Settembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
IL GOVERNO ONLINE E’ CARINO, COLORATO E PIENO DI SLOGAN: MA SE CERCATE INFORMAZIONI NON CI SONO
Tutto nel renzismo slitta leggermente. Potenza della letteratura, visto che il giovane premier – al contrario di Nichi Vendola – una narrazione ce l’ha davvero.
La forma è la cosa, nell’Italia che #cambiaverso, almeno finchè le cose non torneranno per vendicarsi. Fino ad allora (mille giorni?) il tempio del renzismo è online: il sito passodopopasso.italia.it   — che si trova peraltro allo stesso indirizzo IP del celebre turistia4zam  pe.it , creazione della ex ministra Michela Vittoria Brambilla — è il diario di viaggio di Matteo Renzi.
È proprio come lui: carino, colorato, pieno di disegni e di slogan quanto vuoto di informazioni proprio mentre ne promette a carrettate
Tutto slitta nel regno fatato del renzismo: pure la presentazione grafica dei provvedimenti diventa “infografica”, anche se non c’è alcun lavoro sui dati.
Che l’informazione non sia una preoccupazione del sito lo dimostra il fatto che, se si vuole vedere lo schemino sul “nuovo Senato”, si apre pure un video in cui Maria Elena Boschi viene intervistata, diciamo, dal Tg1.
A oggi siamo ancora alle poche pagine che furono al momento del lancio.
La parte del leone la fa lo “Sblocca-Italia”: c’è la lista dei cantieri che saranno aperti grazie al decreto solo che non è specificato quali sono soldi stanziati da questo governo (quasi niente) e quali da quelli precedenti, nè è possibile sapere lo stato di avanzamento dei lavori di tutto questo sbloccare (la cabina di regia che dovrebbe monitorare il tutto a Palazzo Chigi ancora non c’è, ma sul sito la cosa non viene detta).
Notevole pure l’uso dell’eufemismo: il regalone ai signori delle autostrade con l’allungamento delle concessioni ad libitum viene definito “sblocco di investimenti delle concessionari autostradali”.
Che dire poi del pudico “più semplicità , meno documenti” che nasconde l’indebolimento dei controlli sui vincoli paesaggistici e la cementificazione del demanio pubblico affidato ai “progetti urbanistici” dei fondi di investimento immobiliare?
Dietro lo specchio renziano è sempre giorno di conferenza stampa: sul web si perpetua il momento preferito del premier, quando può straparlare senza contraddittorio disegnando la sua meravigliosa Italia a venire, sempre, eternamente a venire
Ben due icone, poi, raccontano dei dieci milioni che forse risparmieremo dal dimezzamento dei permessi sindacali nella Pubblica amministrazione, ma non ce n’è neanche una sui pessimi dati macroeconomici inanellati in questi mesi.
Anzi no, una ce n’è, ma potrebbe scadere stamattina: “Istat, occupati in aumento da febbraio”.
Resterà , invece, quello che rinvia all’assunzione degli insegnanti: 13 mila per il sostegno agli alunni disabili.
“Doveroso”, si schermisce il governo su passodopopasso. Soprattutto, aggiungiamo noi, perchè i soldi li aveva trovati Maria Chiara Carrozza, ministro del governo Letta, e pareva brutto non spenderli.
Se ci fosse la possibilità di commentare, magari qualcuno farebbe notare la cosa, ma tant’è.
Nel renzismo il dialogo non è previsto, al massimo si dà il via alla “consultazione pubblica” come per la riforma della scuola: noi vi diciamo che vogliamo fare, voi – i cittadini o meglio il pubblico sovrano – ci dite cosa ne pensate.
Ovviamente è scontato che noi, alla fine, facciamo come ci pare: è già successo con le riforme costituzionali, come ricordano i vari “professoroni” che inviarono al governo le loro proposte per vederle ignorate.
A proposito di Senato e nuovo Titolo V della Costituzione c’è un piccolo problema di ottimismo in passodopopasso.
Nella sezione grafica “A che punto siamo? ” — quella in cui si fa il punto del governo dopo sei mesi — le si situa nella “seconda lettura parlamentare”, che in tema di riforme costituzionali dà l’idea che si sia vicini all’approvazione definitiva, il che non è.
Per gli appassionati non mancano nemmeno quelli che Maurizio Crozza ha definito i “renzini”, cioè quei pensierini con cui il premier sparge lo zucchero a velo sulla torta che immagina essere il futuro: “Agricoltura e agroalimentare: ripartiamo dalle eccellenze italiane” oppure le meraviglie di Expo 2015 in numeri (ritardi? inchieste? non pervenuti).
E poi c’è quella piaga del dissesto idrogeologico: una roba talmente importante che ieri Renzi l’ha citata pure in direzione.
Passodopopasso ti dice quanti lavori ci sono e quanti ne partiranno a breve. Non solo: puoi finalmente “monitorare e controllare in tempo reale” che i cantieri procedano davvero.
Come? Basta che dai un’occhiata a italiasicura.governo.it .
Solo che in home page ci sono solo quattro hashtag (#italiasicura, #dissesto, #acquapulita e #ediliziascolastica) e la scritta “presto online”.
I fatti separati dalla comunicazione.
Marco Palombi
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Settembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
“EPURATI EX AN E ALFANIANI”… PER 42 IMPIEGATI SCATTA LA CASSA INTEGRAZIONE: “DEPENNATI COME MATRICOLE”
“Siamo stati epurati, di questo si tratta”.
Dopodomani per 42 dipendenti del Pdl, non riassorbiti in Forza Italia, sarà firmata la cassa integrazione.
E una di loro scrive una lettera a Silvio Berlusconi: “Presidente, ci aiuti”.
A rivolgersi al leader di FI è Lorena Vinzi, 52 anni, impiegata nella direzione nazionale del partito. “Abbiamo ricevuto la lettera di licenziamento in 42 su 120 impiegati e, guarda caso, siamo quelli provenienti da Alleanza Nazionale e gli alfaniani”, denuncia.
“Non è stata fatta una scelta secondo i curriculum e le competenze ma secondo l’appartenenza politica. Non è accettabile”, spiega.
La Vinzi e gli altri 41 sono sul piede di guerra: “Mi chiedo – scrive nella missiva – come possano gli italiani dare ancora credito a persone che parlano di famiglia, di diritti dei lavoratori, di pensioni alle casalinghe, di sociale se lei, caro Presidente, non si è curato neanche di andare a controllare i profili di ogni dipendente che ha letteralmente fatto depennare da una lista come se fosse soltanto una matricola”.
Che sarebbero stati licenziati lo hanno appreso il 16 giugno, dai giornali.
“Ci siamo subito allarmati e siamo andati a chiedere spiegazioni. Nessuno ci ha ricevuto. Poi dopo poche ore ci è arrivata una mail che ci ha confermato la brutta notizia”.
Venerdì scorso la doccia fredda: “Da domani non potrete più entrare nella sede”, gli è stato comunicato.
“Vorrei dirle che non solo ha licenziato una donna di 52 anni, età avanzata per rientrare nel mondo del lavoro dopo 30 anni di referenze politiche di destra, ma vorrei aggiungere che questa donna è divorziata, con due figli maggiorenni e un affitto da pagare”.
“Lei – continua nella lettera – che si è sempre vantato di non aver mai licenziato nessuno, di non aver mai mandato i suoi in cassa integrazione, di non aver mai subito scioperi da parte del suo personale. Perchè ora non riesce a mantenere il posto di lavoro a pochissime persone per le quali lo stipendio è vita?”.
Per la Vinzi è grave che “il Pdl riceverà i contributi fino al 2016, mentre noi siamo stati buttati in strada”.
Intanto, dentro Forza Italia, il tesoriere unico, Maria Rosaria Rossi, cerca di trovare una soluzione alle dissestate casse azzurre ed evitare nuovi tagli, a cominciare proprio dal personale. E proprio questo è stato il tema di un vertice, il 10 settembre, nella sede del partito.
Giorgio Ruta
(da “La Repubblica”)
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Settembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
“EPURATI EX AN E ALFANIANI”… PER 42 IMPIEGATI SCATTA LA CASSA INTEGRAZIONE: “DEPENNATI COME MATRICOLE”
“Siamo stati epurati, di questo si tratta”.
Dopodomani per 42 dipendenti del Pdl, non riassorbiti in Forza Italia, sarà firmata la cassa integrazione.
E una di loro scrive una lettera a Silvio Berlusconi: “Presidente, ci aiuti”.
A rivolgersi al leader di FI è Lorena Vinzi, 52 anni, impiegata nella direzione nazionale del partito. “Abbiamo ricevuto la lettera di licenziamento in 42 su 120 impiegati e, guarda caso, siamo quelli provenienti da Alleanza Nazionale e gli alfaniani”, denuncia.
“Non è stata fatta una scelta secondo i curriculum e le competenze ma secondo l’appartenenza politica. Non è accettabile”, spiega.
La Vinzi e gli altri 41 sono sul piede di guerra: “Mi chiedo – scrive nella missiva – come possano gli italiani dare ancora credito a persone che parlano di famiglia, di diritti dei lavoratori, di pensioni alle casalinghe, di sociale se lei, caro Presidente, non si è curato neanche di andare a controllare i profili di ogni dipendente che ha letteralmente fatto depennare da una lista come se fosse soltanto una matricola”.
Che sarebbero stati licenziati lo hanno appreso il 16 giugno, dai giornali.
“Ci siamo subito allarmati e siamo andati a chiedere spiegazioni. Nessuno ci ha ricevuto. Poi dopo poche ore ci è arrivata una mail che ci ha confermato la brutta notizia”.
Venerdì scorso la doccia fredda: “Da domani non potrete più entrare nella sede”, gli è stato comunicato.
“Vorrei dirle che non solo ha licenziato una donna di 52 anni, età avanzata per rientrare nel mondo del lavoro dopo 30 anni di referenze politiche di destra, ma vorrei aggiungere che questa donna è divorziata, con due figli maggiorenni e un affitto da pagare”.
“Lei – continua nella lettera – che si è sempre vantato di non aver mai licenziato nessuno, di non aver mai mandato i suoi in cassa integrazione, di non aver mai subito scioperi da parte del suo personale. Perchè ora non riesce a mantenere il posto di lavoro a pochissime persone per le quali lo stipendio è vita?”.
Per la Vinzi è grave che “il Pdl riceverà i contributi fino al 2016, mentre noi siamo stati buttati in strada”.
Intanto, dentro Forza Italia, il tesoriere unico, Maria Rosaria Rossi, cerca di trovare una soluzione alle dissestate casse azzurre ed evitare nuovi tagli, a cominciare proprio dal personale. E proprio questo è stato il tema di un vertice, il 10 settembre, nella sede del partito.
Giorgio Ruta
(da “La Repubblica”)
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Settembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
I VERTICI LOCALI VOLEVANO LE LARGHE INTESE CON FORZA ITALIA, LA DIREZIONE REGIONALE HA IMPOSTO UNA LISTA DI CENTROSINISTRA… E TANTI DELEGATI HANNO TRADITO NEL SEGRETO DELL’URNA
Non solo il clamoroso calo d’affluenza alle primarie in Emilia-Romagna.
C’è un altro voto che agita le acque in casa Pd: in Puglia, a Taranto, nel weekend si sceglieva il nuovo presidente della provincia.
Ha vinto Martino Tamburrano, candidato di Forza Italia (su cui tra l’altro pende una richiesta di rinvio a giudizio per abuso d’ufficio).
Ma la notizia è che a rendere possibile l’elezione sono stati anche e soprattutto i voti dei delegati del Partito Democratico.
Un ribaltone che si spiega con quanto accaduto nelle scorse settimane: i vertici locali del partito volevano le larghe intese col partito di Berlusconi.
E dopo l’intervento del direttivo regionale, che ha imposto la presentazione di Gianfranco Lopano come candidato della coalizione di centrosinistra, tanti hanno indicato come nuovo presidente l’esponente del centrodestra.
Tutto comincia a fine agosto, quando Michele Mazzarano (da poco rinviato a giudizio per finanziamento illecito) e Michele Pelillo (deputato Pd e vicepresidente della commissione Finanze alla Camere), entrambi esponenti di spicco del partito a livello locale, lanciano l’idea di un listone unico Pd-Forza Italia per le provinciali, con Tamburrano (sindaco forzista di Massafra) candidato presidente.
La proposta viene anche approvata dalla direzione provinciale, dove però c’è chi storce il naso per l’accordo.
E così la questione viene portata sul tavolo della segreteria regionale, alla presenza di Michele Emiliano, segretario del partito.
Ai vertici regionali l’idea delle larghe intese proprio non sta bene: in Puglia il Pd è molto legato a Sinistra Ecologia e Libertà del governatore Nichi Vendola, e all’orizzonte ci sono anche le elezioni regionali 2015 (dove tra l’altro Emiliano è in corsa per le primarie).
Un’alleanza con Forza Italia sarebbe quantomeno inopportuna, insomma. E così si cambia linea: viene candidato Gianfranco Lopane, sindaco “dem” di Laterza, sostenuto da due liste di centrosinistra.
E chi aveva promosso l’accordo col centrodestra fa buon viso a cattiva sorte: “Sono un soldato, obbedisco”, dice Pelillo in assemblea.
Nel segreto dell’urna, però, le cose sono andate diversamente.
Si votava col nuovo meccanismo messo a punto dalla riforma Delrio, che ha trasformato la provincia in un ente di secondo livello, con il presidente eletto dagli amministratori locali e non più dai cittadini.
E i numeri non mentono: mentre le due liste del centrosinistra hanno raccolto insieme il 54,5% delle preferenze, Lopane si è fermato al 37%.
Alcuni delegati, insomma, hanno “tradito”, votando per quello che sarebbe dovuto essere il candidato della lista unica Pd-Fi , e spianando la strada alla vittoria di Tamburrano.
Le conseguenze del voto non hanno tardato a manifestarsi.
La vicenda, di per sè di caratura locale, investe le prossime elezioni regionali, cruciali per il centrosinistra. “Emiliano ha la responsabilità politica di quanto accaduto”, afferma Guglielmo Minervini, altro candidato democratico alle primarie.
“L’elezione è sfuggita completamente di mano alla segreteria”, gli fa eco Dario Stefà no, delfino di Nichi Vendola, anch’egli in corsa per raccoglierne l’eredità .
La risposta di Emiliano non si è fatta attendere: “Mi sono esposto pubblicamente sulla vicenda, c’è una parte del partito che non risponde ai nostri indirizzi”.
E per cui adesso potrebbero anche esserci delle sanzioni: “La direzione si riunirà e prenderà provvedimenti. Mi auguro che chi ha votato Tamburrano si dimetta dal partito”, ha aggiunto Emiliano.
Per il momento l’unica certezza è che il Pd pugliese è nel caos per aver eletto, suo malgrado, il candidato di Forza Italia alla provincia di Taranto.
Nella città dei due mari qualcuno aveva deciso che dovevano esserci le larghe intese. E larghe intese alla fine sono state, anche senza l’imprimatur del partito.
Lorenzo Vendemiale
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Settembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
“RENZI E’ ANDATO A DETROIT A PRENDERE CONSIGLI DA CHI NON PAGA LE TASSE IN ITALIA E PORTA LE AZIENDE ALL’ESTERO”
Dal governo non è arrivata nessuna apertura e adesso «è davvero arrivato il momento di mettere le cose in chiaro, sull’articolo 18, sull’occupazione, sugli ammortizzatori sociali da cambiare e sui fondi da trovare».
Al discorso di Renzi alla direzione del Pd, Maurizio Landini — leader della Fiom risponde con un invito esplicito: «Chiedo a Renzi un confronto pubblico, scelga lui dove e come, purchè sia pubblico. E’ ora di far un’operazione verità , di dire le cose come stanno, a partire dall’articolo 18».
Ecco, proprio su quel tema c’è una novità : Renzi ha parlato di reintegro anche nel caso di licenziamento per motivi disciplinari. E’ o no un’apertura?
«Non prendiamoci in giro, nel discorso di Renzi, per quanto riguarda l’articolo 18 non c’è nessuna novità . Siamo di fronte ad un ulteriore spacchettamento della norma dopo quello già operato dalla Fornero. La discriminazione è trattata nel codice civile, il disciplinare è regolato nei contratti. Il giudice, quando decide per il reintegro, lo fa perchè considera false le motivazioni che hanno portato al licenziamento. Se annullo il reintegro vuol dire che l’azienda, anche con motivazioni false può licenziare e che l’onere della prova cade sulle spalle del lavoratore. E’ un passo indietro, altro che novità ».
Ma il premier ha parlato di Tfr in busta paga, di legge di rappresentanza, di salario minimo. Ha promesso di cancellare i contratti precari: sono o non tutti temi da voi proposti?
«Ma cosa c’entrano tutte queste cose con il rendere più semplice il licenziamento? La precarietà si riduce estendendo i diritti, non riducendoli. Vogliamo parlare di questi argomenti? Bene, Cgil e Fiom hanno proposte su ogni tema e sono pronte a parlare su tutto. Ma dentro questo schema ci sono punti che non possono essere oggetto di trattativa. Ci sono cose davanti alle quali si deve dire no: il diritto al lavoro deve essere senza ricatti».
Il governo dice che per colpa di quella norma nessuno investe in Italia.
«Se le multinazionali non vengono qui non è per via dell’articolo 18, ma perchè non c’è una politica contro la corruzione e la burocrazia: sono questi i motivi tengono lontani gli investitori. Invece di cambiare il lavoro per decreto, Renzi faccia un decreto sul rientro dei capitali, sul riciclaggio, sul falso in bilancio, sugli appalti. Il taglio dell’articolo 18 interessa solo alla Confindustria e non serve, perchè in questo Paese si può già licenziare quando l’azienda è in crisi».
Neanche il fatto che il governo abbia messo sul piatto un miliardo e mezzo per gli ammortizzatori sociali vi sta bene?
«E’ un passo avanti, ma bisogna capire che tipo di riforma si vuole fare. Perchè se si tratta di estendere la cassa integrazione ordinaria e straordinaria a tutti, di prevedere un sussidio e un salario minimo, di allungare l’indennità di mobilità e la cassa integrazione in deroga al 2015 per far fronte al rischio di licenziamenti di massa cui questo 2014 ci espone, certo quella cifra non basta».
Secondo lei Renzi ha il favore dei poteri forti o li ha contro?
«Diciamo che nel Jobs Act lui ha assunto tutte le richieste dei poteri forti e che è andato a Detroit a prendere consigli da chi non paga le tasse in Italia e ha portato le sedi della Fiat all’estero. Non mi pare che la sua politica del lavoro colpisca chi versa il 12 per cento sulle stock option, colpisce i dipendenti , che non evadono e che pagano le tasse al 43 per cento».
Luisa Grion
(da “La Repubblica”)
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Settembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
“SULLO JOBS ACT SARA’ BATTAGLIA IN AULA”
Scusi Civati, proviamo a ricapitolare: si è discusso in direzione, votato, quindi, dice Renzi, i parlamentari devono adeguarsi alla linea. Fila, o no?
“Per niente. Io non mi adeguo”.
Pippo Civati è seduto su un divanetto del Transatlantico, plico di fogli sul tavolino, manda sms, riceve notizie dal senato dove si è svolta l’assemblea sul jobs act.
Escono le agenzie del capogruppo Zanda. Titolo: “La linea va mantenuta”.
Civati scuote la testa: “Non mi adeguo perchè non siamo in condizioni di normalità ”.
In che senso?
“Qui abbiamo di fronte una questione politica molto seria. In un partito c’è la piattaforma con cui il segretario è stato eletto alle primarie. Ed è una linea che non cambia a colpi di direzione, dove i rapporti sono tali che l’esito è scontato. E poi, scusi, Giacchetti vota come gli pare sulla responsabilità civile e sul lavoro io mi devo adeguare?”.
Però scusi, il jobs act è un tema politico, non è una questione di coscienza.
Bah, non condivido. Anzi, io su questa vicenda vedo una doppia questione etica. Una riguarda il fatto che il lavoro riguarda la vita della persone, e dunque l’etica c’entra. L’altra riguarda l’etica della politica, ovvero il mandato che gli elettori hanno dato ai senatori. In condizioni di normalità si può chiedere di adeguarsi, ma qui non siamo in condizioni di normalità .
E se il governo dovesse porre la questione di fiducia?
Sarebbe un atto provocatorio e dirompente. Spero che non lo faccia e che Renzi abbia un momento di saggezza entrando nel merito della questione.
In direzione però su alcune questioni Renzi ha “aperto”: il reintegro in caso di licenziamento disciplinare, l’incontro con i sindacati…
Parafrasando Moretti, l’articolo 18 è come la Sacher torte, non come il cannolo, si fonda su equilibrio delicato. C’è una logica, una filosofia che tiene assieme discriminatorio, economico e disciplinare. Al momento ho capito che Renzi ha quasi abolito l’articolo 18, come ha quasi abolito il Senato e le province…
Quindi, come voterà ?
Se il contenuto della delega rispecchia quello che ha detto Renzi in direzione e non cambia, allora il mio voto contrario è un’ipotesi molto concreta.
È un provvedimento di destra?
Certo, un conto è se dici che si deve “tipizzare” meglio l’articolo 18, che va aggiustato verificando prima come ha funzionato la riforma Fornero di due anni fa, altro è fai una crociata ideologica. Il tono usato da Renzi sul tema è simile a quello di Berlusconi.
Berlusconi?
Sul blog ho pubblicato un video del 2002 di Berlusconi, se volete linkatelo sull’Huffington, in cui i toni sembrano quelli della direzione di ieri. Quello che dico io è che invece di fare crociate bisognerebbe semplicemente parlare un linguaggio di verità .
Sarebbe?
Che è Renzi che ha cambiato linea non noi. Se glielo ha chiesto l’Europa e la Bce significa che la sua strategia per la crescita è archiviata e siamo a un commissariamento di fatto. Per parafrasare la frase di Rilke che ha citato ieri, “la troika è dentro di noi prima che accada”.
E quindi lei rivendica il diritto al dissenso in Parlamento.
Se il tono è “provate a non votarlo e vedrete che succede…”. Il problema è politico: se il dissenso è di cinque senatori, riguarda la commissione di garanzia, se il dissenso è di 15 riguarda il presidente della Repubblica perchè a quel punto si porrebbe il tema di un nuovo governo.
Ho la sensazione che lei stia programmando una scissione.
No, perchè una scissione del Pd avrebbe l’effetto di dare lunga vita al Nazareno e di mettere il paese nelle mani di Renzi e Berlusconi per chissà quanto tempo.
Però la sensazione è che ormai tra Renzi e la minoranza Pd ci sia una reciproca insofferenza quasi antropologica.
L’antropologia la tengo lontana perchè è un tema più grande della scissione. Per ora mi limito a dire che ieri si sono manifestate due culture politiche molto diverse tra loro.
Sta dicendo che la giornata di ieri è uno spartiacque nella storia del Pd?
Sì, è in atto una transizione di cui non si intravede il punto di arrivo.
(da “Huffingtonpost“)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »
Settembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
L’ANNUNCIATORE DI FIRENZE E L’ALIQUOTA FISCALE PIU’ ALTA SUL TFR INCAMERATA DALLO STATO
Sono completamente d’accordo a metà con l’Annunciatore di Firenze, quando gigioneggia di inserire la cara vecchia liquidazione in busta paga.
Nel migliore dei mondi possibili sarebbe persino apprezzabile il tentativo di trasformare il lavoratore in un adulto.
Per decenni lo si è trattato come un irresponsabile che andava protetto da se stesso. Non gli si potevano dare tutte le spettanze nel timore che le divorasse, arrivando nudo alla meta, solitamente micragnosa, della pensione.
Sminuzzando il Tfr in rate mensili, si affida al beneficiario lo scettro del proprio destino: toccherà a lui, non più al datore di lavoro o allo Stato Mamma, decidere la destinazione dei suoi soldi.
Purtroppo la realtà non è fatta della stessa sostanza degli annunci.
Intanto il Tfr è un denaro che esiste solo come promessa: nel momento in cui lo si trasformasse in moneta sonante, per pagarlo i datori di lavoro sarebbero costretti a indebitarsi.
Quanto allo Stato, passerebbe da Mamma a Matrigna: l’astuto Annunciatore si è dimenticato di dire che in busta paga la liquidazione soggiacerebbe a un’aliquota fiscale più alta.
L’imprenditore ci perde, lo Stato ci guadagna.
E il lavoratore? Incamera qualche euro da gettare nell’idrovora boccheggiante dei consumi, ma smarrisce l’idea di futuro con cui erano cresciute le generazioni precedenti.
La liquidazione era un tesoretto intorno a cui coltivare speranze e progetti per il tempo a venire.
Il suo sbriciolamento rischia di diventare l’ennesimo sintomo di un mondo che si sente a fine corsa e preferisce un uovo sodo oggi a una gallina di fine rapporto domani.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Settembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
UN PAESE ALLO SFASCIO IN MANO A UN MAGGIORDOMO ARROGANTE AL SERVIZIO DELLE LOBBY FINANZIARIE
Non lo dice apertamente indicando numeri e variazioni percentuali, ma a leggere la nota mensile dell’Istat si capisce che anche nel terzo periodo dell’anno, quello da luglio a settembre, l’economia italiana ha continuato a perdere colpi.
L’andamento del Prodotto interno lordo (Pil), quindi, dovrebbe restare in territorio negativo. “L’indicatore composito anticipatore, aggiornato a luglio e costruito a partire da un insieme di variabili (qualitative e quantitative) selezionate in base alla capacità di anticipare le fasi del ciclo economico, è in rallentamento, suggerendo una nuova flessione del Pil nel terzo trimestre dell’anno”, dice l’Istituto di statistica che oggi ha rilasciato altri dati negativi per quanto riguarda la deflazione e la disoccupazione giovanile.
D’altra parte, che l’intero 2014 si avvii ad andare in archivio con il segno “meno” è ormai assodato: lo stesso aggiornamento del Def, il Documento di economia e finanza sul tavolo del Consiglio dei Ministri, dovrebbe recepire una previsione di recessione per lo 0,2 o 0,3% del Pil.
Secondo gli economisti, “il deterioramento dei ritmi produttivi riflette la carenza di domanda interna che colpisce soprattutto gli investimenti”.
Nel rapporto si evidenzia che “negli ultimi due mesi, la fiducia delle imprese italiane è arretrata sui valori di inizio anno, con perdite più marcate nei settori dei servizi”.
Un nuovo allarme arriva in merito al mercato del lavoro. Dopo aver certificato un tasso di disoccupazione al 12,3%, ma con il record sopra il 44% per i giovani, l’Istat aggiunge che ormai il “tasso di posti vacanti permane su livelli molto bassi, a sottolineare la prolungata scarsità di posti di lavoro disponibili che sembra divenire una caratteristica strutturale”
Difficile trovare spunti positivi pure sul fronte della dinamica dei prezzi: sarà ancora bassa l’inflazione nei prossimi mesi.
(da “La Repubblica“)
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Settembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
“CHI DICE CHE CI AVVICINIAMO AL MODELLO SOCIALE EUROPEO MENTE O NON SA DI COSA PARLA”… “LA FLESSIBILITA’ HA SENSO SE E’ UNITA, COME IN GERMANIA, A UN REDDITO GARANTITO UNIVERSALE”
“Il modello tedesco da noi è pura utopia, rischiamo un disastro totale”.
Mentre il Jobs Act di Matteo Renzi approda a Palazzo Madama, il filosofo Giovanni Perazzoli la vede nerissima.
“Chi dice che ci avviciniamo al modello sociale europeo mente o non sa di cosa parla”, ammonisce l’autore di Contro la miseria, viaggio nell’Europa del nuovo welfare (ed. Laterza), libro che analizza le ricette europee tra flessibilità del lavoro e sicurezza sociale.
Il risultato?
“Siamo lontani anni luce da realtà come quella tedesca alla quale il premier dice di ispirarsi”.
“In Irlanda un disoccupato può ottenere fino a 805 euro a mese, al quale vanno aggiunti i sostegni per l’affitto, i figli e altri benefit. Questo in un Paese che per il welfare spende meno di noi e che vanta un reddito minimo garantito eccezionale”. Perazzoli non ha dubbi: “Il Jobs Act di Matteo Renzi non regge il confronto con le riforme attuate in Europa”.
Perchè?
Perchè la flessibilità imposta al mercato del lavoro presupponeva i sistemi di welfare già presenti in quei Paesi. Chi ha puntato sulla filosofia del ‘back to work’, come la Germania, ha anche tagliato la spesa sociale, è vero. Prima della riforma di Schrà¶der i tedeschi senza lavoro prendevano di più. Ma il reddito minimo garantito rimane una colonna di quella riforma. In Germania la disoccupazione permette comunque di mettere il pane in tavola, mentre la riforma che abbiamo in mente in Italia questo non potrà garantirlo.
Il sussidio da mille euro per chi viene licenziato non serve a questo?
Il Jobs Act prevede una indennità di disoccupazione che in altre forme c’è sempre stata. Che dura pochi mesi (al massimo due anni) e poi lascia le persone senza alcuna rete sociale. Offrire un tale strumento quando un tedesco, un francese, un olandese, un inglese possono contare su sussidi e benefit senza limiti di tempo significa affabulare un’intera nazione. Uno studio della Commissione europea già nel 2006 descriveva l’Italia come il Paese con la maggiore flessibilità e la minore protezione. E già negli anni ’90 la Ue ci chiedeva di introdurre una forma di reddito minimo garantito. Una richiesta accolta anche dal giuslavorista Marco Biagi al tempo della sua riforma, ma inascoltata da tutti i governi. Oggi rischiamo il disastro totale.
Inizia a dirlo anche chi sta al governo: per il reddito di cittadinanza non ci sono i soldi
La spesa italiana per il welfare è assolutamente in linea con quella degli altri Paesi europei. Si tratta di spendere meglio, di ridurre gli sprechi. Il nostro sistema è poi squilibrato in direzione delle pensioni. Nemmeno la Svezia spende quanto noi, ma non per questo riusciamo ad assicurare la dignità ai pensionati che percepiscono la minima.
Chi ha valutato i costi del reddito universale parla di 8-10 miliardi di euro, esclusi il sostegno per affitto, figli, ecc. Dove trovarli?
Recuperando il 15% dell’evasione fiscale (150 miliardi l’anno in Italia) daremmo un reddito a tutti coloro che non lavorano, licenziati o meno, cinquantenni o diciottenni. Con il 25% arriveremmo a coprire anche i sostegni per la casa, gli assegni per i figli.
Non c’è il rischio che in Italia siano in molti ad approfittarsene?
Certo, da noi sarebbe imprescindibile un sistema di controlli, ma se il rapporto costi-benefici è risultato positivo negli altri Paesi europei non vedo perchè non debba funzionare da noi. Il problema di un sussidio che poteva essere preferito all’impiego si è posto in Inghilterra come in Germania. Le erogazioni sono stare abbassate e le politiche attive per l’occupazione sono state fortemente implementate.
Anche Renzi vuole riformare i centri per l’impiego, per ora a strutture, personale e fondi invariati
Germania, Francia e Inghilterra hanno autentici eserciti dislocati in questi uffici. A Roma ci sono soltanto due centri. La Germania conta 90mila impiegati, da noi siamo intorno ai 20mila e meno del 5% degli occupati ha trovato lavoro grazie ai centri. Più semplicemente, il mondo produttivo non passa da qui. Impossibile cambiare questa situazione a costi invariati. Nei centri tedeschi, ma in generale nord-europei, la persona rimane al centro, le vengono fatte delle interviste e le viene affidato un tutore che segue il suo percorso. E’ interesse del Paese che il servizio sia in grado di spingere il disoccupato ad accettare un lavoro. Una trattativa serrata e sempre in corso, che ha ristretto enormemente lo spazio discrezionale di cui beneficiava l’utenza prima della riforma. Un sistema che non potrebbe reggersi in piedi senza il carattere universale del reddito minimo garantito.
Perchè considera essenziale l’universalità del sostegno al reddito?
In Germania come nel resto dell’Europa — i sistemi Ue sono abbastanza omogenei tra loro — il disoccupato non è per forza qualcuno che è stato licenziato. Allo stesso modo in Italia dobbiamo scindere il concetto di reddito da quello di lavoro. E’ questo il vero pilastro del welfare europeo. Da noi sembra assurdo che si possa percepire un reddito e non lavorare. Invece all’estero un ragazzo di diciotto anni entra in un job center, mette una firma, e inizia a percepire il suo reddito minimo garantito. Al quale si aggiunge un sostegno per l’affitto e altri benefit per lo studio e la formazione più in generale. Indipendentemente dalla classe sociale o dal reddito dei propri genitori. Non si creano sussidi per chi è in difficoltà , non si istituzionalizza la povertà individuando la categoria degli indigenti incentivandola a non abbandonare la propria condizione per non perdere quella forma di assistenza. Così facendo non si cambia. Anzi, si aprono le porte al lavoro nero. Al contrario, se il sussidio ha carattere universale il povero avrà tutto l’interesse a uscire dalla propria condizione, sapendo che non perderà comunque questo diritto. E poi, non ultimo, si tratta di democrazia.
In che senso?
Quando il welfare non è un diritto, il lavoro stesso diventa una forma di welfare. Questo crea distorsioni democratiche laddove la politica può utilizzare l’occupazione come strumento di clientela. Chi non ha diritto a una rete di protezione che lo tuteli dai rischi insiti in un mercato del lavoro più flessibile e più precario è ricattabile. E’ questa una delle ragioni profonde della volontà tutta italiana di non avere un reddito minimo garantito. Si andrebbero a toccare gli interessi di corporazioni che vivono di clientele. Il nostro è un welfare che si flette in favore di questi gruppi di potere, distorsioni che vanno eliminate. È questo che ci rende lontani anni luce dall’Europa di cui parla Renzi.
Da dove cominciare?
Dal dire agli italiani che il loro Paese è un esempio di ingiustizia dal punto di vista delle tutele del lavoratore. Smettiamola di raccontare che la Germania è un Paese liberista che punta sulla sottoccupazione, troppo facile. Non siamo il Paese che si è salvato da Schrà¶der o dalla Thatcher: l’Italia sta e stava già infinitamente peggio. Se Renzi vuole davvero andare in direzione dell’Europa, dovrebbe dire ai suoi concittadini cosa accade veramente fuori dall’Italia. Sappiamo poco o nulla di come funzionano le cose oltre confine. Perchè le ragioni di questa situazione sono antiche, e sembrano ingabbiare lo stesso Renzi.
Franz Baraggino
(da “il Fatto Quotidiano”)
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