo. Per chi cerca e non trova lavoro. Per le famiglie che stentano a quadrare i conti, bonus o non bonus.
Ma per il governo Renzi sì.
E non solo per una questione di comunicazione: i titoli sulla recessione da spiegare, gli italiani da tranquillizzare.
Ma per una strategia di politica economica tutta da reimpostare, con variazioni importanti da apportare entro settembre al Def, il Documento di economia e finanza, laddove il Pil per quest’anno è dato a +0,8%.
E forse con una manovra correttiva da mettere in pista, non più esclusa nemmeno dallo stesso Renzi che, nell’intervista di ieri a Repubblica, assicurava che “in ogni caso non toccheremo le tasse”.
D’altro canto un secondo segno meno per il Pil non è certo un bel lasciapassare con l’Europa.
Il premier è certo che “resteremo sotto il 3%” nel rapporto tra deficit e Pil (quest’anno il Def lo fotografa al 2,6%). Ma per Bruxelles potrebbe non bastare.
In prospettiva, camminare sul filo significa far saltare nei prossimi due anni il rispetto del pareggio di bilancio strutturale corretto per il ciclo economico (0,6% è il livello inserito nel programma di convergenza spedito alla Ue).
E soprattutto del fiscal compact, le rigide regole di riduzione del debito pubblico, inserite in Costituzione.
Con un semestre di Pil sotto zero e con pochissime possibilità di ribaltare la situazione nella seconda metà dell’anno, le richieste di deroghe e flessibilità extra che il governo si preparava a fare all’Europa della Merkel, durante il semestre di presidenza italiano, in virtù dei compiti fatti a casa, rischia di trasformarsi in una domanda di sconti perchè il Paese non ce la fa.
E torna ad essere la Cenerentola dell’Europa, visto che la Spagna ha innescato il turbo della crescita (sopra l’1%) e persino dalla Grecia trapelano segnali positivi.
È vero, non siamo al tracollo del Pil come negli anni bui della crisi post 2007.
E neanche al livello del 2012 (-2,4%) e 2013 (-1,9%). Ma i decimali ora contano più che mai.
Per trattare in Europa, ma anche sul fronte interno. Se la crescita viene ridotta dallo 0,8% allo 0,3%, modificando il Def, il deficit sale da 2,6 a 2,8%.
Un filo sotto il tetto e addio sconti sul cofinanziamento dei fondi europei. Addio risorse in più per bonus e investimenti facendo lievitare il deficit.
Tanto questo si alzerà da solo, perchè il Pil scende.
Ma anche il quadro politico ne risentirà . Inevitabile. Conti non più in sicurezza, l’Italia di nuovo vulnerabile.
E qualcuno, anche nella maggioranza, potrebbe cogliere l’occasione per trarne vantaggi.
Attaccando la politica degli annunci del governo.
I pasticci dei decreti scritti e riscritti. E il fronte europeo che torna caldo. Che sia recessione o stagnazione il tema è già priorità , se non urgenza, sul tavolo del governo. A prescindere da cosa dirà domani l’Istat.
Valentina Conte
(da “La Repubblica“)
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Agosto 5th, 2014 Riccardo Fucile
QUESTA MATTINA NELLA BANCA INTERNA DI PALAZZO SAN MACUTO
Rapina pochi minuti fa nella filiale del Banco di Napoli a Palazzo San Macuto.
Un uomo a volto coperto è entrato, poco prima delle 9.30, nella filiale della banca nel palazzo che si trova nell’omonima piazza e che ospita, tra l’altro, la biblioteca, le commissioni bicamerali d’inchiesta del Parlamento e quelle di vigilanza.
Il rapinatore si è fatto consegnare del denaro dalla cassiera ed è scappato da un ingresso secondario del complesso in via del Seminario.
Secondo gli inquirenti, il rapinatore conosceva bene il palazzo: dopo il colpo, per raggiungere l’uscita secondaria, da cui si è poi dileguato per i vicoli del centro storico di Roma, ha dovuto fare un lungo giro per i corridoi, salendo e scendendo dal quinto piano.
Gli ingressi sono solitamente presidiati dagli assistenti parlamentari che sottopongono chiunque entra a rigidi controlli di sicurezza.
Inoltre, per entrare nelle sedi della Camera, di norma bisogna essere accreditati.
Il portone principale di Palazzo San Macuto è adesso sbarrato, e sono in corso indagini e rilievi da parte dell’Ispettorato generale della polizia di Stato a Montecitorio.
(da “La Repubblica”)
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Agosto 5th, 2014 Riccardo Fucile
IL PREMIER IN UN’INTERVISTA A “REPUBBLICA” NEGA L’ESISTENZA DI UN TESTO SCRITTO…. BERLUSCONI SUL “GIORNALE”: “È BASTATA UNA STRETTA DI MANO”
Una sincronia perfetta, da due vecchi amici.
Il primo, Matteo Renzi, con un’intervista sul suo house organ ufficiale, Repubblica (a parte l’eccezione del Fondatore).
Il secondo, Silvio Berlusconi, con una frase a lui attribuita sul Giornale di Famiglia. Tutto torna. Argomento: l’oscuro patto del Nazareno.
Il premier Spregiudicato smentisce con una buona dose di ambiguità : “Patto scritto? Certo”. Finta suspense. E poi: “C’è dentro quello che legge negli atti parlamentari sulle riforme”.
Renzi si difende così da voci, indiscrezioni, sospetti, rivelazioni autorevoli: “Ma vi pare che io firmi una cosa con Berlusconi e la metta in un cassetto? Questa è la tipica cultura del sospetto di una parte della sinistra. Io ho declassificato il segreto di Stato per le stragi di questo Paese, e vado a nascondere un patto di questo di questo tipo?”.
Viene in mente la battuta di Stefano Rodotà del giugno scorso: “Renzi tolga il segreto di Stato dal patto del Nazareno”.
Ma la propaganda renziana, la cui suprema specialità è la dissimulazione (do you remember “Enrico stai sereno”?), deve rassicurare tutti, non solo l’ex Cavaliere.
E così per sedare i mal di pancia interni del Pd promette: “Niente scambi nel patto, mai più leggi ad personam, non toccheremo la Severino per salvare B.”. Dissimulazione e opacità due smentite uguali
Dalla dissimulazione all’opacità , tratto decisivo e atavico del berlusconismo.
Nello stesso giorno in cui Renzi “copre” il patto, l’ex premier affida al suo Giornale questa frase ufficiosa: “Ma ti pare che uno va dal notaio e mette nero su bianco che il tal accordo prevede la tale contropartita. Che ne so, che si farà la riforma istituzionale e della legge elettorale ma pure quella della giustizia e che magari si voterà insieme il prossimo presidente della Repubblica, uno scenario così lontano che neanche un pollo. Basta una stretta di mano”.
Due smentite praticamente uguali e che vanno nella stessa direzione: non esistono testi scritti.
L’incubo del renzusconismo è questo: che prima o poi vengano fuori condizioni e clausole sull’accordo sottoscritto nel gennaio scorso al Nazareno, nella sede nazionale del Pd a Roma, in pieno centro.
Un colloquio in cui, a un certo punto, i due allontanarono i “secondi” (Lorenzo Guerini per Renzi, Gianni Letta per B.), e rimasero da soli per sette minuti. Dissimulazione e opacità , appunto. Un inciucio da brividi.
L’euforia del Condannato e la sua resurrezione La prova regina di questo gioco delle parti tra lo Spregiudicato giovane e il Pregiudicato anziano è nella reazione euforica di quest’ultimo alla lettura di Repubblica.
Nemmeno quel titolone ingannevole, “Mai una legge salva-Berlusconi”, è riuscito a scuoterlo e a insinuare velenosi dubbi. Nulla di tutto ciò.
Di buon mattino, ieri ad Arcore, Berlusconi ha centellinato ogni passaggio renziano abbassando sovente il capo in segno di assenso raggiante.
Di qui la direttiva impartita tramite Giovanni Toti: “Nessuno attacchi Renzi, quelle frasi sulla Severino servono a tenere buoni i suoi e l’opinione pubblica di sinistra”. Più chiaro di così.
Del resto il Condannato è in una posizione ideale: ha blindato il patto segreto e coperto (“Renzi non cambierà nulla senza interpellarmi”) e allo stesso tempo si gode il cupo spettacolo del premier sempre più in difficoltà sull’economia.
È risuscitato completamente, come ha osservato Lucia Annunziata, direttore della versione online italiana dell’Huffington Post: “Ci assicura, il premier, mai più una legge ad personam per Berlusconi, ma è difficile immaginare una legge più ad personam dell’aver reso il Cavaliere un padre rifondatore della patria, mentre le opposizioni vengono additate al pubblico ludibrio”.
A proposito di opposizione: stamattina il Movimento 5 Stelle depositerà alla Camera dei deputati una lunga interrogazione al presidente del Consiglio sul testo scritto e segreto del patto del Nazareno.
A firmarla due nomi grillini di peso: Luigi Di Maio, che è anche vicepresidente di Montecitorio, e Alessandro Di Battista.
Il nuovo vertice tra oggi e domani Il documento è articolato ed entra nel merito di un altro punto dell’intesa Bierre (copyright Rino Formica): la giustizia.
Con perfetto tempismo, sempre ieri, il guardasigilli Orlando ha rinnovato l’impegno a farla con una “stretta sulle intercettazioni” e la fatidica responsabilità civile dei magistrati, due questioni che stanno molto a cuore all’ex Cavaliere. Non solo.
La chiave della sua possibile salvezza non risiede in apposite leggi ma nel futuro capo dello Stato, altra lacuna dell’intervista di ieri al premier.
Di tutto questo Renzi e B. parleranno da vicino, nel loro terzo incontro.
Potrebbe essere già stasera oppure domani. Cambieranno nome alla legge elettorale, dall’Italicum al Toscanum con nuove soglie e un po’ di preferenze.
Il patto del Nazareno è più forte che mai.
Finanche “brutale”, per ammissione di uno testimoni, il renziano Guerini.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 5th, 2014 Riccardo Fucile
A PALAZZO MADAMA LA RELATRICE FINOCCHIARO DIFENDE LO SCUDO… IL MINISTRO BOSCHI (CHE AVEVA DETTO DI VOLERLO TOGLIERLO) NON FIATA
I nuovi senatori saranno coperti dall’immunità .
Dopo tanti balletti, tante polemiche, tante aperture ambigue da parte del governo, ieri Palazzo Madama ha votato.
E ha respinto tutti gli emendamenti che chiedevano di cancellare o di riformulare lo scudo. Assenti i Cinque Stelle, che non stanno più partecipando ai lavori. Favorevole anche Forza Italia. Fine dei giochi.
E c’è da scommettere che alla Camera non saranno riaperti. Il governo (come i relatori) si è rimesso all’Aula sugli emendamenti: nessuna posizione ufficiale, che però viene lasciata esprimere alla relatrice Anna Finocchiaro (e a Zanda) che difendono con forza il testo uscito dalla Commissione.
Quello nel quale, appunto, lo scudo veniva reintrodotto.
Una dinamica che rispecchia il modo in cui è stata affrontata tutta la questione: quando all’inizio era venuta fuori, il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, aveva dichiarato che “il governo non voleva” l’immunità .
Ma in realtà le modifiche introdotte dalla Commissione al ddl governativo erano state concordate tutte con Palazzo Chigi e con lo stesso premier.
Una questione non centrale, derubricavano dall’esecutivo, soggetta a cambiamenti in caso di accordi tra tutti, suggerivano .
La modifica dell’immunità era stata anche messa sul piatto di una trattativa con le opposizioni, che in realtà non è mai stata davvero tale. Nè su questo punto, nè su altri. Difficile che si vada incontro alle loro richieste sulla platea che deve eleggere l’inquilino del Colle.
Mentre sull’Italicum qualsiasi cosa deve essere prima mediata con Berlusconi (che fa resistenza sull’abbassamento delle soglie, voluto da Sel).
Esemplare, dunque, la discussione in Aula di ieri. Di “una soluzione equilibrata e ragionevole”, ha parlato la senatrice Finocchiaro a proposito dello scudo, sottolineando che “il pari trattamento di deputati e senatori” è un principio al quale “i relatori tengono moltissimo”.
E poi, un’apertura quanto meno futuribile: “Nulla vieta che in fase di modifica regolamentare il Parlamento possa tornare sulla questione”.
Il dibattito era stato complesso e articolato.
Felice Casson, tra i firmatari di un emendamento per togliere lo scudo non solo ai senatori, ma pure ai deputati: “Sono sorpreso perchè in questi ultimi giorni abbiamo letto, un po’ su tutti i giornali, che c’era una sorta di apertura, da parte del Governo, per ragionare insieme al Senato su come modificare queste norme costituzionali”. proprio “perchè cozzano pesantemente contro il principio di uguaglianza di tutti cittadini davanti alla legge. Noi proponiamo di abolire questi due commi, indifferentemente per la Camera e per il Senato”.
Sulla stessa linea Vannino Chiti. E Casson aveva presentato anche un emendamento per permettere al nuovo Senato di intervenire sui conflitti di interesse.
Bocciato anche quello. Ancora Casson: “Questo mi dà quasi il senso e il timore che effettivamente, sul ruolo del parlamentare, non si accetti alcun controllo e nessuna verifica di carattere costituzionale e si voglia trasformare l’immunità in impunità ”. Al di là di qualche intervento accorato, in realtà , il dibattito a Palazzo Madama va avanti liscio.
Disinnescato l’ostruzionismo, tra canguri e accortezze regolamentari (come la negazione di voti segreti), ieri l’Aula ha approvato rapidamente e senza difficoltà , anche grazie ai pochi interventi, gli articoli da 3 a 9 del ddl Boschi, ossia l’abolizione dei senatori a vita, il divieto di vincolo di mandato, la durata della Camera, i regolamenti.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 5th, 2014 Riccardo Fucile
LA RIFORMA DEL SENATO INTERESSA SOLO AL 3% DEGLI ITALIANI, MA IL BULLETTO CIRCONDATO DA LECCHINI MANDA PIZZINI: “VERRA’ IL TEMPO DI DENUNCIARE LE RESPONSABILITA’ DI PROFESSORI E GIORNALISTI”
Pur con i metodi spicci che abbiamo descritto, Renzi ha stravinto in pochi giorni la prima battaglia contro l’opposizione sulla cosiddetta riforma del Senato.
Ora, per vincere la guerra, deve sperare che la sua legge costituzionale passi senza modifiche alla Camera e poi, dopo tre mesi di pausa, di nuovo al Senato e alla Camera.
Dopodichè, se non avrà raggiunto i due terzi, i cittadini voteranno nel referendum confermativo (che non è, come credono lui e la Boschi, una gentile concessione del governo, ma un diritto previsto da quel che resta della Costituzione).
La “riforma” — stando ai sondaggi — interessa non al 40,8%, ma al 3% degli italiani e in venti giorni ha raccolto il No di 210.000 amici del Fatto.
Ma, come si dice, contento lui… In politica però non basta vincere. Bisogna saper vincere, impresa ancor più ardua del saper perdere.
E Renzi, con l’intervista di ieri a Repubblica, dimostra di non saper vincere.
Anzichè riconoscere cavallerescamente l’onore delle armi ai suoi avversari, fra i quali militano alcuni fra i migliori intellettuali e costituzionalisti, ha seguitato a insultarli con un linguaggio guappesco a metà strada fra il bar sport e la curva sud (“gufi professori, gufi brontoloni, gufi indovini”).
E pure minaccioso: “Parte dell’establishment che non sopporta il mio stile. Ma verrà il giorno in cui si potrà finalmente parlare delle responsabilità delle èlite culturali nella crisi italiana: professori, editorialisti, opinionisti”.
Stile? Quale stile? E cosa gli impedisce oggi di denunciare le responsabilità delle èlite culturali, visto che le insolentisce da mesi a ogni pallida critica.
Il bello è che il bullo si dipinge come un premier assediato, solo contro tutti, mentre è il più omaggiato e leccato dai poteri forti e dalla stampa al seguito che si sia mai visto: nemmeno il suo socio B. aveva goduto di consensi così oceanici nell’Italia che conta, oltrechè in Parlamento.
Il sopravvivere di alcuni pensatori critici è un’anomalia solo per il fatto che essi siano così pochi. Le responsabilità dell’intellighenzia nella crisi italiana esistono, e sono gravi, ma esattamente opposte a quelle indicate da lui: il guaio in Italia non è l’eccesso, ma il deficit di controcultura rispetto al potere.
Il fatto che non lo capisca o finga di non capirlo è allarmante, perchè la democrazia è anzitutto rispetto e tutela delle minoranze.
Che significa “verrà il giorno”? Cosa intende fare quel giorno ai dissenzienti? Fustigarli sulla pubblica piazza? Metterli alla gogna? Ripristinare l’Indice dei libri proibiti?
La Guapparia alla fiorentina dilaga per li rami dal Capo ai suoi sottopancia, con episodi di bullismo ancor più tragicomici dei suoi.
L’altro giorno Benedetta Tobagi ha osato aderire all’appello del Fatto contro la svolta autoritaria. E subito tal Lorenza Bonaccorsi, membro della Vigilanza per il Pd, le ha inviato un pizzino degno di Gasparri: “La consigliera trova il tempo di attaccare la maggioranza di governo, anzichè occuparsi di quanto accade in Rai. Altro che aderire a campagne politiche di parte che nulla hanno a che vedere col ruolo affidatole dal Parlamento”.
Capito il messaggio? Cara Tobagi, siccome il Pd ti ha messa nel Cda, smetti di pensare con la tua testa e pensa invece a turibolare il partito e il governo come tutti gli altri.
Miglior conferma della svolta autoritaria non poteva arrivare.
Intanto Sabina Guzzanti anticipava il suo film La Trattativa, in programma al Festival del Cinema di Venezia. Nuovo pizzino pidino, firmato dalla stessa Bonaccorsi e dai suoi sodali Gelli (ma sì), Magorno, Oliverio e Anzaldi (quello che protestò perchè Virginia Raffaele osava imitare Monna Boschi).
“Il film della Guzzanti appare decisamente irrispettoso del simbolo della Repubblica, con al centro un uomo con coppola e lupara: un modo per accomunare l’intero Paese alla cupola mafiosa che offende e appare decisamente fuori luogo”.
Se Renzi non richiama subito i rottweiler, qualcuno si chiederà : a quando il ripristino del Minculpop?
Ma poi si morderà la lingua, perchè al confronto di questi bulletti il Minculpop era roba seria.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 5th, 2014 Riccardo Fucile
CASO MOSE: LA MEMORIA DIFENSIVA DELL’EX CONSIGLIERE CHIAMA IN CAUSA L’EX MINISTRO: “ERO SOLO UN CONSIGLIERE POLITICO”
«Non vi è dubbio che vi sarebbero sufficienti elementi per iscrivere il ministro (Giulio Tremonti ndr) nel registro degli indagati».
È questo uno dei passaggi salienti delle 70 pagine di memoria difensiva depositata dagli avvocati di Marco Milanese, Bruno Larosa e Antonio Spagnuolo, durante l’udienza al tribunale del riesame di Milano contro la misura di custodia cautelare.
L’ex consigliere politico di Tremonti, in carcere per corruzione dal 4 luglio scorso – accusato di aver ricevuto dal presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati la somma di 500mila euro (poi nascosti dietro a un armadio ndr) per sbloccare i 400 milioni di finanziamenti per il Mose – si difende.
E mette nero su bianco tutte le contraddizioni delle indagini svolte dai magistrati veneziani, incrociando interrogatori e intercettazioni dell’inchiesta, citando Claudia Minutillo, segretaria di Giancarlo Galan o gli stessi Piergiorgio Baita e Mazzacurati, ma riportando anche i dettagli di alcune dichiarazioni di Vincenzo Fortunato, ex capo di Gabinetto del dicastero di via XX settembre, ai pm di Napoli che indagarono per primi anni fa proprio su MIlanese.
In sostanza i legali dell’ex comandante della Guardia di Finanza sostengono che il loro assistito non avrebbe potuto interferire sui fondi del Cipe «neanche facendo pressioni o opera di convincimento, mancandogli anche di ogni potere discrezionale, su dinamiche amministrative tanto complesse da richiedere non solo specifiche competenze tecniche, ma soprattutto l’accordo politico tra i componenti della maggioranza di Governo, tra gli stessi Ministri, i rispettivi Capi Gabinetto e quelli degli uffici legislativi».
Che in sostanza, quei 400 milioni di euro destinati al Consorzio Venezia Nuova per le dighe in laguna, erano semmai di competenza dell’ex ministro Tremonti e dell’allora sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta.
E per consolidare questa posizione citano il verbale della Minutillo dove è lei stessa a spiegare ai magistrati di aver saputo che Mazzacurati, «una volta avuto i soldi dal Baita, avesse pagato “credo” Gianni Letta, una volta Tremonti e una volta Matteoli».
Per questo motivo i legali si domandano: «Se l’accordo era stato fatto con Tremonti bisognava consegnare i soldi al Milanese? Il quale era si il suo consigliere politico, ma certamente non si sarebbe prestato a prendere soldi per il ministro. La risposta a questo quesito è l’unica plausibile (se mai quell’incontro e quella richiesta da parte di Tremonti ci furono!): che fu lo stesso Tremonti a chiedere a Mazzacurati di non riferire ai soci del Consorzio – coloro che sborsavano il denaro – che i soldi erano destinati a lui e di usare una forma meno diretta: li consegno a Milanese».
A questo punto «viene naturale una considerazione» si legge «Ma di questo fatto, in relazione ai probabili sviluppi investigativi, non è competente per le indagini preliminari il c. d. Tribunale dei Ministri? Non vi è dubbio che vi sarebbero sufficienti elementi per iscrivere il Ministro nel registro degli indagati (per poi magari archiviarne la sua posizione perchè è infondata la notitia criminis) e, così facendo, si finisce per rendere competente un altro organo inquirente che non la Procura della Repubblica».
Gli avvocati hanno chiesto di annullare l’ordinanza di custodia cautelare in carcere anche a causa delle condizioni di salute dell’ex parlamentare e ai «probabili rischi per la salute e per la vita stessa del Milanese» dovuti alla detenzione.
Rispetto ai 500 mila euro che Milanese avrebbe incassato come tangente per sbloccare i fondi a favore del Mose gli avvocati danno un’altra versione e forniscono prove “materiali” sul fatto che sia stato impossibile nasconderli dietro un armadio per non farli trovare alla Guardia di Finanza. Scrivono i legali Larosa e Spagnulo: «Intanto, la circostanza è in se stessa inverosimile, tanto nella immaginazione che se ne può avere, quanto nella ricostruzione fatta dai Giudici sulla base delle dichiarazioni degli indagati. Ciò in primo luogo perchè il fatto è noto per averlo dichiarato Mazzacurati ai vari soci del Consorzio, poi perchè è inverosimile che un importo così rilevante venga lasciato incustodito per la notte nella scrivania di un dirigente; poi ancora perchè l’intervento della Gdf rende impossibile sottrarre documenti o buste, proprio negli uffici dei dirigenti della società controllata (e qui la Gdf operava a seguito di delega della Procura)».
Non solo.
Gli avvocati hanno portato in aula una risma di fogli per far comprendere la possibile ampiezza delle banconote: «Tra l’altro è improbabile che delle banconote per 500 mila euro, possano essere collocate dietro ad un armadio, poichè ciò necessita di un sufficiente spessore tra la parete e l’armadio stesso che la G. di F. avrebbe sicuramente individuato. D’altronde sia il Baita che la Minutillo per raccontare la vicenda narrata loro usano espressioni sintomatiche: rispettivamente “leggenda” e “nota di colore”».
Non solo secondo i legali è lo stesso Pio Salvioli, ex tessera del Pci, considerato il collettore dei finanziamenti, a smentirlo in un interrogatorio del 30 luglio 2013, spiegando che i soldi andavano sempre a Luciano Neri, uno dei presunti faccendieri di Mazzacurati.
«Ero solo un consigliere politico»
Secondo gli avvocati di Milanese: «la circostanza della sua assenza di funzioni è confermata dalle dichiarazioni di Fortunato Vincenzo (Capo Gabinetto del Ministro dell’Economia dal 2008), il quale sentito sul punto nell’ambito del procedimento penale pendente a Napoli, attualmente in fase di giudizio e richiamato nell’ordinanza cautelare), in data 11.1.11, riferisce: “L’incarico di consigliere politico non è disciplinato normativamente nei suoi contenuti operativi. Le sue specifiche funzioni sono di raccordo con i parlamentari nel seguire i lavori legislativi, presentazione degli emendamenti ed in genere tutto ciò che attiene l’attività parlamentare: Non è richiesto lo status di parlamentare per svolgere il detto incarico, anche se questo non è precluso».
Domanda: Aldilà delle suddette attività , Milanese si è di fatto occupato anche di altre attività a lui delegate dal Ministro, formalmente o meno?
Risposta di Fortunato: Sì va detto, in primo luogo, che Milanese si occupa dell’attività politica del Ministro in senso ampio ed in particolare cura i rapporti del ministro con il partito di comune appartenenza nelle riunioni degli organismi dove è prevista la sua presenza. In secondo luogo Milanese ha seguito, in collaborazione con gli uffici stampa, anche gli aspetti politici della comunicazione esterna …”.
La domanda è in sostanza questa, a detta dei legali: «Per cui il Mazzacurati, con quella presunta “mazzetta” di 500 mila euro, dal Milanese cosa si sarebbe comprato Il risultato? La sua discrezionalità ? In concreto quale sarebbe stato il servizio reso dal Milanese al privato? Perchè solo se lo si individua, non essendo questa un’attività che può restare ignota — seppur ricondotta ad un determinato genus — si può validamente sostenere che nel caso di specie si sono asserviti quei “doveri istituzionali, espressi in norme di qualsiasi livello, compresi quelli di correttezza ed imparzialità ».
Il tribunale del riesame si è riservato di decidere entro il 7 agosto, giovedì prossimo.
(da “linkiesta“)
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