Agosto 12th, 2014 Riccardo Fucile
IN EUROPA RENZI NON E’ PIU’ CREDIBILE E L’ARROGANZA NEL VOLER IMPORRE LA MOGHERINI GLIELA FARANNO PAGARE ALLA PRIMA OCCASIONE
Il ritorno dell’economia italiana in recessione e la revisione delle stime di Moody’s sul Pil allarmano l’Unione che guarda preoccupata anche alle parole del premier Renzi su un indebitamento 2014 al 2,9 per cento Bruxelles si prepara allo scontro con Roma “Procedura per deficit ipotesi già sul tavolo”.
A Bruxelles prendono nota con grande attenzione dei movimenti del governo italiano sul fronte economico.
E non è sfuggita la frase che Renzi ha consegnato al Financial Times : «Speriamo di chiudere l’anno con un deficit al 2,9%».
Parole che viste dalle istituzioni europee suonano quasi come una dichiarazione di guerra. Si profila uno scontro tra Roma e Bruxelles.
Già , perchè pur restando sotto la soglia del 3%, senza sforzi aggiuntivi l’Italia comunque non manterrebbe gli impegni presi con l’Europa rischiando una procedura per deficit che manderebbe in tilt i rapporti con i vertici dell’Unione.
Nella capitale belga l’immagine di Renzi inizia ad appannarsi.
Almeno così la pensano gli alti funzionari, e alcuni politici ai vertici delle istituzioni Ue. Ma il premier è pronto allo scontro. Il tutto nasce dalla fermezza con il quale l’ex sindaco di Firenze ha sostenuto la candidatura a ministro degli Esteri Ue di Federica Mogherini.
Se il capo del governo avesse accettato di mandare Enrico Letta alla guida del Consiglio europeo — ricordano oggi diverse fonti Ue — e avesse ceduto su Mr Pesc prendendo in cambio un altro portafoglio di peso nella nuova Commissione, nell’ottica dei partner europei avrebbe collaborato a risolvere il risiko delle nomine, invece ancora aperto, e avrebbe avuto due posizioni di rilievo per aiutare Roma e Parigi ad ottenere la reclamata flessibilità sui conti. Invece, nota un diplomatico del Nord Europa, «si è mosso in modo troppo veemente» e se anche otterrà il via libera alla Mogherini i leader e i capi delle istituzioni chiuderanno ogni credito nei suoi confronti.
Almeno questa è la percezione che si respira, a torto o a ragione, a Bruxelles.
La partita è delicata.
Renzi prima dello scontro sulla Mogherini aveva ottenuto una dichiarazione dei leader sulla flessibilità , poi confermata da Juncker, presidente della nuova Commissione europea — vero arbitro sui conti — che entrerà in carica a novembre.
Ma il clima non è dei migliori e, notano con allarme le sentinelle del governo a Bruxelles, il gabinetto di Juncker è decisamente ispirato dalla filosofia rigorista tedesca.
Non faccia dunque illudere la frase con la quale ieri un portavoce della Commissione uscente, quella guidata da Barroso, ha chiuso la polemica sulle riforme: «È con le riforme strutturali che si creano le condizioni per crescita e occupazione, ma la loro realizzazione è una questione che riguarda l’Italia».
Nessun appeasement, la battaglia deve ancora iniziare.
A Roma lo sanno, e non si spaventano. Tutto gira intorno alle nuove regole Ue: non basta essere sotto il 3%, bisogna ridurre il deficit strutturale (depurato dal ciclo economico) in modo da abbattere il debito.
Ma l’Italia senza una robusta manovra non ce la farà , tanto che anche Moody’s vede la montagna del debito in salita (136,4% nel 2014).
Il che basterebbe per aprire una procedura per deficit e debito eccessivo, pur rimanendo sotto il 3%.
«Con il pilota automatico, se non ci sarà la rivoluzione sulla flessibilità — spiega un’autorevole fonte comunitaria — è scontato che il procedimento verrà avviato».
Con il rischio di levare margini di manovra al governo.
Ma la reazione che si raccoglie tra il Tesoro e Palazzo Chigi è netta: «Se veramente l’Europa pensa di imporre nuovi sacrifici a un Paese in recessione e sotto al 3%, noi tireremo dritti, non faremo manovre, tagli al sociale e nuove tasse».
Anzi, spiegano diversi ministri, «nel caso Renzi aprirà un braccio di ferro con Bruxelles, dicendo che il problema non è l’Italia, ma l’Europa che non funziona».
Per il premier quello che conta è restare sotto al 3%, anche al 2,99, perchè sforando il tetto di Maastricht — contando anche l’enorme debito — la sua posizione sarebbe indifendibile.
Ma sotto al 3% è certo di potersela giocare.
La prima battaglia sarà in autunno, quando l’attuale commissario all’Economia, il finlandese Katainen, giudicherà la Legge di stabilità .
Poi si insedierà la nuova Commissione e far andare all’Economia il francese Moscivici, uomo considerato in grado di portare avanti la flessibilità , è la madre di tutte la battaglie per Roma e Parigi.
Ma il suo posto potrebbe andare all’olandese Dijsselbloem, considerato meno morbido.
L’esito finale dello scontro ci sarà a maggio del 2015, quando Bruxelles potrebbe mettere sotto procedura l’Italia per i conti 2014.
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica”)
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Agosto 12th, 2014 Riccardo Fucile
“E’ NERVOSO PERCHE’ I PROTAGONISTI DELLE RIFORME SIAMO NOI”…”NON SPINGIAMO PER ENTRARE IN MAGGIORANZA”
«Io non mi comporterò come loro hanno fatto nel 2011, quando hanno cavalcato lo spread, la Troika, la crisi». Silvio Berlusconi esce dalle mura dell’istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone dopo le consuete quattro ore di servizi sociali – anticipate in via eccezionale per non farle coincidere venerdì col Ferragosto già gramo tra le mura di casa – e lascia trapelare ancora un volto quasi “buonista”, se non collaborativo, nei confronti del governo.
Ha poca voglia di parlare di politica, con i pochissimi con cui lo fa confessa «tanta preoccupazione » per i dati economici che continuano a promettere mesi grigi, ultima ieri la previsione di Moody’s.
Ma il messaggio che filtra ai dirigenti è improntato al «senso di responsabilità ». Nessun pressing per entrare in maggioranza, tanto meno al governo.
L’intervista a Repubblica con la quale Angelino Alfano quasi li provoca («Basta con questa tarantella, se vogliono entrare lo dicano») lo irrigidisce.
«Se non saranno loro a chiederci una mano, figurarsi se vogliamo dargliela noi, ritengono di fare da soli, facciano pure» ha tagliato corto.
Berlusconi è convinto che dall’Ncd arrivino quei segnali di «nervosismo perchè i protagonisti delle riforme siamo noi, non certo loro».
L’affondo, confessato a pochi: «Angelino farebbe bene a ricordare che la legge elettorale si farà alle nostre condizioni, se davvero vogliono ritoccare le soglie di sbarramento, non è solo col Pd che dovranno trattare ».
L’avvertimento è chiaro.
Con lui, a Villa San Martino, c’è la sola Francesca Pascale, i figli sono già partiti per le vacanze, ad impegnarlo giusto la ginnastica quotidiana e la dieta.
Chi lo sente in queste ore lo definisce tranquillo, per nulla scalpitante.
«Anche perchè Berlusconi in cabina di regia con Renzi ormai ci si sente, a prescindere dal governo, sta lavorando con lui alle riforme dalle quali dipende tutto il resto» è la tesi ripetuta dai suoi.
Raccontano che perfino l’ingresso in un esecutivo, in questo momento, con due tre dirigenti da piazzare nei ministeri, per un partito spaccato come Forza Italia, sarebbe una mezza iattura, sufficiente a farlo saltare una volta per tutte.
L’obiettivo piuttosto è convergere su singoli, mirati provvedimenti economici e capitalizzare poi quel sostegno.
Proprio come avviene sulle riforme. Si risolverebbe, dal prossimo autunno, in una sorta di «sostegno esterno non dichiarato» (e non voluto, almeno da Renzi).
Fino a questo momento il leader di Forza Italia resta parecchio critico sulle misure economiche che Palazzo Chigi ha in cantiere, le ritiene «inadeguate, insufficienti » va ripetendo: «In quattro mesi l’unica rivoluzione che Matteo ha compiuto è quella della comunicazione».
Detto questo, avrebbe una gran voglia di dare il suo contributo, far valere la sua «esperienza»
Sul punto, il vicesegretario Pd Lorenzo Guerini, parlando al Gr1Rai, è chiaro. «Ci sono due piani distinti, il piano del governo, che riguarda la maggioranza, e c’è un piano invece di confronto parlamentare e di intesa che va oltre la maggioranza e che si apre alle opposizioni, quello appunto delle riforme. I piani devono rimanere distinti ». Questo tuttavia non esclude che «su singoli provvedimenti poi governo e maggioranza faranno delle proposte, se alcune forze – conclude Guerini – ritengono che quelle proposte possono essere utili per il Paese valuteranno cosa è meglio fare».
Il capogruppo forzista alla Camera Renato Brunetta in serata dal Tg5 tende proprio quella mano: «Per parte nostra, se i provvedimenti saranno accettabili, saremo sempre dalla parte degli italiani».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Agosto 12th, 2014 Riccardo Fucile
AVREBBERO DOVUTO INIZIARE IL 1 LUGLIO, MA DI LAVORI IN CORSO NON SE NE VEDONO… IL GOVERNO COL SENSO DELL’UMORISMO: “PAGHEREMO A LAVORI ULTIMATI”, MA SE NON INIZIANO MAI DIFFICILE POSSANO FINIRE
Due mesi fa Renzi aveva annunciato investimenti per 3 miliardi e mezzo entro il 2015. Il primo luglio scorso inoltre sarebbero dovuti iniziare i lavori.
Ma funzionari e dirigenti dei comprensori che hanno vinto il bando per gli interventi di manutenzione raccontano una realtà ben diversa: ”Mai ricevuto un euro” E i lavori?“Per ora niente”
Il sottosegretario Reggi rimanda: “Arrivano quando fattureranno le ditte”.
“Ci chiedono di fare scuole belle, ma nessuno pensa al fatto che siano funzionali”. A parlare è una dirigente del Duca D’Aosta,la scuola materna di Torino diventata nota a marzo scorso quando un muro è crollato.
In quel caso non ci sono stati feriti, come invece è avvenuto altre volte. L’istituto “Duca D’Aosta” è solo uno dei tanti edifici disagiati, fatiscenti, in cui ogni giorno vivono milioni di studenti.
Nei mesi scorsi, il governo Renzi aveva annunciato che dovevano essere erogati tre miliardi e mezzo di euro ed era stata fissata anche una data di inizio dei lavori nei vari comprensori: il primo luglio.
A giugno, in molte scuole, i lavori non erano ancora iniziati. E tutt’oggi, con l’inizio dell’anno scolastico ormai alle porte,contattando presidi, funzionari e dipendenti degli istituti che hanno vinto i bandi fatti dal ministero dell’Istruzione, si scopre come i soldi non solo non siano ancora arrivati, ma dei lavori neanche l’ombra.
Già nei mesi scorsi Il Fatto aveva contattato molti assessori all’edilizia delle varie regioni, che — dal Piemonte alla Campania — hanno raccontato come le promesse del governo fossero state disattese.
Sul sito del governo il piano sull’edilizia viene annunciato: “Il piano di edilizia scolastica, fortemente voluto dal presidente del Consiglio, prende il via”.
Con le delibere approvate dal Cipe (il Comitato interministeriale per la programmazione economica) il30 giugno scorso sono stati destinati 510 milioni all’edilizia scolastica riprogrammando Fondi di Sviluppo e Coesione.
Di questi soldi, 400 milioni sono destinati agli interventi di messa in sicurezza e agibilità all’interno del programma #scuolesicure.
E altri 110 milioni verranno spesi per interventi di piccola manutenzione per il programma #scuolebelle.
Nell’ambito di quest’ultimo progetto, è stata pubblicata anche la graduatoria delle scuole che hanno avuto accesso ai finanziamenti.
Ecco alcune testimonianze.
Piemonte: “Speriamo di essere pronti a settembre”
Tra gli istituti che rientrano nella graduatoria del bando #scuolebelle c’è una scuola di Leini (Torino).
“I lavori non sono iniziati e tanto meno sono arrivati i soldi — ha raccontato una dirigente della presidenza — Ho telefonato proprio l’altra mattina e mi hanno detto che dal provveditoriato non arriveranno i soldi prima di settembre”.
Ma a settembre la scuola si apre? “Lo so, speriamo che riescano a farli nel giro di paio di settimane”.
Come questa scuola, altri 2834 istituti hanno vinto lo stesso bando.
Friuli Venezia Giulia: “Anticipiamo noi la somma”
Non diversa la situazione in Friuli dove nel progetto #scuolebelle sono rientrati 620 comprensori .
L’istituto J. Kugy è una scuola statale di Trieste. Qui la situazione è diversa perchè i lavori sono iniziati ma a metterci i soldi non è ancora il governo (che gli ha destinato 30mila euro).
“I lavori inizieranno in questi giorni — spiega un dirigente scolastico — Bisogna fare interventi di piccola manutenzione. Noi i lavori li facciamo e poi accrediteremo”. Anche il Dante Alighieri di Trieste dovrebbe ricevere 32mila euro circa. Non riusciamo a parlare con nessuno in presidenza, ma una donna in segreteria assicura: “Non so nulla, ma una cosa è certa: qui i lavori non ci sono”.
Lombardia: “L’urgenza è la palestra, speriamo di farcela”
Altri 67mila euro sarebbero destinati all’istituto Galilei di Voghera (Pavia). Qui il personale è molto ottimista: “I soldi non arrivano a noi ma alla provincia, eh! Comunque l’anno scorso abbiamo rifatto l’impianto di riscaldamento e ora bisogna ripristinare la palestra a cielo aperto. I progetti sono previsti per settembre”.
Non crede che sia un po’ tardi? “Confidiamo”.
Campania: “Abbiamo ‘vinto’ 150mila euro, ma non ci arriva nulla”
In Campania, a vincere il progetto per interventi di piccola entità sono 4427 scuole, come quella di San Cipriano D’Aversa.
“Noi avevamo avuto all’inizio 5 finanziamenti. Al momento ci hanno detto che abbiamo avuto accesso solo a quelli per le scuole elementari. Di soldi ne abbiamo ‘vinti’ 57mila in una tranche e altri 95mila nella seconda. Ma ancora non ci arriva nulla. Per ora gli unici soldi pubblici che abbiamo sono quelli dei finanziamenti dell’Unione Europea di un bando del 2010. E pensi che ci sono arrivati solo l’anno scorso, tre anni dopo!”
Sicilia: “Siamo bloccati, non possiamo riparare niente”
Anche in Sicilia di soldi, almeno negli istituti contatti dal Fatto, neanche l’ombra. Come nel Plesso Santa Lucia di Enna, che ha ottenuto un piccolo finanziamento di 13mila euro. “I soldi non sono arrivati. Noi dovremmo ristrutturare palestra e auditorium, ma per ora non possiamo fare niente”. “Il tetto? Ce l’ha pagato il Comune per fortuna”
Sono questi i racconti di chi ogni giorno vede con i propri occhi le necessità di milioni di studenti.
Intanto le scuole italiane continuano a essere vecchie e fatiscenti come ha raccontato l’ultimo rapporto Censis. E lo sanno bene i dirigenti delle scuole diventate di interesse comune solo nel momento in cui sono avvenute delle tragedie.
Come la scuola materna Duca D’Aosta (Torino) dove a marzo scorso un muro è crollato e fortunatamente non c’è stato nessuno ferito.
“È stato fatto un intervento al tetto — spiega una funzionaria della scuola — pagato però dal Comune. Per quanto riguarda i soldi stanziati dal governo, è arrivata una prima comunicazione per tre plessi, poi una seconda solo per uno: la scuola elementare. Noi di concreto non abbiamo visto niente. Di questo bando #scuolebelle noi non facciamo parte, ma dal ministero ci hanno detto che c’è comunque un budget”.
E rassegnata conclude: “Non so fino a che punto bello vuol dire funzionale”.
Il governo: “State tranquilli, il denaro arriverà a fine mese”
Di questa situazione abbiamo chiesto conto al sottosegretario all’istruzione, Roberto Reggi, che spiega la mancanza di denaro nelle casse delle scuole così: “Il meccanismo di finanziamento va direttamente dal Miur al dirigente scolastico che fa l’ordinativo. Questo per quanto riguarda le #scuolebelle. I soldi quindi arriveranno quando le ditte fattureranno, ossia a fine di agosto. Per quanto riguarda il progetto #scuolesicure, dal Cipe abbiamo aggiornato la scadenza entro la quale comuni e province posso aggiudicarsi gli appalti. Hanno tempo fino alla fine dell’anno per appaltare i lavori. In questo caso, il denaro arriverà a gennaio 2015 a sindaci e presidenti di provincia. Inoltre stiamo attivando, ad esempio con la Cassa depositi e prestiti, altri investimenti che saranno disponibili l’anno prossimo”.
Ma non erano 3 miliardi e mezzo i soldi promessi?
“Certo, ci arriveremo a quella cifra. Ci sono anche altri finanziamenti e decreti che verranno fatti entro il 2015”.
Valeria Pacelli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 12th, 2014 Riccardo Fucile
“TUTTE LE MODIFICHE APPORTATE FINORA ALL’ART 18 NON HANNO CREATO UN SOLO POSTO DI LAVORO, SOLO LICENZIAMENTI”
Abolire l’articolo 18?
«È una sciocchezza. Se il ministro Alfano vuole riguadagnare terreno nei sondaggi, non lo faccia sulla pelle dei lavoratori ».
Maurizio Landini è perentorio: «Tutte le modifiche finora portate all’articolo 18 non hanno creato un solo posto di lavoro, hanno semplicemente aumentato i licenziamenti», dice il segretario della Fiom
Landini, Alfano propone l’abolizione entro la fine di agosto e parla di «tabù da abbattere ».
Come risponde?
«Il ministro Alfano ha fatto parte di tutti i governi che in questi anni hanno messo mano all’articolo 18 inseguendo il mito della ripresa delle assunzioni in cambio della libertà di licenziamento. Bisogna però constatare che la disoccupazione è aumentata e i licenziamenti anche. Non mi sembra un bilancio positivo e sarebbe sciagurato continuare a insistere su questa strada. Tanto peggio se lo si fa per inseguire un aumento di percentuali nei sondaggi».
Quale sarebbe invece la strada da seguire per la ripresa dell’occupazione?
«Spero che Renzi non segua i desideri del suo ministro degli Interni gettando benzina sul fuoco in un autunno che si preannuncia molto difficile. Rischiamo centinaia di migliaia di posti di lavoro. I principali settori del nostro sistema industriale presentano segnali di cedimento, dall’auto alle tlc, dalla siderurgia alla logistica. In Germania aziende, sindacati e governo si mettono intorno a un tavolo e pianificano le politiche industriali di settore. Da noi questo non avviene da decenni e si vedono i risultati. E’ necessario varare un grande piano per l’industria nel nostro Paese»
Può fare un esempio?
«Uno dei progetti tedeschi è quello di vendere 1 milione di auto totalmente elettriche nel 2020, cioè domani. Per farlo sono necessarie scelte delle aziende, del governo dei sindacati e di chi fa lobbing a Bruxelles. Il governo italiano e le aziende italiane sono disposti a fare qualcosa di simile per creare lavoro?».
Con quali denari si finanzia il piano per l’industria di cui parlate?
«Superando una politica di austerità che ci sta portando al collasso. Ai tempi di Monti lo spread era a 500 e si diceva che si trattava di un livello insostenibile. Oggi è sotto i 200 punti e i consumi sono crollati. Non possiamo andare avanti così. Ci sono Comuni che non possono asfaltare strade, rimettere a posto scuole e ospedali perchè hanno i soldi in cassa ma non possono spenderli per i vincoli del patto di stabilità . Il quale a sua volta deriva dalle scelte e dai vincoli che ci siamo dati con l’Europa. Senza superare il tetto del 3 per cento nel rapporto tra deficit e Pil sarà difficile trovare le risorse per far ripartire la produzione e dunque i consumi»
Tutto questo servirà ad evitare l’abolizione dell’articolo 18?
«Una seria politica industriale mi pare l’unica strada per la ripresa dei consumi e dell’occupazione. Il resto, il mito della libertà di licenziamento, fa parte dei vecchi strumenti ideologici che hanno prodotto un buco nell’acqua. Inviterei Renzi a cambiare verso e a rottamare quelle ideologie fallimentari».
“Il mito della libertà di licenziamento va rottamato Sarà un autunno difficile, rischiamo di perdere centinaia di migliaia di posti di lavoro“.
Paolo Griseri
(da “La Repubblica“)
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Agosto 12th, 2014 Riccardo Fucile
GUERINI: “DISCUSSIONE NELLA DELEGA”…BOBBA: “CAMBIARLO NON SERVE”… SINDACATI IN RIVOLTA
Fra tabù da sfatare e bandierine di partito da agitare, si riapre lo scontro sull’articolo 18.
Via subito la norma dello Statuto dei lavoratori, già con lo sblocca-Italia, come chiede Alfano? Entro agosto non se ne parla, è la risposta del numero due del Pd Lorenzo Guerini, «ma il tema può entrare nella legge delega che è in Senato».
Una proposta di mediazione, mentre Ncd e Forza Italia spingono per il colpo di spugna e invece molte voci del Pd e di Sel fanno muro per salvare la norma anti-licenziamenti.
Guerini, spiegando che sarebbe sbagliato anticipare la discussione e usare strumenti impropri (come il decreto sblocca-Italia, all’esame del governo il 29 agosto), apre uno spiraglio al pressing di Alfano annunciando che la questione lavoro sarà affrontata in Senato «senza tabù ideologici ma anche senza bandierine, esaminando le proposte messe in campo».
Ma per l’Ncd conta la sostanza, e un accordo entro agosto.
Lo sostiene Gaetano Quagliariello, «norma nello sblocca-Italia o criterio di delega, quello che per noi conta è un chiarimento da qui al 31 agosto ». La posizione di Guerini è «apprezzabile», ma il vicesegretario del Pd «dimentica che siamo stati costretti ad assumere l’iniziativa per il superamento dell’art.18 dal persistente rifiuto di considerare criterio di delega nel jobs act la riforma del contratto a tempo indeterminato»
Ma moltissime sono le voci in dissenso rispetto all’uscita di Alfano, anche perchè appena due anni fa, con la legge Fornero, è già stato cambiato.
Critiche dalla Fiom. Contrario anche il segretario della Cisl, Bonanni: «Caro Angelino non serve abolire l’articolo 18 visto che aziende assumono con contratti a termine e false partite Iva. Aboliamo quelle».
Per il sottosegretario Pd al Lavoro Luigi Bobba «il nuovo articolo 18, quello cambiato dalla legge Fornero, già funziona.
Non si vede la ragione di fare un’altra modifica».
Molto duro Cesare Damiano, presidente commissione Lavoro della Camera, «la maggioranza non è al servizio delle bandierine del partito di Alfano. Se non è un monocolore del Pd, figuriamoci se lo è dell’Ncd».
E per il coordinatore nazionale di Sel, Nicola Fratoianni, l’abolizione dell’articolo 18 è solo una vecchia ricetta, «ma scopriamo che per Guerini il problema non è questo, ma solo la necessità di non anticipare i tempi. Insomma Pd e destra sono divisi solo sulla tempistica. Noi ci opporremo ai conservatori».
Invece Maurizio Sacconi, presidente dei senatori dell’Ncd, apprezza le posizioni del vicesegretario democratico.
«Guerini dice che del tema si può e si deve parlare senza pregiudizi nel contesto della legge delega sul lavoro considerandolo alla luce del rafforzamento delle politiche di tutela dei disoccupati. E’ la nostra tesi».
Una tesi, secondo Sacconi, finora negata dai parlamentari del Pd «terrorizzati che potesse aprire uno spiraglio alla riforma delle rigidità sui licenziamenti e sulle mansioni».
(da “la Repubblica”)
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Agosto 12th, 2014 Riccardo Fucile
NESSUN COLPO DI SCENA, CARLO TAVECCHIO ELETTO AL VERTICE DEL CALCIO ITALIANO CON IL 63,6% DEI VOTI …NELLA SUA SQUADRA, FORSE, GIULIO NAPOLITANO…. PER LA NAZIONALE IN POLE CONTE, ZACCHERONI O UNO DELL’82
Questo è il momento. Claudio Lotito è ustionato, dirà che non utilizza la crema solare. Enrico Preziosi mastica, eppure non ha nulla in bocca. Adriano Galliani indossa gli auricolari e una cravatta colorata. Lotito estrae un foglietto dal taschino, guarda Preziosi e Galliani: “L’avemo ammazzati, l’avemo ammazzati”.
Il ragioniere Carlo Tavecchio, che parla soltanto se legge pagine preparate dai suoi collaboratori, verrà eletto un paio di minuti dopo.
Al terzo scrutinio — con il 63,63% dei votanti, bastava la metà più uno — il capo dei Dilettanti si prende la Federcalcio; Demetrio Albertini non sfonda il 34; poi schede nulle o bianche per testimoniare il dissenso.
Il fronte No-Tav unisce i calciatori, gli allenatori, gli arbitri e un pezzo di serie A: in prima fila, come se fosse la scorsa classifica di campionato, Juventus e Roma. Quelli che Lotito ha ammazzato.
Al gelo di un salone di un albergo Hilton accanto a Fiumicino, tra delegati e comparse, erano più di 300 i padroni grossi e piccini del pallone.
Li ha commossi Giancarlo Abete, che ha citato De Gasperi, il Vangelo, la corruzione, la disoccupazione, il prodotto interno lordo e ha attaccato Giovanni Malagò (Coni) e i giornalisti. Poi s’è commosso Tavecchio, che ha elogiato la democrazia. E non ha sottovalutato quel 34% di preferenze che gli ha attribuito la Lega Dilettanti.
L’assemblea era diretta da Pasquale De Lise, 74 anni, intramontabile boiardo di Stato.
La rabbia della Juve e le sorprese mancate del Coni
Per vent’anni Tavecchio ha gestito il calcio minore, affari, favori e interessi. S’è candidato che aveva già il 68% dei consensi: le quattro Leghe unite, dai milioni in serie A agli oboli di periferia. E aveva caricato accanto a sè il vecchio armamentario federale: dagli ex Antonio Matarrese e Franco Carraro al dimissionario Abete, passando per il mai marginale universo di Luciano Moggi.
Andrea Agnelli s’è opposto sin da subito in coppia con la Roma americana. Il giorno di Optì Pobà mangia-banane ha scatenato la fuga di Fiorentina (Della Valle), Torino (Cairo), Sassuolo (Squinzi, cioè Confindustria), poi Cagliari, Empoli e Sampdoria.
Questo gruppo di serie A ha provato a raggiungere la maggioranza fra le 20 società per stilare un documento e costringere Tavecchio al ritiro.
Ma il partito Pro-Tav, organizzato da Claudio Lotito in versione ventriloquio (anche di Adriano Galliani), ha resistito e ha recuperato le indecise Verona, Cesena e Palermo.
Quando Galliani ha lasciato l’Hilton, camminando a testa bassa tra le telecamere, ha decretato la scomparsa dei ribelli: “Solo in 4 hanno detto no”. Forse sbaglia.
Perchè l’urna contiene almeno 8 no a Tavecchio, inutili, ma pur sempre 8.
Agnelli è apparso che il pranzo era già sui tavolini, caccia a Preziosi: “Tu non mi devi nominare con la stampa”. Preziosi ha reagito, e non ha negato la battuta velenosa: “Si è presentato in ginocchio per un posto in Figc”.
E poi il presidente juventino ha affrontato Lotito nei corridoi, e non c’erano sentimenti di amicizia: urlavano di brutto.
Sconfitto chi non c’era: Malagò (Coni ) ha più volte previsto sorprese, imminenti, prossime; adesso precisa che verranno da Tavecchio. Tradotto: la sorpresa non era il commissario.
Il Coni ha assistito; il governo, che s’affidava al Coni, pure.
Il trionfo di un terzetto sempre compatto (Lotito-Galliani-Preziosi) provocherà un duello in Lega A con i perdenti, Juventus in particolare. Non segnalata l’Inter indonesiana.
Anzi, più corretto scrivere che l’Inter s’è fatta sentire per augurare buon lavoro a Tavecchio.
Il ragioniere brianzolo ha un responsabile della sua campagna elettorale da ricompensare: il laziale Lotito, improbabile che riesca a consegnargli la vicepresidenza in Federazione.
Nella squadra Beretta, Abodi e ipotesi Fiona May
Lo stesso Carraro, che di alchimie se ne intende e che ha chiacchierato a lungo con Tavecchio, sconsiglia la poltrona per Lotito. E allora quel posto andrà a Maurizio Beretta, il numero uno in Lega, “uno” senz’altro per i Lotito, i Galliani e i Preziosi.
Anche Andrea Abodi (serie B), retorica da rivoluzionario e comportamenti da conservatore, verrà promosso vice.
Per dimostrare di non essere razzista, Tavecchio porterà in Figc la campionessa di atletica Fiona May (in quota Coni).
Sempre per lusingare il Coni (e non solo), il ragioniere vuole coinvolgere Giulio Napolitano, il figlio di Giorgio, che per il Comitato Olimpico s’è occupato di giustizia sportiva e per la Federcalcio potrebbe rivedere la struttura, le regole.
Tavecchio ha temuto Napolitano: le indiscrezioni lo davano per commissario , anche qui Lotito ha alzato le barricate.
Michele Uva, direttore generale per il Coni, ex dg di Parma e Lazio (epoca Callisto Tanzi e Cesare Cragnotti).
Capitolo allenatore della Nazionale: i campioni di Spagna ’82 hanno tifato per Tavecchio, e dunque non vanno scartate le ipotesi Marco Tardelli o Antonio Cabrini.
Valida la pista Alberto Zaccheroni. Il desiderio del ragioniere si chiama Antonio Conte, basse le possibilità di Roberto Mancini. Lotito non lo vuole.
Il 18 agosto sapremo.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 12th, 2014 Riccardo Fucile
LO STATO DEVE FARSI CARICO DEI PU’ DEBOLI, MA NON DEI “FURBI”… SUSSIDI SOLO A CHI SI IMPEGNA IN PRESTAZIONI SOCIALI A FAVORE DELLA COMUNITA’ NAZIONALE
Mi è successo spesso di sentir dire che Margaret Thatcher, con la sua azione politica e di governo, avrebbe penalizzato i più deboli.
L’immagine retorica è sempre stata quella di una Lady di Ferro che “tolse il latte ai bambini”…
In realtà Maggie non penalizzò per nulla i “più deboli” ma consumò una rivoluzione sostanziale e valoriale nei confronti dei nullafacenti e dei fannulloni e, da quel punto di vista, credo che debba proprio convenirsi, sia dal punto di vista della ricostruzione storica, che in termini di proposizione concettuale e metodologica.
E’ legittimo propugnare che lo Stato, allorchè necessario, ed in costanza di determinate condizioni, si faccia carico delle difficoltà dei “più deboli”, soprattutto se collegate a quelle condizione di oggettivo disagio scaturenti, ad esempio, dalla perdita involontaria e/o dalla sistemica carenza di un lavoro.
Ma quel principio astratto, quel senso, quell’incanto della solidarietà va poi declinato in concreto, deve assumere contorni equi e sostenibili e deve saper disegnare scenari nuovi, spingendo ad andare oltre, soprattutto nel meridione, anche dandosi il senso della sfida impossibile.
Sono napoletano e mai come a Napoli quel senso va riveduto e corretto.
C’è tanta brava gente nella mia terra.
Motivo di vanto. Ragione d’orgoglio.
Ma c’è anche chi si ispira a valori diversi ed un po’ di “Thatcherismo” non farebbe male, anzi…
I cortei dei disoccupati sono un fenomeno ricorrente, ad esempio, e che la carenza di lavoro sia fenomeno reale è fuori dubbio. Eppure, e lo dico con contezza e cognizione di causa essendo un piccolo imprenditore locale, è parimenti evidente come almeno il 70, 75% di quei manifestanti, nella realtà delle cose, non abbia nessuna intenzione di lavorare ma solo quella di continuare ad ottenere sussidi per starsene a casa senza fare nulla e questo è inammissibile.
Gli ammortizzatori sociali, in una società civile, è giusto che ci siano, ma dovrebbero essere comunque funzionali ad uno scambio sinallagmatico tra la “transuente sovvenzione di Stato” e la contropartita moralmente doverosa a favore dell’intera società .
Una controprestazione che potrebbe tranquillamente assumere anche la forma dei lavori socialmente utili svolti in regimi di “do ut des”, ed anche operando nel terzo settore, nel caso.
E’ assurdo, infatti, che ci si debba far carico di certe necessità lasciando la gente a casa: reca danno non soltanto a chi versa nella condizione di oggettivo disagio, ma anche alla stessa società .
E’ chiaro che si tratta solo di accenni: la questione è ampia e complessa, soprattutto se si involge anche la ricaduta pratica dei principi e l’articolazione concreta delle risposte.
Ma da qualche parte pur bisogna partire, perchè una destra che propugni la meritocrazia come valore fondante di una sincera scalata sociale, dovrebbe porsele certe questioni.
Del resto non si tratta di neglettare quei doveri di solidarietà sociale che qualsivoglia società civile ha l’obbligo morale di perseguire, ma di dare un senso all’impianto complessivo, evitando anche i perigli e le conseguenze dell’alienazione e della stessa esclusione sociale.
Proprio come fece Maggie.
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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